#PER CHI AMA: Black/Death, Enslaved |
Continua la politica della Indie Recordings, nel proporre band scandinave (Enslaved, God Seed, Kråke, Nidingr), tutte dotate di una forte carica atmosferica, ma comunque inserita in una contesto black/death. I Posthum, norvegesi di nascita, ovviamente non possono essere da meno ed il loro biglietto da visita, “Untame”, ci dimostra immediatamente di che pasta sono fatti. Ritmica da subito nervosa, vocals al vetriolo, ma il tutto poi perfettamente calibrato in un sound che può rimandare al vecchio “Monumension” dei già citati Enslaved, anche se decisamente meno psichedelici e più lineari: la sfuriata finale della opening track ne è la prima testimonianza. Il suono delle chitarre di “Leave at All to Burn” continua a richiamare gli ex compagni di scuderia, capitanati dal duo Grutle ed Ivar, anche se poi nell’arco del brano, mi pare che l’impronta si faccia decisamente più post rock oriented, su cui vanno a poggiare le torve vocals di Jon, sempre ben supportate da azzeccatissimi arrangiamenti e desolate ambientazioni che provano ad imitare il corrosivo sound dei Cult of Luna (prossimi all’uscita anch’essi per la label norvegese); le stesse sensazioni le ho percepite anche per la successiva “Scarecrow”. Quando i nostri accennano nel voler ingranare una marcia in più ed aumentare la propria velocità, ho come la percezione che perdano un po’ in lucidità, lasciandosi accecare dalla voglia di strafare, e smarrendo la loro brillantezza. E questi sono i momenti in cui cala l’entusiasmo per questo “Lights Out”: la “windiriana” “Red” vuole essere infatti un improbabile ibrido tra l’epic black dei Windir ed una forma più sporca di metallo, che decisamente stona nella proposta dei Posthum. Decisamente a proprio agio si confermano nelle ritmiche mid-tempo, piuttosto che su presunte sfuriate black, che mal si coniugano con la proposta progressiva del combo di Nannestad, più abili infatti nel lavorare di cesello, che di violenza. E cosi in “Lights Out”, si confermano gli episodi migliori quelle tracce che lasciano ben poco spazio all’irruenza dei nostri, ma libero sfogo viene concesso alla creatività del bravo Jon, supportato alla grande da Martin (chitarra e basso) e da Morten (alla batteria). Un po’ più deludenti le composizioni in cui la compostezza e l’intelligenza musicale cedono il passo alla feralità del black: “Resiliant” e “Down in Blood” sono due brani che non convincono granché, anche se la seconda metà di “Down in Blood”, prendendo in prestito un po’ dell’oscura caligine degli Shining, riabilita un pezzo che inizialmente avevo bocciato. L’oscurità ed il cupo selvaggio terrore del mortifero sound dei Posthum, echeggia severo con “Summoned at Night”, song carica di umori sinistri, che spalanca le porte alla malinconica e strumentale “Afterglow”, prima della chiusura affidata alla title track, che ancora una volta, vede i Posthum ricalcare le gesta degli Enslaved, e pertanto mostrare il lato migliore della loro proposta. Complice anche un inebriante break centrale e delle ariose aperture di chitarra, risulta lampante come il sole, che le performance migliori arrivino esclusivamente quando i nostri decidono di lanciarsi in vibranti elucubrazioni che in un prossimo disco, auspico, possano sfociare nel psichedelico, forse la strada più calzante da percorrere. E allora ragazzi, non abbiate paura di metterci ancor più personalità in quello che fate, sono convinto che in un prossimo lavoro se ne potranno sentire davvero delle belle. (Francesco Scarci)
(Indie Recordings)
Voto: 75
https://www.facebook.com/posthumofficial
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