#PER CHI AMA: Post Metal, Psichedelia, Isis |
Gli Huldra sono ormai alla stregua di amici per il sottoscritto: li ho conosciuti ed imparati ad apprezzare un anno fa, con il loro EP “Signals from the Void”. Li ho incontrati nuovamente con lo split cd, condiviso con i Dustbloom, la scorsa estate ed ora, alla vigilia del loro debutto ufficiale, la band mi contatta, offrendomi la possibilità di recensire in anteprima il nuovo disco, in uscita a metà gennaio. Che dire, se non esserne onorato; ma so già che la band di Salt Lake City non mi deluderà, perché finora non l’ha mai fatto. E difatti, quando faccio partire “Monuments”, vengo investito dal suadente e possente post metal del quintetto proveniente dalla capitale dello Utah. Lento come il mare magmatico che si muove silenzioso dal cono vulcanico, la musica del five-piece statunitense mi prende immediatamente con il suo fare ipnotico e ben strutturato. Ma si tratta di un pezzo breve, sui quattro minuti, che scivola via veloce e mi lascia li per li dubbioso, se qualcosa sia nel frattempo cambiata in casa Huldra. Quando parte “Twisted Tongues and Gnarled Roots”, e i suoi oscuri otto minuti mi cullano deliziosamente, mi rendo conto che il combo statunitense ha solo affinato (e notevolmente) la propria proposta: la band ha sì preso le distanze dal sound granitico e dirompente dei maestri Neurosis, e ne ha acuito la componente onirica che già si andava delineando nell’ultimo split cd. Musicalmente mostruosi, e al contempo sontuosi, gli Huldra mostrano la loro originalità con un break psichedelico che avrebbe ben figurato in “Panopticon” degli Isis. Le vocals di Matt poi sono sempre molto pacate nella sua forma pulita, anche se qualche bel growl cavernoso non ce lo fa certo mancare. “Noctua” è un interludio ambient che apre a “Ursidae” e ai suoi dodici minuti di suoni caldi e magnetici. Lo spettro dei gods di Boston aleggia ancora nell’aere, ma d’altro canto era indispensabile trovare dei degni eredi di A. Turner e soci, e a mio avviso, gli Huldra si candidano fortemente a raccogliere lo scettro lasciato vacante. Con somma predilezione per suggestioni strumentali figlie del post rock, incantate parti d’atmosfera e fantastiche aperture ariose, i nostri relegano le parti vocali ad una minima parte nell’economia dei brani. Chiaro che la band del west non si è rincitrullita del tutto, ha mollato gli ormeggi e si è messa a suonare ninne nanne per bambini; quando “Thousands of Eyes” esplode nel mio stereo, godo che è un piacere. Il riffing robusto ed ondeggiante dell’act torna a sibilare tra la sabbia, in un vorticoso andirivieni ritmico, dall’incedere compassato ed ubriacante. Chiudo gli occhi e provo a vedere se sono in grado di rimanere in piedi senza barcollare, ma ahimè non posso far altro che crollare al tappeto, stordito dai colpi all’insegna di un trip delirante, a cui la band mi ha avviato. L’ensemble nord americano ha compiuto passi da gigante negli ultimi mesi, e quindi tutto appare estremamente elegante e degno di una big band. “As Above, So Below” o la conclusiva “The City in the Sky” rappresentano altri grandi pezzi che confermano le mie parole e che mostrano quanta classe, si propaghi armoniosamente dagli strumenti di questi cinque ragazzi. La verve, il sound carico di groove, il pathos che gli Huldra emanano, è cosa rara e preziosa, e questo “Monuments Monolith” alla fine, mi ha prodotto lo stesso impatto emotivo che grandi album del passato (e cito nuovamente e non a caso “Panopticon”) hanno avuto sulla mia crescita musicale. Non esagero troppo col voto, per non ritrovarmi magari fra un anno, a dover rivedere le mie scale valutative. Comunque sublimi. (Francesco Scarci)