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venerdì 11 ottobre 2024

Doortri - Eeeeels

#PER CHI AMA: Noise Rock Sperimentale
Un album complicato, un album difficile, figlio di una visione ampia e trasversale, disomogeneo, un disco differente. Il secondo disco dei Doortri, cambia le coordinate musicali che li avevano contraddistinti nell'album di debutto (opera sonora di denuncia contro l'inquinamento dei PFAS nella regione Veneto), optando qui per una veste più sperimentale, senza regole, un suono sfuggente a tutte le categorie, fatto di rumori, urla, jazz sperimentale, noise, sussulti punk e hip hop atipico. 'Eeeeels' è una specie di concept diviso in varie tappe, che contengono brani molto diversi tra loro, i quali portano ancora i segni del disco precedente, con tracce della no wave nel segno di James Chance and the Contortions, ma di cui perdono l'urgenza sonora per approdare a un sound ricercato nei meandri del mondo noise più ortodosso, sacrificando parte del sax e di quella batteria così sanguigna, in favore di voci, cantati distorti e non, e tanti rumori sparsi qua e là, come tanti fiori in un prato. Il suono è in generale astratto, in cui vive un'aggressività sofisticata, e spesso, gli esperimenti diventano cerebrali, a volte schegge impazzite, al limite della follia. La batteria spesso suona effettata, come in certi esperimenti solisti di Big Paul Ferguson, in taluni casi si sentono eterei profumi kraut rock, ipnotici richiami tribali ("Filasteen Hurra", con ospite alla voce Ghufran Alkhalili), persino echi etnici e di certo crudo e pesante acid jazz anni '90 ("Jelly Belly"). "Untilted (Untitled)" suona folle e rumorosa (anche senza chitarre distorte), tanto che non sfigurerebbe a un'edizione dell' Obscene Festival; "Monkey Christ" sembra un retaggio dei punk inglesi Crass, con jingle stile carica delle giacche azzurre nei film di Rin Tin Tin, mentre la lunghissima "Sleeeee", funge da portabandiera del cambiamento sonoro attuale della band, dove l'effetto Zorn è calpestato da una batteria pressante e da una sequenza di rumori, synth, interferenze e distorsioni, che impediscono al sax di emergere, riportando alla memoria le oblique teorie musicali dei God nel brano "Love". I Doortri sono una band formata dal percussionista Gianpaolo Mattiello, fiati e programming di Tiziano Pellizzari, e dai rumori vari ottenuti anche dalle frequenze di una vecchia radio portatile usata praticamente come synth non convenzionale da Geoffrey Copplestone, che si occupa anche alle parti vocali, utilizzate sempre ad effetto, ma in quantità contenuta. Inoltre, in questo album la band ha voluto fortemente ampliare la rosa sonora introducendo i già citati synth e parti campionate pre-registrate, rumori d'ambiente, voci e quanto altro gli girava per la testa, utilizzando tanti arnesi che provocano rumori e fruscii. Mixati dalla leggenda Elliot Sharp, che ha suonato anche la chitarra sul brano finale "Sleeeee", l'album è uscito sotto le ali della Zoar Records, l'etichetta newyorkese, appunto di Mr. Sharp. Un disco che ha molte facce e si diversifica continuamente, dove molti brani oscillano tra poco più di uno-due minuti fino a un massimo di ventidue (!), sottolineando così la sua veste surreale. A volte si ha l'impressione di essere di fronte a un disco di elettronica stile Autechre, ma subito si viene smentiti, mentre a un ascolto approfondito, ci si accorge che tutto è suonato veramente da musicisti sperimentatori che rumoreggiano con arnesi di fortuna, coperchi di latta, campanelli e molto altro, uniti a strumenti musicali acustici ed "Eeeeels" è la prova concreta, e forse il brano che più di tutti, richiama nel suo sound, quel pizzico di mondo alternativo proveniente dalla Grande Mela, intrinseco da sempre nella musica del trio vicentino. La conclusiva "Greyhound Bus", è un jingle dal ritmo country folk per un carosello dal finale ambient, suonato in piena regola. Questo disco è un gran bel traguardo, qualcosa che guarda oltre, qualcosa di processato, pensato e distillato in studio nota dopo nota, rumore dopo rumore, ritmo dopo ritmo. Jazz non jazz, sense non sense music, rumoristica, no wave, uno Zorn scarnificato fino all'osso, pillole di musica alternativa per intellettuali amanti dei suoni inusuali e multi direzionali. Ecco, il nuovo mondo dei Doortri è servito. (Bob Stoner)

lunedì 7 ottobre 2024

Aorlhac - La Cité des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
A completamento della 'trilogia dei venti' degli Aorlhac manca a rapporto ancora 'La Cité des Vents', disco che rappresentò il vero esordio sulla lunga distanza per il terzetto francese e che ricordo, far parte della raffinata riedizione (guardate i super curati booklet per coglierne l'eleganza) da parte della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Si comincia con la consueta intro strumentale, e un menestrello che mette a servizio della corte la propria chitarra acustica. "Le Bûcher des Cathares" divampa con le sue epiche chitarre a narrare leggende e vicende medievali dell'Occitania, mentre il buon Spellbound alla voce, gracchia come un corvo appollaiato sulla torre di un castello. La proposta, per quanto furibonda sia a tratti, mostra più ampie partiture atmosferiche rispetto al passato. Interessante ma breve, l'intermezzo acustico a metà brano, cosi come il mid-tempo melodico che ne contraddistingue il finale. "Plérion" sembra spiritata, complici le velocità sostenute a cui ci sottopone la band, al pari dell'isterica voce del frontman. Piacevoli comunque le melodie che chiamano in causa i Windir, anche se la band norvegese era di gran lunga migliore dei colleghi francesi. Il disco prosegue su binari similari anche con le successive canzoni, faticando forse a garantire una certa originalità tra un brano e l'altro. Ecco quindi focalizzarmi su "Le Miroir des Péchés", "Sant Flor, la Cité des Vents" e "Les Enfants des Limbes", tutti pezzi che, oltre a mantenere una durata più o meno simile (attorno ai sei minuti), mostrano un'intelaiatura ritmico-strutturale piuttosto omogenea, con grandi cavalcate di chitarra, intermezzi acustici, ripartenze melodiche che evocano la musica classica, e una vocalità che rischia però di divenire il punto di debolezza della band con quel fare troppo gracchiante del suo diabolico frontman. Nemmeno l'uso randomico di un violino coniugato a echi folkish, contribuiscono a 'La Cité des Vents' di fare il proverbiale salto di qualità, rimanendo ancora troppi paradigmi radicati nel passato del black, che fatico a digerire. Sicuramente, l'epicità che ritroviamo in un brano come "Vers les Honneurs" stimola non poco la mia fantasia, ma persistono ancora sbavature e storture che mi fanno storcere la bocca, a partire dai riferimenti vampireschi, a la Cradle of Filth, di "La Comptine du Drac" o alla conclusiva cover dei Taake, "Over Bjoergvin Graater Himmerik IV", che chiude un disco sicuramente meglio strutturato del precedente EP, ma che necessita di un'opera di sgrezzatura ben più importante. Alla fine, la riedizione di 'La Cité des Vents' si conferma un bell'oggetto per inguaribili collezionisti. (Francesco Scarci)

(Those Opposed Records/LADLO Productions - 2010/2024)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cit-des-vents-reissue

Aorlhac - A la Crois​é​e des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic
Mi scuserete se il mio recensire il trittico dei francesi Aorlhac, non abbia rispettato un ordine ben preciso. Ho iniziato dall'ultimo lavoro, 'L'Esprit des Vents', per poi passare al primo EP, 'À la Croisée des Vents', di dieci anni più vecchio, che segnava l'inizio di questo epico viaggio. Un EP di sei pezzi che espone l'allora terzetto di Aurillac a un mondo meno underground rispetto a quello in cui vide la luce il loro demo 'La Chronique des Vents'. Il genere proposto però non sposta di una virgola quando abbiamo detto almeno degli ultimi due cd dei nostri. La proposta della band è infatti affidata a un black dalle vaghe tinte epiche, che non vede momenti di calma, fatto salvo per la breve e atmosferica intro d'apertura. Da lì in poi esploderanno infatti le classiche cavalcate ritmiche che contraddistinguono la band francese, tra zanzarose chitarre di scuola norvegese, grim vocals e melodie che attenuano la furia maligna dei nostri. E cosi, è facile passare dalla sprezzante "La Guillotine est Fort Expéditive", con le sue semplici linee di chitarra e col caustico latrato di Spellbound, a "La Mort Prédite", in cui la melodia di fondo sembra fondamentalmente essere una propaggine del brano precedente, con le sue stilettate malefiche e qui addirittura, un break acustico centrale, a spezzare il ritmo infernale imposto dal terzetto. Con "Le Charroi de Nîmes" sembra di aver a che fare con una band hard rock, almeno nei suoi primi 30 secondi, poi la band si ricompone e riparte da un sound più mid-tempo che però stenta a decollare, se non in un finale decisamente più folkish. Una song parecchio confusa che non lascia troppi punti di riferimento e che rappresenta una sorta di pecora nera nell'economia del disco. Parecchio più oscura invece la successiva "1693-1694: Famine et Anthropophagie", un pezzo che lascia intravedere le potenzialità di una band, qui ancora parecchio acerba. "Aorlhac" segna con il suo black melodico, la conclusione di quello che fu il vecchio EP della band, che al tempo uscì per la Eisiger Mond Productions: il nuovo lavoro, nella sua rinnovata veste grafica, include altri tre brani: "Mémoires d'Alleuze", che era invece incluso nella riedizione dell'EP del 2016 a cura della Those Opposed Records: in termini musicali questo non vede però grandi novità nel genere proposto, se non un tentativo, mal riuscito, di mettere delle clean vocals nei cori del brano. Poi siamo di fronte alla solita proposta che non aggiunge nulla di nuovo o entusiasmante agli Aorlhac: c'è il tentativo di donare più atmosfera in un break temporalesco, ma nulla di davvero memorabile, se non quel finale acustico, quasi in grado di mettere i brividi. "L'Oeil du Choucas" è un breve intermezzo acustico dalle tinte folk, mentre la conclusiva "Les Charognars et la Catin", prova a offrire qualcosa un filo più originale (quasi black'n roll) tra le sue laceranti pieghe ritmiche; nulla di epico, ma apprezzabile comunque il tentativo, soprattutto nello spettacolare assolo conclusivo che riesce finalmente a esaltare la riuscita del brano. Alla fine questa riedizione, a parte la rinnovata veste grafica, non offre grandi sconvolgimenti nella release degli Aorlhac, quindi l'invito ad avvicinarsi a questa release, è rivolto a coloro che non conoscono le gesta della band francese e vogliono raccogliere, in un sol boccone, l'epica trilogia degli Aorlhac. (Francesco Scarci)

(Eisiger Mond Productions/Those Opposed Records/LADLO Productions - 2008/2016/2024)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/a-la-crois-e-des-vents-reissue

Aorlhac - L’Esprit des Vents Reissue

#PER CHI AMA: Epic Black
La Les Acteur de l'Ombre Production ripropone la trilogia degli Aorlhac, volta a narrare le storie e le leggende medievali dell'Occitania, in una nuova veste grafica (un elegantissimo digipack A5 con una cover rinnovata, che si incastra alla perfezione con quella degli altri due lavori riproposti - un po' come fecero i Carcass nelle loro riedition), un minimo cambio nell'ordine dei pezzi e pochissimo altro. Noi (anzi il sottoscritto), 'L'Esprit des Vents' l'ha già recensito sei anni fa, e non posso far altro che parafrasare le mie stesse parole del 2018, magari con un orecchio leggermente più allenato alle sonorità dell'act transalpino. Per chi non lo conoscesse, l'album si sviluppa attraverso dieci brani, partendo dall'energica "Aldérica" e terminando con la strumentale "L'Esprit des Vents", presentando un viaggio musicale che sposa un black/thrash in modo epico e combattivo. I momenti di quiete sono davvero pochi tant'è che il disco è caratterizzato da un ritmo frenetico e audace, rispecchiando fieramente le sue radici ancestrali. Durante l'ascolto emergono molteplici influenze, con chiari richiami al metal classico in alcuni assoli (spettacolare quello di "La Révolte des Tuchins"), combinati con influssi provenienti dal Nord Europa. Sebbene il risultato finale non sia estremamente originale, il black metal degli Aorlhac risulta onesto e ben strutturato con melodie accattivanti, come il ritornello folkish di "Infâme Saurimonde", e un'ottima preparazione tecnica, che pone un particolare accento sulla prova del batterista. Le linee di chitarra vichinghe in "Ode à la Croix Cléchée" evocano i primi Einherjer e Windir, andando a sostenere il cantato abrasivo ma piuttosto originale, di Spellbound. "Mandrin, l'Enfant Perdu" si muove tra sonorità black/thrash, in grado di richiamare anche i cechi Master's Hammer e i norvegesi Taake, fino ad arrivare a un evidente rimando agli Iron Maiden verso la conclusione. Tra i miei brani preferiti spicca sicuramente "La Procession des Trépassés", ricca di intense ritmiche e potenti melodie malinconiche. Un ultimo cenno poi lo merita "L'Ora es Venguda," che trasuda sonorità simili ai Primordial. In sintesi, 'L’Esprit des Vents' è un album che saprà entusiasmare gli amanti del black pagano, anche se personalmente, dopo sei anni, non lo definirei un masterpiece. Certo, ora il cd tra le mie mani, sembra un oggetto per collezionisti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2018/2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/lesprit-des-vents-reissue

giovedì 3 ottobre 2024

O.N.O.B. - Viva! Underground (retrospettiva sotterranea)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
È successo di nuovo. Lo stravagante collettivo veronese dell'associazione culturale Teuta Gwened, è tornato sotto nuove spoglie. Un po' alla stregua dei Thee Maldoror Kollective, che a ogni album modificavano il proprio moniker, anche i nostri, che includono peraltro il buon Bob Stoner, si presentano sulla scena con differenti sembianze: Cardiac, Agatha, De La Croix, giusto per fare alcuni nomi delle varie incarnazioni, e oggi sotto questo intrigante acronimo, O​.​N​.​O​.​B. (Onirica Notturna Ostentazione di Bellezza), pronti a sfornare un nuovo lavoro, 'Viva! Underground'. Il disco consta di otto tracce che nascono ai tempi dello scioglimento dei Cardiac, e da lì ripartono sfoggiando suoni sperimentali, che si palesano sin dall'iniziale "Torture", song dotata di un riffing impastato su cui poggia un parlato quasi indecifrabile. Tutto assai normale direi, almeno fino a quando il ritmo viene alterato dal diafano poetico cantato di Betty che mi ipnotizza con le sue parole "...il tempo fa tic tac..." che si imprime nella mia testa e da lì non è più voluto uscire. La ritmica non è certo delle più raffinate, buono il lavoro di basso in sottofondo, ma ecco nulla di memorabile, perchè tutta la mia attenzione si focalizza sulla seducente ma al contempo sgangherata, voce della frontwoman, una sorta di italica Julie Christmas, forse meno rabbiosa della vocalist americana, ma sicuramente dotata di una buona dose di personalità. Con "La Madre, l'Inaspettato e l'Apocalisse, il sound dei nostri sterza verso sonorità più garage rock punk, coadiuvate peraltro da una porzione vocale decisamente più accessibile, un peccato, visto che ho adorato la prova della cantante nell'opening track. Il brano è dotato di una buona carica di groove, la voce di Betty è si qui calda ma le mie aspettative forse si erano troppo elevate. Con "Contessa" ci imbattiamo nella prima cover del disco, che ci riporta al 1980, quando quei Decibel, guidati da Enrico Ruggeri, la proposero al Festival di Sanremo. Il pezzo, riletto in chiave più moderna (e molto meno beat nel comparto tastieristico), mostra quella ripetitività marziale tipica della musica italiana di fine anni '70, dando sempre comunque rilievo alla vocalità della brava cantante e a un brano che vede una brusca accelerazione nel finale. Con "Destino" si torna a esplorare territori oscuri di punk sperimentale: buona la ritmica (ma tenete presente che la produzione Lo-Fi ne penalizza notevolmente l'acustica) che esalta costantemente la pulsione del basso, a discapito delle chitarre; eccellente ancora una volta la prova vocale, che sembra tenere a galla le velleità artistico-sperimentali degli O.N.O.B. "Anima Sbagliata" è un mattone di oltre 10 minuti che ci trascina in ambientazioni da film horror, che per certi versi mi hanno evocato alcune cose proprio di quei Thee Maldoror Kollective che avevamo citato inizialmente e del loro ultimo 'Knownothingism', complice la voce irrazionalmente espressiva della frontwoman, che ci accompagna fino a un certo punto, prima di abbandonarci in sonorità lisergico-catartiche davvero ispirate, che sfoceranno addirittura in un assolo dalle tinte psych rock. Il disco ha ancora modo di offrirci altre piccole chicche: dal noise rock di "Agli Occhi degli Uomini" alla più sghemba "Ombre", che chiuderà il disco, passando attraverso la seconda cover del disco, la più normale e rockeggiante "Diversa", a firma The Underground Frogs. Un disco quello degli O.N.O.B., in grado di esaltare la filosofia del DIY e farci potenzialmente ampliare nuovi confini della nostra mente. (Francesco Scarci)

domenica 29 settembre 2024

The Pit Tips

Francesco Scarci

Agrypnie - Erg
Weather Systems - Ocean Without a Shore
Wintersun - Time II

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Alain González Artola

Forelunar- Hwaa
Hour of Penance - Devotion
Paradise in Flames - Blindness

giovedì 26 settembre 2024

Horthodox & Haiku Funeral – Serpentine Sorcery

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Quando due band del calibro dei francesi Haiku Funeral e dei russi Horthodox, uniscono le forze per dare alla luce un nuovo album insieme, il risultato non può che destare sorpresa e curiosità. Fondamentalmente, la musica espressa in questo album collaborativo è molto difficile da incanalare in un filone unico, anche se a grandi linee, potremmo identificarla come dark ambient drone, dalle tinte fosche e oscure. Se poi il concetto di base è dare un ambiente sonoro a testi di antiche canzoni bulgare, trovati in un libro del 1896, sul tema della stregoneria, serpenti, vampiri e ninfee dei boschi, come la Samodiva, tipica creatura fatata dei monti Balcani, il tutto prende un significato più ampio e interessante. In effetti, il disco si presenta a capitoli, con lunghe suite di synth, che oscillano tra gli 8 e i 12 minuti, tra tappeti di noise ambient, sibili e sussurri perennemente distorti, neri come la pece, con una voce narrante che gravita a metà strada tra un Sauron irato e uno stregone demoniaco che espone il proprio sermone diabolico. L'ago della bilancia viene spostato dall'ottima performance del sax di Alexander Timofeev, che in controtendenza all'intero sound di base, convoglia le atmosfere verso lidi più noir jazz, attenuandone la pesantezza e irrobustendo la complessità della proposta, rendendola più fluttuante e piacevole all'ascolto, tenuto conto che le due entità sonore sono note soprattutto per le loro opere ostiche e pietrificanti. A tutti gli effetti, l'ascolto di 'Serpentine Sorcery' potrebbe essere paragonabile a sfogliare un libro, dove il sound oscuro sostituisce il bianco delle pagine e il testo è inciso dal lamento gutturale della voce narrante. La deriva che scaturisce dalla nostra mente da queste letture, vengono poi trasportate dalle divagazioni del sax, che per assurdo, ha reminiscenze così impregnate di jazz sperimentale (ascoltate "The Mother and the Whore Bride"), che riesce in molti tratti, a far distrarre l'ascoltatore, fino a fargli dimenticare la tipologia di musica che sta ascoltando. Il ritmo è assuefatto al rumore: si mette leggermente in luce, tra disturbi distorti e interferenze, nella rumorosa title track con un'evoluzione noise devastante. Altrettanto, in bella ma pacata mostra, il ritmo si palesa anche su "The Hate Venom", mentre in "Vampyric Mantra" è per lo più usato come metronomo dal suono profondo. Alla stregua di un Necronomicon in mano a un ignaro primo lettore, l'ascolto di questo disco potrebbe arrecare parecchi fastidi e tormenti agli ascoltatori poco assidui a questo genere musicale. Al contrario, potrebbe configurarsi come uno scrigno nero incantato, tutto da scoprire. (Bob Stoner)
 
(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 70
 

Mind Snare - Hegemony

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Torino, città che fu teatro del definitivo crollo psichico di Friedrich Nietzsche, è il luogo di provenienza dei Mind Snare, band attiva sin dal 1989 (con il moniker Satan’s Slaughter/ndr) e ben conosciuta nel panorama death underground. 'Hegemony' è stato il loro EP di debutto, un mini cd di sei canzoni (più i live di "Monarch of Prayers" e "The Ancients Awakening" nella versione della Psychic Scream Entertainment/ndr), ben registrato, potente, e di sicuro impatto. Nella bio, i Mind Snare indicano fra i propri gruppi di riferimento Immolation e Morbid Angel; e il riffing di Chris Benso risente, effettivamente, dell'influenza di Trey Azagthoth. Trey, del resto, è stata un'autorità in ambito death metal, difficile dunque non rendergli omaggio. Quel che maggiormente colpisce, dei brani di questo mcd, è la coesione strutturale. Non c'è traccia di pressapochismo nel songwriting, ogni elemento è perfettamente calibrato. Ciò è dovuto alla perizia compositiva degli autori, che hanno saputo confezionare brani dotati di un'identità autonoma, adeguatamente variegati e articolati al proprio interno (vi segnalo, in particolare "To Jesus" e "The Ancients Awakening"). Il risultato finale è un death metal di prima qualità, che tiene desta dall'inizio alla fine l'attenzione dell'ascoltatore, senza mai annoiare.

(Psychic Scream Entertainment - 1999)
Voto: 73

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