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domenica 17 settembre 2023

Palmer Generator - Ventre

#PER CHI AMA: Instrumental Psych/Math Rock
È il terzo lavoro dei Palmer Generator che mi appresto a recensire. Dopo lo split con i The Great Saunities e l'album 'Natura', eccomi qui a parlarvi oggi di 'Ventre', quinta fatica della famiglia PG (vi ricordo infatti che i membri della band marchigiana sono padre, figlio e zio). Ancora quattro i pezzi che compongono questo disco (come fu per 'Natura') per una durata complessiva di 39 minuti, quindi pronti per delle mezze maratone musicali? È un inizio comunque lento ma progressivo quello del trio di Jesi, con le melodie di "Ventre I", un pezzo di quattro minuti e pochi spiccioli, di sonorità ipnotico-strumentali, che ammiccano a destra e a manca, a tutte quelle che rappresentano palesemente le influenze musicali dei nostri, dal psych-math rock, al noise e il post rock. Non manca quindi niente per chi è avezzo a questo genere di suoni, che in questo caso, si confermano comunque tortuosi e un po' ostici da digerire nelle loro oscure dilatazioni spazio-temporali. Se il primo brano ha una durata "umana", già con "Ventre II" ci dobbiamo preparare a 10 minuti di sonorità più psichedeliche: l'apertura è affidata ad un semplice ma disturbante giro di chitarra che per oltre 120 secondi riesce nell'intento di intorpidire le nostre fragili menti. Poi parte un riffing circolare, dal mood un po' introverso, che continuerà un'opera di rincoglionimento totale per dei cervelli già comunque in panne. Lo dicevo anche ai tempi di 'Natura' che i suoi suoni ridondanti ci trascinavano in un vortice sonico da cui era difficile uscirne integri mentalmente, non posso far altro che confermarlo anche in questo nuovo disco, che trova comunque modo di stemperare i suoi loop infernali con porzioni sonore più oniriche, come quelle che aprono "Ventre III", una montagna da 15 minuti da scalare, riempita in realtà nei suoi primi cinque giri di orologio, da una blandissima spizzata strumentale che va tuttavia lentamente crescendo, irrobustendosi, e al contempo dilatandosi e diluendosi in strali psichedelico-siderali (mi sembra addirittura di udire una sorta di vento galattico dal decimo minuto in poi) che si dissolveranno in suoni dronico/ambientali nei suoi ultimi tre minuti. In chiusura, i nove minuti di "Ventre IV" che gioca su una robusta altalena sonica di "primusiana" memoria, tra giochi in chiaroscuro di basso, chitarra e batteria che approderanno ad un flebile e compassato atmosferico finale. Bella conferma, senza ombra di dubbio. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fuctory - 2023)
Voto: 75

https://palmergenerator.bandcamp.com/album/ventre 

sabato 16 settembre 2023

Post Luctum - Covers EP

#PER CHI AMA: Death/Dark/Doom
Non so se siano finite le idee o cosa, ma in questo periodo mi sono capitati già diversi album ricchi di cover. Quello degli americani Post Luctum, lo trovo forse più affascinante, perchè suonare “A Forest” dei The Cure in una versione vicina ai Paradise Lost di ‘Icon’, è tanta roba. D’altro canto, la one-man band statunitense si cimenta nel death doom e quale brano migliore poteva stare in questo ‘Covers EP’, se non uno dei classici dei Cure più oscuri e darkeggianti? Perchè poi non fare meglio e coverizzare proprio un pezzo di Nick Holmes e soci, ossia quella “Joys of the Emptiness”, inclusa in quel meraviglioso ‘Icon’ che, per quanto mi riguarda, rappresenta l’apice della band di Halifax. La riproposizione è perfetta, fedele all’originale, anche a livello vocale. Che spettacolo riascoltare un brano che ha contribuito alla mia crescita di metallaro. Nel frattempo si arriva al termine di questa breve cavalcata di cover che ci porta a “Lucretia, My Reflection” dei Sister of Mercy e a una band che ha permesso a band, i Tiamat giusto per fare un esempio, di diventare grandi. E il cantato sofferente e sussurrato del vocalist, qui non potrà non evocarvi quello di Johan Edlund in ‘A Deeper Kind of Slumber’. Poi il brano dei Sister of Mercy dovreste anche conoscerlo, con quel basso pulsante iniziale, sonorità post punk anni ’80, qui riproposte in una versione più attualizzata, corredata peraltro da growling vocals, in linea con la proposta dei Luctum. Insomma, una decina di minuti per riassaporare vecchi brani del passato. (Francesco Scarci)

Runespell - Shores of Náströnd

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Hailing from Australia, Runespell has forged a quite solid career thanks to a very good collection of five albums, all of them very enjoyable. Which is surprising is that, although this project is quite new, as it was just founded back in 2017, Runespell has had time and inspiration to release almost one album per year. The stability of its line-up, consisting of the same three musicians who created Runespell, has obviously been very helpful. It is also noteworthy to highlight that the three members are also involved in other different projects, which makes clear the level of commitment with the music and the scene that these guys have.

Its previous album, entitled 'Verses in Regicide' caught my attention and it was a release that I personally enjoyed quite a lot. So, I was quite curious to see what Runespell could offer us this time, with its newest opus 'Shores of Náströnd', released again under the Iron Bonehead Records' flag. The Australian project plays a sort of black metal with a strong melodic and atmospheric touch. Their compositions have a quite solemn nature, providing an epic feeling that defines Runespell’s sound. Those characteristics are easily found in this newest album which consists of six pieces that will surely make happy the fans who already know this band. The album opener "Mirrors of the Dead" is a fine example of the band’s strongest points. Here, we will find a tasteful work with the guitars along the whole song, which have plenty of great and catchy melodies. After an introduction where the guitars and drums build an increasing feeling of something epic to come, the composition gains in speed and intensity, where the guitars play the main role, although we can hear some keys in the background which increase the majestic atmosphere of the song. The pace is far from being monotonous as it has its ups and downs in the speed and in the overall intensity of the track. The vocals are the classic black metal shrieks which are quite solid. This is actually a great way to open the album and it is probably my favorite track of the whole album. The first half of "Shores of Náströnd" is undoubtedly the finest one as the first three songs show the most memorable melodies and well-accomplished structures. Both "Elemental Fires" and "Spectres of War" have great melodies, excellent tempo-changes which include slow, mid, and fast sections and the aforementioned solemn touch. It is remarkable the nice use of the acoustic guitars here and there than can be enjoyed in "Spectres of War", which is a resource used again in the later part of the album. The longest and homonymous composition also uses the acoustic guitars, for example, as an introduction to the song. Even tough it is the longest track, it is rhythmically less varied than other songs as it generally has a mid-tempo pace during a great part of its length. The riffing uses this tempo to create a sort of hypnotic feeling to captivate the listener. In any case, the band introduces some variations in the intensity close to the end, which I think, it is a right move that enriches the song and makes it less predictable.

All in all, 'Shores of Náströnd' is another remarkably solid effort by the Australian trio Runespell. It doesn’t reach the level of magnificence to be defined as a stellar album. Nevertheless, its melodic black has some moments of greatness, and in general, a very good level which should satisfy the listener who wants to enjoy some black metal full of great melodies and a majestic touch. (Alain González Artola)

Blasphemous Fire – Beneath the Darkness

#PER CHI AMA: Death/Doom
I portoghesi Summon hanno cambiato la loro denominazione per problemi di omonimia e si presentano oggi con un nuovo nome, un nuovo logo ed un nuovo album che, a mio avviso, merita il massimo rispetto, visto il salto di qualità sfoderato all'interno del disco. Senza togliere ai precedenti lavori della band di Lisbona, il nuovo corso a nome Blasphemous Fire, risulta essere decisamente più claustrofobico e mai come in questo caso il titolo, 'Beneath the Darkness', fu meglio indicato per esporre i belligeranti e oscuri intenti del combo lusitano, verso il pubblico metal più estremo. Il suono è cavernoso e odora di reminiscenze occult doom, al contempo offre un death metal che non si risparmia in sfuriate e cambi di velocità e si avvale di una certa maestria molto vicina alle doti di Mortician, Mortiferum e Ulcerate, nelle loro opere più buie. Usando chitarre affilate come lame di rasoio, i nostri riescono a dipingere tele macabre e lugubri, atmosfere surreali nerissime, servendosi di un drumming potente che colpisce fin dal primo brano, "The Eclipse and Birth". Tutto il corpo sonoro è pulsante, splendidamente naturale, rude e drammatico ed affascinante al tempo stesso, la sua putrida indole è un'anima che caratterizza l'intero album. Un disco, carico di malsana atmosfera, che sviscera istinti animaleschi e oscuri, (come poteva essere nel suo genere 'Casus Luciferi' dei Watain), un sound grave, perfettamente interpretato da una performance vocale eccellente, gutturale e realisticamente sinistra. Le chitarre sono magistralmente suonate in una forma sonica che dona un'atmosfera plumbea ed omogenea, ed è sufficiente ascoltare l'inizio di "The Pale Colours", con le sue sei corde elettriche urlanti in sottofondo, per capire come la band abbia le carte in regola per ritagliarsi un posto ben in vista nel panorama della musica estrema che conta. La claustrofobia ed un sound pesantissimo e altamente percussivo, donano all'opera un'identità assai originale e ricercata dove ci si può perdere in un viaggio nell'oscurità più profonda. Nessuna lacuna frena il procedere del disco, che trova in "Allowed Wishes", un'ottima cadenza doom, intervallata da elaborate evoluzioni compositive, e cambi di tempo che mi ricordano il mitico album 'As Heaven Turns to Ash' dei Warhorse, anche se, per i Blasphemous Fire, la scelta stilistica è meno sludge e più heavy, pregna di un'aura devastatrice primordiale. Il corso del disco è scritto nel suo titolo (anche l'artwork di copertina è molto bello) e fin dal brano iniziale, si percepisce che si è di fronte ad un'opera nera, che offre un ascolto al di sopra della media, per intensità, cura e dinamica dei brani, il cui suono, con mio immenso piacere, risulta ricercato, reale e caldo, in grado di mantenere un'attitudine infernale inalterata e costante per tutta la durata del disco, mostrandosi così lontanissimo da certe scelte sonore più mainstream che si possono trovare in lavori anche più celebri e blasonati. Devo dare grande merito a questa band, che con un sound che premia la qualità ma che non si slega dalla sua appartenenza all'underground più profondo, ha forgiato con la giusta alchimia un album intenso, potente, elaborato e cupo come pochi altri, di cui è assolutamente consigliato l'ascolto. (Bob Stoner)

Anomaly - On the Cursed Wings of Stolas

#PER CHI AMA: Melo Death
Un po’ di aria fresca dagli States in compagnia degli Anomaly e del loro death progressivo parecchio ispirato. Il quintetto di Milwaukee ci propone il loro nuovo ‘On the Cursed Wings of Stolas’ a distanza di poco meno di un anno da quel ‘Somewhere Within the Pines’ che ben aveva impressionato la critica. Il dischetto si apre con i fraseggi della title track, tiratissima nella sua intelaiatura metallica, interessante nella sua porzione melodica e soprattutto nelle parti atmosferiche che interrompono quelle cavalcate sparate ai mille all’ora da parte del quintetto del Wisconsin. Accattivante anche l’uso di una voce cibernetica che fa da contraltare al growling del frontman Neil Tidquist, cosi come pure notevole è la performance a livello solistico, che per certi versi mi ha evocato gli svedesi Scar Symmetry cosi come pure l’utilizzo dell’elettronica che conferisce un certo senso cinematico alla song. Più rocciosa “Beyond the Kardashev Scale” nelle dinamitarde ritmiche e in un refrain chitarristico ubriacante grondante tonnellate di groove, anche laddove rallenta i giri del motore per alcuni secondi. Tutto infatti è lanciato a velocità supersoniche senza comunque mai perdere di vista la melodia, elemento imprescindibile dell’act nord americano, quasi quanto il lavoro eccelso a livello delle chitarre, in grado di regalarci spesso splendidi assoli interrotti da break atmosferici. “Architect” mantiene il ritmo infernale inalterato, sciorinando un rifferama graffiante ma melodico, cercando di ipnotizzarci al contempo, con il lavoro alle keys e fustigandoci con un drumming incessante e fantasioso, in grado di confermare le ottime sensazioni avute sin qui, durante l’ascolto di questo brillante lavoro di melo death. (Francesco Scarci)

domenica 10 settembre 2023

Putrid Flesh - Intox By Human

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Death metal, questo sarebbero i Putrid Flesh. Nulla di più, se non fosse per un background musicale che pesca a piene mani da altri svariati filoni della musica estrema. Incursioni nel black e in strani territori dalle sonorità insane. Ascoltando questo demo del 1999 ho più volte avuto un' impressione di "indefinito", non so spiegare cosa ho provato esattamente, ma credo sia qualcosa di simile alla paura. Paura di quello che questo demo riserva con lo scorrere inesorabile del nastro sulla testina del mio stereo. La qualità delle registrazioni sembra buona, ma il nastro in mio possesso sembra essere danneggiato (il volume sale e scende), quindi non posso giurarci. Molto hanno sperimentato in questo demo, riuscendo a creare qualcosa di veramente nuovo. Se vi piace il suono della "Carne putrida" vi consiglio di ascoltarli. Io continuo a farlo, ma non riesco a trovare la soluzione per capire, e la paura aumenta.

Myrdød - Consciousness 6​.​337​.​9664

#PER CHI AMA: Black/Death/Grind
I Myrdød non li conoscevo, nonostante abbiano sul groppone già tre Lp e sei EP, incluso questo ‘Consciousness 6​.​337​.​9664’. Un lavoro, quello della band di Bethlehem – Pennsylvania, che sprigiona tutta la maligna forza black death del duo formato da Søppelskaler e Fractal Creature. Si parte con l’atmosferica intro per poi lasciarsi travolgere dalla furia dirompente di un sound che sembra ammiccare in primis ai Morbid Angel, in una versione più destrutturata e schizoide, con tanto di vocals che si muovono tra lo screaming, il growling e il pig squeal. Le ritmiche sono serratissime, dall’urticante “Invisi-Tomb” fino alla più grind/sperimentale “Flesh Shelter” (il cambio di tempo nel finale è ai limite del delirio), passando per la più controllata (vi prego, passatemi il termine) “Force of Ungloth”, in una sequenza ubriacante di ritmiche sparate in your face e cesellate da un lavoro alla chitarra solista (e un basso in sottofondo che macina km e km a braccetto con una batteria al limite del disumano) che aprono ad ampi margini di crescita per il duo statunitense. Mi preme come sempre sottolineare che non abbiamo nulla di originale in mano ma, se vi piacciono sonorità in linea con Morbid Angel, Anaal Nathrakh, Cattle Decapitation e compagnia bella, beh una chance a questi pazzi scalmanati, la darei anche. (Francesco Scarci)

(Shadow Speculum Productions – 2023)
Voto: 66

https://myrdod.bandcamp.com/album/consciousness-63379664

sabato 9 settembre 2023

Immorior - Traitor of the Light

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Bisogna sormontare ogni confine dell'umana costruzione, bisogna lasciar vagare i propri pensieri, schiudere l'anima, divincolare il proprio animo per poter ascoltare gli Immorior (da non confondere con gli omologhi tedeschi/ndr), che ci propongono delle atmosfere spettrali e spirituali allo stesso tempo. Sia ben chiaro, la spiritualità che aleggia nell'opera della band nostrana originaria di Modena, non è quella della ricerca cosmica del Karma, ma è una spiritualità soffocante e oscura, liberatoria solo per chi sente realmente il proprio spirito dannatamente oscuro. Nell'opera si alternano pianoforti sofferenti a chitarre classicheggianti, per dar vita ad un'opera black metal davvero unica nel suo genere (peccato solo che la storia dei nostri si sia chiusa qui/ndr).

Ævangelist - Palaces in the Æther

#PER CHI AMA: Black/Death
Con gli Ævangelist faccio sempre un gran casino nel capire se stiamo parlando della band finlandese o di quella americana, poi fatalità decidono puntualmente di far uscire i loro album in modo concomitante. Speriamo risolvano al più presto le loro beghe legali e si riesca ad avere un’unica band. Quella di oggi è comunque la formazione di Tampere, quella guidata dal buon Matron Thorn (Benighted in Sodom, ex Bethlehem e Leviathan), che propone un nuovo EP, ‘Palaces in the Æther’, dopo essere uscita non più di due mesi fa con ‘X​α​ρ​ί​σ​μ​α​τ​α’. E il tetro, caotico e scomposto sound dell’ensemble nordico torna a colpire in quest’unica traccia, che apre con quella che pare essere la voce di una sirena pronta a voler ammaliare l’ascoltatore incauto, prima di gettargli addosso quel magma sonoro che in tutte le sue forme, caratterizza da sempre il moniker Ævangelist. E quindi, largo al caos sonoro, un viaggio diretto nel centro delle viscere della Terra dove affrontare bestie demoniache (le vocals di Matron Thorn sono assimilabili a quelle di una mostro infernale) immersi in un maligno calderone infuocato dove trova forma il black spaventoso, obliquo, mefitico, terrificante, e allo stesso tempo cosi affascinante di questa band. Quel senso di totale frastornamento che provo quando ascolto una release di questi pazzi scatenati lo potrei provare solamente quando con l’altra loro versione americana, anche se, in tutta franchezza, devo ammettere di apprezzare maggiormente questi Ævangelist, cosi psicotici, nichilisti e alienanti. (Francesco Scarci)

Ibridoma - Norimberga 2.0

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash
Ci arriva con oltre un anno di ritardo l'ultimo lavoro dei marchigiani Ibridoma, intitolato 'Norimberga 2.0'. Un lavoro, il sesto per la band, che mantiene inalterate le caratteristiche di base del combo italico, ossia un heavy metal bello tosto, cantato prettamente in inglese ma con qualche eccezione in italiano (ad esempio nella palesemente influenzata dai Megadeth - era 'Countdown to Extinction' - "Ti ho visto andare via"). Il full length si muove lungo dieci pezzi che dall'iniziale e già citata "Ti ho visto andare via", giunge alla conclusiva "Eyes of the Stranger", in quasi 40 minuti di sonorità che confermano quanto i nostri siano a tratti solidi e rocciosi nella loro proposta, genuini e forse per questo ancora un po' troppo poco maliziosi, nonostante 20 e passa anni di carriera. Con questo voglio dire che sebbene ci siano sonorità interessanti, belle linee di chitarra o taglienti assoli, buone melodie (e penso a pezzi come "Woman From the Stars", la massiccia title track, con tanto di voci growl, o ancora alla carica di groove "House of Cards"), trovo ci siano cose che suonano troppo obsolete in un contesto musicale che è in costante e rapidissima evoluzione. Le vocals del buon Christian Bartolacci ad esempio, fatico a digerirle, troppo ancorate ad un passato italico che vedeva la figura dei vocalist sempre deficitaria e qui, in tutta franchezza, la voce acuta del frontman sembra essere ancora l'elemento penalizzante per i nostri. Non me ne voglia la band, forse non sarò avezzo al loro sound, ma senza il cantato di Christian e con un qualcosa più personale e di impatto a livello musicale, li avrei ascoltati molto più volentieri. Poi c'è il problema di quei brani più mollicci, leggasi "Coming Home", "Where Are You Tonight" o la conclusiva "Eyes of the Stranger", che proprio mi portano a sbadigliare dall'inizio alla fine, fatto salvo per eventuali bridge e assoli di chitarra. Poi il quartetto si riprende lo smalto migliore con una più arrembante "Into this Sea" che mi evoca spettri di Annihilator, Pantera e ancora Megadeth, soprattutto in alcuni episodici utilizzi della voce. Risultato godibile per carità, ma avrei gradito qualcosa di più ricercato, sfrontato direi e accattivante altrimenti, esaurito un paio di ascolti, il cd rischia di finire nel dimenticatoio dove conservo altre tonnelate di dischi. Ci pensa tuttavia l'ottima ritmica di "Pandemia" a restituire quel filo di positività che mancava al lavoro, anche se le corde vocali del cantante, meriterebbero qui una revisione. Il disco alla fine non è malvagio, soprattutto a livello tecnico-compositivo. Certo, necessiterebbe di una serie di aggiustamenti a molteplici livelli, ma sono certo che i fan degli Ibridoma, che nel frattempo l'album, in questo anno abbondante, devono averlo ascoltato e consumato, non se ne lamenteranno. Quelli che invece si avvicinano alla band per la prima volta ecco, se non hanno un background profondo come quello del sottoscritto, beh un ascolto potrebbero anche darlo. Chi vive invece di pane e metal sin dagli anni '80 (e parlo ancora del qui presente), di lavori del genere ne ha ascoltati a bizzeffe e preferisce ancora oggi i più datati originali. (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records - 2022)
Voto: 64

https://ibridoma.bandcamp.com/album/norimberga-20

Alma Irata - Pillole di Inquietudine Sociale

#PER CHI AMA: Punk/Post Hardcore
Nuovo capitolo per la band capitolina che si riappropria di una certa verve street punk e un sound diretto e d'impatto. Pochi fronzoli e canzoni ben strutturate correlate a testi intensi, legati a tematiche sociali di vita quotidiana, condivisibili per i più e irritanti al punto giusto per creare un contrasto emotivo nei riguardi di una società oramai senza più regole. Quindi, tra politica, religione e morale ci si imbatte in un rock pesante dai contorni orecchiabili, con riff importanti e una buona presenza di chitarre. Basti ascoltare "Ogni Santo Giorno", per farsi un'idea della proposta sonora del combo romano. Poche novità e sperimentazioni permettono alla band di dare vita ad un buon album compatto e dinamico che ben s'inserisce in un contesto italico con poche speranze, divenendone eccezione. Le strutture compositive, molto care alla cultura sonora degli anni '90, caratterizzano 'Pillole di Inquietudine Sociale' per stile e sonorità. Abbandonate le fragili velleità metal ed il canto in lingua d'albione di 'Deliverance', gli Alma Irata si distinguono, come detto, per un lessico musicale diretto e carico di risentimenti vicini al pensiero popolare, con ottimi risultati, dove concettualmente ci si può rispecchiare facilmente, sebbene alcuni temi risultino molto complessi per essere trattati nello spazio di una canzone. Musicalmente, si strizza spesso l'occhio a un certo sound di casa The Alchemy, per poi prendere la forza del metal e l'urgenza del punk, per un giusto equilibrio, con la lingua tricolore a rendere il prodotto più curato e accessibile. Questo non guasta all'intero disco, che si fa ascoltare piacevolmente, e si fa notare per una certa tensione nei testi pessimisti esposti dalla bella voce di Daniele Longo, che risulta a tutti gli effetti l'anima e il megafono del gruppo romano. Parlavamo di un certo gusto stilistico retrò anni '90 che in "Democricratico" o nella successiva "Spettri", si fa sentire molto, in una composizione che potrebbe rientrare nei parametri strutturali dei mai dimenticati Therapy? d'annata. Il canto è spinto, urlato in faccia in uno stile più melodico ma meno cantautoriale e teatrale mostrato dal Teatro degli Orrori, però altrettanto efficace e dal tono sempre polemico, riflessivo e urticante. Uscito per Overdub Recordings, il disco è sinonimo di un buon segnale nel panorama deficitario italiano, una musica che raccoglie vari testimoni e rilegge in un'ottica propria le caratteristiche di ottime realtà alternative ed intelligenti italiche, intriso di cultura antagonista e battagliera da centro sociale di un'era sonora che purtroppo è quasi sparita, dai Congegno ai Sottopressione, ai Rebelde, ai perugini Azione Diretta. Un buon disco per l'ascoltatore che vuole combattere il sistema consumistico, fatto da una band che sente ancora l'esigenza di dover scrivere musica per comunicare il disagio sociale. (Bob Stoner)

lunedì 4 settembre 2023

Mahira - Under Cover Of Darkness

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Doom
Questo demo non è male però non mi convince del tutto. Diciamo che si tratta di una sorta di black melodico (però non alla svedese) che a tratti sfocia in un black doom, volendo anche suggestivo. Sono perplesso perché a soluzioni interessanti ed a riffs efficaci, si accostano momenti banalotti e poco convincenti. Un buon pezzo è il quarto “Marte War’s King”, ed anche la successiva ed ultima title-track presenta giri validi e bastardi, nonché velocità più sostenute. Lasciamo, quindi, a questo punto il quartetto siculo che in futuro potrebbe sfoderare del materiale interessante e che parte comunque dal punto a favore meritato per aver evitato di scopiazzare idee altrui.

Baphomet’s Cunt - 2023 - 616 Pleasures

#PER CHI AMA: Gothic Black
Con una bella e sobria copertina (a cui aggiungerei anche dei titoli del cazzo), andiamo ad ascoltare il nuovo parto degli inglesi Baphomet’s Cunt, presagendo che quello che sentirò probabilmente non mi piacerà. Invece attenzione, perchè il detto “l’abito non fa il Monaco” potrebbe valere per la release di quest’oggi. Infatti la proposta del folle The Baphomet General (che abbiamo già incontrato in Ebonillumini e The Meads of Asphodel) è un black metal fresco e genuin che potrebbe conquistare gli amanti di sonorità vampiresche alla Cradle of Filth. Certo un pezzo intitolato “Lord of Flatulence” perde di credibilità già in partenza, eppure le sue melodie, coniugate con una certa ricerca nei cambi di tempo, di atmosfere, e combinando il tutto con l’heavy o addirittura la musica classica, beh trova, in tutta sincerità, il mio più grande appoggio. Mai avrei pensato che le cose potessero andare in questa direzione dopo aver guardato la cover dell’album eppure il primo pezzo (con peto finale annesso) mi ha conquistato. E le atmosfere iniziale di “You Have to Be Cruel to Be Crueller” (titolo alquanto spassoso) proseguono nell'opera di addescamento da parte della one-man band britannica nei confronti del sottoscritto. Con sonorità che ammiccano all’EBM, all’industrial, al black e al gothic, e voci che si muovono tra il growl e il pulito (scuola Fields of the Nephilim), mi ritrovo completamente affascinato dalla proposta del polistrumentista inglese. In “Carry on up the Baphomet” è più evidente l’influenza di Dany Filth e soci almeno a livello ritmico, in realtà poi ci sono molti altri elementi che allontanano la proposta tra le due band, in primis l’ironia dei Baphomet’s Cunt, visto che i riferimenti sessuali nelle liriche potrebbero essere anzi un elemento di comunione. Comunque la band inglese mi piace, anche nella cover dei Soft Cell (synth pop band britannica degli anni ’80) “Sex Dwarf” che regala l’ultima emozione di questo inatteso ‘2023 - 616 Pleasures’ che la band vende peraltro in cd sulla propria pagina bandcamp a 2.99 sterle. E allora, che fate ancora qui, affrettatevi. (Francesco Scarci)

Embodied Torment - Archaic Bloodshed

#PER CHI AMA: Brutal Death
Voglia di un frullato di budelle? Non temete, ve lo servono gli Embodied Torment, quartetto di Sacramento che in questa strana estate, non aveva di meglio da fare che preparare un estratto di violenza e brutalità. Si, perchè ‘Archaic Bloodshed’ sarà in grado di triturarvi le ossa e trapanarvi il cervello con quel suo concentrato di brutal death marcescente che sarà inoculato nelle vostre orecchie. Slam brutal death deflagrato nei vostri culi, con una voglia malsana di farci del male fisico oltrechè mentale, anche laddove in “Deconsecration of the Monolith”, i quattro gringos abbandonano le ritmiche al fulmicotone per aprirsi ad un arpeggio inconsueto per una band dedita a queste sonorità. E qui scatta il mezzo punto in più perchè dopo che i quattro californiani mi hanno stritolato le palle nella loro morsa mortale, si confermano anche bravi nell'infilarmi la carotina (sempre là dove non batte il sole) per mettermi più tranquillo. E “Grasping Salvation” continua la sua opera di annichilimento totale tra suoni cacofonici, versi animaleschi, riffoni death, schegge grind, putrescenti atmosfere, splendidi e ubriacanti solo, iperbolici blast-beat ed una tecnica mirabolante che non può che lasciarvi a bocca aperta e pure senza fiato. La devastazione trova il suo compimento finale in “Tongue of Iron”, in una distesa ritmica senza freni che stupisce solo per un’improvvisa frenata di mezzo secondo, per poi ripartire di nuovo di slancio in una vorticosa sarabanda di chitarre che rallenterà a metà brano, quando ormai è troppo tardi ed ogni singolo neurone del nostro cervello, è ormai completamente disintegrato. (Francesco Scarci)

giovedì 31 agosto 2023

Innumerable Forms - The Fall Down

#PER CHI AMA: Death/Doom
Da Boston – Massachusetts fanno ritorno, dopo nemmeno un anno dall’ultimo ‘Philosophical Collapse’, i death doomsters Innumerable Forms, con tre brani dalle tinte assai fosche. Il quintetto statunitense rilascia questo ‘The Fall Down’, un dischetto denso di contenuti, che si muovono dal classico rifferama stile primi My Dying Bride a bordate death metal di scuola americana (Autopsy per intenderci). Questo almeno quanto ci racconta la prima traccia dell’EP, “Impenetrable”, una song che non aggiunge grandi novità a quanto già detto in passato dal quintetto. Anche la title track si muove su coordinate simili, sebbene la band dia qui meno spazio al lato più aggressivo della propria proposta, preferendo piuttosto addentrarsi nei meandri di un suono più funeral, ove a primeggiare saranno le vocals cavernose del frontman Justin DeTore e il riffing possente del duo d’asce formato da Jensen Ward e Chris Ulsh. Come detto, ampio spazio è concesso ai suoni claustrofobici, ma nel finale, i nostri ci deliziano con furenti cinghiate sulla schiena, ammorbidite solo da una melodica linea solistica che rende il tutto decisamente più palatabile. L’ultimo brano è “Satori Part 3” (non ho però trovato le precedenti due parti nella discografia della band), una breve e assai ritmata song strumentale di doom, scuola Candlemass che funge da outro a questo piccolo regalino che consiglierei ai soli fan degli Innumerable Forms. (Francesco Scarci)

Altarage - Cataract

#PER CHI AMA: Death/Doom
È tempo di tempeste nere come la pece, è tempo di ire funeste e giorni oscuri. Per questo ci piove sulla testa il nuovo EP (un vinile 12”) dei baschi Altarage, ‘Cataract’, apripista del full length ‘Worst Case Scenario’ in uscita a settembre. Il sound della band di Bilbao la conoscono un po’ tutti, ossia un muro di riff dissonanti e caotici in grado di inglobarci in una sorta di gorgo infernale, spezzato da ipnotici rallentamenti claustrofobici (“Cataract”), da cui ripartire più violenti e incazzati che mai con “Sacrificial Annihilation”. La pesantezza e l’obliquità delle ritmiche, unite alle solite laceranti vocals, rendono la proposta dei nostri musicisti disturbanti sempre assai ostica da digerire. Ma se siete fan dei Morbid Angel o di altri pazzi scalmanati come Portal o Aevangelist, non avrete certo grossi problemi ad affrontare il delirio sonoro imperante in questo entropico dischetto che vede in chiusura, la presenza di quella che sarà la title track del prossimo disco, “Worst Case Scenario” appunto, un brano di ben sette minuti di inopportuni suoni (un riff e una flebile batteria) ripetuti in un loop infinito. Speriamo bene. (Francesco Scarci)

(Doomentia Records – 2023)
Voto: S.V.

https://altarage.bandcamp.com/album/cataract-ep

Gråande - S/t

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Coming from Sweden, Gråande is a new project recently created by two musicians, Nichil and Nachtzeit. The later one needs no presentation as he is the creator and only member of the well-stablished and respected project Lustre, among many other projects, all of them the quite enjoyable. Backed by the label Nordvis Produktion, the project has released a self-titled debut EP, consisting of only two tracks, but making it clear that Gråande has a quite interesting potential.

The EP 'Gråande' unsurprisingly confirms that the new project is firmly rooted in the black metal genre and, more precisely, in the niche of atmospheric black metal, as it happens with Lustre. However, contrary to his most famous project, Nachtzeit and his colleague Nichil, have forged two tracks with a slightly less trance inducing touch than what we can see in Lustre. The guitars, the rhythmic base and the vocals sound more powerful and powerfully rhythmic, and the music is definitively more intense here. But don’t get me wrong, the similarities are there and both projects don’t differ that much. The hypnotic keys are definitively present, and the general ambience also has its trance inducing touch, but with Gråande, the music definitively sounds a bit heavier. The second and shorter track, "Evighetens Kvarn", is the clearest example with its faster drums, quite unusual in Lustre, its cold-biting riffs and Nichil’s excellent shrieks, that sound quite powerful and desperate. The track is definitively a fine example of a crossover between atmospheric black metal and DSBM. The EP opener "Sjöar Ovan" sounds closer to what we have heard in Lustre or the always present influence of Burzum. This influence is stronger in two thirds of the song, where the evocative keys along with the mid-tempo guitars and the drums represent the trademark of the aforementioned projects. Nevertheless, as it happens in the second song, and as a characteristic aspect of this project, we can enjoy more energetic sections, where the drums have a more vivid pace and the guitars sound quite raspy, creating an excellent song of pure atmospheric black metal. In both tracks, shine the powerful vocals of Nichil, which is definitively a successful inclusion in Gråande.

This self-titled debut EP is without any doubt, a very solid beginning for Gråande, it brings the classic influences of Nachtzeit, but with a refreshing touch and, more important, a quality work in the creation of both tracks. Personally, I can’t wait to listen to a full-length of this project, as I am quite sure that many fans of the genre will rejoice. (Alain González Artola)


(Nordvis Produktion - 2023)
Score: 80

https://lustre.bandcamp.com/album/gr-ande

mercoledì 30 agosto 2023

In the Ponds - Fever Canyon

#PER CHI AMA: Heavy Blues
Rilassiamoci un attimo con il sound dei californiani In the Ponds che, in questo ‘Fever Canyon’, sembrano voler divertirsi con una jam session all’insegna dell’heavy blues, sporcato da partiture ambient e venature western. Questo almeno quanto ci racconta la chitarra che apre “The Lost City” e sembra catapultarci in un mezzogiorno di fuoco di un qualunque film western anni ’70. La chitarra ulula che è un piacere, un po’ come se fosse il lupo di una qualche tribù indiana che guardando la Luna, volge il muso verso il cielo rilasciando il suo inconfondibile verso. Non troverete altri strumenti qui, se non l’intrigante ricamo di David Perez alla sei corde, supportato dai tocchi di basso di Jennifer Gigantino. “Windmill Blades” e “Making Time” si muovono sulla medesima falsariga, offrendo quindi lo stage alla chitarra e ai suoi giochi in chiaroscuro, una sorta di strimpellare al bagliore di un fuoco acceso in mezzo alla foresta, ammirando il pallore della Luna e assaporando l’aria fresca dei boschi del mid-west. (Francesco Scarci)

martedì 29 agosto 2023

Drastisch - Thieves Of Kisses

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Avantgarde
Questo è stato l’esordio discografico della one man band di Chris Buchman, in quest'occasione accompagnato alla voce da Chiara Donaggio e Alessia De Boni. Nonostante sia passato un po’ di tempo dell’uscita di questo disco, ci teniamo a riesumare questo lavoro. Chris viene sicuramente dal metal poiché la struttura compositiva alla base dei suoi pezzi è prevalentemente influenzata dal black di scuola inglese (come è facile intuire ascoltando "…By Untrodden Paths"), dal metal più classico e dal gothic. In realtà, queste influenze sono solo la base del suono dei Drastisch che, partendo appunto da tali coordinate, si muove verso figure musicali che cambiano tempo, atmosfere e anche generi musicali. I brani migliori mi sembrano quelli in cui la vena progressiva/avanguardistica viene sfruttata più di frequente e in modo più variegato: mi riferisco a brani come "Stream Of Unconsciousness" o "Unearthly", in cui compaiono anche suoni techno/elettronici. La strumentale "Idle Worlds" è un buon brano atmosferico di tastiera che ricorda la scuola tedesca di Klaus Schulz. Anche "Voyage Dans La Lune" è un buon pezzo di puro techno metal. Per quanto riguarda l’aspetto vocale, devo dire che le growls e le parti recitate di Chris non sono così particolari da dover essere esaltate, e delle due cantanti, ce n’è una che a volte è un po’ sgraziata e non è propriamente all’altezza di quello che vorrebbe fare. Non sono in possesso dei testi dei brani ma dalla bio leggo che si tratta di “un viaggio attraverso i nostri più profondi sentimenti e le emozioni più forti, volando sulle incantate ali dell’arte…”. Personalmente questo concept non mi ha colpito poi molto e, per quanto riguarda la musica, penso che per migliorare, Chris avrebbe dovuto focalizzare i propri sforzi in modo che i suoi brani fossero nettamente più progressivi o avanguardistici e non rappresentino solo alcuni buoni spunti da contorno a del metal di medio livello.

(Beyond Productions - 1998)
Voto: 67
 

Judith Parts - Meadowsweet

#PER CHI AMA: Ambient/Dreamwave
L'elemento base qui è il trip hop, in una forma ulteriormente rarefatta, liquefatta in profondi echi sconfinati, governati da una calda voce e da un radicato concetto di musica sospesa che condiziona tutta l'opera. È il caso del brano d'apertura che regala il titolo a questo nuovo album, 'Meadowsweet', delicata ma cupa, soave ma decisamente destabilizzante, in un contesto di sensibile estraneazione dalla realtà. Ed è in questo mondo surreale che Judith Parts, violinista, cantante, music producer e sound designer estone, con base operativa in Danimarca, libera ed elabora le sue visioni musicali. Tra musica eterea ed elettronica minimale e futurista, drone music e tappeti cosmici, Judith ha imparato bene la lezione di certo morbido acid jazz evanescente e i vari segreti del trip hop, raffreddando e smembrando gli acuti ritmici dei Portishead, utilizzandone la veste canora, adattandola alle sue tele musicali, utilizzandone i metodi e raffinandone un sound personale anche se non nuovo, che si impreziosisce di piccole venature rubate alla musica classica. E ancora, atmosfere al rallentatore, come quasi a tessere una trama che funge da colonna sonora di un film astratto e dai colori tenui, al contempo abbaglianti, ipnotici ed emotivamente pericolosi ("November"). La veste soundtrack rincorre spesso e volentieri tra i brani di questo secondo lavoro dell'artista baltica, ma è con la sua tonalità eterea da musa irraggiungibile, che unita ad una diffusa tensione emotiva, che si toccano le vette più alte, ed il romantico brano "Burn Like Witches" ne è la prova più tangibile, una song elevata quasi a forma mentale zen per le orecchie. "Intro 1" sembra un estratto da un documentario sciamanico e introduce "Nettle Field", uno dei brani più ritmati del disco, con un sound al confine con le geniali sonorità world music del compianto Mick Karn, ma debitamente ridotte all'osso e sezionate a dovere. "Apple Tree" si muove tra sussulti rumoristici, elettronica sperimentale e un cantautorato d'intima bellezza che trova un altro picco di massima espressione nella conclusiva "Spells", un brano dallo spaziale gusto organistico, dove possiamo immaginare un organo con visuale sul cosmo e in uno schermo ipertecnologico, un lento scorrere d'immagini tratte dai migliori film di Wim Wenders. Un brano che non avrebbe sfigurato nella magnifica colonna sonora del film "The Million Dollar Hotel". Questo disco segna il percorso che potrebbe dare una svolta credibile per una rinascita, ancora più intensa, sperimentale e ricercata della musica elettronica in chiave trip hop. Un disco da non sottovalutare per la qualità delle sue atmosfere sospese ed irraggiungibili, ideali per gli amanti della musica sognante e futurista. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)