#PER CHI AMA: Cyber Death, Industrial, Black Symph |
Cari ragazzi, prendete carta e penna e segnatevi questa release; andate dal vostro negoziante di fiducia e acquistate questo disco; fatte tutto ciò se siete logicamente alla ricerca d’emozioni forti e di musica estremamente originale. Eh sì, perchè i The Project Hate hanno dato alle stampe un lavoro veramente eclettico, interessante ed emozionante. Quello che andiamo ad ascoltare oggi è il quarto album della band svedese (escludendo il live “Killing Helsinki”), band capitanata dal polistrumentista Lord K. Philipson e dai suoi fidati compagni che arrivano da esperienze più o meno importanti nella scena death scandinava (Grave, 2 Ton Predator, Evergrey ed Entombed tanto per citarne alcuni). Ma veniamo ad “Armageddon March Eternal” vero crocevia di stili: il platter mischia infatti sonorità tipiche del death scandinavo (Entombed, Dismember e Grave) a momenti cyber death alla Fear Factory, giocando sull’eterno dualismo tra bene e male, qui contrapposti attraverso la musica, ma anche attraverso la voce eterea dell’angelica Jo e il profondo growling del luciferino Jörgen. Prodotto egregiamente da Dan Swano presso i suoi Square One Studios, il quarto sigillo della band nordica ospita tra i suoi solchi numerosi ospiti, da Gustaf Jorde dei Defleshed ad Anders Schults degli Unleashed. Il sound proposto dai nostri geniali ragazzi però non si ferma a quanto scritto sopra, va ben oltre: nei sessantasei minuti di musica, se ne sentono davvero di tutti i colori, anche grazie alle strutture altamente complicate dei lunghi brani. Se appunto, la matrice di fondo del disco resta un granitico death metal, su questo si vanno a insinuare, tra le trame chitarristiche, anche dei momenti di inaspettata atmosfera, così come pure campionamenti elettronici presi in prestito dall’industrial e dall’EBM. Curioso l’effetto che ne deriva, una miscela esplosiva di emozioni, una colata di lava metallica che investe l’ascoltatore: nelle note di “Armageddon March Eternal” possiamo udire echi derivanti dalla musica più progressiva e d’avanguardia (Opeth, The Provenance e Arcturus sono i primi nomi che mi vengono in mente), ma anche schegge di black sinfonico tanto caro ai Dimmu Borgir. Svariate le influenze che si celano dietro a quanto partorito dalle menti di questi ragazzi: probabilmente il difetto maggiore dell’album sta in alcune ritmiche brutal un po’ troppo scontate, per il resto considero questo nuovo cd, un eccellente lasciapassare per la via verso il successo, anzi per l’Armageddon... imprevedibili e disorientanti, che volete di più? (Francesco Scarci)
(Threeman Recordings)
Voto: 80
Voto: 80