Cerca nel blog

mercoledì 19 ottobre 2016

Leaving Passenger - When It's Done


#PER CHI AMA: Alternative Rock, Nickelback
Salite in auto e caricate nel vostro lettore 'When It's Done', EP di debutto dei francesi Leaving Passenger. Vi accorgerete che ad un certo punto non ricorderete più la vostra direzione; e questo sembrerebbe un bene se il vostro cervello è aggrovigliato almeno quanto il mio. L’album, composto di sei brani, è decisamente il prodotto di un’attenta e accurata selezione di musica alternative rock che vede nei Nickelback alcuni punti di riferimento per i nostri. Quindici giorni di ascolto intensivo valgono un plauso, perché non credo che farei a meno di nessuno dei sei pezzi qui inclusi, anche se prediligo maggiormente il primo, "Running Back" e l’ultimo, "Scream", per una questione di puro ritmo cardiaco (in mezzo addirittura una ballad, la title track e una semiballad, "Better Place"). Inizialmente avevo trovato il dischetto un po' monotono, dai primi ascolti infatti non emerge nessun diamante, un po’ l’accusa che spesso si fa a molti artisti, cioè quella di non avere la classica hit da classifica. Ma questo va letto anche da un altro punto di vista, sono sicuramente fedeli a loro stessi. E come scritto precedentemente, perché cercare un diamante quando i nostri transalpini te ne offrono sei? Avete presente quando la vostra ragazza monopolizza la radio in cerca di una canzonetta soft e iper trasmessa? Ebbene, quest'album potrebbe essere un valido compromesso tra il vostro e il loro genere. Un alternative rock dal piglio mainstream che scivola via mentre voi guidate, osservate il mondo, e loro suonano indisturbati, ammiccando qua e là anche a Hoobastank e Linkin Park. Credo che valga la pena averlo tra le scelte musicali personali, perché prima o poi vi capiterà quel giorno in cui avrete realmente bisogno di dimenticare la vostra direzione e di osservare il mondo senza che nessuno metta mano al lettore cd. Ricordo poi che 'When It's Done' è il loro EP d'esordio, auspico quindi che il quartetto parigino lavori duramente per ottenere in futuro i medesimi risultati, se non migliori, con lo stesso e acuto taglio di editing. Pochi brani, ma bellissimi. Bidimensionali. (Alpha Rotter)

martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

domenica 16 ottobre 2016

Bodie - First

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Con le prime piogge e il grigio che accompagna le corte giornate d’autunno, i tempi sono maturi per introdurre il lavoro di Bodie (datato 2013), musicista parigino che predilige sonorità elettro-acustiche piuttosto evocative. 'First', il titolo del suo primo lavoro, è un EP composto da cinque brani originali in lingua inglese le cui coordinate sono quelle di un folk carico di pathos e lento nella sua esecuzione. Il brano di apertura, intitolato “Under the Sea” è introdotto da un coro maestoso che fa poi da contrappunto ad un arpeggio acustico mentre l’ingresso della voce di Bodie potrebbe quasi ricordare quella di Thom Yorke, non fosse che il brano termina quasi subito. Il successivo “All These Days” si muove sulle stesse sonorità, anche in termini di armonia, solo che la ritmica è sostenuta questa volta da una chitarra elettrica che doppia basso e batteria, mentre l’organo libera la sua fantasia. “Church”, il terzo pezzo del disco, si rivela una ballata onirica caratterizzata da una voce raddoppiata e dal contrappunto di pianoforte. L’EP prosegue con “So Be It” e termina con la lunga traccia intitolata “The River” dove qualche sonorità più progressive spunta tra le righe, senza comunque snaturare il mood dell’intero album. Un disco breve ma certamente ben caratterizzato, con una potente vocazione cinematografica nel suo incedere e una sapiente gestione dei canali strumentali. Consigliato a chi cerca una personale colonna sonora per l’autunno e anche a chi ha amato, qualche anno fa, il disco di Danger Mouse e Daniele Luppi intitolato 'Rome'. (Massimiliano Paganini)

(Self - 2013)
Voto: 75

https://bodiemusic.bandcamp.com/

Interview with Crown of Asteria


Follow this link to know the thoughts of Meghan, mastermind of the US band Crown of Asteria:

sabato 15 ottobre 2016

Oracles - Miserycorde

#PER CHI AMA: Swedish Symph Death, Arch Enemy, Fleshgod Apocalypse
I belgi Aborted non sono mai sazi e cosi, tre dei suoi membri (voce, batteria e chitarra), hanno pensato bene di mettersi in affari con tre ex membri dei System Divide (voce, chitarra e basso), tra cui Sanna Salou (l'eccellente ex voce femminile anche di Dimlight, Ad Inferna ed Emerald Sun), e dar vita agli Oracles (dal look molto "Assassin's Creed" style), che arrivano all'esordio con questo 'Miserycorde'. La cosa non si ferma qui perché al disco partecipano anche tre guest stars, Jeff Loomis ascia dei Nevermore, Per Nilsson alfiere degli Scar Symmetry e Ryan Knight, ex chitarrista dei The Black Dahlia Murder, a completare quello che sembrerebbe essere un super gruppo a tutti gli effetti. Leggendo la line-up, le attese non possono che essere altissime, e alla fine non verranno affatto deluse, dopo aver infilato il platter nel lettore e pigiato il tasto play dello stereo. La classica breve intro dà subito un assaggio delle capacità vocali della leggiadra vocalist ellenica e poi ecco esplodere "The Tribulation of Man", che delinea immediatamente la proposta dei nostri, fatta di ritmiche serratissime in blast-beat e l'alternanza vocale, growl ed ethereal, dei due cantanti, che danno prova della loro bravura su linee di chitarra vertiginose, assolutamente catchy e corredate da formidabili assoli. Non fosse per la voce di Sanna, potrei affermare che la proposta degli Oracles è una vera mazzata nello stomaco, invece la soave performance della donzella greca, riesce ad interrompere quelle selvagge trame chitarristiche che in "Catabolic (I Am)", palesano le influenze "meshugghiane" dei nostri, in un pezzo concreto, violento, moderno e melodico, soprattutto nel suo inebriante assolo conclusivo, che gli vale per questo la palma di mia song preferita del lotto. In “Quandaries Obsolete” vengo investito dalla devastante dirompenza ritmica dei nostri, con chitarre sghembe e vocals belluine da parte dell'ottimo Sven de Caluwé, bestiaccia feroce degli Aborted, che viene qui sempre tamponata dalla vena lirica della brava Sanna, che alla lunga però corre il rischio di stufare o addirittura non piacere a chi preferisce i soli estremismi sonori degli Oracles. Ciò che colpisce è però la dinamicità che emerge dalle note di questo pool di musicisti, una vena sinfonica estrema che in un qualche modo, è comparabile a quella dei nostrani Fleshgod Apocalypse, forse la band più vicina agli Oracles per sonorità. Chiaro che gli assoli marcatamente di matrice heavy classico, avvicinano la super band di quest'oggi anche agli Arch Enemy (e non solo per la presenza di Jeff Loomis, che negli ultimi due album dell'act svedese, ha dato una grossa mano a livello di chitarre). Si prosegue attraverso canzoni che come nei migliori roller coaster, arrivano a spingere il cuore in gola, grazie ad accelerazioni esagerate, ottimi rallentamenti e velocità sostenute, in cui a mettersi in luce alla fine sono le rasoiate ad opera delle due sei-corde, in mano a dei veri maestri della chitarra. "Remnants Echo" è un pezzo più atipico in cui, sugli scudi rimane la sola Sanna, ad evocare i bei tempi andati di Anneke van Giersbergen nei The Gathering, con le melodie che si confermano ispiratissime, qui più rilassate ed intimiste. Il disco prosegue sui binari dell'alternanza dell'estremismo sonoro e di suoni sinfonici, accompagnati rispettivamente dalle caustiche voci dell'esagitato vocalist degli Aborted e dalla delicata ugola di Sanna. Prodotti egregiamente da Mr. Jacob Hansen (Volbeat, Epica, Amaranthe e gli stessi Aborted), la band arriva addirittura a coverizzare “The Beautiful People” di Marilyn Manson, testimoniando cosi l'eclettismo musicale di un ensemble che non ha alcuna paura a mettersi in gioco. E noi, non possiamo far altro che godere di fronte a questa dimostrazione di forza degli Oracles e gustarci 'Miserycorde' tutto di un fiato. (Francesco Scarci)

(Deadlight Entertainment - 2016)
Voto: 80

venerdì 14 ottobre 2016

Das Röckt - Odile

#PER CHI AMA: Stoner Rock/Post Grunge
Il grunge dopo la sua prima fase esplosiva non ha avuto vita facile negli anni a seguire. La sua sopravvivenza è stata graziata dalla sua capacità di evolversi e intersecarsi con realtà parallele come il metal e la psichedelia che in parte erano già nel suo DNA, di fondersi con lo stoner rock e usare la spinta di certo punk/hardcore meno estremo, questo per garantirsi un futuro dignitoso. Il caso degli svizzeri Das Röckt è da manuale in quanto riescono a fondere al meglio e con ottimi risultati, la musica degli ultimi Queens of the Stone Age con il buon vecchio stoner della band di culto dei Lowrider, passando per il supergruppo Wellwater Conspiracy e gli intramontabili Sixty Watt Shaman, dando vita ad uno speciale connubio di potenza e orecchiabilità, inaspettato e coinvolgente. I primi quattro brani volano veloci, trascinati da riff centratissimi alternati a fasce di musica psichedelica venata di sfumature hardcore, dal taglio melodico ma sempre molto abrasivo (il brano d'apertura, "Run Your Course Crazy Star", è memorabile). Una certa psichedelia pesante e claustrofobica, etichetta i brani con quell'intensità sonora che caratterizza gli ultimi più orecchiabili album dei Mastodon ("Where's the Acid Party") svanendo immediatamente dopo, per immergersi in un indie rock alternativo radiofonico di sicuro impatto con il brano "My Meat Car", spiazzante creatura a metà tra 7Zuma7, Therapy? e i primi And You Will Know Us by the Trail of Dead. Brani di ottima fattura e tanta cura in fase di produzione, belli i suoni, mentre la copertina dovrebbe a parer mio riflettere maggiormente il lato pesante e tagliente della band, anche se, bisogna ammetterlo, si nota nella sua grafica così originale, una certa voglia di fuggire dai soliti cliché omologanti del genere pseudo stoner/rock psichedelico contemporaneo. Quaranta minuti di musica potente e fantasiosa che accomuna gusti differenti in ambito rock, dove il grunge acido degli Stone Temple Pilots e il metal dei The Almighty, incontra il sound alternativo e trascinante degli Arctic Monkeys, suonato come se a farlo fossero gli Apollonia, gli At the Soundown o addirittura i More Than Life. Voi potreste dire che è un frullato di musica troppo esagerato, che un miscuglio così non può portare a niente, tuttavia, credetemi senza indugio quando vi dico che sin dal primo ascolto, dalla prima nota, vi convincerete dell'esatto contrario. Questa band elvetica ha superato il confine, ha centrato in pieno il bersaglio, creando un piccolo gioiellino con questo album, inventando un'esplosiva, originalissima e godibilissima miscela di pesante rock intelligente, abrasivo, adulto e fantasioso, distante dalla solita routine. Una band tutta da osannare! Ascoltatevi il trittico conclusivo costituito da "1981", "Georgia O'Kneefe" e "Spinning Glass" e ditemi come vi siete sentiti dopo averlo fatto...meravigliati? Un disco esemplare. (Bob Stoner)

(Cold Smoke Records - 2015)
Voto: 90

giovedì 13 ottobre 2016

NightMyHeaven - Across the Dark Side


#PER CHI AMA: Black/Death atmosferico, Emperor
Gli Emperor hanno fatto scuola negli anni '90, e i NightMyHeaven, formatisi all'inizio degli anni 2000 in quel di Guimarães in Portogallo, possono essere annoverati nella schiera di adepti della band di Samoth e soci. Il genere? Facile no, black death atmosferico, certificato sin dall'intro del cd che ci introduce a "Nights Dark Side", song che a livello ritmico, segna un riffing tipicamente death metal, mentre a livello di atmosfere, evoca un che dei Cradle of Filth e appunto dei succitati maestri norvegesi, anche se lungo il corso di questa song, il pensiero mi ha spinto più volte verso i Limbonic Art, cosi come pure ai primi Samael, con la performance vocale di Alfredo abbastanza convincente, nel suo screaming molto borderline con un growling stile orco cattivo. I lusitani proseguono con questo registro anche con la successiva "Riders of the Apocalypse", brano parecchio ruvido, che sta più vicino al "metallo della morte" che a quello "nero". E "Kill Your King", scandita dal suono di spade brandite in cielo e di una battaglia che si sta consumando in campo aperto, continua in tal senso, mettendo a ferro e fuoco l'ascoltatore, con ritmiche dritte in cui a eccedere un po' troppo è il cantato del frontman; avrei prediletto infatti che venisse lasciato più spazio alla musica e alla melodia. In "Channel of Doom" invece, sembra che il quintetto portoghese abbia già intuito i miei pensieri e virato pertanto verso uno stile che lascia più spazio a musica e assoli, anche se ancora un po' elementari. E il disco da questo punto in poi, sembra subire un netto miglioramento anche con le successive "Slayer of Deities" e "Amidst the Wolves", dove le atmosfere trovano terreno fertile, pur mantenendo intatto lo spirito battagliero del death metal, con un riffing comunque scorbutico, spezzato da qualche solo che invece punta diritto all'heavy metal classico. "Daughter of Hecate" ha un approccio più orientato al black sinfonico e per questo più accessibile e anche più piacevole, grazie all'uso massivo di tastiere molto stile anni '90, che replica il suo mood anche nelle conclusive "The Flight of the Harpies" and "Hades Hellhound". 'Across the Dark Side' è alla fine un album onesto, anche se ormai suona piuttosto anacronistico nei suoi suoni e nella sua proposta in generale, il che dovrebbe indurre i cinque guerrieri lusitani a svecchiare un po' la propria proposta (anche in fatto di cover cd), visto che ormai siamo sul finire del 2016 e gli Emperor si sono ormai sciolti da tre lustri. (Francesco Scarci)

mercoledì 12 ottobre 2016

Fyrnask - Fórn

#PER CHI AMA: Cascadian Black, Emperor, Deathspell Omega, Agalloch
La profondità degli abissi è pronta ad inglobare voi tutti. I Fyrnask sono tornati con quello che è il loro terzo album, quello dell'attesa consacrazione, il primo per la Ván Records, dopo gli esordi per la Temple of Torturous. 'Fórn' è il nuovo mostro a sette teste partorito dalla mente di Fyrnd, colui che si cela dietro al combo di Bonn (ora una band a tutti gli effetti, dopo gli esordi come one-man-band), pronto a tracciare il proprio sentiero, grazie alla peculiare forma di malatissimo e roboante black metal che essi propongono. Escludendo l'intro acustica di "Forbænir", la malvagità dei nostri è certificata dal malefico sound di "Draugr", che nei suoi quasi otto minuti, ha modo di assemblare il black più atmosferico di scuola norvegese con le disarmonie della scuola francese (Deathspell Omega e Blut Aus Nord), non dimenticando citazioni che chiamano in causa anche la furia claustrofobica degli Altar of Plagues e un che del black metal cascadiano d'oltreoceano. Signori, questo cd si candida ad essere uno dei top album nella scena black di questo 2016, che con la violenza di "Niðrdráttr", spinge per affermare la superiorità dei Fyrnask in quest'ambito musicale. "Vi Er Dømt" risuona come un rito sciamanico, atto a regalare al disco anche una certa ritualità di fondo che arricchisce, in termini contenutistici, la proposta dell'ensemble della Renania. Dopo questa pausa rumoristica, si riprende con "Agnis Offer", una song davvero strana, inedita per la band e per questo anche più difficile da inquadrare. I suoni non sono infatti quelli canonici dato che l'approccio della band verge verso una certa solennità di fondo che evoca addirittura gli Urfaust. Ancora un intermezzo ritual e poi il vuoto viene colmato dalla ferocia insana di "Blotàn", pezzo pirotecnico e anche il mio preferito, che alterna epiche sfuriate black a schizofrenici mid-tempos, con la voce di Fyrnd che sbraita invasata per tutti i suoi sei minuti. Un altro rito proferito da una litanica voce, scandita dal suono di una campana, ed eccoci approdare a "Kenoma", un episodio nebuloso per la discografia della band, che ha avuto l'intelligenza di riarrangiare il proprio sound, progredendo verso un'evoluzione sonica che li ha portati in poco più di cinque anni, a divenire una delle più interessanti realtà dell'underground black. Le ultime menzioni di quest'oggi vanno allo splendido digipack e relativa cover, a cura dell'artista irlandese Glyn Smyth e infine per l'edizione in vinile, che include la bonus track "Vitran". Fyrnask, c'è da fidarsi. (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2016)
Voto: 85

https://fyrnask.bandcamp.com/

Hella Comet – Locust Valley

#PER CHI AMA: Indie Rock, Sonic Youth
Uno spesso muro di feedback chitarristici, pastoso, fitto e dissonante, è la prima cosa che ascoltiamo, quasi investendoci, una volta premuto play su “Secret Body Nation”, prima traccia dell’ultimo album di questo quartetto austriaco di Graz, e immediatamente non possiamo non pensare che a due parole: “Sonic” e “Youth”. Il modo di usare le chitarre infatti richiama in modo evidente lo stile di Thurston Moore e Lee Ranaldo, e allo stesso modo, la voce della bassista Lea ricorda una Kim Gordon più sognante e più intonata (e dal timbro che ricorda la Björk degli esordi); solo la batteria è più essenziale e quadrata, ma non per questo, meno efficace. Rispetto alla storica band newyorkese, gli Hella Comet paiono meno interessati alle divagazioni sperimentali e più concentrati su una struttura più propriamente rock, tanto che questo 'Locust Valley' si avvicina nelle atmosfere, agli album più diretti di Moore & Co., come 'Dirty' o l’ultimo 'The Eternal'. Rispetto al passato però, gli austriaci paiono aver parzialmente accantonato una certa tendenza al pop-shoegaze e anche le loro inclinazioni post-rock vengono confinate di fatto, solo nelle fragorose esplosioni di “Idiots and Slavery” e nello strumentale conclusivo “Conk Out”. Quello che emerge maggiormente da questo disco, e che lo rende davvero interessante, è l’altissima qualità di scrittura, unita ad una produzione potente e fragorosa. I dieci brani che compongono l’album (uscito peraltro solo in vinile) sono uno meglio dell’altro, dall’impatto della già citata ”Secret Body Nation”, di “Sid” o “Death Match Figure”, alle splendide cavalcate mid-tempo di “Fortunate Sleepers” e “Midsummer Heat”, fino alle schegge noise di “43goes79goes43” e “The Wicked Art To Fake It Easy”. Disco splendido, perfetto per albe brumose in riva all’Hudson River, sere piovose negli appartamenti di Brooklyn, ma che va benissimo anche per qualsiasi luogo in cui vi troviate ora. (Mauro Catena)

lunedì 10 ottobre 2016

They Seem Like Owls - Strangers

#PER CHI AMA: Progressive/Post/Death Sperimentale, Opeth, Katatonia, Riverside
Dislocati tra Portland, Chicago e Washington DC, i They Seem Like Owls sono un progetto di quattro individui, che ognuno nella comodità di casa propria, hanno concepito questo interessante 'Strangers'. Influenzati da una mistura di prog rock e frangenti di death metal sperimentale, quello che balza all'orecchio durante l'ascolto della opening track, "Chasm", oltre ad una certa perizia tecnica e un notevole gusto per le melodie, è l'influenza esercitata dai Ne Obliviscaris, in fatto di utilizzo di clean vocals e di quella atmosfera che caratterizza la band di Melbourne, che immediatamente mi ha fatto sobbalzare dalla sedia e ascoltare il cd con una dose di attenzione decisamente sopra la media. I cambi umorali dei nostri si riflettono nel flusso musicale che procede dinamicamente nella prima brillantissima song. Speriamo solo non si tratti di un fuoco di paglia e che le conferme arrivino anche dalle successive tracce. Con una curiosità quasi spasmodica, mi avvio quindi all'ascolto di "Vertices", brano numero due, in realtà un interludio di synth che introduce a "Elevator". La song si preannuncia tutta in salita, complice un inizio timido su cui si va a posizionare la voce pulita di Jason Margaritis in un contesto sonico più spostato ora verso sonorità marcatamente progressive rock, e che solo nel finale trovano modo di irrobustirsi grazie al rientro del growling del frontman. Si torna a correre con "Thanksgiving", ma la ritmica qui sembra virare verso il djent, in una commistione sonora che diventa ancor più complicata da inquadrare, per quell'alternanza di voci, ma anche per un continuo lavoro che vedono i nostri cambiare tempi con una certa frequenza, rallentare paurosamente, spezzettare il proprio sound e poi et voilà, ecco l'ingresso inatteso del sax di Michael Schiavoni a incorniciare un brano che suona come una girandola di emozioni per quell'infinita miscela musicale che esso sprigiona. Si va avanti increduli a quanto nel frattempo sta accadendo nell'impianto stereo. Le atmosfere con "Light Field" si fanno più plumbee, il sound sembra quasi post rock, il sax irrompe nel buio della notte, in un'atmosfera che assomiglia molto più a quella di un lounge bar piuttosto che di un club dove si sta suonando heavy metal. Ma i quattro sembra stiano facendo una jam session, improvvisano musica, sperimentano e io non posso far altro che godere davanti all'eclettismo di questi fantastici musicisti e prendere atto che qui nulla è scontato. Grazie a Dio. Un altro intermezzo soft e arriva "Shooter", e i suoi suoni che sin dai primi secondi presagiscono indubbia follia. Non mi sbaglio, la song è sicuramente irrequieta, basti ascoltare il lavoro dietro alle pelli di Billy Cole, mentre l'ottimo Dan Cutright si prende cura di basso, chitarre e synth, con la ritmica che nel frattempo corre veloce, si ferma e riparte neppure fosse una gara di Formula 1, in una traccia che forse strizza l'occhiolino ai polacchi Riverside, ma che comunque possiede nella seconda metà un piglio quasi psichedelico. Diavolo, ho ascoltato sette brani ma in realtà mi sembra di aver passato nel mio lettore 5-6 cd. Straordinari, anche se il loro eccessivo trasformismo rischia quasi di diventare un'arma a doppio taglio, ossia di non piacere a coloro che non hanno una visione del tutto trasversale della musica. Con me vanno assolutamente a nozze, considerato che la traccia successiva sembra evocare in poco tempo Katatonia, gli ultimi Opeth, e per una manciata di secondi anche Tool, Ne Obliviscaris e Porcupine Tree, e sono certo che se vi metteste anche voi le cuffie a tutto volume,sareste in grado di scovare mille altre influenze, in un disco che ha il grande merito di offrire un cosi vasto spettro musicale che non potrà far altro che colpire anche i vostri pretenziosi sensi. Bella scoperta. (Francesco Scarci)

domenica 9 ottobre 2016

Interview with Malevolentia


Follow this link to know much better the content of the new album 'Repvbliqve' by Malevolentia, the French Symph Black band:

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/in-thick-fogs-of-city-of-lion-motley.html

Heretic - Underdogs of the Underworld

#PER CHI AMA: Punk Rock, Motorhead, Misfits
Il comeback discografico degli olandesi Heretic suona come il più classico "back in time", un vero e proprio tuffo nel passato alla ricerca delle radici del punk, per un disco che scomoda facili paragoni con band del calibro di Motorhead o Misfits. Il quartetto tulipano, che ha celebrato lo scorso anno il ventennale dalla propria fondazione, non è quindi quel che si dice una band di primo pelo, di erba i nostri ne hanno mangiata parecchia, creandosi la propria folta schiera di fan. Io, ahimè, non faccio parte di quella cerchia, però non posso far altro che alzare le mani, apprezzarne l'indubbia professionalità (e genuinità) e sottolineare la prova decorosa che i quattro punkers dei Paesi Bassi ci regalano: trentatré minuti di scorribande affidate a chitarra/basso e batteria, suonate in modo scarno e senza la ricerca di tanti orpelli artistici, su cui si stagliano le rozze vocals di Thomas Goat. Dimenticatevi pertanto synth, tastiere, violini o voci di gentili donzelle che popolano le ultime produzioni metal, 'Underdogs of the Underworld' offre il classico rock'n roll sporco e cattivo, suonato comunque con passione da una band che calca i palchi di tutto il mondo dal lontano 1995. E cosi il quinto album della loro lunga carriera, costellata peraltro da una miriade di split album, sciorina dieci tracce brevi (la durata complessiva è di 33 minuti) ed incazzate, di cui sottolineerei "Black Metal Punks" con il suo spirito thrashettone in un qualche modo vicino a 'Kill'em All' dei Metallica. Ed ancora perché non citare la melmosa "Hellbound Doomslut" o le schegge tipicamente punk di "Nuclear Pussy" e "Bitchfuck", vere e proprie arroganti citazioni di gente tipo Ramones o Sex Pistols. Un'ultima menzione va a "This Angel Bleeds Black", altro pugno nello stomaco, dotato di un peculiare groove. Insomma, se siete in vena di rievocare vecchi tempi ormai andati o di rivivere un'epoca che mai avete vissuto, mettete questo platter nel vostro lettore, infilatevi gli anfibi Dr. Martens e il vostro giubbotto di pelle e lanciatevi nel pogo selvaggio degli "Eretici". (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2016)
Voto: 70

https://hereticvanrecords.bandcamp.com/