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giovedì 25 aprile 2013

Royal Talons - Royal Talons

#PER CHI AMA: Heavy psichedelia, Sludge metal, Stoner
A volte ci si chiede come certe band non si pongano il punto della questione e alla fine il risultato delle loro azioni sia raccogliere semplicemente frutti acerbi e indesiderati. Spieghiamoci, i Royal Talons arrivano da Denver, sono bravi, pubblicano questo album per la Consouling Sounds e si fregiano del genere sludge metal, termine che tutto e nulla indica... L'album è ben prodotto, suonato a modo, i suoni sono buoni, le composizioni lunghe e psichedeliche, a loro modo variegate, mostrando una grande conoscenza delle band che gravitano attorno all'heavy psichedelia, ma quello che sconcerta è che in ben quarantasei minuti nulla è originale! Tutto suona di già sentito, un copia e incolla compositivo di tutte quelle band che hanno fatto grande il genere in questione tra cui gli OM fotocopiati drammaticamente sul brano “Robot Cities” e via via Acrimony, Core, Shrinebuilder, Nightstick, Sleep senza un briciolo di cuore o anima propria e non basta intromettere un cantato alla Neurosis nelle litanie psycho religiose di Al Cisneros, per essere monolitici ed heavy psichedelici, ci vuole di più molto di più, bisogna scavare nelle viscere del proprio universo cerebrale, smembrarsi e dilatare l'anima per suonare questa musica. Manca la cultura sciamanica di fondo, la dedizione alla scoperta di nuovi viaggi sonori e la fantasia ipnotica e profonda cultura del trip. Nonostante questo, l'intero lavoro suona a meraviglia tutto intento all'aspetto, alla perfezione ma non al contenuto che di questo genere un tempo era la forza e il suo nesso logico/illogico, la visione magica del terzo occhio... Un album perfetto per chi si affaccia per la prima volta allo stoner/doom/ heavy psichedelia; da evitare per i veterani e conoscitori di questa scena. (Bob Stoner)

Lilium Sova – Epic Morning

#PER CHI AMA: Mathcore, Noise, Zu
Prendere appunti: mai accettare inviti a cena da parte dei Lilium Sova. Non so se a Ginevra si mangi particolarmente male, ma vorrei evitarmi il concreto di passare una notte come quella raccontata nell’ultimo album del trio elvetico, che passa in rassegna, attraverso otto tracce incendiarie – una per ogni ora - , una nottata a dir poco turbolenta, fino all’apoteosi di una “mattina epica”. Strana storia, quello di questo disco, uscito quando la formazione che lo ha registrato già non esisteva più: infatti Michael Borcard, (tastiere e sax) abbandona il gruppo subito dopo la fine delle registrazioni, lasciando Cyril Chal (basso) e Timothée Cervi (batteria) orfani di un elemento fortemente caratterizzante il suono della band. Suono che si fonda su una sezione ritmica granitica, di impostazione noise scuola Touch & Go, a cui l’organo, spesso distorto, e il sax di Borcard, donano un colore decisamente peculiare, che in qualche modo può ricordare quello dei nostrani e ormai affermatissimi Zu. Partiamo dalla fine, da “Epic Morning” e i suoi 22 minuti che da soli valgono il prezzo del biglietto: poliritmi rotolanti su cui si dipana un piano elettrico come un sinistro carillon, per lasciare poi il posto a un synth alieno e a un sax inafferrabile nella sua furia free, che aprono la via a un crescendo imperioso e schizofrenico, dove convergono tutti gli elementi caratteristici del suono dei tre: math rock assassino, parentesi rumoriste alla Peter Brotzmann, colate laviche di hammond grasso e impennate free jazz, il tutto tenuto assieme da un collante post-metal che non consente mai di perdere il filo del discorso. Dopo tanto frastuono, la coda di chitarra acustica sembra il suono di un uomo che contempla le macerie di un palazzo appena crollato. Il resto del programma è comunque all’altezza, forte di un impatto ritmico davvero notevole (“Locked-in Syndrom”), delle ricercatezze del sax che in “Parasomnia” si fa orientaleggiante e delle guest appearance di chitarre roventi (“Call of Sova”) e disperate vocals di stampo hardcore (la devastante “Dawn of sweet villain”, unico brano cantato). E da qui dovranno ripartire, i Lilium Sova, da una formazione rinnovata (ora un quartetto con chitarra e cello) e dalla sfida di proseguire sul livello, davvero molto alto, di questo eccellente lavoro. (Mauro Catena)

(Cal of Ror Records)
Voto: 80

http://liliumsova.bandcamp.com/

sabato 20 aprile 2013

Okular - Sexforce

#PER CHI AMA: Death/Thrash tecnico, Morbid Angel, Death
Devo investigare perchè ogni qualvolta mi arrivi un cd dei norvegesi Okular, questo prenda una strada piuttosto larga e giunga sempre dalla Thailandia. Di la verità Andreas, che te la stai spassando sulle spiagge assolate di Phuket o Phi Phi Island eh? Comunque buon per te. Sto parlando del buon Andreas Aubert, la mente che si cela dietro a questa band, dedita ad un death metal dalle tinte progressive, che avevamo già incontrato all'epoca del loro debut "Probiotic", un paio di anni fa. Le coordinate stilistiche di questo "Sexforce" non si discostano poi più di tanto da quell'esordio. Partendo da "House Full of Colours" non si può non notare la voglia di abbinare al death metal di scuola americana a sonorità di matrice Meshugghiana o dei più moderni Gojira, con un attacco frontale che non tarderà a stodirvi, piegarvi sulle gambe e velocemente mettervi al tappeto, KO. La title track picchia che è un piacere e vede anche la presenza di Pal Mathiesen (alias Athera, vocalist dei Susperia) alle vocals che immediatamente si mette in mostra per la sua timbrica pulita che si alterna nel 50% delle song, al growling corrosivo di Marius Skarsem Pedersen. Da notare qui delle linee di chitarra che fanno dei sali scendi vertiginosi che nuovamente rievocano nella mia testa i Death, salvo poi lanciarsi in tortuosi fraseggi solistici. Nella quarta traccia, "The Greatest Offender", fa la sua comparsa un altro ospite, il vecchio Vintersorg alle vocals pulite, mentre il brano si apre con un arpeggio cupo e minaccioso, presagio di nulla di buono: in realtà la song è un mid-tempo piuttosto melodico, con interessanti spunti a livello musicale, impreziositi dalle epiche vocals di Andreas Hedlund. La quinta, "Ride the Waves of Emotion" è bella ruvida, scevra da qualsiasi apertura melodica sentita fin'ora, sino al break centrale e al roboante assolo finale, in cui anche un eco dei Morbid Angel affiora in superficie. I nostri continuano a macinare furia distruttiva fatto salvo per l'inedita "The King of Life", acustico interludio che sembra più provenire da un cantautorato stile Vinicio Capossela piuttosto che dal metal e infatti scopro che la chitarra è opera di un chitarrista thailandese (e ci risiamo), tale Manoon Ploypradab e la pianistica "To Ring the Bells of Truth". "Feast Upon the Illusory" è il classico pezzo death metal nordico, dotato di un gran bel tiro, ritmiche serrate, suoni granitici, vocals demoniache, e tanta tecnica che ci preparano a "Birth Through Loss", altro sonoro colpo nello stomaco, che non fa che confermare l'attitudine guerriera del quartetto di Oslo, e la loro innata bravura. Bella forza ragazzi! (Francesco Scarci)

(Regenerative Productions)
Voto: 80

http://okularmetal.com/

Retarded Noise Squad - Bananas

#PER CHI AMA: Death Avantgarde Symph. Folk, Diablo Swing Orchestra, UneXpect
Vorrei iniziare questa recensione sottolineando in primis la massima disponibilità concessami dai Retarded Noise Squad quando li ho contattati, nel volermi inviare un paio di copie del loro nuovo cd ed una t-shirt, che sono state messe in palio nel primo contest del Pozzo dei Dannati. Ringraziando per questo positivissimo atteggiamento l'act teutonico, veniamo alla delirante proposta del quintetto di Halle, che torna in sella dopo ben otto anni dal precedente "Plastic Surgery and World Domination". Dieci pezzi per quasi 50 minuti di musica bizzarra che farà sicuramente la gioia di chi ama sonorità estreme non del tutto convenzionali. La conferma dell'imprevedibilità della band, oltre ad arrivare dalla cover cd, dalle liriche, dal titolo dei brani, giunge da quello che è l'elemento più importante, la musica. Si aprono le danze con "King Adiposity", fantastico brano di metal estremo contaminato dalla genialità e dalla schizofrenia dei nostri. Se qualcuno di voi si ricorda dei Carnival in Coal, potrà ben capire quale possa essere la proposta del combo, con ulteriori influenze che si palesano nelle successive tracce, proveniente da altri ambiti musicali (arrivando a scomodare addirittura i Mr. Bungle): nella seconda traccia, "Telepathic Trance" oltre a palesarsi l'eterea voce di una donzella, tal Dana Jurczok, al fianco delle harsh vocals del cantante, il sound mostra una verve elettro death metal che ci accompagnerà nel resto del disco. In "Die Geschichte von Suppenkasar" sembra emergere un che del finnico humpa humpa style, pur mantenendo come matrice di fondo una ritmica cadenzata all'insegna del death/thrash, infarcendo poi il tutto con una effettistica al limite dell'ubriacante. Sono alla quarta traccia e mi gira già la testa, stordito dai colpi inferti dall'act germanico. Oltre all'eccletismo derivante dai samples, e pesantemente dall'elettronica, ci si mettono comunque delle linee di chitarra mai perfettamente lineari, ricche infatti di cambi di tempo che si susseguono a ripetizione nel contorto sound dei RNS, mostrando anche una certa levatura tecnica. Ogni traccia è una storia a sè stante: "Killed with Respect and Compassion" nel suo farneticante sinfonico incedere, si dipana tra sonorità black sinfoniche, mediorientali e trance, a indicare quanto abbiano alzato l'asticella questi ragazzi dagli esordi del 2005. Certo non tutto suona alla perfezione, e direi meglio cosi, significa che ci sono ancora ampi margini di miglioramento per una nuova release dove ammirare o meglio godere delle inebrianti, fresche, esotiche e orchestrali sonorità dei pazzi Retarded Noise Squad. Se avete amato gli ahimé defunti Carnival in Coal, e ora seguite act quali Diablo Swing Orchestra, UneXpect o i malatissimi Sleepytime Gorilla Museum, senza tralasciare una menzione anche per il folkish metal dei Finntroll, non fatevi scappare neppure "Bananas", album pazzo pazzo pazzo, stracolmo di spunti estremamenti interessanti, che non vi deluderà. Camaleontici! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85

http://retardednoise.de/

venerdì 19 aprile 2013

Tsar Bomb - Noewarfare

#PER CHI AMA: Black/Death grind, Krisiun, Marduk
Che sonora mazzata nei denti! Non fosse altro che l’omonima ambientale intro mi avesse fatto assopire nel buio della mia stanza, quando è “Victorius Death” a irrompere violenta nel mio stereo, ho un sussulto: ossia quello di una bomba distruttiva lanciata da qualche migliaio di metri a devastare tutto quello che trova sotto di sé. Visioni apocalittiche in un periodo non certo semplice per la stabilità mondiale. La Corea del Nord che minaccia il mondo, gli attentati di Boston, la continua guerriglia in Afghanistan e Iraq, ed in questo contesto di distruzione, ben si colloca la proposta di grande impatto degli spagnoli Tsar Bomb. Tsar Bomb, che per chi non lo sapesse è il nome di una bomba ad idrogeno sovietica (il cui codice era Ivan e la cui potenza era 10 volte la potenza combinata di tutti gli esplosivi convenzionali usati nella seconda guerra mondiale), che negli anni ’60 ha minacciato il mondo occidentale. E correndo parallelo a queste condizioni guerrafondaie, il sound dei nostri si palesa come una vera arma di distruzione di massa, che nell’echeggiare della sua martellante ritmica, non può che rievocare la furia distruttiva di acts quali Marduk, Anaal Nathrakh o Krisiun, tanto per citare qualche nome. Ritmiche serrate che assomigliano per lo più al suono della contraerea missilistica irachena, le harsh vocals di Ocram, che sembra un feroce dittatore in preda alla follia belligerante, pronto a scatenare un’assurda guerra atomica che non può che segnare la fine del mondo e della nostra civiltà. Suoni oscuri quelli che popolano la title track, in cui finalmente c’è una piccola impercettibile sosta a concederci un attimo di sosta. Poi ancora dilagante, anche nell’effettistica e nelle tematiche delle liriche, gli echi della guerra lontana, che pian piano invece tende ad avvicinarsi, con tutta la sua brutalità e bruttura. Veementi e incazzati, gli Tsar Bomb hanno nelle proprie corde la capacità di annientare i propri nemici. Sia ben chiaro che il sound dei nostri non offre alcun spunto di novità, ma è in grado di offrire solo una colata lavica di roboante nero metallo fuso. Peccato poi che la batteria sia affidata al sintetico sound di una macchina, sarebbe stato interessante ascoltare il martellante incedere dei nostri con un drummer reale. Comunque convincenti. E distruttivi… (Francesco Scarci)

(Badgod Music)
Voto: 70

http://tsarbomb.bandcamp.com/

giovedì 18 aprile 2013

No Consequence - IO

#PER CHI AMA: Math,Tesseract, The Dillinger Escape Plan, Periphery
Proprio quando uno crede che nel math si sia già ascoltato quasi tutto (immaginandone gli estremi lento-veloce come Meshuggah-The Dillinger Escape Plan e in mezzo Tesseract, Textures, Periphery e compagnia), ecco che arrivano i No Consequence con "IO", uno di quegli album che ti fa dire: avrei voluto esserci mentre lo scrivevano. Il disco è un assoluto concentrato di furioso caos tenuto a forza in una gabbia, in continua tensione tra tutti i possibili sotto-generi del metal che vi vengono in mente. C'è il death tecnico, l'hardcore velocissimo, i riff ispirati al nu-metal dei primi 2000, le aperture melodiche, le atmosfere oppressive del post-metal. Ci sono – strano ma vero – ritornelli catchy che vi si piantano in testa e urla rabbiose dalle profondità più oscure, ci sono un pizzico di elettronica e persino qualche chitarra acustica. C'è il blast-beat del brutal grind e il math-metal più assurdo degli ultimi tempi, che vi obbligherà senza successo a cercare di contare un quattro quarti per più di due battute. La prova di tanta abbondanza? Il disco dura “appena” 46 minuti: ma con una tale concentrazione e varietà di atmosfere e arrangiamenti, che vi sfido ad ascoltarlo per intero e dire: "Così corto?". L'opening track "So Close to Nowhere" non lascia scampo: personalmente uno dei brani migliori dell'album, con un intro assolutamente memorabile. Altro capolavoro è "Bury the Dept", capace di alternare riffing serratissimi e ampi bridge melodici dai colori malinconici, per poi fondere insieme arpeggi, distorsioni, melodie e urla in uno straordinario finale. "What is Dead May Never Day", in un solo minuto di canzone, è una lezione di matematica applicata alla ritmica, con un riff talmente efficace che è quasi un peccato non averci scritto un intero brano. Il disco pecca forse di spontaneità? Può darsi. Ma dopotutto, non è né thrash metal vecchio stampo, né rock'n'roll da ragazzini sbarbati. “IO” è la quintessenza del metal di questo millennio: farà parte, voglio augurarmi, di quella musica che ascolteranno i figli dei metallari di oggi, pensando a questo decennio come a quelli che sono per noi gli anni '70. (Stefano Torregrossa)

(Basick Records)
Voto: 75

http://noconsequence.co.uk/

Lovijatar - Hämärän Kulkija

#PER CHI AMA: Stoner, Folkish, Hard Rock
Arrivo con colpevole ritardo a scrivere dell’EP d’esordio di questo combo Finlandese, dopo averlo lasciato a prender polvere sulla scrivania per troppo tempo, avendolo frettolosamente bollato come poco più di una curiosità folcloristica (sempre siano maledetti i primi ascolti distratti, ed io che ci ricasco puntualmente). I cinque vichinghi hanno facce che gli avrebbero garantito una parte in “Educazione Siberiana”, e pestano duro sugli strumenti. Lovijatar è il nome di una strega del folclore finnico, al quale il quintetto attinge copiosamente per quanto riguarda le tematiche dei loro brani. Loro stessi definiscono la loro proposta come “Stoner Pagan Heavy Prog” (!!!), che in effetti rende bene l’idea, e per una volta mi affido alle parole della band per descrivere al meglio la loro musica, ovvero “a combination of heavy rolling riffs, hard handed playing, shamanism and the joy of endless sorrow…” La prima particolarità cha salta all’occhio (anzi, all’orecchio), è che solo ora mi rendo conto essere la cosa che mi aveva lasciato perplesso inizialmente, è il fatto che cantano in finlandese. Ok, non è una lingua semplice e sicuramente non consueta, ma alla fine il suo suono non è così dissimile da quello dell’italiano o dello spagnolo, tanto che, in più di un’occasione, mi è sembrato di ascoltare una versione ultra-heavy degli Heroes del Silencio (chi se li ricorda vince un cappellino usato di Videomusic, originale 1994) data una certa somiglianza della voce del cantante, peraltro indubbiamente carismatica. Altre volte, invece, tornano alla mente gli Amorphis epoca “Tuonela”. I pezzi, potenti, ben suonati e ben registrati, ci sono, e ci sono anche ottimi spunti melodici, riff schiacciasassi e una bella coesione di fondo. La barriera linguistica diventa più ostica da superare in canzoni quali “Kun Usva Peittää Minut Saleihinsa”: lenta, rarefatta e giocata tutta sull’evocatività di un testo che, per assonanze casuali con la lingua italiana, strappa qualche sorriso sicuramente non voluto. Notevole invece il terzetto che apre il lavoro: “Lohuen Lahjat”, che dopo un coro a cappella un po’ spiazzante, macina uno stoner potentissimo con belle chitarre dal suono quasi doom, seguita da “Puujumala”, col suo alternarsi di quiete e tempesta, e dalla cavalcata incendiaria di “Kolmisormi”. Non mi stupirei se diventassero delle superstar in patria, anche al di fuori del giro underground. In definitiva, quindi, un lavoro convincente e meritevole di tutta la vostra attenzione. (Mauro Catena)

Havenless - Architecture of Plague

#PER CHI AMA: Death Progressive, Opeth, Cynic
Ennesima new sensation che arriva dalla Francia, a testimoniare quanto sia fiorente in questo momento la terra d’oltralpe. Guardando però la line-up, si nota come i nostri non siano certo musicisti di primo pelo, nonostante “Architecture of Plague” ne costituisca l’EP di debutto. Membri di Reverence, Sael o Ossuaire, tanto per citarne alcuni, costituiscono questo promettente gruppo, dedito prettamente a sonorità death progressive. Consueta intro d’aperura, poi bando alle ciance, lo spazio viene affidato ai tre brani che coprono quasi 25 minuti di musica. Se devo ammettere, non ho particolarmente gradito la ruvidezza della componente death, talvolta ancora un po’ grezza e confusionaria; di contro, devo dare grande merito al five-piece transalpino, nel costruire con ottime intuizioni, le parti più atmosferiche, in cui emergono più apertamente le influenze di act quali Porcupine Tree e Opeth. Ecco pertanto eccitarmi ai suoni notturni di “Restricted” o alla sua contorta componente solistica, e storcere il naso invece di fronte alla ritmica rabbiosa o alla corrosiva prova del vocalist Fred Blanchard, che a mio avviso avrebbe dovuto puntare piuttosto su una prova pulita. “In the Wake of the Phantom's Plague” è un pezzo che apre tirato, in cui la batteria si lascia andare inizialmente ad arrembanti blast beat, prima che il quintetto inizi a suonare come dio comanda, miscelando lo space rock progressivo (fondamentale in questa chiave la prova di PY Marani alle tastiere) con il death a la Cynic e chiuda infine con una fuga affidata al basso di Vincent Mattana e ad una malinconica chitarra acustica. L’act di Tolosa non è affatto male, ma lo trovo ancora un po’ acerbo nella gestione dell’arroganza della musica estrema con l’eleganza di quella progressive; c’è pertanto da lavorarci sopra per cercare di dare un’anima ben più definita al sound dei nostri, che spesso mancano in lucidità. Per chiudere, una semplice curiosità: sul sito bandcamp degli Havenless, i simpatici burloni riportano che l’uscita del cd è schedulata per luglio 2014, con spedizione in aprile 2015, quindi fossi in voi mi affiderei intanto all’economico download dell’EP. Curioso di sentire nuovi sviluppi, suggerendo alla band di virare verso sonorità più soffuse in chiave Cynic. (Francesco Scarci)

Seaeye - Journeys Beyond Time

#PER CHI AMA: Shoegaze, Alcest
I cd da recensire stanno aumentando pericolosamente sulla mia scrivania e allora meglio darsi da fare quest’oggi e andare a ad ascoltare quello che dovrebbe essere il debut EP degli ucraini Seaeye. Flebili e romantiche note aprono i due minuti introduttivi di questo “Journeys Beyond Time”, prima che i tocchi alla sei corde di Mr. Mephisto (il factotum della band), lascino intendere palesemente la direzione stilistica dell’ensemble, che si palesa sia a livello strumentale che vocale. Leviamo quindi quel velo di mistero tenuto fino ad ora e diciamo che il mastermind di Kiev, paga un pesante dazio allo shoegaze dei francesi Alcest. Non faticherete pertanto ad immaginare il sound dei nostri fatto di un mix di chitarre acustiche ed elettriche, soffuse atmosfere malinconiche, vocalizzi che si rifanno pesantemente al buon Neige (ma senza mai sfociare nello screaming) e ovviamente qualche rara scorribanda chitarristica in territori black. Ampio spazio è lasciato alla musica che dipinge paesaggi spogli con gonfi nuvoloni carichi di pioggia, ma non quella dei temporali estivi, bensì quella costante e battente sulle finestre, nelle corte grigie giornate autunnali. È il caso della title track , lunga song completamente strumentale o delle successive “Solar Shine”, dove di solare c’è ben poco e “Like a Swallow”, la traccia forse più movimentata del lotto, ma anche quella meno aggraziata ed elegante. “Sunset” è l’outro che chiude questo positivo lavoro che non fa che aumentare le attese e le mie aspettative per questo nuovo combo ucraino. (Francesco Scarci)