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sabato 20 aprile 2013

Okular - Sexforce

#PER CHI AMA: Death/Thrash tecnico, Morbid Angel, Death
Devo investigare perchè ogni qualvolta mi arrivi un cd dei norvegesi Okular, questo prenda una strada piuttosto larga e giunga sempre dalla Thailandia. Di la verità Andreas, che te la stai spassando sulle spiagge assolate di Phuket o Phi Phi Island eh? Comunque buon per te. Sto parlando del buon Andreas Aubert, la mente che si cela dietro a questa band, dedita ad un death metal dalle tinte progressive, che avevamo già incontrato all'epoca del loro debut "Probiotic", un paio di anni fa. Le coordinate stilistiche di questo "Sexforce" non si discostano poi più di tanto da quell'esordio. Partendo da "House Full of Colours" non si può non notare la voglia di abbinare al death metal di scuola americana a sonorità di matrice Meshugghiana o dei più moderni Gojira, con un attacco frontale che non tarderà a stodirvi, piegarvi sulle gambe e velocemente mettervi al tappeto, KO. La title track picchia che è un piacere e vede anche la presenza di Pal Mathiesen (alias Athera, vocalist dei Susperia) alle vocals che immediatamente si mette in mostra per la sua timbrica pulita che si alterna nel 50% delle song, al growling corrosivo di Marius Skarsem Pedersen. Da notare qui delle linee di chitarra che fanno dei sali scendi vertiginosi che nuovamente rievocano nella mia testa i Death, salvo poi lanciarsi in tortuosi fraseggi solistici. Nella quarta traccia, "The Greatest Offender", fa la sua comparsa un altro ospite, il vecchio Vintersorg alle vocals pulite, mentre il brano si apre con un arpeggio cupo e minaccioso, presagio di nulla di buono: in realtà la song è un mid-tempo piuttosto melodico, con interessanti spunti a livello musicale, impreziositi dalle epiche vocals di Andreas Hedlund. La quinta, "Ride the Waves of Emotion" è bella ruvida, scevra da qualsiasi apertura melodica sentita fin'ora, sino al break centrale e al roboante assolo finale, in cui anche un eco dei Morbid Angel affiora in superficie. I nostri continuano a macinare furia distruttiva fatto salvo per l'inedita "The King of Life", acustico interludio che sembra più provenire da un cantautorato stile Vinicio Capossela piuttosto che dal metal e infatti scopro che la chitarra è opera di un chitarrista thailandese (e ci risiamo), tale Manoon Ploypradab e la pianistica "To Ring the Bells of Truth". "Feast Upon the Illusory" è il classico pezzo death metal nordico, dotato di un gran bel tiro, ritmiche serrate, suoni granitici, vocals demoniache, e tanta tecnica che ci preparano a "Birth Through Loss", altro sonoro colpo nello stomaco, che non fa che confermare l'attitudine guerriera del quartetto di Oslo, e la loro innata bravura. Bella forza ragazzi! (Francesco Scarci)

(Regenerative Productions)
Voto: 80

http://okularmetal.com/

domenica 15 aprile 2012

Okular - Probiotic

#PER CHI AMA: Death Metal dalle venature Progressive
Mmmm, oggi ho una bella fame di sonorità death metal: cosa c’è di meglio che farsi servire una succulente pietanza a base di sanguinosa brutalità e vertiginosa velocità, il tutto annaffiato da fiumi di tecnicismo e spruzzate di melodia? Per cercare simili ingredienti dovrei guardare ad occidente, negli States per l’esattezza, dove di solito si celano proposte di questo tipo; invece quest’oggi, mi trovo inaspettatamente a recensire una siffatta creatura, proveniente dalla Norvegia. Strano, non trovate? Gli Okular sono assai prelibati, una sorta di bisteccona al sangue da gustarsi con un bel bicchiere di vino rosso, di quello che arriva immediatamente al cervello e ti inebria senza ubriacarti. Un po’ come il sound di questi baldi ragazzoni del nord Europa che appassionati, incazzati, ma decisamente al passo con i tempi, mettono in mostra tutte le loro qualità, con dieci fantastici pezzi di puro death metal, riletto in chiave moderna. “Connected in Betrayal” e la cervellotica “Probiotic (for Life)” aprono le danze, mostrando subito di che pasta è fatto il quartetto di Oslo, per non parlare dell’assalto all’arma bianca di “Fucking Your Dignity!”: tutte e tre le song, cosi come le successive, sono caratterizzate da una matrice di fondo tipicamente brutale, con ritmiche non troppo veloci, ma estremamente potenti e sempre dotate di buone dosi di melodia, contraddistinte poi da un tasso tecnico elevatissimo (mostruoso, come spesso mi accade di sottolineare, la performance alla batteria del drummer, Bjørn Tore Erlandsen). Se l’acustica strumentale “Tranquillity of the Night”, lascia presagire erroneamente esplorazioni in territori progressive a la Opeth, la successiva “State of Immediacy”, mi spinge invece verso zone perlustrate dal grande Chuck Schuldiner e dai suoi Death. Abbacinato da cotanta perizia, mi concentro ulteriormente nell’ascolto di questo speranzoso lavoro (il verde è infatti il colore dominante nell’artwork del cd). “Choose to be Free” è una song annichilente, la classica canzone taglia gambe, che con la sua ritmica prepotente, imbastisce un muro sonoro insormontabile. “Flowers Uncared For” è una epica cavalcata, dove le vocals di Marius S. Pedersen, trovano un maggior raggio d’azione, abbandonando la componente growl, per lanciarsi in un cantato pulito mentre le linee di chitarra si fanno più melodiche, mantenendo comunque un incedere ipnotico e selvaggio. La spagnoleggiante traccia strumentale “Celebration” ci concede un altro breve attimo di respiro, prima del conclusivo attacco, affidato all’inequivocabile “The Most Violent Thing”, che non può che lasciar presagire che la furia sarà l’elemento dominante in questa intricata song, ricca di cambi di tempo e pregna di atmosfere al limite del black. “Creativity or Fear?” chiude splendidamente, con mia somma sorpresa, un platter coraggioso, che mi fornisce ulteriori indicazioni: la Norvegia non è solo black metal o l’”americaneggiante” sound dei Blood Red Throne; da oggi, nel mio immaginario, sarà anche l’armonico incedere audace e minaccioso dei rocciosi Okular. New entry da sballo! (Francesco Scarci)

(Regenerative Productions)
Voto: 85