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lunedì 10 ottobre 2016

They Seem Like Owls - Strangers

#PER CHI AMA: Progressive/Post/Death Sperimentale, Opeth, Katatonia, Riverside
Dislocati tra Portland, Chicago e Washington DC, i They Seem Like Owls sono un progetto di quattro individui, che ognuno nella comodità di casa propria, hanno concepito questo interessante 'Strangers'. Influenzati da una mistura di prog rock e frangenti di death metal sperimentale, quello che balza all'orecchio durante l'ascolto della opening track, "Chasm", oltre ad una certa perizia tecnica e un notevole gusto per le melodie, è l'influenza esercitata dai Ne Obliviscaris, in fatto di utilizzo di clean vocals e di quella atmosfera che caratterizza la band di Melbourne, che immediatamente mi ha fatto sobbalzare dalla sedia e ascoltare il cd con una dose di attenzione decisamente sopra la media. I cambi umorali dei nostri si riflettono nel flusso musicale che procede dinamicamente nella prima brillantissima song. Speriamo solo non si tratti di un fuoco di paglia e che le conferme arrivino anche dalle successive tracce. Con una curiosità quasi spasmodica, mi avvio quindi all'ascolto di "Vertices", brano numero due, in realtà un interludio di synth che introduce a "Elevator". La song si preannuncia tutta in salita, complice un inizio timido su cui si va a posizionare la voce pulita di Jason Margaritis in un contesto sonico più spostato ora verso sonorità marcatamente progressive rock, e che solo nel finale trovano modo di irrobustirsi grazie al rientro del growling del frontman. Si torna a correre con "Thanksgiving", ma la ritmica qui sembra virare verso il djent, in una commistione sonora che diventa ancor più complicata da inquadrare, per quell'alternanza di voci, ma anche per un continuo lavoro che vedono i nostri cambiare tempi con una certa frequenza, rallentare paurosamente, spezzettare il proprio sound e poi et voilà, ecco l'ingresso inatteso del sax di Michael Schiavoni a incorniciare un brano che suona come una girandola di emozioni per quell'infinita miscela musicale che esso sprigiona. Si va avanti increduli a quanto nel frattempo sta accadendo nell'impianto stereo. Le atmosfere con "Light Field" si fanno più plumbee, il sound sembra quasi post rock, il sax irrompe nel buio della notte, in un'atmosfera che assomiglia molto più a quella di un lounge bar piuttosto che di un club dove si sta suonando heavy metal. Ma i quattro sembra stiano facendo una jam session, improvvisano musica, sperimentano e io non posso far altro che godere davanti all'eclettismo di questi fantastici musicisti e prendere atto che qui nulla è scontato. Grazie a Dio. Un altro intermezzo soft e arriva "Shooter", e i suoi suoni che sin dai primi secondi presagiscono indubbia follia. Non mi sbaglio, la song è sicuramente irrequieta, basti ascoltare il lavoro dietro alle pelli di Billy Cole, mentre l'ottimo Dan Cutright si prende cura di basso, chitarre e synth, con la ritmica che nel frattempo corre veloce, si ferma e riparte neppure fosse una gara di Formula 1, in una traccia che forse strizza l'occhiolino ai polacchi Riverside, ma che comunque possiede nella seconda metà un piglio quasi psichedelico. Diavolo, ho ascoltato sette brani ma in realtà mi sembra di aver passato nel mio lettore 5-6 cd. Straordinari, anche se il loro eccessivo trasformismo rischia quasi di diventare un'arma a doppio taglio, ossia di non piacere a coloro che non hanno una visione del tutto trasversale della musica. Con me vanno assolutamente a nozze, considerato che la traccia successiva sembra evocare in poco tempo Katatonia, gli ultimi Opeth, e per una manciata di secondi anche Tool, Ne Obliviscaris e Porcupine Tree, e sono certo che se vi metteste anche voi le cuffie a tutto volume,sareste in grado di scovare mille altre influenze, in un disco che ha il grande merito di offrire un cosi vasto spettro musicale che non potrà far altro che colpire anche i vostri pretenziosi sensi. Bella scoperta. (Francesco Scarci)

domenica 9 ottobre 2016

Interview with Malevolentia


Follow this link to know much better the content of the new album 'Repvbliqve' by Malevolentia, the French Symph Black band:

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/in-thick-fogs-of-city-of-lion-motley.html

Heretic - Underdogs of the Underworld

#PER CHI AMA: Punk Rock, Motorhead, Misfits
Il comeback discografico degli olandesi Heretic suona come il più classico "back in time", un vero e proprio tuffo nel passato alla ricerca delle radici del punk, per un disco che scomoda facili paragoni con band del calibro di Motorhead o Misfits. Il quartetto tulipano, che ha celebrato lo scorso anno il ventennale dalla propria fondazione, non è quindi quel che si dice una band di primo pelo, di erba i nostri ne hanno mangiata parecchia, creandosi la propria folta schiera di fan. Io, ahimè, non faccio parte di quella cerchia, però non posso far altro che alzare le mani, apprezzarne l'indubbia professionalità (e genuinità) e sottolineare la prova decorosa che i quattro punkers dei Paesi Bassi ci regalano: trentatré minuti di scorribande affidate a chitarra/basso e batteria, suonate in modo scarno e senza la ricerca di tanti orpelli artistici, su cui si stagliano le rozze vocals di Thomas Goat. Dimenticatevi pertanto synth, tastiere, violini o voci di gentili donzelle che popolano le ultime produzioni metal, 'Underdogs of the Underworld' offre il classico rock'n roll sporco e cattivo, suonato comunque con passione da una band che calca i palchi di tutto il mondo dal lontano 1995. E cosi il quinto album della loro lunga carriera, costellata peraltro da una miriade di split album, sciorina dieci tracce brevi (la durata complessiva è di 33 minuti) ed incazzate, di cui sottolineerei "Black Metal Punks" con il suo spirito thrashettone in un qualche modo vicino a 'Kill'em All' dei Metallica. Ed ancora perché non citare la melmosa "Hellbound Doomslut" o le schegge tipicamente punk di "Nuclear Pussy" e "Bitchfuck", vere e proprie arroganti citazioni di gente tipo Ramones o Sex Pistols. Un'ultima menzione va a "This Angel Bleeds Black", altro pugno nello stomaco, dotato di un peculiare groove. Insomma, se siete in vena di rievocare vecchi tempi ormai andati o di rivivere un'epoca che mai avete vissuto, mettete questo platter nel vostro lettore, infilatevi gli anfibi Dr. Martens e il vostro giubbotto di pelle e lanciatevi nel pogo selvaggio degli "Eretici". (Francesco Scarci)

(Ván Records - 2016)
Voto: 70

https://hereticvanrecords.bandcamp.com/

sabato 8 ottobre 2016

Fjord - Portrait for a Reflection

#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze
Romania, terra di fascino e mistero. Queste qualità si traducono in musica nella delicata essenza dei Fjord, band originaria di Bucarest, dedita ad un elegante post rock strumentale, che merita assolutamente tutta la vostra attenzione. Più volte abbiamo scritto delle difficoltà che si riscontrano nel descrivere un disco post rock e nella facilità di cadere in una ripetitività di fondo nell'uso di parole che possono risuonano banali ai più. Però la fortuna aiuta gli audaci e quindi se proponi tale genere e lo arricchisci con una personalità fuori dal comune, ovvio che si superano tutte le difficoltà del caso e alla fine, anche l'ascoltatore più esigente come il sottoscritto, finisce per lasciarsi guidare dallo spirito mansueto che anima un lavoro cosi fortemente intimista com'è questo 'Portrait for a Reflection'. Un lavoro maturo che si snoda lungo cinque lunghe tracce che fanno breccia nella mia testa già dalle effusioni iniziali di "Stars in an Ocean of Darkess", languido brano dal forte mood malinconico, incorniciato dalle sue minimalistiche chitarre che nel corso della song trovano modo di incupirsi e coprirsi di un manto oscuro, quasi catramoso, travolgendo i miei sensi e riempiendo i miei neuroni, con una iper stimolazione sinaptica. Peccato manchi un cantato, anche solo sussurrato o lamentoso, come accadde invece in "On Icy Shores" nel loro primo album (peraltro ad opera del "nostro Manuel Vicari dei Plateau Sigma), perché a quel punto sarebbe stata la classica ciliegina sulla torta. "There is Life Inside This Sapphire" è la seconda traccia di questo brillante disco, onirica nel suo incedere, una song inserita in una guaina di misticismo ancestrale che evoca suoni lontani, quasi intrisi di magia. "Phoenix" è la terza tappa di questo alchemico viaggio che ci conduce in territori più ruvidi di sonorità che comunque rimangono nell'ambito del post rock, ma che trovano modo anche di percorrere i sentieri astratti dell'ambient e di affini sonorità eteree, quasi shoegaze. E mentre la prima mezz'ora del disco se n'è praticamente andata, arriviamo a "A Breath as a Promise", una song che conferma la tendenza meditabonda del combo rumeno e che comunque regala attimi di quiete e relax, per un finale affidato all'inquietudine di "Island of Commitments", un brano dalla forte vena cinematografica che sancisce la maturità di questi cinque ragazzi di Bucarest che, come scrivevo nelle note introduttive, necessita assolutamente di tutta la vostra attenzione. Sensoriali. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80

Colossus Fall - Hidden into Details

#FOR FANS OF: Post Hardcore, When Icarus Falls, Abenakis
The debut full-length from Swiss post-hardcore rockers Colossus Falls offers a rather engaging if flawed variant on the style which is a loud, raucous affair without much else going for it. This is the loud, stuttering style of post-hardcore that offers up bland, chug-heavy patterns offset with plenty of sprawling riff-work that further drags the pace to a halt and it’s mainly when they drop that extended sprawling sections in their tracks that they really generate some fiery and enthusiastic work here. The riffing becomes bouncy and dynamic in these sections and the livelier tempos give this a stylish series of drum-work that brings the tempo back up significantly, but those other pieces here just really make this one quite a bland effort overall. Opener ‘Rise of Adrenaline’ features tight and frantic riff-work with plenty of tough, jangly riffing and scattered, schizophrenic patterns that creates a series of frantic and urgent rhythms leading into the blistering finale for a strong opener. Both ‘The Errorist’ and ‘Visions of Inhumanity’ go for extended swirling sprawling sections and a rather dragging, droning pace that rumbles along with a few rather energetic bits with plenty of vicious rhythms and pounding patterns that are dropped for favoring the droning bits here leaving these quite bland overall. ‘Bullseyes’ packs more of an energetic rhythm into a loud, raucous series of riffing with a stuttering pace and plenty of frantic paces that drop off in favor of rather bland post-rock sprawling before bringing the clanging rock back in favor for the album’s highlight. ‘Disgusting Secrets’ is a series of dinkly acoustic trinkling that carries on the light melodies with the heavier chugging coming into play with the final half as a pretty bland effort overall. ‘Kabuki - 歌舞伎’ offers some rather tight chugging and plenty of swirling rhythms that bring about a rather dynamic charge that works rather well leading into the heavier sprawling for the finish for a fine if quite too short effort. ‘(We were) Gatekeepers’ features plenty of strong swirling riffing and a rather strong swirling series of groove-based chugging that brings along the sprawling swirling here that leads into the stuttering finish for a rather enjoyable effort. ‘Nonversation’ plods along with light chugging and frantic pounding that really works along a series of frantic chugging with plenty of rather chaotic drumming alongside the rumbling riffing that leads into the final half for a solid enough effort. Finally, album-closer ‘F.A.T.’ takes straightforward swirling chugging and atmospheric sprawling into a stuttering series of rhythmic chugging that features the endless patterns churning along throughout into the clanking finale for a lackluster finish. On the whole, it’s not terrible but it does have some troubling factors involved. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 65

venerdì 7 ottobre 2016

Higher Than - Purgatory Airlines

#PER CHI AMA: Hard Rock
Gli Higher Than sono un quintetto parigino di recente formazione nato, come spesso accade, dalle ceneri di un'altra band che vedeva coinvolti alcuni dei musicisti in questione. 'Purgatory Airlines' è il loro album di debutto, tredici brani di puro hard rock che trasuda stile e suoni anni '80-90, arricchito da samples e qualche linea di synth sparsa qua e là. Sulla scia del titolo, la band ha incentrato grafica, testi e foto a tema aeronautico, quasi a voler sentirsi come gli Iron Maiden con il loro gioiello Ed Force One. Idea carina, con la giusta dose di teschi e angeli a completare l'appeal arcano e mortuario. Ma passiamo alla musica e buttiamoci a capofitto nell'ascolto di questo lavoro. Quando menzionavo Iron Maiden, la similitudine era abbastanza azzeccata, i brani ricordano icone come Judas Priest, Motley Crue e Skid Row. Ritmiche veloci, distorsioni compatte e vocalist dalla timbrica squillante completano il format, un prodotto fuori dal tempo considerando il trend musicale di questi tempi. "Broken Tales" è il perfetto riassunto di quanto appena detto, un brano veloce e carico, con un susseguirsi frenetico di riff, acuti e cori che ci fanno venir voglia di tirare fuori i vecchi gilet di jeans tappezzati di patch storiche. La perfetta colonna sonora di un vecchio film pieno di chopper e belle donzelle scosciate che ti attirano languidamente dondolandoti davanti agli occhi una bella bottiglia di Jack Daniel's. Un concentrato di testosterone che si mischia a qualche accrocco moderno, infatti i samples trovano si spazio, ma non riescono ad emergere e sembrano degli orpelli messi a forza su una struttura ben fatta. La title track cambia leggermente rotta, con distorsione più moderne, arrangiamenti meno vintage, ma sempre con un feeling che richiama l'hard rock dei tempi d'oro. La progressione musicale si sposta sullo stile dei Def Leppard con una sfumatura di malinconia, come se il viaggio verso il purgatorio non sia proprio in business class. La ballad che gli Higher Than includono in questo full length è "Near & Far", un'ottima prova con chitarra acustica ad ottimi livelli, quasi a voler bissare una hit come "More Than Words" degli Extreme. L'aggancio alla parte elettrica arriva comunque presto, con tanto di aggiunta di archi a pompare ancora di più il pezzo. Il resto dei brani si conferma ben equilibrato a testimoniare che la band padroneggia il sacro fuoco del rock e non ha paura di confrontarsi con le molte band che li hanno preceduti e le poche che continuano su questo filone. E hanno ragione, 'Purgatory Airlines' alla fine è un buon album che non ha grossi difetti se lo si assapora con la voglia di ascoltare un classico del genere. Vista la voglia di introdurre elementi moderni come synth e loop vari, se i nostri credono in questo approccio per svecchiare la loro musica, allora è meglio impegnarsi di più e tirar fuori soluzioni più convincenti. (Michele Montanari)

giovedì 6 ottobre 2016

Radar Men From the Moon - Subversive II: Splendor of the Wicked

#PER CHI AMA: Psych Rock, Kraut Rock, Amon Düül II, Gond, Can
Questo non è un disco, è un’esperienza musicale. Gli olandesi Radar Men From The Moon (che definiscono il loro genere ‘psych-house’) confezionano un lavoro splendido, sospeso tra kraut-rock, psichedelia ed elettronica strumentale. Ipnotico, ossessivo, straordinariamente ritmico pur nella sua capacità di costruire mondi lontani. Un disco che, sparato a tutto volume in cuffia, vi farà dimenticare dove siete, che giorno sia e persino come vi chiamate. L’opening “You Filled The House With Merciless Sand” è esattamente l’inizio che ti aspetti: una lunga introduzione di synth che respirano fuori dal tempo, fino all’improvvisa apertura electro-rock dal sapore vagamente retrò – sembrano i Can che suonano con la strumentazione dei Depeche Mode. Basso e batteria guidano incessantemente il passo anche in “Splendor Of The Wicked”, dove i RMFTM dimostrano di non disdegnare una pesante post-produzione dei suoni. Gli oltre 11 minuti della traccia fanno girare la testa annebbiando i sensi tra bassi distorti, batterie oscure, synth dissonanti e la fortissima sensazione di ascoltare un disco dub digerito dagli Amon Düül II. “Masked Disobedience” viaggia veloce, retta da un arpeggio di synth indovinatissimo su cui basso, chitarra e batteria riempiono ogni battuta disponibile. È qui che ci si accorge che i RMFTM non si limitano a ripetere riff e pattern, ma aggiungono variabili ad ogni battuta: un colpo di charleston in più, una nota di passaggio, un accento più vigoroso. Straordinari. L’andamento apparentemente marziale di “Rapture” è la scusa per costruire una canzone assai più poetica, con lunghe code di strings e morbidi synth dallo spazio. Chiude “Translucent Concrete”, con la sua ritmica decostruita e scomposta – persino industrial nei suoni meccanici e potenti – che nasconde atmosfere rarefatte sullo sfondo e prosegue mesmerizzante fino all’esplosione finale. Questo 'Subversive II' (che arriva, ovviamente, dopo un 'Subversive I' del 2015 e 'Decadence' dello scorso aprile) è un disco maturo, difficile, ipnotico: una perla nell’universo talvolta sempre uguale a se stesso della musica di oggi. È il tentativo di smontare e rimontare la concezione di un gruppo e della musica stessa, rimuovendo l’idea di una forma canzone preconfezionata, e pescando a piene mani da un passato (quello del kraut-rock, della psichedelia suonata) che ha ancora moltissimo da offrire – per poi ripresentarlo, rinnovato e contemporaneo. (Stefano Torregrossa)

Voto: 85

Arriva questa volta da Eindhoven la proposta che non ti aspetti, dalla band dal nome atipico e dalla copertina alquanto psichedelica. Signori, questi sono i Radar Men From the Moon (RMFTM) e 'Subversive II: Splendor of the Wicked' dovrebbe essere addirittura il quinto lavoro dal 2011 a oggi, mica male per questi ipnotici ragazzi olandesi, che devono aver scritto questo disco sotto strani influssi psicotropi. Il lavoro, che fa parte di una trilogia di suoni mossi ad esplorare, destrutturare e capovolgere il processo creativo, consta di cinque brani dalle durate importanti, che apre con l'ambient di "You Filled The House With Merciless Sand". Dopo un approccio, forse un po' troppo prolisso di synth, il quartetto tulipano attacca con un rifferama compatto che fa della ripetitività delle sue ritmiche il punto focale del proprio sound, in quell'incedere tipico del kraut-rock che ha portato a coniare il termine "motorik" per descrivere i tempi in 4/4 utilizzati. E la ridondanza di suoni è la caratteristica di fondo su cui poggiano i RMFTM come rettificato anche nella seconda "Splendor of the Wicked". L'effetto ottenuto? Potete immaginarlo voi stessi, angosciante; sembra quasi essersi calati un qualche trip e camminare in una disco con fastidiose luci stroboscopiche, a volumi disumani in mezzo ad una calca di gente, e in tutto questo macello non capirci davvero un cazzo. Delirante, non c'è che dire, le influenze IDM, EBM, minimal, si fanno sentire e conducono pericolosamente ad effetti indesiderati per la psiche, per cui dovrebbe essere messo un warning bello grosso sulla copertina del disco perché la proposta di questi folli, rischia di nuocere seriamente alla salute mentale. Ubriacato da questa serie di suoni che hanno perso del tutto la loro vena rock per far posto a quella elettronica, riesco ad arrivare incredibilmente all'ascolto della terza disturbante "Masked Disobedience", che mostra quasi un approccio post punk iniziale prima di orientarsi a nuove fughe lisergiche annienta neuroni. Ripetitivi fino alla morte, per lo meno in questo caso la band si limita a soli sei minuti di suoni ubriacanti; cercate di non ascoltarli in auto, se foste astemi, rischiereste di farvi trovare positivi dalla polizia al controllo del vostro tasso alcolemico. "Rapture" ci dà forse il colpo di grazia con un sound tribale, sciamanico, che ci conduce al centro della pista e ci lancia in un ballo in pura trance ipnotica, crivellati dai colpi penetranti di questi quattro criminali. Industrial, campionamenti vari, noise vanno a fondersi nell'ultima "Translucent Concrete", l'ultima tappa danzereccia di un pauroso viaggio, da cui sarà difficile fare ritorno. Pericolosi. (Francesco Scarci)

mercoledì 5 ottobre 2016

Mountain - Evolve

#PER CHI AMA: Post/Math Rock, Russian Circle
Si fa oggettivamente sempre più fatica a parlare di un disco post rock, lo scrive anche il mio collega nella recensione dei Compass & Knife, "difficile scrivere qualcosa di nuovo che già non sia stato detto". È vero, bisogna solo sperare che la band sotto la lente d'ingrandimento, regali nuovi spunti su cui costruire le fondamenta di una recensione accattivante che ne induca l'acquisto. Direi che gli austriaci Mountain, con il loro primo album 'Evolve', accorrono in mio aiuto, offrendo una release non proprio cosi scontata in termini contenutistici (anche in quelli estetici della cover cd e del booklet, a cura di Andi Rensen Aguion, in arte StillaKid). Sicuramente stiamo parlando di sonorità post rock, avvolte qui da un'aurea plumbea e solenne, che si dilettano nella lunga opening track, "Hawking", a dipingere atmosfere ariose, quasi d'alta montagna, contrapposte a traccianti di basso pulsante che rendono il tutto più fosco, come se la nebbia andasse ad avvolgere quelle montagne che stavamo poc'anzi immaginando, rendendo la temperatura decisamente più bassa e più difficile acclimatarsi al sound ostico dei nostri. Il tutto in un'alternanza ritmica che punteggia l'intero album: passando infatti alla seconda "Stugor", si resta inebetiti dinanzi all'incedere onirico delle chitarre, a tratti addirittura eteree, prima che il riffing del quintetto di Villach, si snoccioli in un qualcosa di più aggressivo, che per intensità sembra richiamare i Russian Circle. "Verminest" (chissà se il riferimento va all'arcade game in bianco e nero uscito qualche anno addietro) fa ancora dell'alternanza tra frangenti ambient e scariche elettriche, la caratteristica vincente del combo austriaco. Sicuramente starete pensando che non sto descrivendo nulla di cosi originale per cui valga la pena dare una chance a questo disco, invece devo dissentire, perché proprio con "Deeds, Grammar and What You Make of It", la band sembra percorrere strane alternative che puntano dritte al math rock. Il riffing si fa ancor più pesante e claustrofobico nella parte iniziale di "Ahram", dove accanto a quei chitarroni nefasti in stile Isis, si collocano anche synth carichi di groove che rendono la proposta dei Mountain più facile da digerire. Però i cambi di tempo contribuiscono ad una certa varietà della song, che nei suoi quasi nove minuti alterna umori, atmosfere ed emozioni, come se stessimo facendo un viaggio in treno, e guardando dal finestrino, si avvicendino diversi paesaggi, dal più esotico, al più desolato e gelido. Qualche campionamento vocale (estratto da "The Cure of Troy", un riadattamento di 'Filottete' di Sofocle, qui scritto e letto da Seamus Heaney; e da "Alone" di Edgar Allan Poe, letto da Tom O’Bedlam) ed è il turno di "Savage Landor", delicata song, dal flavour tipicamente post rock che ci accompagnerà fino alla fine insieme a "Mondo Kane" (un chiaro riferimento al film documentario del '62?). Insomma, 'Evolve' è un disco intelligente e acculturato, che merita soltanto il superamento della vostra titubanza iniziale per dargli un approfondito ascolto. (Francesco Scarci)

(Shunu Records - 2016)
Voto: 75

https://mountainband.bandcamp.com/album/evolve

lunedì 3 ottobre 2016

Scann-Tec - Unyt

#PER CHI AMA: Ambient, Electrowave, Minimal
Vladislav Isaev è un talentuoso compositore e musicista, scultore del suono attivo sin dal lontano 1996. L'ultimo lavoro a nome SCANN – TEC, uscito sotto le ali protettrici della Ultimae Records mostra tutta l'esperienza maturata dalle precedenti produzioni, le innumerevoli creazioni, partecipazioni ed invenzioni sonore dell'artista elettronico russo, compreso la sua esperienza in ambito di soundtrack televisive e l'importante collaborazione con la gloriosa The Future Sound of London. Autore di un mix intramontabile che spazia tra ambient, electrowave, minimal electronic e psichedelia digitale fredda e post moderna, l'artista russo offre la sua opera in una curatissima confezione digipack, affascinante e preziosa, in puro e unico stile Ultimae (disponibile anche in versione digitale a 24 bit sulla pagina bandcamp). La musica, orchestrata tra pulsioni analogiche e prodezze digitali, s'incarica di trasportare l'ascoltatore verso viaggi sensoriali, al confine tra musica new age e chill out che si assottiglia aprendo un mondo di magia carico di mille colori vividi e radiosi, illusioni percettive leggere e sfuggenti al tocco, come il brano che presta il nome alla raccolta, "Unyt", song piena di corposa fisicità al silicone e malinconia da lounge bar per poeti maledetti dell'iperspazio sconfinato. Trama cinematica ed arborea fluorescenza per la successiva "Quantum Evo", con la sua stratificazione di percussioni minimali, la cadenza al limite del dub e una coda da ipnosi assicurata. Il viaggio continua e l'effetto è garantito, costante e sicuro, tanto è alta la qualità della produzione e della scrittura dei brani. Una musica dotata di forza cibernetica, fluidità sonora, complessità e ricerca ritmica peculiare. Soventi sono le geniali introduzioni di parti psichedeliche, come l'ingresso di una chitarra sfuggente ed astratta che si eleva in "Ne Viden", ripercorrendo le opere notturne dei Bark Psychosis, epoca 'Hex'. Ambient music dicevamo, nello stile di Digiseeds, come concetto espressivo e coinvolgimento emotivo senza mai dimenticare il piacere dell'ascolto e dell'orecchiabilità, frutto di brani intensi ma mai oscuri, allucinazioni controllate e volte ad un benefico bagno nell'infinito ("Svet"). Cristallina ed evanescente musica d'ascolto, mutuata da un'infinità di rumori e suoni sparsi tra i solchi di bassi profondissimi e droni cosmici ("Kilnostat"), di cui Vladislav Isaev, con le sue intuizioni sonore, è degno portavoce e bravo compositore. "Parsec" è quasi una versione ambient, eterea e rarefatta degli Ozryc Tentacles più languidi. Irreali e futuriste, impalpabili ed avvolgenti, queste tracce, venute direttamente dall'iperspazio, vi lasceranno senza fiato, con le pupille dilatate a forza, paralizzati ad esplorare orizzonti sconosciuti, sofisticati e senza tempo. Fatevi trasportare e non ve ne pentirete! (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2016)
Voto: 80

https://ultimae.bandcamp.com/album/unyt-24bit

domenica 2 ottobre 2016

Johansson and Speckmann - Mask of the Treacherous

#FOR FANS OF: Old-School Death Metal, Paganizer, Revolting, Master
International death metal collaboration Johansson and Speckmann are certainly putting their collective might together in this project that brings the two luminaries together once again for a spectacular assault of old-school death metal. As befits the status of the men involved here, this is their usually simplistic and overly primitive-styled mixture of straightforward death metal augmented with strong thrashing overtones. This utterly simplistic and not all that varied music within here allows it either to be a rather tight and ferocious charge swirling with mid-tempo agonized riffing and plodding paces or generates a crunchy thrash-laden series of rhythms that offer up some rather frantic and blistering efforts, and it really sounds like a full-on mixture of both artists’ main groups. While there’s plenty of rather enjoyable work here because of that, it tends to run itself into quite predictable realms because it’s all about letting their main bands come together in one area without much deviation and it does crop up as something within this one. Still, it’s got plenty to really like here in other regards. The opening title track uses tight, crunchy riffing and plenty of ravenous rhythms bouncing along to the straightforward patterns that keep the thrashing elements present during the charge into the final half for a solid and enjoyable opening effort. ‘Inhuman Lust’ has a light intro that turns into a thrashing mid-tempo assault of blistering riffing and tight drumming that switches between mid-tempo pummeling and ravenous straightforward patterns that leads into the swarming leads in the final half for another solid and enjoyable effort. ‘Through the Filth and Riddled Ages’ features a swirling mid-tempo groove fitted with plenty of heavy chugging with a plodding mid-tempo backing up the straightforward, simplistic patterns as the heavy thumping patterns carry on into the final half for a fine highlight offering. Both ‘The Wicked Marches On’ and ‘The Bringer of Pain’ take on strong and blistering rhythms with plenty of furious and strong rhythms backing into the frenzied riff-work that thrashes along throughout here with rather frantic abandon while incorporating plenty of epic melodies in the final half for fine highlights. ‘I'll End Your Rotten Life’ also uses the frenzied swirling riffing and blasting drumming while offering more of a mid-tempo crunch in the rhythms leading into the series of tight patterns throughout the final half for a rather enjoyable offering. ‘Within Reach’ offers strong blasting and frantic riffing that brings along the utter ferocity and intensity throughout here with plenty of tight, ripping riff-work that flows along to the speed-driven thrashing of the finale for a rather ripping effort. ‘Enslaved in Filth’ uses more tight and ripping rhythms that come along with plenty of stuttering crunchy patterns in the riff-work that really works into a strong blistering charge throughout the frenzied final half for a solid, blistering effort. Lastly, album-closer ‘A Grave for This World’ features thumping mid-tempo swirling patterns and plenty of agonized churning riffing that charges along through the rather tight, twisting rhythms that generates the kind of ravenous intensity that carries along throughout the final half which gives this some great work to go out on. This really furthers their collaboration quite well. (Don Anelli)

Chiral - Gazing Light Eternity

#PER CHI AMA: Epic Post Black/Folk, Agalloch, Burzum
I Chiral li abbiamo incontrati la prima volta lo scorso anno quando recensii 'Night Sky', opera seconda di Teo Chiral, mastermind piacentino che si cela dietro a questo progetto. Attirata l'attenzione della cinese Pest Productions che ne ha ristampato quel cd, il musicista emiliano si è rimesso al lavoro, con l'intenzione di dare un seguito ancor più maturo a quel disco, già di per sé assai buono. Le coordinate stilistiche su cui si muove Mr. Chiral si confermano quelle del black metal emozionale, costituito da lunghe cavalcate di black melodico interrotto da break acustici e d'ambiente. Il tutto è immediatamente confermato dalla spettacolarità della opening track, "Part I (The Gazer)", una epopea di quasi quindici minuti, in cui l'alternanza tra sonorità mid-tempo e sfuriate post black, delineano egregiamente la proposta dell'act italico. Ampio spazio viene affidato all'ambito strumentale e alle galoppate in cui si insinuano quei richiami folk/ambient che già avevamo sottolineato in passato e che in un qualche modo evocano gli Agalloch più agresti ma anche le cose più epiche dei Burzum. La progressione sonora c'è e si sente nei solchi di questo nuovo lavoro, testimoniato anche da una maggior vena sperimentale che in "Part II (The Haze)", mette in scena un sogno ad occhi aperti grazie a suoni onirici su cui si installa prima un dialogo tra un uomo e una donna e poi uno spoken word su un'eterea chitarra acustica, che rende il tutto più surreale. La giusta pausa (di oltre sei minuti) che prepara all'ascolto di "Part III (The Crown)", ancora una lunga suite di oltre tredici minuti, in cui il bravo Teo ripropone il suo tipico sound estremo ma atmosferico, permeato da una forte componente depressive che si evince dai suoni glaciali delle chitarre e da un cantato inizialmente sussurrato, che da li a poco tramuterà nel caratteristico screaming del frontman. Il riffing si conferma lineare e senza esagerati sussulti almeno per i primi cinque minuti, in cui i soli synth garantiscono quei giusti ricami a completamento del tutto. Le ritmiche poi lentamente si ingrossano e la sensazione è la classica "quiete prima della tempesta", tempesta che comunque tarda ad arrivare, perché nel frattempo è una certa coralità di fondo a riempire lo spazio e il tempo in questa ispiratissima traccia che trova modo di regalare brividi di piacere nel suo ipnotico svolgimento ancestrale. La tanto agognata furia black divampa a due minuti dalla fine con una serratissima ritmica (da rivedere ancora il drumming e i volumi delle chitarre) in un dinamico finale melodico. 'Gazing Light Eternity' chiude i battenti con i sei minuti del suo quarto capitolo, "Part IV (The Hourglass)", un pezzo noise in grado di concederci gli ultimi attimi di magia di questo nuovo episodio della saga Chiral. Ben fatto! (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80

https://chiral27.bandcamp.com/

Psykokondriak - Gloomy Days

#PER CHI AMA: Rap Rock, Rage Against the Machine
In passato diverse band hanno saputo fondere rock ed hip pop con risultati interessanti e su quest'onda, i Psykokondriak o P3K, hanno pensato bene di lanciarsi nella loro avventura musicale, iniziata all'incirca nel 2012, quando produssero il loro primo EP 'Hopital PsyKotrip'. Questo 'Gloomy Days' è un album che contiene dieci tracce, avvolte dal classico cd sleeve cartonato dalla grafica dark-comics. Mi sono lasciato trasportare dalla musica del sestetto francese (originario di Lille) dove è evidente il loro amore spassionato per RATM, Run DMC e Beastie Boys. Una band nata per far ballare la gente nei club o ai festival, mentre i due vocalist si divertono con il loro free style (molto ben fatto), accompagnati dalla tradizionale line-up chitarra/basso/batteria e un Dj. Le vagonate di funky arrivano con "The Fine Art of Terror" con un'intro azzeccata e ballerina, mentre le doppia voce rincara la dose e lo scratch impazzito è un buon sostituto degli assoli alla Tony Morello. La struttura del pezzo è classica, ben dosata e piacevole da ascoltare con allunghi ed esplosioni al punto giusto per trascinare l'ascoltatore. L'intro all'album " Introducing the Body Boys" è in pieno Beastie Boys style al 100%, con quella musicalità tipicamente West coast degli anni 80/90. Settantacinque secondi al top, ben rappresentati da una qualità sonora di registrazione, missaggio e mastering degna di una band ben avviata a livello di carriera. Andando avanti con i pezzi, approdiamo a titoli come "Think it up" dal freestyle roboante e "Hot Day, Hotter Night", più rilassata all'inizio, ma pronta ad esplodere a suon di riff veloci e graffianti. Il suono della chitarra è perfetto per il genere dei P3K, potente il giusto, senza cadere in sonorità troppo pesanti che avrebbero estraniato il genere, giusta anche la sezione effetti che va dal wah-wah, flanger/phaser e quant'altro. L'aggiunta del Dj poi alla formazione permette alla band di essere d'impatto anche durante i loro live show, aspetto non da sottovalutare per un gruppo che vive per suonare davanti ad una folla scatenata. Come per i RATM, basso e batteria sono fondamentali per costruire la spina dorsale dei brani, soprattutto quando la chitarra lascia volentieri spazio alla sezione ritmica, capendo che a volte è meglio togliere che aggiungere. Finalmente qualcuno ha capito come sfruttare questa potente arma compositiva. Fantastica infine l'outro elettronico che chiude questo ottimo 'Gloomy Days', un disco ben fatto e di qualità che spicca tra le produzioni rap/rock e affini al momento disponibili sul mercato. Da tenere sott'occhio. (Michele Montanari)