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mercoledì 27 giugno 2012

Shroud Of Distress - Be Happy

#PER CHI AMA: Depressive Black, Hypothermia, Lifelover, Shining
Mmm. Un disco apparentemente depressive. Son contento. Adesso l’ascolto e vi do le mie impressioni anche se l'artwork non mi convince molto, troppo moderno. Oppure sarà il font e il titolo che mi condizionano. Sì, probabilmente è il font, ma è meglio se passo alla musica altrimenti resto a fare un monologo su quanto e cosa mi piace delle copertine. Badilate di oscurità in questa prima pubblicazione dei Shroud Of Distress. Cari blacksters e doomsters, tutto il disagio che cercate lo potrete felicemente trovare in queste quattro tracce dei nostri cari amici tedeschi. Mi trovo davanti un album molto malinconico, reso ancora più triste da dialoghi e riprese di suoni d'ambiente. La voce non canta in scream ma urla disperatamente nello stile che ha caratterizzato i Lifelover, i pattern di batteria non molto originali ma sempre azzeccati, passando da furiosi blast beat a tranquilli midtempo, mentre le chitarre sono caratterizzate da un classico grezzo distorto che vira al pulito nelle parti più melanconiche, riuscendo a deprimere ogni singolo istante di questa release. Le tracce scorrono piacevolmente durante i 33 minuti, senza grandi stravolgimenti; il gruppo non possiede infatti molta originalità, nonostante ciò si riesce a captare lo spirito oscuro delle composizioni, grazie ad una produzione per niente perfetta, certe parti non livellate a dovere e una registrazione scarna e mancante di compattezza. Un EP più che decente, contenente anche una traccia nascosta, che spero non troviate, mai. (Kent)

(Pest Production)
Voto: 65

sabato 2 giugno 2012

Hinsidig - Bak Og Forbi...

#PER CHI AMA: Black/Doom, Summoning, Nortt, Wolves In The Throne Room
Mi capita tra le mani il primo demo (anche se della durata di ben 33 minuti) degli Hinsidig, e vedendo la lugubre copertina, tipica dell'allegria che riscontriamo nel black e nel doom, gioisco pensando al nuovo ascolto, sperando vivamente che questa release mi possa soddisfare. Subito ad accoglierci in “Intro – Euforisk Depresjon” è un solitario coro che ci fa strada tra le nebbie in un incontaminato scenario montuoso, poco dopo siamo raggiunti da una spettrale chitarra e una base di tastiera che ci accompagneranno fino al termine della canzone. Un urlo squarcia il sacro silenzio delle foreste, immergendoci in “Livets Slos”, brano che alterna lenti e malinconici movimenti a sfuriate simili ai primi Ulver. Con lo stesso stampo “Bak Livets Forheng” e “Gudsforlatt” continuano la prima release del trio teuto-norvegese. I riff in alcuni campi sono più oscuri, più tipicamente anni '90, ma il gruppo non si lascia trasportare eccessivamente dalla vecchia scuola e riesce a trovare la combinazione essenziale per non far skippare la traccia all'ascoltatore, grazie anche all'occasionale ritrovamento dei cori e delle tastiere che ci avevano guidato nel mondo degli Hinsidig. “Outro - De Siste Dager Mot Ragnarok (Part III)” chiude questo debut con un monologo accompagnato da strazianti urla in sottofondo, che in certi casi coprono anche la narrazione. Molto interessante e godibile il gioco promosso dai pattern di batteria perché essi donano alle tracce quel segno distintivo che non le fa precipitare nella monotonia. D'altro canto invece trovo assolutamente fastidiosa la repentina e prematura fine delle canzoni, mutate in tronco senza un minimo di dissolvenza o di continuità. Gli Hindisig non sono degli innovatori del genere ma hanno tutte le potenzialità per creare delle valide opere Atmospheric Black, spero che mi giunga il loro primo full-lenght sperando in una loro notevole maturazione. (Kent)

(Pest Productions)
Voto: 75
 

sabato 26 maggio 2012

Permixtio/Ethere - Split Cd

#PER CHI AMA: Black/Ambient, Burzum, All the Cold
La più classica delle melodie da carillon, contribuisce a farmi sprofondare in un profondo sonno da cui non so se riuscirò mai più a far ritorno. Questo è l’intro affidato alla nuova release dei Permixtio, qui accompagnati dagli Ethere, in uno split cd da 5 pezzi. Si apre immediatamente con “Epidemia” (un nome, un programma) che odora decisamente di putrefazione, prima di sprigionare tutta la propria malvagità nella efferata sezione ritmica, disperata e malata, come solo il buon vecchio Conte Grisnack, era in grado di fare. I Permixtio, one man band guidata da Umbra, chitarrista degli Strix (qui affiancato da Chimsicrin alla batteria), si abbandonano ad un suicidal depressive black metal, che basa i propri suoni sulla malinconia delle chitarre quando esposte in chiave acustica, mentre nei momenti più incazzati, è il classico stridore zanzaroso delle chitarre in stile norvegese a reggere il palco. “Melancolia in Requie” è un uggioso intermezzo acustico prima di “Innalzamento Divino”, una tetra e ossessiva song mid-tempo di chiara matrice old school, in cui accanto al tipico graffiante screaming, Umbra si cimenta anche con un evocativo cantato pulito. Interessante ma siamo ancora in una forma embrionale di un sound che lascia ben intravedere ottime potenzialità per il futuro. La palla passa agli Ethere e al vento d’inverno che soffia e apre “Ode all’Inverno”. Sicuramente complice la posizione montana, Belluno, al pari della Norvegia deve essere influenzata dalla magia di boschi o montagne. La prima song del factotum Ethere, mi proietta nel passato di quasi una ventina d’anni quando uscì “For All Tid” dei Dimmu Borgir, ma anche nelle due tracce della seconda one man band, è presente più che mai l’essenza di Burzum. A differenza dei Permixtio, qui non ci troviamo di fronte a ritmiche tirate o comunque grondanti satanica malvagità, ma l’aura che avvolge la proposta degli Ethere, è decisamente più atmosferica e rilassante, comunque carica di nefaste emozioni (splendida "Lux Eterna"). Sebbene questo split cd non aggiunga nulla di nuovo ad una scena più che mai fiorente di simili sonorità, mi sento comunque di consigliare l’ascolto di queste due nuove inquietanti entità dell’underground black metal italico. (Francesco Scarci)

(Novecento Produzioni)
Voto: 70

sabato 19 maggio 2012

Blutklinge - Ahnengeist

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Nargaroth
Questa è una radicale vendetta contro tutte le forme corrotte della civiltà moderna. Otto tracce che si addentrano nel dolore musicale più assoluto, una nenia di maledetta sofferenza che batte al posto del cuore. “Ahnengeist” è spirito indomito, è solitudine estrema, è trovarsi nel mezzo di una folla e urlare l’assenza completa di ogni emozione. “Ahnengeist” è lo stadio finale del suicide-depressive black metal, la porta verso l’annullamento totale del proprio io. Sono sicuro che Nietzsche sarebbe stato felice di poterlo ascoltare. Questa demo del 2006 è l’apogeo di un metal pervaso da un decadente senso di abbandono, avvolto da melodie che integrano vere e proprie ballate black in un ricordo lontano del Nargaroth di “Black Metal ist Krieg”. “Einklang” e “Ausklang” sono le tracce che aprono e chiudono rispettivamente dei monoliti di potenza sonora. Corrodono con una poesia densa di elementi ambient, che pare scontrarsi con l’antitesi violenta delle altre sei opere che custodiscono gelosamente. Si passa da veloci andamenti old school norvegesi (“The Fires of War are Burning”) a melodie ‘spiritual-slow’ inserite in momenti topici di precise canzoni (“Depression of a Doomed” e la crepuscolare “Das Sterben der Ewigkeit”). Nel complesso, lo stile Blutklinge presenta elementi caratteristici facilmente riconoscibili. Dominano incontrastate le chitarre a zanzara, che personalmente amo alla follia, e una batteria dalla registrazione meno cupa del solito. Notevole l’effetto dai cambiamenti di tempo che viene interpretato da piatti e doppia cassa in sincrono (ricordate i Darkthrone degli albori?). La voce è una sofferenza trucida. Senza testo sottomano non sono riuscito a comprendere nemmeno una singola parola, tenendo conto che il cantato è quasi totalmente in tedesco. Tuttavia, se pensate ad una voce alla Steve Austin siete sulla strada sbagliata. Queste corde vocali sono black metal al 100%, è esclusivamente la registrazione che le modifica, le assimila alla stessa distorsione a zanzara delle sei corde. Mi sento male quando devo descrivere magnificenze come “Ahnengeist”. È l’assoluta perfezione di ciò che cerco nella musica, l’Araldo del sentimento di abbandono universale. Quando sono stato in procinto di ascoltare la quinta traccia, “Ragnarök”, mi sono reso conto, con estremo stupore, che l’agonia che avevo nel cuore non era nulla in confronto al dolore di chi aveva scritto quella canzone. Nessuna indecisione. (Damiano Benato)

(Wunjo Kunstschmiede Germanien)
Voto: 100

martedì 1 maggio 2012

Deadly Carnage - Sentiero II: Ceneri

#PER CHI AMA: Black Depressive, Shining
La malvagità intrinseca di questo lavoro, mi ha tenuto decisamente incollato nell’ascolto della seconda release degli italiani Deadly Carnage, un concentrato di black metal malato, selvaggio e feroce, che si rifà, senza ombra di dubbio, alla tradizione nordica, ma comunque con un estro riconducibile alla scuola italica. Già la opening track, “Guilt of Discipline”, conferma le mie parole, offrendo un corrosivo e corroborante esempio di musica nera, che trova espressioni di somma eleganza, nei suoi assoli e nelle parti più depressive, che permette all’act romagnolo di trovare una propria strada nell’intricato panorama estremo; le ritmiche serrate del brano infatti, mi avevano fatto temere il peggio, ma poi appunto quell’estro, di cui sopra, permette al quintetto italico, di esprimere la propria personalità. Anche la seconda “Parallels” offre spunti interessanti, per il desiderio dei nostri di spingersi verso lidi più atmosferici nei meandri estremi del black doom, accompagnati da una sofferente quanto mai diabolica voce, che alcuni di voi, vorranno equiparare a quella del leader degli Shining. Il paragone con la band svedese ci potrebbe anche stare, soprattutto quando la band si lancia in aperture più melodiche o drammatiche, mentre non ho trovato cosi piacevoli le parti in cui i nostri abbandonano il black, per far posto a scorribande che puzzano di death metal. L’abilità dei Deadly Carnage risiede comunque nell’alternare parossistiche sfuriate di suoni infernali con piacevoli parti arpeggiate (e il finale di “Parallels” ne è un palese e riuscitissimo esempio), cosi come pure da sottolineare l’eccezionale prova del vocalist nel mutare il proprio registro vocale: growl, blackish, lamentoso, sofferente, sussurrato o pulito (dell’ultima traccia). “Epitaph Part I” devo ammettere non mi è piaciuta granché, per quel suo incedere un po’ piatto e inconcludente; nella sua evoluzione e successiva “Epitaph Part II”, i nostri faticano nel ritrovare la verve che ha contraddistinto le prime due roboanti song. Il finale della seconda parte, fortunatamente, dà modo al combo riminese di ritornare a mostrare fiero il proprio valore. Glaciali alfieri del black oscuro made in Italy, in compagnia dei Frostmoon Eclipse, i Deadly Carnage regalano un altro interessantissimo pezzo, “Growth and New Gods”, esempio di furia evocativa che esplica tutta la propria genialità nel malinconico intermezzo acustico frammisto ad uno straziante solo, che innalza ancora una volta (e di molto), il livello qualitativo di un disco che, forse ha il solo difetto di non mostrare una certa costanza di fondo a livello musicale, perdendosi talvolta più nel desiderio di devastare l’ascoltatore con la sua irruenza, piuttosto che guadagnarne l’attenzione con una proposta davvero originale. A chiudere l’album ci pensa la paranoica “Ceneri”, song cantata in italiano, che sembra trarre ispirazione dai Canaan. “Sentiero II: Ceneri” avrebbe anche meritato di più, se avesse dato meno spazio ad una violenza (death o black che sia) talvolta solo fine a se stessa. Li vorrei pertanto risentire con il terzo e solitamente decisivo lavoro, speranzoso che le asperità di questa release, vengano del tutto limate. Dal sicuro avvenire, se prenderanno le distanze da suoni triti e ritriti. (Francesco Scarci)

(De Tenebrarum Principio)
Voto: 70

martedì 4 ottobre 2011

TOBC - Heart of Darkness

#PER CHI AMA: Black Depressive, Burzum
La politica della Kunsthauch Production deve sicuramente viaggiare su due imprescindibili presupposti: il primo è che ogni band deve essere formata da un solo membro che suona tutti gli strumenti; la seconda è che la fonte di ispirazione deve essere assolutamente quella del sempre verde Burzum. I polacchi TOBC, nome quanto mai brutto, dietro al quale si cela il polistrumentista Dominicus, rispettano fedelmente i paradigmi voluti dalla label russa e rilasciano il debutto “Heart of Darkness”. Introduzione affidata a delle spettrali tastiere che non possono non richiamare alla mente, la band del rinato Conte e poi attacco chitarristico affidato a delle zanzarose, quanto mai ripetitive chitarre, che giocano sul medesimo riff per i successivi sei minuti della traccia, mentre lo screaming del vocalist impressiona positivamente per la sua timbrica secca e mai eccessiva. La successiva “Visions”, contraddistinta anch’essa dal medesimo ossessivo riff, è accompagnata anche da delle tastiere che, impercettibilmente, contribuiscono a rendere il tutto più digeribile. Un alone di mistero e suicidio diffuso nella vena degli Xasthur, ammanta l’intero lavoro, che pur non godendo di una perfetta produzione, e di certo, non facendo dell’imprevedibilità il proprio punto di forza, ha comunque la capacità di non stancare. Le atmosfere malefiche, l’aura maligna e un’energia negativa pervadono di cupa disperazione l’intero album, cosi come le liriche, che affrontano i classici temi del genere: tristezza, odio, ma non solo, perché differenti emozioni ed esperienze, vengono narrate al’interno di questa conturbante release. Ancora echi di Burzum nei lunghissimi tredici minuti della title track, dove pure il fantasma minaccioso dei Darkthrone volteggia sinistro sulle nostre teste, pronto a scatenare la guerra. Il ritmo in realtà non si rivela affatto veloce e la song si assesta stranamente su un mid tempo estremamente pregno d’atmosfera, ancora a richiamare i bei tempi andati di “Det Som Engang Var”. Mi piace, nulla da dire, anche se forse ero più avvezzo a simili sonorità una quindicina d’anni fa, ora le trovo un po’ troppo sempliciotte e prive della benché minima fonte d’ispirazione o originalità. La mia non vuole essere tuttavia una stroncatura ad un lavoro interessante, che di certo farà la gioia degli amanti del genere, non certo la mia, alla costante ricerca dell’album perfetto, originale, forse alieno. Con i TOBC accontentiamoci di riassaporare il black depressivo dello scorso decennio, in attesa magari che la one man band polacca non possa intraprendere una strada sperimentale come fatto dagli Shining; staremo a vedere, nel frattempo, una chance diamola a questo “Cuore dell’Oscurità”. Tenebrosi! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 65

sabato 1 ottobre 2011

Karg & Andrarakh - Traumruinen

#PER CHI AMA: Depressive Black
Dal gelido inverno di cuori assiderati, “Traumruinen” si fa strada lentamente verso antri di immaginazione buia e universale. Mai combo di artisti fu più riuscita. Mai connessione d’intenti più azzeccata. “Traumruinen” mi riporta ai momenti di squisita solitudine sonora del progetto Nortt, altra incarnazione estrema in toto (e non solo a livello musicale, a quanto è dato sapere). Ma affrontiamo l’album a livello tecnico. Innanzitutto è possibile definire il genere in questione come puro depressive-black, anche se non mancano stravaganze epiche e riff sostenuti come nella cara tradizione norvegese a cui ci si riferisce. Le atmosfere che si respirano in quest’opera elevano tale tipologia di musica da semplice prodotto di un ben definito underground a qualcosa di più raffinato, stilisticamente superiore alla media. Magistralmente ispirate, le tracce si sviluppano coerentemente in un sound che mescola visioni celesti e melanconie abissali, dando l’idea di un debole equilibrio di opposti, testimoniato alternativamente da tastiere sognanti da una parte e dalle distorsione delle corde da un'altra. La base è il buon vecchio norwegian black degli albori, non c’è dubbio, reinterpretato secondo canoni estetico-musicali centrati sulla malinconia, la perdita di un magico mondo antico e, di riflesso, l’odio verso tutte quelle nuove tradizioni/religioni responsabili dell’irrimediabile allontanamento della terra del mito. La traccia che più esprime questo sentimento di mancanza di un passato fantastico è certamente la più evocativa: “Wolkenpoesie”. Credo vi siate già fatti un’idea delle liriche. Slow-black con inserti di tastiera e chitarre non troppo pesanti come ci si aspetterebbe fanno della parte di Karg una piccola perla da assimilare assolutamente. A tutto ciò Andrarakh aggiunge tonalità profonde e una registrazione vecchio stile (io la chiamo ‘alla lontana’ per via dell’impatto vocale distante). “Traumruinen” è un’ immensa, triste, potente preghiera rivolta alla malinconia del passato. (Damiano Benato)

domenica 5 giugno 2011

Hopeless - Elements

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal/Funeral Doom, Shining
“Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente… Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Queste frasi, dal senso così tremendo e oscuro, sono scolpite sopra la porta dell’Inferno, che Dante si appresta a varcare ne “La Divina Commedia”. E facendo proprio un confronto con l’opera del poeta toscano, mettendoci all’ascolto di “Elements” degli spagnoli Hopeless (appunto “senza speranza”) e del loro catastrofico suicidal black metal, le sensazioni che emergono sono le medesime di quelle descritte nel più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi. L’aver scomodato Dante per la recensione di questo cd, non deve trarvi però in inganno, perché ahimè non ci troviamo al cospetto di una cosi maestosa opera d’arte, anche se la musica proposta dalla one man band di Malaga è molto buona, ma credo che ai più potrà risultare di difficile fruizione. Eh si, perché il sound mortifero proposto da Lvcciferian e dai suoi Hopeless, è un black ambient dalle pesantissime tinte depressive/suicide che emergono fin dall’iniziale “March 13th” e perdurano fino alla conclusiva title track (tralasciando l’ultima inutile cover, da “Il Padrino” “The Ghostfather“). A dispetto di una produzione non proprio all’altezza, la musica dell’act iberico sconvolge i nostri sensi con composizioni dal forte impatto emotivo, con ambientazioni nere come la pece, squarciate da dannate litanie angoscianti. La ritmica non è mai veloce, semmai assai ripetitiva; tuttavia la noia non finisce mai per intaccare il nostro ascolto, nonostante le lunghe durate (sugli 8-9 minuti) di alcune tracce. Non mi stancherò di ripetere che quello che abbiamo fra le mani è un cd di funeral black doom apocalittico, di faticherà a trovare molti consensi; tuttavia mi sento di poter consigliare l’ascolto di questo lavoro anche a chi non è cosi abituato a questo genere di sonorità, perché potrebbe risultarne piacevolmente sorpreso. Sia chiaro che “Elements” non è un disco da poter gustare in auto o in compagnia di amici, ma da assaporare chiusi nell’oscurità della propria camera, magari con un paio di candele accese. Sofferente, malato, sconfortante: devo ammetterlo, a me la musica degli Hopeless piace molto e vi invito a dargli un ascolto; avvicinatevi con cautela però! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 75

lunedì 23 maggio 2011

Movimento d'Avanguardia Ermetico - Stelle Senza Luce

#PER CHI AMA: Depressive Black, primi Burzum, Lantlos
Devo essere sincero ed ammettere d’esser stato inizialmente affascinato da questo cd esclusivamente dal nome mistico della band e dal titolo della release. Poi l’ascolto ha fatto il resto. Eh si, perché quando “Stelle Senza Luce” apre le danze, ecco trasportarmi in un vortice senza speranza, in una strada senza uscita, catapultandomi d’improvviso in una vita senza senso. Questo è quello che ho respirato fin dalle note dell’iniziale “Decade di Isolamento e Aristocratico Distacco”, song che ci consegna finalmente una grande band italiana dedita ad un suicidal black metal, dalla forte vena malinconica. Il riffing zanzaroso eseguito con grande maestria, ci riporta ai gelidi boschi norvegesi, dove era solito trascorrere il suo tempo, in totale solitudine, il buon Varg Vikernes (Burzum). E proprio dalle sonorità del conte norvegese, i nostri traggono un po’ della propria ispirazione, senza tuttavia tralasciare richiami alla tradizione black depressive svedese (primissimi Katatonia e primi Shining). Tutto questo per confermarvi che il debutto della band italica, per quanto sguazzi all’interno di sonorità già proposte ampiamente nell’arco dell’ultimo ventennio, mostri una già carismatica personalità dei nostri, che emerge all’interno di questi cinque lunghi inni, dove a scorribande di glaciale black metal old school, si possono ritrovare frangenti atmosferici al limite del psichedelico (ascoltare la “liquida” “Ritorno alle Porte dell’Essere”) o aperture melodiche di gran classe (meravigliosa l’apertura di “Spazi Remoti di Abissi Interiori”), con delle vocals che urlano tutto il loro dissapore. Sono entusiasta dall’ascolto di questo cd (cosi come era avvenuto per i debutti di Mete Infallibili e Kalki Avatara, a dimostrare che le grandi band di black d’avanguardia non si ritrovano solo in Francia (Deathspell Omega, Blut Aus Nord e Pensees Nocturne) o in Germania (Lantlos), ma che anche in Italia esiste un interessante movimento nell’underground. Brava anche la russa Kunthauch a scoprire questi talenti; ora a voi il dovere di dare un ascolto a questo Movimento d’Avanguardia Ermetico. Mistici! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 80

sabato 30 ottobre 2010

Silent Path - Mourner Portraits


53 minuti e 45 secondi: 44, 43, 42… Ecco come “sento” questo disco: una caduta lenta, micidiale, inesorabile ma soprattutto inarrestabile, un conto alla rovescia che porta dritto dritto… alla bara. Un’immagine inquietante certo, che fa rimembrare quel periodico oscillare della falce di “The Pit and the Pendulum” del maestro E. A. Poe. Pace all’anima sua. Per la mia c’è ancora tempo. “Empty Earth”, “Broken Trees”, “Epic Suicide” sono solo tre delle nove tracce del disco. Titoli e contenuti tali da spingermi a definire questo lavoro un vero e proprio concept album. Una sorta di bambola assassina governata dalle fila della tristezza, della depressione e dalla peggiore di tutte, la solitudine. Musiche che non esitano, bensì godono nel rovistare tra le viscere dell’animo umano, viscere come quelle del “De Humani Corporis Fabrica” del Vesalio per intendersi. Musiche che si insinuano dentro, con forza; musiche e parole che erigono un vero e proprio “Malleus Maleficarum” per torturare, si, per torturare e con dovizia di particolari, l’incauto ascoltatore.. Ma quali le caratteristiche di queste musiche? Ecco alcuni dei comandamenti che vengono qui rispettati: lentezza in certi punti tale da mettere in difficoltà chi si trova tra piatti e tamburi, dissonanza e distorsione per la chitarra che non ha praticamente mai un suono pulito, voce growl, testi cantati abbastanza lentamente da dare il tempo, a chi canta, per una sorsata di rum tra una parola e l’altra. Una parola non sprecata per “Forgotten Sounds”: solitamente in un disco una traccia strumentale viene “sciacquata” via dalle altre, cantate (non a caso ho usato questo verbo, ascoltare per credere), io invece voglio, per una volta, sottolineare proprio una di queste canzoni, forse anche per gli ottimi campionamenti che creano il giusto pathos per un disco di questo genere. Ah si, quasi dimenticavo: dietro al nome “Silent Path” si cela un unico artista, di origine iraniana, il cui pseudonimo è “Count De Efrit” ma ahinoi non ci sarà nota la sua vera identità. Chiudo questa mia epistola con un avvertimento: assicuratevi di avere il morale alle stelle prima di lanciarvi all’ascolto di questo disco, toglietevi ogni tipo di prurito, già perché sarà l’ultima cosa che farete! Si, sono un bastardo, ve l’ho detto solo alla fine, quando ormai è troppo tardi per fare qualcosa: 3, adesso vi è ormai venuta già 2, voglia di 1, farla finita. Ben vi sta! Dannate siano le vostre anime… (Rudi Remelli) 

(Evil Distribution)
voto: 75