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sabato 12 maggio 2012

My Sixth Shadow - 10 Steps 2 Your Heart

#PER CHI AMA: Love Metal, HIM, The 69 Eyes
Per lo spazio “Back in Time”, andiamo a pescare il debutto tanto atteso dei My Sixth Shadow! La band che nel 2002 aveva raccolto così tanti consensi presso tutte le testate giornalistiche italiane, torna a breve distanza dal demo-cd “Sacrifice” con l'esordio discografico “10 Steps 2 Your Heart”. Freschi di un nuovo contratto con la tedesca Voice of Life Records, i sei ragazzi romani si apprestano ad esportare il proprio nome oltre i patrii confini e ad accrescere sempre di più quel seguito di estimatori che il loro gothic metal è riuscito a conquistare in così poco tempo. Anche se la tracklist dell'album riporta un totale di dieci brani, “10 Steps 2 Your Heart” non va inteso come il vero e proprio full-length ma piuttosto come un assaggio di quali siano le attuali capacità del gruppo: i pezzi nuovi sono infatti solo quattro, a cui si aggiunge una cover di “Rain” dei Cult e le cinque tracce dell'acclamato demo-cd “Sacrifice”. Dall'ascolto di “Intoxicate My Heart” salta subito all'attenzione il notevole miglioramento del cantato di Dave, il quale dimostra di sapersi inserire con maggior grazia tra le note dei nuovi brani. Inoltre i passaggi più movimentati vengono interpretati con un'impostazione vocale grintosa e decisa, del tutto priva di quelle stucchevoli "scivolate" in cui lo stesso Dave si era imbattuto in passato nell'affrontare certi acuti. Proseguendo con “Death is My Rebirth” e “Throw Me Away” l'impressione è quella di assistere alla fusione della tradizione glam-rock americana (Mötley Crüe, Skid Row e Cinderella su tutti) in un contesto più attuale, che può trovare un'attinenza con le melodie romantiche e affilate di HIM e The 69 Eyes. I My Sixth Shadow non possiedono ancora la maturità e lo charm delle due band finniche ma “10 Steps 2 Your Heart” si presenta ad ogni modo come un lavoro ricco di brani d'impatto e dai cori facilmente memorizzabili, con un'attenzione particolare riposta nella scelta delle melodie e nell'uso sempre parsimonioso dei synth. Un lavoro, insomma, che nonostante qualche sbavatura qua e là può costituire un punto di partenza ottimo per avvicinarsi al pubblico gothic-metal. Consigliandovi di tenere d'occhio questi ragazzi, vi anticipo anche che la band è già al lavoro sulla registrazione delle dodici nuove tracce di “Love Fading Innocence”, full-length che vedrà la luce per gli inizi del 2005. (Roberto Alba)

(Voice of Life Records)
Voto: 70

domenica 6 maggio 2012

Manes - Vilosophe

#PER CHI AMA: Avantgarde, Ulver
Mi aspettavo grandi cose dai Manes! Immaginavo che se mai ci fosse stato un seguito di “Under Ein Blodraud Maane”, quell'album avrebbe preso le distanze dal black metal o quanto meno avrebbe sconvolto l'audience "estrema" con delle soluzioni imprevedibili e assolutamente fuori dagli schemi. Sicuramente le mie previsioni sul futuro artistico dei Manes potevano apparire atipiche per un fan di vecchia data del gruppo, ma il desiderio di ascoltare qualcosa di nuovo dal genio di questi norvegesi era troppo forte per potermi accontentare di un sequel in linea con il precedente album o di un lavoro che si affermasse semplicemente come una buona conferma. Non c'è che dire! Ogni personale aspettativa nei confronti di “Vilosophe” è stata pienamente soddisfatta e anche oggi, come in occasione dell'uscita dell'esordio “Under Ein Blodraud Maane”, mi ritrovo ad esultare per un altro capolavoro a nome Manes, un album che, oltre a tagliare definitivamente i ponti con il passato, prende il largo verso un'esplorazione musicale senza ritorno, amalgamando gli elementi stilistici più disparati in una collezione di otto brani veramente straordinari. Ecco allora ritmiche jungle, psichedelia e space rock che si fondono in un corpo unico, quasi ad assumere le sembianze di un appetibile e moderno rock alternativo, ma nascondendo tra le trame di un'apparente ‘normalità’ qualcosa di subdolo e poco rassicurante. È come se in una sorta di continuazione con le atmosfere terrificanti e gelide del loro passato, i Manes ci fissassero sorridendo mellifluamente e sotto le mentite spoglie di una nuova accessibilità covassero i medesimi sentimenti disillusi e cinici di un tempo. Viene quasi naturale l'accostamento dei Manes ai conterranei Ulver, non tanto per il tipo di musica proposto ma per la simile metamorfosi che entrambe le band hanno affrontato in questi anni, passando improvvisamente dal black metal ad una forma musicale estremamente più libera e multiforme. Per il resto, classificare un album come “Vilosophe” risulta talmente arduo da rendere futile ogni tentativo: a giungere in mio aiuto sono allora gli ascolti della band, che vanno da Hawkwind, Pink Floyd e David Bowie fino ad Aphex Twin, Massive Attack e Mogwai, influenze che in “Vilosophe” si disperdono fino ad annullarsi, per poi ricomparire improvvisamente tra l'irruenza delle chitarre, i camaleontici e melodiosi passaggi vocali, le note struggenti di un piano e i ritmi spezzati di drum'n'bass. Cerebrali e sofisticati, eleganti ed irriverenti, poliedrici ed inclassificabili: questi erano i Manes del 2003, una band geniale che sicuramente ha fatto discutere e che probabilmente avrà visto l'insorgere delle solite accuse di "tradimento" da parte dei puristi del black metal. Ho lasciato volentieri certe chiacchiere a chi pensava ancora di aver qualche voce in capitolo sulle scelte musicali di un artista e limitandomi a riconoscere il valore di “Vilosophe”, un album straordinario che ha fatto dell'avanguardia e della libertà artistica una lezione di stile. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 90

domenica 22 aprile 2012

Mephisto Waltz - Insidious

#PER CHI AMA: Gothic, Death Rock, Christian Death
Era uno dei lavori più attesi del 2004 in ambito gothic, senza ombra di dubbio. E ammettiamolo, nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo sulla rinascita del deathrock. In una realtà discografica che negli ultimi anni ha cercato di seguire le inclinazioni di un pubblico oscuro, sempre più infatuato da contaminazioni elettroniche, nessuno si sarebbe mai aspettato un ritorno di fiamma per le polverose sonorità portate in auge da Christian Death & Co. Eppure anche le realtà musicali di nicchia sono soggette ai soliti corsi e ricorsi storici, con tanto di riesumazioni e reunion sospette che diventano immancabilmente l'argomento preferito dei fan, i quali amano farsi trascinare nelle inevitabili diatribe circa la credibilità o meno di certi veterani del "sacro verbo gotico". Nel caso dei Mephisto Walz le chiacchiere sono messe a tacere dalla qualità della musica e “Insidious” non può far altro che rassicurare anche i più scettici sull'onestà e la sincerità con le quali il gruppo ha saputo rimettersi in gioco negli ultimi trascorsi della propria carriera. “Insidious”, che segue di un paio d'anni l'uscita dell'ep “Nightingale” e di ben sei il full-length “Immersion”, non è affatto una bieca operazione di riciclaggio e nemmeno l'affannoso tentativo di rimanere a galla in mezzo a tante uscite discografiche. Al contrario, è un lavoro ben suonato e molto ben prodotto. È la dimostrazione che i Mephisto Walz hanno ancora qualcosa da dire nonostante la loro veneranda età. “A Magic Bag” è un preludio da brividi, lento e ossessivo. Tra una chitarra in tensione continua e un basso dai rintocchi funebri, la voce di Christianna si insinua sonnolenta e spettrale, accarezzando come un soffio gelido l'epidermide. Più movimentata è invece “Our Flesh”, con i suoi feedback contorti di chitarra, mentre “Watching from the Darkest Places” e “Before these Crimes” decelerano su ritmiche di nuovo plumbee e distese, palesando il volto più etereo del gruppo. Così anche “One Less Day”, adagiata su di un manto sonoro dalle increspature tenui, cede il passo alle spigolose reminiscenze deathrock di “I Want” e l'album cambia ancora una volta registro, per confluire nella danza vorticosa e dissennata di “Witches Gold”. Forse un po' anonime le ultime “Memories Kill” e “Nightingale”, ma il finale serba comunque una sorpresa con “Ombra Mai Fu”, rivisitazione cantata della celebre aria di Georg Friedrich Händel, interpretata dalla cantante Diana Briscoe. Chiudo segnalandovi la confezione digipack della versione americana dell'album, impreziosita da una realizzazione grafica molto più elaborata ed elegante dell'edizione europea. Se ne avete la possibilità, fatela vostra. (Roberto Alba)

(The Fossil Dungeon)
Voto: 85
 

domenica 15 aprile 2012

Limbo - Compendium: The Light Fall

#PER CHI AMA: Electro, EBM, Kirlian Camera
Conclusa definitivamente l'esperienza Limbo, Gianluca Becuzzi ha preso il largo verso altri lidi musicali che attualmente lo vedono impegnato con il progetto Kinetix. Prima di dare l'estremo saluto al suo affezionatissimo pubblico, il musicista italiano non ha voluto, però, lasciare a bocca asciutta chi aspettava il terzo capitolo della trilogia "Millennium Trax" ed è così che, grazie alla Cursed Land Entertainment, “Compendium: The Light Fall” ha visto la luce. Oltre ad offrire numerosi elementi d'interesse dal punto di vista "revisionistico", l'album chiude nel migliore dei modi una carriera lunga vent'anni e celebra degnamente la fine di uno dei progetti elettronici più importanti del nostro paese assieme ad act quali Pankow, Kirlian Camera e TAC. La raccolta esplora diversi momenti della carriera dei Limbo attraverso diciotto brani estratti dall'intera discografia del gruppo, rivisitati per l'occasione in una chiave moderna, grazie ad un'operazione di rimasterizzazione in digitale delle tracce originarie e, in alcuni casi, di remixaggio completo delle stesse. Un lavoro realizzato con l'ovvia supervisione di Gianluca Becuzzi, ma prodotto e coordinato da Diego Loporcaro (aka D. Loop), membro dei Limbo fin dal 1998. La materia musicale del cd non può che definirsi ghiotta, già a partire dall'introduttiva “No Mercy”, traccia del 1984 estrapolata dalla prima demo-tape del gruppo e qui restaurata per sopperire alla pessima qualità del nastro di partenza. Brani come “Carnalia” e “Dein Gott ist Tot” (rispettivamente dagli album “Our Mery of Cancer” e “Vox Insana”) sono stati invece completamente riscritti rispettando gli arrangiamenti suonati nell'ultima performance live del gruppo. Curiosa anche la riedizione di “Libido Mater Nostra” in una versione più potente e danzabile rispetto all'originale, come pure il remixaggio di “Blutfeuchtræume”, azzeccata rielaborazione di un pezzo gothic-metal in una traccia dalle forti connotazioni trance/EBM. Inclusa nel cd anche “Red Latex Jesus”, remix di un brano dei Kebabträume che il duo Becuzzi/D. Loop presentò a suo tempo in “Cospiratorium: The Ice Line”, facendosi affiancare da Ivan Iusco dei Nightmare Lodge per l'esecuzione delle parti campionate. Unico episodio live della compilation è “Widowmaker”, brano ispirato ad una ballata di pianoforte scritta da Le Forbici di Manitù e registrato durante l'ultima (e già citata) esibizione di Limbo, tenutasi il 31 Marzo del 2001 al Tam Tam Club di Bisceglie (Bari). Infine, a chiudere il sipario è l'ultima traccia in studio del gruppo, “Madre, Chiesa, Libido”, un medley che abbraccia, in poco meno di sei minuti, brani storici quali “Libido Mater Nostra”, “Thee Pack”, “Mater Libido”, “Control, Sex, Technology” e “Madre, Chiesa, Clinica”. Da avere! (Roberto Alba)

(Cursed Land Ent.)
Voto: 85

domenica 8 aprile 2012

Monumentum - Ad Nauseam

#PER CHI AMA: Dark Electro-Gothic
Ad introdurmi all'ascolto dell’album dei Monumentum è la meravigliosa tela di Alessandro Bavari riprodotta in copertina, dal titolo “Aula della Coprofilia”, la cornice più indovinata e calzante per la musica di “Ad Nauseam”, che sembra attingere dal grigio tocco dell'artista romano lo stesso senso di oppressione che il quadro è in grado di infondere. Dal primo album “In Absenthia Christi”, che uscì nel 1995 per Misanthropy Records, sono passati ben sette anni, un lungo silenzio che faceva temere lo scioglimento ma che ha invece contribuito a donare nuova linfa al gruppo, restituendoci una delle band più valide e singolari che l'Italia possa vantare. Il filo conduttore che lega questo nuovo lavoro al precedente è apparentemente molto sottile ed è evidente come le influenze dark-wave di “In Absentia Christi” oggi si rivelino impreziosite da un maggior dinamismo. Tuttavia, già dopo alcuni ascolti attenti, si avverte la medesima atmosfera drammatica e decadente del debutto e non si ha dubbio sul fatto che ci si trovi davanti ad un altro bellissimo album. “Ad Nauseam” è un lavoro che va assimilato lentamente per carpirne la bellezza e questo non significa necessariamente che si tratti di un disco difficile: la grandezza dei Monumentum sta, infatti, nell'assemblare una complessa ed elegante struttura di sovraincisioni senza che l'insieme perda mai in immediatezza, ma svelando certe trame nascoste solamente all'ascoltatore più paziente. Inutile tentare il paragone con altre band, perché la classe del gruppo milanese è unica; e se da una parte il loro suono riesce ad evadere dai cliché tipici di un genere come l'electro-gothic (a cui il gruppo potrebbe essere erroneamente associato), dall'altra va detto che risulterebbe azzardato anche un accostamento all'elettronica pop di gruppi appartenenti al mainstream, con i quali la band ha un'affinità solamente "estetica" riscontrabile in alcuni arrangiamenti. Brani come “Last Call for Life”, “A Tainted Retrospective”, “Perché il mio Amore” (cover di Fausto Rossi) e “Under Monochrome Rainbow” sono semplicemente bellissimi e vengono resi ancor più perfetti da un ispiratissimo Andrea Stefanelli, che grazie alla sua interpretazione vocale ci trascina in un vortice di affanno, negatività e abbandono, per poi liberarci e lasciarci esausti. Notevole anche la prova della cantante Francesca Bos, che per un istante riesce a tingere di un colore più vivido il dark-rock di “Distance” e “I Stand Nowhere”. Altre canzoni come “Angor Vacui” e “Numana” fanno invece della ricerca sonora il loro punto focale e si sviluppano senza l'ausilio del cantato, tra perversioni digitali e soffocanti incubi sonori. Senza esagerazioni, ritengo che “Ad Nauseam” sia uno degli album più belli che la scena alternativa abbia proposto negli ultimi anni... un grande ritorno, senza dubbio. (Roberto Alba)

(Tatra Records)
Voto: 90

http://www.myspace.com/monumentum

Mandrake - Calm the Seas

#PER CHI AMA: Death/Gothic, Theatre of Tragedy, Tristania
Sembra che i Mandrake abbiano sbagliato un po' i tempi. Il debutto discografico di questa giovane band ripropone infatti, in una collezione di undici brani, una sintesi di tutti quegli elementi del gothic metal già ampiamente sfruttati nell'intero corso degli anni '90, prima con i Paradise Lost e in seconda battuta con formazioni come Theatre of Tragedy e Crematory. Ed è proprio a questi ultimi che il gruppo tedesco sembra rifarsi, unendo in un solo platter tutti gli stilemi più scontati del metal romantico, a partire dall'alternanza tra una celestiale voce femminile e quella roca maschile, fino all'utilizzo massiccio di tastiere dal suono soffice e cristallino. Non che l'effetto complessivo risulti sgradevole, sia chiaro, ma dall'ascolto di “Calm the Seas” stento veramente a trovare dei punti di reale pregio che possano invogliare ad avvicinarsi alla musica dei Mandrake. Benché i musicisti si dimostrino padroni dei propri mezzi e siano supportati da una produzione che farebbe invidia a tante band emergenti, penso che anche il più imberbe e sprovveduto tra i fruitori di gothic-doom si accorgerebbe di quanto il disco suoni datato e non basti qualche partitura elettronica facile facile a rendere il tutto più attuale. In “Calm the Seas” non è la qualità delle composizioni a mancare e tra i brani più dinamici come “Shine” e “Essential Trifles” si intravedono incoraggianti spiragli verso un'evoluzione più personale ed ispirata, tuttavia, il pesante limite del "già sentito" aleggia sempre in maniera troppo insistente durante tutto l'ascolto, facendo provare giusto un po' di nostalgia per un suono che andava per la maggiore qualche anno fa, ma non riuscendo certo a sollevare l'album da un giudizio che supera di poco la sufficienza. Trascurabile. (Roberto Alba)

(Greyfall)
Voto: 55

lunedì 2 aprile 2012

Klimt 1918 - Dopoguerra

#PER CHI AMA: Gothic Dark, Novembre
Il talento non lo puoi comprare. Puoi affinare la tecnica o infarcire il tuo stile di elementi che rendano la proposta musicale sempre fresca e al passo con le attuali tendenze, ma il talento no, non lo puoi acquisire con il tempo, né spendendo ore e ore in sala prove e nemmeno cercando di rincorrere un filone particolarmente fortunato. Quel che è certo è che i Klimt 1918 di talento ne hanno da vendere. Già in “Undressed Momento” ne diedero una prova, confezionando un lavoro che sarebbe alquanto banale e riduttivo apostrofare semplicemente come stupendo. Oggi, con il loro secondo album in studio i quattro musicisti romani rinconfermano tutta la loro classe, consegnandoci tra le mani un altro gioiello di musica nostalgica, intensa, profondamente ispirata. E se “Undressed Momento” non aveva tenuto nascosta la fascinazione dei Klimt 1918 per il suono di Tears For Fears e The Police, “Dopoguerra” rende ancor più manifeste tali influenze, rafforzando quel legame con la wave anni '80 attraverso retaggi pop già ampiamente percepibili nel debutto e altri più rock, posti quasi a rievocare il fantasma dei primi U2 (soprattutto nelle linee melodiche di chitarra). Ma, sia ben chiaro, “Dopoguerra” non è un album costruito sulle citazioni e l'attaccamento che il gruppo continua ad esternare per certe sonorità non ha precluso l'evolversi di uno stile personale e riconoscibile. Ciò che mi colpì dei Klimt 1918 all'epoca dell'esordio fu la loro maturità compositiva, ma oggi il gruppo si dimostra ancor più disinvolto e smaliziato nella stesura dei brani, riuscendo a gestire con perfetta maestria ogni componente del proprio suono, a partire dalla voce garbata e passionale di Marco Soellner, fino ad arrivare alla sezione ritmica, che merita una menzione particolare per la scelta più che fantasiosa di ogni singolo passaggio di batteria. Difficile, all'interno dell'album, individuare un brano che spicchi sui restanti, anche perché se “Nightdriver” e “Lomo” possono sembrare i brani più riusciti ed emozionanti, altri episodi come “Snow of '85”, “Rachel” e la conclusiva “Sleepwalk in Rome” rivelano la loro bellezza solo dopo un ascolto ripetuto. “Dopoguerra” si presenta, dunque, come un lavoro durevole e non immediatamente assimilabile, perciò sono quelli che io amo definire climax sonori ad entrare subito in testa e solleticare l'attenzione durante i primi ascolti, mentre le sfumature più nascoste si riescono a cogliere solamente con il tempo e le si apprezza con crescente trasporto man mano che l'album diventa "nostro". Sortire quest'effetto è una prerogativa di pochi o, meglio ancora, è la prerogativa dei Grandi. (Roberto Alba)

(Prophecy Productions)
Voto: 90

lunedì 26 marzo 2012

Manes - Under ein Blodraud Maane

#PER CHI AMA: Black psichedelico, Burzum, Thorns
Alla luce dello scioglimento della band, vengo colto dall'improvviso desiderio di rituffarmi nel passato, tra le sonorità oscure del black metal più autentico, riscoprendo questo gioiello nero che tanto mi aveva emozionato e coinvolto quando fu pubblicato qualche anno fa. I Manes muovono i primi passi nell'underground norvegese agli albori degli anni '90 e registrano tre demo-tape nel periodo che va dal '92 al '95: “Maanes Natt”, “Ned I Stillheten” e “Til Kongens Grav de Døde Vandrer”. Dopo aver rilasciato queste tre registrazioni (le prime due sono state successivamente ristampate su mini-cd dalla Unveiling the Wicked, sottoetichetta della Hammerheart), dei Manes cominciano a perdersi le tracce e per un lungo periodo non giunge più alcuna notizia di questo duo, formato inizialmente da Sargatanas e da Cernunnus. L'allontanamento dei Manes dalla scena musicale sembrava dovuto ad alcuni problemi personali, uniti ad una forte repulsione che i due cominciavano a sentire per un ambiente sempre più distante dallo spirito anti-commerciale che aveva animato il black metal nei primi anni. Finalmente nel 1998 esce “Under ein Blodraud Maane”, album che era stato più volte posticipato e che può essere considerato come il vero e proprio debutto discografico della band, anche se il materiale in esso contenuto non è altro che una collezione dei brani migliori apparsi nei precedenti tre demo, riregistrati però con l'avvalsa di una strumentazione più adeguata. I sei brani che compongono l'album rappresentano quanto di meglio il black metal dei primi anni novanta abbia saputo esprimere, affiancandosi alle stesse atmosfere claustrofobiche e tetre delle quali si fecero eccezionali interpreti anche altri act più conosciuti come Morbid, Thorns e Burzum. Il suono dei Manes è terribilmente oscuro, la voce di Sargatanas agghiacciante, la produzione volutamente grezza e la presenza discreta di sinistri arrangiamenti di tastiera non fa altro che rendere più seducente la loro musica, conferendo ad ogni passaggio un tocco funereo. I tempi di drum-machine si assestano su velocità mai troppo elevate, sostenendo un lavoro di chitarre dalla struttura semplice, ma in una continua progressione di armonie, che passa da riff glaciali e taglienti a momenti più epici, fino a raggiungere la melodia allucinante ed ipnotica di assoli che sanno emozionare davvero, come in “Maanes Natt” e in “Uten Liv Ligger Landet Øde”. Dalle note riportate all'interno del booklet, l'intento di Cernunnus e Sargatanas appare chiaro ed esplicito: il duo si aspettava che l'album non venisse associato in nessun modo alle nuove generazioni appartenenti al "black" metal... un desiderio più che legittimo e comprensibile che va rispettato e condiviso ancora oggi, ricordando la prima incarnazione dei Manes come una delle poche entità realmente oscure che hanno fatto parte di questo genere. (Roberto Alba)

(Hammerheart Records)
Voto: 90
 

domenica 18 marzo 2012

Lex Decimate - Seas of Endless

#PER CHI AMA: Darkwave, Elettronica, Ambient, Gothic
Lex Decimate. Ovvero "distruzione della legge". Secondo quanto riportano le note di copertina, il significato che Lee Duis attribuisce al monicker del suo progetto è collegato al rifiuto delle imposizioni sociali e al tentativo di liberarsi da ogni dogma che possa minare la nostra identità. Attraverso la sua musica, Lex Decimate vuole condurci in una dimensione lontana da tali restrizioni, un posto in cui nessuno soffochi la nostra esistenza stabilendo quali persone noi dovremmo essere o quali dovremmo amare. Se questo è l'intento dell'artista americano, diversa è invece la natura del concept affrontato in “Seas of Endless”, un album incentrato sulla descrizione di un mondo distrutto in cui solo una parte esigua del genere umano è sopravvissuta. I "Mari dell'Infinito" non sono altro che le emozioni dei superstiti, la loro rabbia, le lacrime del ricordo unite ai sogni di un nuovo mondo che, timidamente, tenta la strada della ricostruzione. Riguardo l'aspetto prettamente musicale, “Seas of Endless” si articola in undici brani caratterizzati da una discreta varietà stilistica, anche se l'ambito in cui si muove Lex Decimate rimane indubbiamente connesso alla musica elettronica e alle sue varianti più "ambientali". Attraverso le algide tessiture dei sintetizzatori e del piano, l'uso di beat felpati, l'alternanza tra una base ritmica morbida e la battuta controtempo negli episodi meno pacati dell'album, Lee Duis è riuscito a creare veri e propri soundscape sonori, dei paesaggi di assoluta desolazione che ben si sposano al concept lirico dei testi. A questo si unisce un'impostazione vocale a volte greve, a volte melodica, altre volte sussurrata e criptica. In ogni caso, una prova canora sempre perfettamente intonata con l'umore oscuro e drammatico che permea ogni singolo brano. Non tutta l'opera vive di momenti entusiasmanti, ma “Seas of Endless”, “One Breath Gone” e “Find Myself”, sono ottimi esempi di come si possa suonare elettronica in modo intelligente e professionale, senza l'appoggio di una grossa etichetta, senza riciclare i facili cliché che le mode del momento impongono e, soprattutto, affidandosi agli unici ingredienti necessari alla buona riuscita di un prodotto: talento, passione e buon gusto. (Roberto Alba)

(Silencer Records)
Voto: 75

http://www.lexdecimate.com/

domenica 11 marzo 2012

Klimt 1918 - Undressed Momento

#PER CHI AMA: Dark Gothic, Novembre
Cosa dire di questo album se non che si tratta di un lavoro perfetto! Potrà sembrare sbrigativo liquidare in questo modo “Undressed Momento”, eppure vi assicuro che l'album mi lasciò di stucco e fatico quasi a trovare le parole per descriverlo, tante sono le emozioni che mi travolsero durante l'ascolto. Avevo conosciuto i Klimt 1918 un paio di anni prima di questo lavoro (era il 2001!) con il loro demo “Secession Makes Post-Modern Music” e già in quell'occasione penso si intravedessero delle doti non comuni nel gruppo romano, ma è proprio con “Undressed Momento” che il quartetto dimostra tutta la sua bravura. La band infatti non si è limitata a seguire la lezione impartita dai propri gruppi ispiratori ed ha rielaborato certe influenze metal in una collezione di ottimi brani dallo stile personale e dai contorni definiti. Gli echi di Edge of Sanity e Novembre si fanno ancora sentire, ma questa volta rimangono latenti nel songwriting e si accompagnano a sfumature pop prossime a Tears for Fears e The Police. Ciò che vi colpirà immediatamente appena verrete a contatto con “Undressed Momento” è la maturità della proposta musicale, cosa che personalmente trovo stupefacente se ripenso che il gruppo era al suo debutto. Quella perfezione compositiva che una band come i Novembre ha raggiunto attraverso quattro album pare infatti sia già una ben affermata qualità dei Klimt 1918. Cito i Novembre perché le due band hanno più di un punto che le accomuna, senza poi dimenticare che proprio Giuseppe Orlando e Massimiliano Pagliuso appaiono come guest-musician nel cd. Mentre la musica dei Klimt 1918 si diffonde nella stanza, posso allora riconoscere le stesse deliziose vibrazioni che album come “Wish I could dream it Again” e “Arte Novecento” mi avevano trasmesso qualche anno prima. Parlo di melodie fragili e carezzevoli che, accompagnate dalla bella voce di Marco Soellner, descrivono gesti di intima delicatezza, parlo di chitarre vibranti, come morbidi cerchi concentrici che si propagano lentamente nell'acqua. Tutto in questo album porta ad uno stato di immobile attesa e di attonita contemplazione. Sono attimi interminabili, interrotti solamente dai sussulti di un cuore inquieto. Tra le sagome incerte di un dipinto scorgo i guizzi vitali della passione, gli inganni di un sentimento acerbo che si dissolve e la musica di “Undressed Momento” accompagna queste immagini prima con dolcezza... poi con veemenza. Rimango estasiato davanti alla sorprendente facilità con cui i Klimt 1918 sanno emozionare e lascio che i colori tenui della loro musica si diffondano attorno a me, a confortarmi nelle mie notti più solitarie. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 90

domenica 4 marzo 2012

In the Woods - Live at the Caledonien Hall

#PER CHI AMA: Avantgarde, Progressive
Quanti ricordi sovvengono all'ascolto di questo doppio live degli In The Woods! Sono passati ben otto anni dall'uscita del loro primo album “Heart of the Ages”, ma tra note tanto familiari il tempo sembra annullarsi. Posso affermare di aver amato tanto la musica degli In the Woods e di averli seguiti ai loro esordi con un trasporto veramente raro. Non sono di certo il solo, perché in tanti considerano “Heart of the Ages” e il successivo “Omnio” delle autentiche pietre miliari e sebbene il terzo ed ultimo album “Strange in Stereo” non si possa considerare all'altezza dei suoi predecessori, è comunque fuori discussione che gli In The Woods abbiano scritto pagine importantissime della storia musicale più recente, entrando nei cuori di molti ragazzi che ora possono solo rimpiangere il tempo in cui la band era ancora attiva. Era la sera del 29 dicembre 2000: nella hall dell'Hotel Caledonien di Kristiansand (Norvegia), tra le urla e il vociare di un pubblico giunto da tutt'Europa, si diffondono le note psichedeliche di “Yearning the Seeds of a New Dimension”, brano di cui il gruppo suona solamente un estratto, per sfumare poi tra i riff rugginosi della splendida “The Divinity of Wisdom”. Dispiace che in questo medley, come nella successiva “Heart of the Ages”, non vi sia traccia dell'urlato black metal, ma si può anche comprendere che per ottenere una maggiore omogeneità nella scaletta alcuni "tagli" fossero indispensabili. Seguono l'inedito “Beer”, la cover dei Jefferson Airplane “White Rabbit” e “Mourning the Death of Aase”, uno degli episodi più intensi e ben suonati dell'intero live, con la cantante Synne Diana protagonista di un assolo superlativo. Si chiude un primo ciclo ed è la volta dell'album “Omnio”, eseguito integralmente rispettando l'ordine dei brani così come apparivano sulla tracklist originale. Durante l'intera esibizione, membri vecchi e nuovi della formazione norvegese si alternano sul palco ai vari strumenti: X-Botteri, Oddvar A:M, Christer A. Cederberg e Bjorn H. alle chitarre, C.M. Botteri e Stain al basso, A. Kobro alla batteria e, non per ultimo, il grandissimo Jan Transit, che assieme alla soprano Synne offre un'interpretazione vocale stupefacente, reggendo senza cedimenti più di tre ore di concerto. Quando terminano le ultime note di “Omnio” siamo già nel secondo cd, dove viene proposto parecchio materiale tratto da “Strange in Stereo” e altri brani dai 7", tra i quali vanno assolutamente segnalati “Karmakosmik” e la meravigliosa “Epitaph” dei King Crimson. Da incorniciare anche “Closing In”, alla quale viene dato il compito di chiudere il concerto e non poteva esservi conclusione migliore, considerando che quest'ultima è una delle canzoni più emozionanti che gli In The Woods abbiano scritto. Al termine la band ringrazia, saluta e tra lo scrosciare degli applausi esce di scena, lasciando in sala un pubblico commosso ed entusiasta, che serberà per sempre il ricordo di una serata irripetibile e di una band straordinaria alla sua ultima esibizione dal vivo in assoluto... (Roberto Alba)

(Prophecy)
Voto: 90
 

domenica 26 febbraio 2012

Icon & the Black Roses - Icon & The Black Roses

#PER CHI AMA: Love Metal, Gothic, HIM, The 69 Eyes
Gli Icon & The Black Roses, al loro esordio discografico per la label tedesca Dark Wings, si candidarono a diventare la nuova sensazione gothic-metal "made in Finland", se solo non provenissero da Lisbona! Un'affermazione al limite dell'assurdo, me ne rendo conto, ma anche la più schietta e veritiera, se si pensa all'effettiva fonte d'ispirazione di questi cinque ragazzi. Il filone del metal "romantico" inaugurato da HIM, To/Die/For e The 69 Eyes non è solo un semplice punto di riferimento per il gruppo portoghese, ma un'influenza da cui attingere a piene mani, nel tentativo di carpire ogni aspetto più intrigante del genere e assimilarlo nelle proprie composizioni senza risultare mai sgradevoli o pacchiani. Vorrei precisare che, non essendo un grande sostenitore del cosiddetto "Love Metal" (definizione che, per giunta, trovo orribile), non sono nemmeno la persona più adatta per recensire un disco che si rifà in modo così appassionato a queste sonorità. Devo ammettere però che i ragazzi sono in gamba e l'ascolto del cd si è rivelato comunque piacevole. Di "zucchero" gli Icon & the Black Roses ne usano in gran quantità ma sanno anche suonare molto bene e scrivere delle belle canzoni, due prerogative che non sempre sono così diffuse tra le band in erba intente a seguire i passi dei propri colleghi più famosi. Per il resto, il gruppo possiede tutte le caratteristiche per fare innamorare ogni ragazzina gotica dal cuore inquieto e dalla lacrima facile, vale a dire melodie vellutate, purpurei fraseggi di tastiera, robuste chitarre che rimandano subito al suono potente dei To/Die/For e infine una prova vocale fortemente debitrice dello stile "Valo", con tanto di quei respiri interrotti, quei sussulti e quelle esitazioni che fanno apparire la voce di Ville così sensuale. Non è da meno João Silva (ovvero Johnny Icon), che, oltre a dimostrarsi un "clone" apprezzabilissimo del cantante degli HIM, nell'album dà prova di notevoli doti interpretative. Resta un ultimo appunto: tentare a tutti i costi di cavalcare il successo di un genere musicale fortunato è sempre un arma a doppio taglio, per cui non so immaginare se in futuro i cinque portoghesi sapranno emergere dall'anonimato. Certo, i nostri hanno giocato al meglio le loro carte anche se dovrebbero liberarsi dalla pesante influenza HIM, unendo alle proprie capacità tecnico-compositive delle forti dosi di personalità, che per ora sembrano ancora mancare. (Roberto Alba)

(Darkwings)
Voto: 65

http://icon.no.sapo.pt/index.html

sabato 18 febbraio 2012

Handful of Hate - Vicecrown

#PER CHI AMA: Swedish Black Metal, Marduk, Dark Funeral
Dopo dieci anni di vita e dieci anni di onesta militanza tra le frange più estreme dell'underground metal, con “Vicecrown” gli Handful of Hate raggiunsero il traguardo del terzo full-length e sotto l'ala protettrice della Code666 pubblicarono quello che secondo il mio parere è il loro disco migliore. Durante gli anni Nicola Bianchi ha mantenuto in vita in maniera caparbia e coraggiosa un progetto che fin dagli inizi ha affondato le proprie radici nell'intransigenza sonora del black metal, mantenendo nel contempo una fiera autonomia di pensiero che all'interno della scena estrema lo ha reso estraneo sia alle tentazioni verso la blasfemia grossolana, sia alle arie altezzose e fintamente erudite di tanti improvvisati opinionisti dell'occulto. Ad accompagnare la musica degli Handful of Hate è invece un substrato culturale credibile e serio, un punto di forza che ha sempre coinciso con altre due qualità fondamentali che vanno attribuite al gruppo toscano: una grande coerenza ed un'umiltà comune a pochissimi altri nomi italiani. Riguardo al lato strettamente musicale va detto che la band si è sempre dichiarata in qualche modo debitrice del black metal di matrice svedese, ma con “Vicecrown” è evidente come il suono di Dark Funeral e Marduk sia stato assimilato talmente bene da ottenerne una piena padronanza, tanto da riuscire a creare qualcosa di nettamente più coinvolgente di quanto stiano proponendo oggi le due navigate formazioni scandinave. Rispetto ai primi due album, “Qliphotic Supremacy” e “Hierarchy”, il salto qualitativo compiuto è dunque notevole, non solo per il superbo lavoro di produzione che finalmente rende giustizia alle capacità tecniche dei musicisti, ma soprattutto per la validità dei nove brani, che stavolta riescono a fare male sul serio! Quello dell'opener “I Hate” è un assalto frontale senza compromessi, una spietata affermazione di supremazia e di cieca determinazione che apre il varco alla furia di “Beating Violence” e “Risen into Abuse”, le quali si susseguono in un'incessante manifestazione di violenza che a tratti potrà risultare difficile da sostenere per chi non possiede orecchie ben allenate. Urla laceranti e paurosamente glaciali sono accompagnate da una sezione ritmica precisa e devastante che nei rari momenti di tregua concessi non perde nulla della sua intensità e contribuisce, anzi, a rendere ancor più equilibrato il suono, aiutando a sottolineare la monolitica pesantezza dei riff di chitarra più lenti (come in “Boldly Erected” e “Hierarch in Lust”). Persino nei momenti più tirati, quando gli strumenti vengono spinti a folle velocità, la band mantiene un invidiabile controllo sull'esecuzione, dando vita ad un magma sonoro compatto e distruttivo che vede costantemente in primo piano l'enorme lavoro di chitarre, le assolute protagoniste dell'intero lavoro. Per chi non è avvezzo a certe sonorità è indubbio che la pesante omogeneità dei brani potrà rendere “Vicecrown” un'opera ostica da digerire e questo è l'unico neo che penso si possa individuare in un album comunque ottimo, che resta destinato principalmente a chi ricerca nella violenza e nella velocità - non certo nell'intrattenimento - il pane per i propri denti. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 75
 

sabato 4 febbraio 2012

Götterdämmerung - Kin-Burst 9104

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Post Punk
Per chi si intende di gothic-rock e nell'ultimo decennio ha potuto seguire le proposte più interessanti che la scena europea ha offerto, il nome di questi tre olandesi non risulterà affatto sconosciuto. Sorti agli inizi degli anni '90 dal movimento gothic ispirato alle sonorità di Sisters of Mercy, Siouxsie e Big Black, i Götterdämmerung hanno prodotto diverso materiale che, nell'arco di dieci anni, ha visto la luce tramite svariate etichette discografiche. Per la precisione, fino a questo lavoro, il gruppo aveva pubblicato due ep, un vinile picture limitato e due full-length album: per alcuni pezzi in particolare, merce rara che oggi si trova nelle mani dei soli collezionisti o dei fan di vecchia data. In aiuto degli appassionati dell'ultima ora giunge invece la label austriaca Strobelight con la pubblicazione di questa bellissima antologia. In più di settanta minuti di musica "Kin-Burst 9104" ripercorre l'intera carriera dei Götterdämmerung, a partire dai loro primi passi negli anni '93-'94 (quando firmarono per la Dion Fortune Records e diedero alle stampe il loro album di debutto "A Body and Birthmark"), fino ad arrivare alle pubblicazioni più recenti, ovvero il secondo album del 2001 "Morphia" e il picture "The Nation had been Flirting with Forms of Götterdämmerung...". Un excursus temporale che prende inizio dalle radici post-punk del gruppo, passando attraverso le sperimentazioni electro/noise di metà carriera, per poi recuperare nuovamente il classico gothic-rock sound degli esordi: seguendo questo itinerario la raccolta esplora in maniera minuziosa le tappe fondamentali della band olandese e ci offre una collezione di brani carichi di un'energia davvero trascinante. Alla selezione estratta dalle uscite ufficiali si aggiungono poi le quattro canzoni inedite "Skincree", "Bodybag 04", "Rogues in a Nation" e "Fortress" (quest'ultima suonata dal vivo nel 1991). Il tutto completamente rimasterizzato, al fine di rendere più omogeneo l'insieme ed esaltare la genuina potenza degli strumenti. In definitiva, non si tratta certo di un'uscita destinata ai soli nostalgici! "Kin-Burst 9104" è piuttosto un'occasione da non farsi sfuggire, per riscoprire un piccolo frammento di storia della musica gothic e sorprendersi ancora una volta della sua immutata bellezza. (Roberto Alba)

(Strobelight Records)
Voto: 80
 

sabato 28 gennaio 2012

Gor - The Medieval Project: Croisades

#PER CHI AMA: Medieval, Ethno Music, Ataraxia
Per coloro che ancora non hanno avuto modo di conoscere il progetto musicale GOR, è d'obbligo una breve introduzione biografica dell'artista Francesco Banchini, talentuoso musicista partenopeo diplomatosi al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli e autore fino ad oggi di ben cinque album, tutti pubblicati per Prikosnovénie. Nella giovane ma prolifica carriera di Francesco va sicuramente menzionata la collaborazione di lunga data con gli emiliani Ataraxia, ma sono da citare anche le prestigiose collaborazioni con il gruppo giapponese Jack or Jive, con i francesi LYS e con la cantante australiana Louisa John-Krol. Fin dai suoi primi passi nel mondo discografico, l'impostazione classica che Francesco ha ricevuto studiando al conservatorio si è aperta dunque alle contaminazioni più svariate, permettendogli di esprimere completamente la sua passione per la musica medievale, per quella etnica (precisamente quella tradizionale del sud Italia, dell'est europeo e del Medio Oriente) e infine per la musica estatica. Lavori quali “Bellum Gnosticorum”, “Ialdabaoth”, “Phlegraei” e “Qumran” sono la prova inconfutabile di quest'approccio libero dell'artista, teso sempre alla ricerca di nuovi suoni e nuove forme di espressione musicale. Con “Croisades” Francesco Banchini giunge al suo quinto album e in esso affronta per la prima volta il tema della speranza, attraverso il racconto di antiche vicende in cui la paura di amare, di combattere e di confrontarsi con la società si accompagna all'attesa di un cambiamento che possa portare giovamento e serenità alla propria esistenza. L'invito di GOR è quello di donarsi interamente con il proprio cuore e di lottare con tenacia se si crede in una giusta causa, ma sempre nel rispetto morale ed etico verso gli altri. Un messaggio che giunge alle nostre orecchie attraverso gradevoli canzoni d'ispirazione medievale; undici brani scritti e suonati da Francesco, che in quest'occasione è accompagnato da alcuni strumentisti quali Riccardo Marconi (chitarra classica e voce in “Flamma Amoris”), Nino Bruno (voce), Cristiano Della Monica (percussioni), Giuseppe De Luca e Giuseppe Galasso (entrambi nei cori di “Fraternitas”). Ascoltare “Croisades” significa trovare conforto nel canto sinuoso e delicato di “Mais no Seria”, farsi cullare dal dolce suono del flauto di “Mon Cor Aders”, concedersi ai tratteggi malinconici di “Fraternitas” e infine, nel silenzio, sentir riecheggiare nella mente le antiche e sagge parole di “Alla Societate”: "E voi più non conoscete lo profumo de li fiori, le canzoni de l'uccelli, la letizia dei ruscelli, la lucerna delle stelle, l'occhi vivi dei bambin che vorrebbero sanare le storture dello mondo - E così continuate senza sosta a duellare, trascinando vostri figli vostre orme a ricalcare, per l'orgoglio nel vedere vostro stemma a perpetuare, v'encensate ve gloriate, poi ven l'ora de morire...". (Roberto Alba)

(Prikosnovénie)
Voto: 85
 

domenica 22 gennaio 2012

Forgotten Sunrise - Ru:mipu:dus

#PER CHI AMA: Electro, Avantgarde, Death, Arcturus, Ulver
Con i Forgotten Sunrise pensavo mi sarei accostato ad una death metal band e in effetti è proprio in quel filone musicale che il gruppo estone si è fatto le ossa, pubblicando numerosi mcd durante l'intero corso degli anni '90. In “Ru:mipu:dus”, però, di death metal non vi è quasi più traccia e la nuova dimensione in cui il gruppo ha deciso di muoversi, non solo mette a dura prova qualsiasi tentativo di classificazione, ma lascia anche stupefatti per l'estrema disinvoltura dimostrata dai quattro musicisti nell'abbracciare svariati generi musicali e nel plasmarli in un insieme omogeneo di brani. Se di ibrido si può parlare, il termine va quindi inteso nella sua accezione positiva, vista anche la distanza che i Forgotten Sunrise mantengono da certe soluzioni pacchiane o da quelle scelte infelici in cui si è soliti incorrere quando diventano troppi gli ingredienti da mescolare assieme. Al contrario, le morbide venature darkwave, le eccentriche contaminazioni elettroniche e i retaggi vocali death metal diventano inebrianti flussi di emozioni, che si incontrano seguendo movenze sinuose ed eleganti. La flebile voce della cantante Tiiu Kiik conferisce inoltre un tono di cupo astrattismo all'intero lavoro, rendendo veramente speciali le note di brani visionari come ''Never(k)now” e “Vhatsoewer”. Personalmente, abituato come sono a grugniti di ogni sorta, non ho faticato ad apprezzare nemmeno il growling di Anders Melts, tuttavia, dovendo essere obiettivo, penso che quest'ultimo aspetto potrà costituire un ostacolo non indifferente per gli ascoltatori dai palati più fini. A loro mi rivolgo, invitando a non snobbare “Ru:mipu:dus” e a godere invece di canzoni giocose e bizzarre come “Surroundcosmos” o “Please Disco-nnect Me”, l'una illuminata da un irresistibile ritmo di pop latino, l'altra introdotta addirittura da una suoneria Nokia! Ottima anche “Thou-Sand-Men”, dove Anders si cimenta in un'interpretazione vocale molto vicina allo stile di Brendan Perry, dimostrando di esserne un emulo convincente e lasciando supporre un'influenza Dead Can Dance abbastanza marcata. Chiudo segnalandovi il video di “Never(k)now”, presente nel cd e disponibile pure sul sito della My Kingdom Music, dove potrete scaricarlo nella sua versione integrale. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 75
 

domenica 15 gennaio 2012

Flauros - Monuments of Total Holocaust

#PER CHI AMA: Black Symph. Dimmu Borgir, Thyrane
Era il 2000 e il titolo altisonante non lasciava presagire niente di buono su questo mcd, ma una volta inserito il disco nel lettore i finlandesi Flauros si sono rivelati una piacevole sorpresa. Sebbene il gruppo non proponga nulla di eclatante in quanto a originalità, riesce comunque a farsi apprezzare, assestandosi su standard ben al di sopra della media. "Monuments of Total Holocaust" è un mcd di cinque brani dal sapore molto epico, supportati da un sound ruvido e da una ferocissima prestazione vocale che finalmente non ha niente a che vedere con l'imbarazzante gracchiare di tanti altri singer. Non mancano melodia ed inserti di tastiere che comunque sono usati con parsimonia e trovano il loro spazio qua e là, senza apparire "ruffiani" o stravolgere la struttura del brano. Se dovessi azzardare un paragone, senza scomodare le inevitabili influenze di nomi più storici, accosterei lo stile dei Flauros a quanto fatto dai conterranei Thyrane sul debutto "Black Harmony". Devo ammetterlo, questi finlandesi mi hanno colpito ed era da tanto che non sentivo una band così valida tra le nuove leve! (Roberto Alba)

(The Twelfth Planet Rec.)
Voto: 70

Firewerk - Circuit and Curses

#PER CHI AMA: Industrial Metal, KMFDM
Sorprendenti questi Firewerk! Sorprendenti quanto sconosciuti, verrebbe da aggiungere. Eppure “Circuits and Curses” rappresenta il loro secondo album autoprodotto e a quanto pare vantano anche un discreto seguito all'interno della scena underground di Detroit, la loro città d'origine. John e Matthew Cross, Tony Hamera e Alex Bongiorno: un gruppo di ragazzi estremamente affiatato che con sè porta delle idee molto chiare sulla direzione stilistica da seguire e non fa segreto nemmeno delle proprie fonti ispiratrici, mettendo in musica un bagaglio di influenze che vanno dai Ministry agli Skinny Puppy, da Gary Numan ai KMFDM. In particolare, è proprio del marchio KMFDM che il gruppo si dimostra debitore, offrendone però una variante piuttosto personale che evita qualsiasi tentativo di "plagio" nei confronti della storica band tedesca. “Circuits and Curses” segue di due anni l'uscita del debutto “Amplified Fragments” (datato 2002) ed è composto da undici brani di industrial metal suonato divinamente, così divinamente che ci si chiede per quale motivo un gruppo tanto capace sia costretto ad autoprodurre i propri lavori. Difatti, alla luce di quanto si poteva ascoltare già nel loro primo album, il fatto che nessuna casa discografica abbia dimostrato interesse verso i Firewerk appare quanto meno strano e rafforza ancor di più la convinzione che l'attenzione verso l'underground musicale sia sempre meno focalizzata a setacciare i talenti laddove vi è qualcosa di realmente valido. Ad ogni modo, “Circuits and Curses” non necessita dell'appoggio di una grossa label perché emerga il suo valore, basti ascoltare brani come “Chase Scene”, “Illusions” o “Pray” per accorgersi di una produzione dal suono limpido e impeccabile, di una programmazione dei synth intelligente e addirittura invidiabile per la sua perfetta integrazione nello scheletro ritmico dei pezzi, ma soprattutto si evince una dote rara, quella di riuscire a trasformare la semplicità strutturale del proprio songwriting in una collezione di brani potenti e dal refrain irresistibile, la cui energia è sempre convogliata ai centri nervosi più ricettivi. Contattate il gruppo e ordinate una copia di “Circuits and Curses”, non ve ne pentirete! (Roberto Alba)

(Self)
Voto: 75
 

lunedì 9 gennaio 2012

Enid - Seelenspiegel

#PER CHI AMA: Black Epic, Summoning
Gli Enid, fondati da Martin Wiese e Florian Dammasch, muovono i primi passi nel 1997 e inizialmente si pongono come unico intento quello di proporre uno stile musicale del tutto simile agli austriaci Summoning. La band, grazie ai due album usciti per la label australiana CCP ("Nachtgedanken" e "Abschiedsreigen"), comincia gradualmente a sviluppare un suono più personale ed è con questo terzo lavoro "Seelenspiegel" che l'identità della formazione tedesca appare maggiormente definita. Lo stile del quartetto di musicisti (che qui si avvale di un quinto elemento alla batteria, ossia Moritz Neuner degli Abigor) può essere definito come un metal dalle forti connotazioni epiche, in cui le parti aggressive toccano l'asprezza del black metal e vengono alternate a momenti più rallentati e sognanti, caratterizzati dall'uso di una voce pulita e da cori dal sapore folk. Una proposta non molto originale ma che, ad ogni modo, risulta apprezzabile per la cura negli arrangiamenti e per l'interpretazione vocale di Martin Wise che sa essere sempre impeccabile e melodiosa nelle parti pulite. Meno convincente è invece la prova nel cantato black che, a mio parere, si rivela incerto e tutto sommato superfluo. 'Seelenspiegel' è un album che pecca di qualche ingenuità ma che risulta comunque piacevole. Consigliato agli amanti delle sonorità epiche e fiabesche. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 70
 

giovedì 8 dicembre 2011

Drastique - Pleasureligion

#PER CHI AMA: Death/Gothic/Electro, Devil Doll
Chris Buchman, dopo il debutto "Thieves of Kisses" uscito nel 1998, si ripropone accompagnato dalla cantante Fay e dall'ex-Ensoph Mahavira. Il cambio di monicker da Drastic a Drastique sembrava suggerire una radicale svolta stilistica del progetto e invece "Pleasureligion" si presenta come la naturale evoluzione del suo predecessore, mantenendosi sui binari di un gothic metal avanguardista, coadiuvato da orchestrazioni sinfoniche e vocals estreme. Rispetto a "Thieves of Kisses", il nuovo album è comunque nettamente più violento e questo appare chiaro immediatamente dall'ascolto dell'opener "5enses", dove il muro di chitarre e la velocità sostenuta non lasciano dubbi su quale sia l'intento della band: aggredire e farci vivere emozioni forti! Va detto che, nonostante l'estremizzazione del suono, il buon lavoro di Chris ai synth non è stato per nulla oscurato e nemmeno la dolcezza del cantato femminile ne ha risentito, conservando quella poesia che si era potuta apprezzare anche nell'album precedente e che ora trova in Fay l'interprete ideale. Anche lo screaming di Mahavira sa essere convincente, mentre le parti di voce pulita risultano talvolta eccessivamente pompose, rischiando di appesantire l'ascolto. Nonostante questa pecca non sia sempre trascurabile e alcuni aspetti del songwriting vadano affinati, ciò non va comunque ad intaccare il valore di alcuni episodi realmente riusciti come "The Succubus", "Voyage Dans la Femme", la romantica "Immortal Beloved" e la già menzionata "5enses", un brano che si mantiene in bilico tra la follia espressiva di Devil Doll e le ritmiche martellanti dei Samael (era "Ceremony of Opposites"). Il giudizio complessivo rimane quindi positivo e il mio consiglio è quello di avvicinarvi a "Pleasureligion" lasciando da parte certi paragoni poco calzanti con Limbonic Art e Tristania che la casa discografica decise di affibbiare ai nostri. Vi invito, anzi, a rivolgere un ascolto molto attento all'album, cercando di non soffermarvi ad una prima superficiale impressione, ma di cogliere invece ogni sfumatura della musica dei Drastique, per farvi avvolgere dalla sensuale brezza di piacere che essa è in grado di sprigionare. (Roberto Alba)

(Beyond Prod)
Voto: 70