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sabato 18 aprile 2020

Abeyance - Portraits of Mankind

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Ah, ma c'è ancora qualcuno nel mondo che suona death melodico che chiama in causa i vecchi Dark Tranquillity? L'ho scoperto solamente oggi, con l'arrivo sulla mia scrivania dell'EP di debutto dei milanesi Abeyance, uscito sul finire del 2019 per la Sliptrick Records. 'Portraits of Mankind' è il lasciapassare dei nostri per farsi conoscere ad un pubblico più ampio. Dicevamo EP e Dark Tranquillity: cinque tracce quindi per un sound fresco e scorrevole come solo la band di Gotheborg riesce ancora a creare. Si parte in tromba con la title track e un riffing serrato che mette in mostra una bella melodia di sottofondo come da insegnamenti di Mikael Stanne e soci. E poi un saliscendi dinamico di chitarre, breakdown, rallentamenti e finalmente degli assoli interessanti. L'attacco della successiva "In Falsehood Dominion" sembra un estratto da un qualsiasi disco dei Dark Tranquillity, anche se proseguendo nell'ascolto, il muro ritmico si fa più violento, con i vocalizzi del frontman piuttosto radicati nel growling death metal, quello comprensibile però. Poi un'altra frenata e la song s'incanala dalle parti di un mid-tempo, prima della sassaiola finale molto più vicina al post-black che al death metal. Un pianoforte introduce "Mine Are Sorrow and Redemption" (quante volte l'hanno fatto anche i nostri idoli svedesi?), giusto una manciata di secondi e poi via con il muro di chitarre, stop'n go, spoken words in sottofondo, i motori si scaldano per partire a mille, ed eccomi accontentato. Probabilmente il canovaccio è piuttosto scontato, ma il risultato non è affatto male in termini qualitativi. E forse la prima considerazione che farei su questo dischetto in ottica futura, è proprio quella di lavorare sull'imprevedibilità della musica, aumentando in questo modo la longevità d'ascolto della band meneghina. Le qualità per fare bene infatti ci sono tutte e questo è dimostrato anche dall'assolo progressive in coda a questo pezzo. Poi, ascoltando le successive "Innerscape" e "Secretly I Joined Dark Horizons", non posso che apprezzarne i contenuti, sebbene si tratti di un paio di pezzi un po' più classicheggiante nel loro incedere e quindi troppo ancorate a stilemi che forse andavano di moda una ventina d'anni fa. E qui arriva la mia seconda considerazione: cerchiamo di lavorare maggiormente in termini di creatività e personalità, mettendo da parte gli indottrinamenti dei maestri. 'Portraits of Mankind' è sicuramente un bel rodaggio, ma in futuro mi aspetto grandi cose dagli Abeyance, quindi attenzione, che vi tengo sott'occhio! (Francesco Scarci)
 

sabato 14 marzo 2020

Karmatik - Unlimited Energy

#PER CHI AMA: Prog Death, Cynic
Nel mio costante scandagliare l'underground metallico, questa volta mi sono fermato in Canada, nello stato del Quebec, per dare un ascolto alla seconda prova di questi melo deathsters che rispondono al nome di Karmatik. La loro ultima release, 'Unlimited Energy', è uscita nel 2019 a distanza di sei anni dal loro debut album, 'Humani-T'. Perchè soffermarmi sulla proposta di questo quartetto di canadese? Perchè sono interessanti interpreti di un sound che coniuga il melo death con prog e techno death. Lo dimostrano subito con i fatti e l'opener "Universal Life", una traccia che mette in luce la caratura tecnica del combo, una certa ricerca per il gusto, e questo loro combinare riffoni death, sempre pregni di melodia sia chiaro, con rallentamenti più sofisticati che mi hanno evocato i Cynic. E la band di Paul Masvidal e soci torna anche nell'incipit di "Tsunami Sanguinaire", con quei rallentamenti acustici da brividi, prima che la band ingrani la marcia e riparta con un rifferama compato, carico di groove, ma pur sempre bello incazzato, ove la voce di Carol Gagné trova modo di sfogare tutta la propria rabbia grazie al suo possente growl. Poi è solo tanto piacere grazie a quei break sopraffini di chitarra e basso, per non parlare dell'eccellente apparato solistico che ci delizia con ottimi giri di chitarra. Diamine, 'Unlimited Energy' è un signor album allora? Si, per certi versi rischia di essere un masterpiece, per altri mi viene da dire che l'album è ancora fortemente ancorato a vecchi stilemi di un death metal di cui si potrebbe anche fare a meno. Perchè dico questo? Semplicemente perchè quando i nostri si adoperano nel classico sporco lavoro death old school, finiscono nel calderone del già sentito. Questo capita con "Black Sheep... Be Yourself", una song che ha il suo primo sussulto solo sul finire del brano. E allora l'invito è cercare di essere un po' più fuori dagli schemi anche in quei frangenti più classiconi, altrimenti la possibilità di non farsi notare si acuisce ulteriormente. Il disco è comunque una prova di tutto rispetto che evidenzia luci ed ombre di una band che potrebbe dare molto di più. Vi segnalerei un paio di pezzi ancora che mi hanno entusiasmato più di altri: in assoluto "Transmigration of Souls" che, nonostante la sua natura strumentale, suona come un mix esplosivamente melodico tra i Death e i Cynic. E ancora, vi citerei i giochi di chitarra di "Defeat or Victory" in un contesto comunque deflagrante e la più sperimentale "As Cells of the Universe" per l'utilizzo di vocals meno convenzionali su un tappeto ritmico fortemente influenzato dalla scuola di Chuck Schuldiner. Ben fatto, ottima la prova dei singoli (basso in testa) ma ora mi aspetto il definitivo salto di qualità. (Francesco Scarci)

lunedì 24 febbraio 2020

Eternal Storm - Come the Tide

#FOR FANS OF: Melo Death, Insomnium
As the melodic death metal scene collapsed after some years of success, it was clear that the surviving bands or the new ones were going to struggle to gain the same recognition. The positive aspect of this fall in disgrace was that the new projects were actually going to try to forge their own sound, without being obsessed to copy what the leading bands were doing at a certain moment. A fine example of one of these interesting projects is represented by the Spanish band Eternal Storm. This project was founded in 2009, though the band members have needed ten years to release their debut album. In this period of time the band has released an EP and a split album. Moreover, as often happens, the project suffered several line-up changes, which are always problematic. Anyway, the hard work has paid off and the band managed to catch the attention of the underground label Trascending Obscurity Records releasing in 2019 its first effort entitled ‘Come the Tide’.

Eternal Storm proposes a pretty elaborated form of melodic death metal with a strong atmospheric touch in the vein of bands like Insomnium, one of the finest examples of how melodic death can still be an interesting and touching genre. ‘Come the Tide’ is a long album clocking almost one hour of time, with songs around 6 minutes. This detail clearly shows that the band likes to compose songs with variety and interesting structures. The band´s compositions flow between the most aggressive sections, with fast drums, powerful riffs and remarkably strong growls performed by Kheyron, who sadly is no longer in the band, and calmer sections which are tastefully introduced. The high and lows in the song’s pace sound awesome and make the songs a very exciting experience. Technically speaking, the band members sound very skilled, as the guitar patterns have some elaboration and richness, fluctuating tough different ranges of riffing styles. We could say the same about the drums which sound technically impeccable and varied. One doesn´t need to seek deeply in the album to fine great examples of this technicality and quality, as the album opener itself, called "Through the Wall of Light Pt.I (The Strand)" shows the impressive potential of this band. The calmest sections can appear as a bridge between different heavier sections, commonly in the form of delicate guitar chords, or as an introduction of the song. This happens with the second track, where we can even listen to a saxophone, a surprising add which works fine in my opinion. In this as per other compositions, we can listen to some clean vocals, which are also pretty solidly performed. It seems that the band has used some guests in order to enrich vocally this album, complementing the aforementioned excellent growls, which nevertheless play a major role on this album. Even though I wouldn´t define this band as progressive, the clean vocals, some guitar chords, especially those we can listen to in certain tranquil sections, and looking how the songs evolve, it´s undeniable that the band has a progressive nature in its music. This progressive touch is present in the way how they try to create songs with an evolving and rich nature.

In conclusion, although Eternal Storm spent a long time to release this first opus, ‘Come the Tide’ is unquestionably an impressive first album due to its variety, quality and richness in its compositions, with a tasteful balance between a straightforward fury and a melodic and atmospheric mood. Therefore, this album should appeal not only all the melodic death metal fans, but all the metalheads who want to enjoy an inspired and excellent metal album. (Alain González Artola)

(Trascending Obscurity Records - 2019)
Score: 88

https://eternalstorm.bandcamp.com/album/come-the-tide-death-metal

Medenera - Oro

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Summoning
Medenera è una one-man-band italica di formazione abbastanza recente, nata infatti nel 2017 ma con già due album alle spalle. L'ultimo arrivato è 'Oro', un disco suddiviso in quattro sezioni a loro volta divise in tre parti. Il disco si srotola per quasi settanta minuti di musica evocativa che sin dalle iniziali parti tastieristiche chiama immediatamente in causa un nome, i Summoning. Di fronte a simili manifestazioni artistiche, la prima cosa che faccio, e accade di rado, è chiudere gli occhi e immergermi totalmente nelle atmosfere magiche che band inserite in tale filone, sono in grado di creare. E sembra che la voce femminile della prima terzina intitolata "Aurea", sia lì apposta per guidarmi in questo epico viaggio in un fantastico mondo lontano. Le melodie sognanti di questa prima lunga suite rapiscono la mia fantasia con quel loro ritmo cadenzato accompagnato da spettacolari synth che arricchiscono la base ritmica del misterioso factotum italico, che si sente cantare solo in piccole porzioni, lasciando alla musica il compito di riempirci le orecchie di splendide emozioni. Il trittico scivola delicato anche nella seconda parte tra sussurri, eteree atmosfere ma anche saltuarie sfuriate, in cui a venir fuori sono le screaming vocals del frontman. E il nostro ascolto prosegue cosi come le immagini che mi si parano avanti sembrano quelle di un Frodo Baggins che passeggia imperturbato a Hobbiton, immagini felici e di quiete che vengono spezzate da sporadiche accelerazioni black e dal cantato arcigno del mastermind. Con "Splendor" si apre un altro trittico di song che sembrano introdurci in un nuovo mondo fatato, complice un cantato femminile differente da quello ascoltato in principio. La musica invece prosegue con il suo incedere raffinato, in cui ampissimo spazio è concesso alle tastiere ma anche ad un drumming quasi tribale, che insieme costituiscono un lungo cappello introduttivo a quel riffing efferato che verrà fuori più avanti. La musica dei Medenera è in costante evoluzione, come se si trattasse di un racconto e la musica ne vada a rappresentare la spettacolare colonna sonora in un coordinato movimento stilistico in base a quanto narrato. Ovviamente a dischi del genere sono collegate storie legate a mondi immaginari e alla natura che vi appartiene, come quei luoghi narrati appunto da Tolkien nella sua epica saga. La terza parte raggiunge il massimo splendore espressivo, affidandosi nuovamente a delle spoken words femminili e ad un'ispiratissima ritmica. Il flusso sonoro come dicevo, è in costante mutamento e dalle arrembanti ritmiche in un batter d'occhio ci si ritrova in un ambient dalle tinte decadenti quasi ci si trovi di fronte al preambolo di uno scontro spaventoso. L'affacciarsi di una voce operistica in sottofondo, cosi come l'utilizzo di uno strumento di difficile identificazione, stemperano però quella tensione che si era creata in un cosi breve tempo. Nel frattempo si entra nel terzo episodio, "Ver Aeternum" e si palesa subito un cantato dai tratti esoterici come novità di questa terzina. La musica si conferma ispirata con le tastiere ormai elemento portante dell'intera release, sia in chiave ritmica che ambientale. La soave voce della gentil donzella di turno fa poi il resto cosi come la tribalità etnica del drumming va ad impreziosire ulteriormente una release già di per sè notevole che vede peraltro anche un flauto far capolino. A "Flumina Nectaris" è affidato l'arduo compito di chiudere la release e l'esordio è di quelli portentosi con un rifferama accompagnato da un maestoso tappeto tastieristico. Di nuovo però un rallentamento nella storia, un flashback, una digressione, un sogno sospeso, delicati tocchi di piano, eteree e folkloriche melodie che troveranno un nuovo risveglio nella seconda parte della song, ove la cantante, che sembra utilizzare una lingua inventata, va ad affiancarsi al growling del polistrumentista nostrano, qui in grande spolvero e che si prepara a chiudere la release con un pezzo all'insegna del dungeon synth. Ora, prima di lasciarvi alla sentenza finale, mi domando solo come sia possibile che le etichette italiane si siano lasciate sfuggire una simile release e abbiano obbligato i Medenera a chiedere asilo in Russia. Abbiamo forse trovato i degni eredi dei Summoning? Ascoltatevi il cd e fatemi sapere. (Francesco Scarci)

(GS Productions - 2019)
Voto: 82

https://medenera.bandcamp.com/album/oro

domenica 10 novembre 2019

FrostSeele - Kalte Leere

#PER CHI AMA: Melo Death/Post Rock, Insomnium
La one-man-band di quest'oggi l'avevo recensita in occasione del debut del 2012, 'PrækΩsmium'. Da allora il mastermind teutonico ha rilasciato uno split e un paio di EP, di cui l'ultimo è questo 'Kalte Leere'. Mi sono domandato come sia cambiata la musica del factotum di Baden-Württemberg dal 2012 ad oggi, e quindi eccomi a raccontarvelo. Il nuovo lavoro si apre con le tenui melodie di "Kalt", una sorta di lungo incipit acustico (almeno per i primi tre minuti) su cui poggiano le spoken words del carismatico leader, prima che negli ultimi 90 secondi si sprigionino le forze oscure della compagine tedesca. L'apertura di "In Traumhaft" mostra un beat simil-elettronico, che lascia presto il posto ad atmosfere più ragionate, soffuse e malinconiche, con la voce pulita di Mr. FrostSeele ad alternarsi con il gracchiare di Danny, l'ospite del disco. La linea melodica della song ha sicuramente una certa presa per il sottoscritto che per certi versi mi ha ricondotto all'arioso sound finnico di Throes of Dawn o Insomnium. "Der Dunkle Zenit" ha un incipit più alternativo, anche se poi il sound dei nostri si muove sempre verso coordinate che ormai si sono svuotate della loro componente black per assumerne una più votata ad un ipotetico ibrido tra post-rock e la freschezza del death melodico di matrice finlandese. Francamente, il risultato è più che soddisfacente, pur non facendo certo gridare al miracolo. "[ ]" è l'ultimo enigmatico pezzo, visto anche un titolo di questo genere: l'inizio sembra suggerire quasi un trip hop di scuola britannica, per poi muoversi su suoni tipicamente post-rock, forse la nuova direzione artistica intrapresa dal polistrumentista tedesco, per una nuova interessante tappa della discografia dei FrostSeele. (Francesco Scarci)

lunedì 28 ottobre 2019

Made Of Hate - Bullet In Your Head

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death, Children of Bodom, Kalmah
Anche la Polonia ha la sua band che fa il verso ai Children of Bodom, una moda che impazzava parecchio a metà anni 2000. Diamo un ascolto quindi a questo 'Bullet in Your Head', album di death melodico che mostra una band ancora un po' acerba, ma con tutte le carte in regola per fare bene e guadagnarsi un piccolo spazio nell'underground metallico. Il riferimento ai “Figli di Bodom” è già palese nella traccia d'apertura, la title track, con i classici giri di chitarra dei finlandesi, le tipiche ariose tastiere, le cavalcate heavy metal, gli (ottimi) assoli del duo composto da Michal/Radek e le vocals che fortunatamente si mantengono distanti da quelle del buon vecchio Alexi Lahio. Non c'è che dire, il disco si lascia ascoltare tranquillamente, magari potete ingannare le attese dei comeback discografici degli originali, dando un ascolto a questi Made of Hate (che brutto nome però). La tecnica c'è, qualche buona idea, leggermente dotata di personalità pure, il gusto per la melodia non manca, quindi perchè non dare un'opportunità a questa sensation polacca? (Francesco Scarci)

(AFM Records - 2008)
Voto: 66

https://www.facebook.com/MadeOfHate/

martedì 8 ottobre 2019

Uivo Bastardo - Clepsydra

#PER CHI AMA: Death Melodico/Industrial, Supuration
Uivo Bastardo è un progetto parallelo creato da ex membri dei Kronos, Helder Raposo e André Louro, rispettivamente tastiere e voce, il chitarrista João Tiago, e dal produttore, qui anche in veste di batterista stabile in formazione, David Jerónimo (Concealment). Uscito per Ethereal Sound Works nella primavera di quest'anno, 'Clepsydra' è un buon concentrato di metal pesante dalle forti influenze industriali, forzate in ottima maniera da un uso delle tastiere mirato e ricercato, così influente nel sound che arriva a caratterizzarlo positivamente, costruendo insieme al resto della band, composizioni ben strutturate e potenti. Le parti vocali sono molto spinte, quasi sempre urlate e sparate in faccia violentemente, l'impatto è duro e ricorda certe parti gotiche dei Paradise Lost della prima era anche se le ritmiche più squadrate e gli inserti melodici, futuristici, a volte sinfonici, donano ai brani quel tocco tecnologico, claustrofobico, fantascientifico e progressivo che attrae molto l'ascoltatore. Si fatica un po' ad apprezzare la lingua madre del cantato usata dalla band di Lisbona ma dopo alcuni ascolti ci si accorge che le canzoni suonano perfette anche così, ben prodotte, suonate bene, con una buona dose di originalità e mostrano un buon equilibrio tra gothic/industrial e melodic death metal, trovando il suo culmine nella pesante dichiarazione d'intenti di "Tormentòrio", in "Refùgio", brano teso e claustrofobico (il mio preferito) e in "Fuga Mundi", song dai toni bui e drammatici. Le canzoni si ascoltano bene e la durata del disco, che supera di poco la mezz'ora, sottolinea l'intensità e l'urgenza espressiva di un'opera che trae ispirazione dai padri del thrash metal anni '90 e da quelle atmosfere progressive, ricercate e cervellotiche in stile 'The Cube' dei mitici Supuration. Un disco che convince, mai banale e senza cadute, né di stile tanto meno di intensità, il tempo di abituarsi al canto in portoghese e tutto suona poi al punto giusto, belle parti veloci, mai troppo caotiche. Infatti, una delle caratteristiche della band è proprio la capacità di restare aggressivi, pesanti, melodici e tesi costantemente per tutto lo scorrere dell'album, dimostrando di avere trovato la chiave per un suono singolare ed in continua evoluzione. In sostanza un ottimo primo album, una band che ha carattere e la voglia di rinvigorire un tipo di metal abusato, anche in senso commerciale, da tante band prive di idee e talento. Ascolto consigliato! (Bob Stoner)

(Ethereal Sound Works - 2019)
Voto: 74

https://uivobastardo.bandcamp.com/

sabato 28 settembre 2019

The Arcane Order - The Machinery of Oblivion

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death, Raunchy, In Flames
I The Arcane Order nacquero nel 2005 come valvola di sfogo del chitarrista Flemming C. Lund degli Invocator, qui coadiuvato da Kasper Thomsen (voce dei Raunchy), Boris Tandrup (bassista dei Submission e degli Slugs) e da Morten Løwe Sørensen (batterista dei già citati Submission, Slugs e degli Strangler). La band danese rilascia un anno dopo questo piacevole debutto, 'The Machinery of Oblivion', punto d’incontro tra il metal passato e futuro di quei tempi. Il quartetto scandinavo è bravo infatti nel miscelare sonorità tipicamente death (le ritmiche sono belle toste e incazzate) con le influenze alternative di cui risentiva in quel periodo, complici le derive degli In Flames, lo swedish death (un certo groove di fondo sembra infatti ammorbidire un lavoro che altrimenti risulterebbe troppo monolitico). La Metal Blade ci vede lontano e confeziona un buon cd, da ascoltare tutto d’un fiato, e scatenarsi in mosh frenetici, pogare come assatanati e sbattere come invasati contro le pareti. Se avete amato le uscite di Soilwork, In Flames e Darkane, dovete assolutamente dare un ascolto anche a questo interessante disco. Badate bene, gli ingredienti del cd sono sempre i soliti del genere, però qui ben amalgamati tra loro: chitarre belle potenti disegnano gradevoli linee melodiche, che si inseguono lungo le dieci tracce; la voce di Kasper (già ottimo nei Rauncy) è sinonimo di qualità e anche qui sfoga tutta la sua rabbia repressa; fantastica poi la componente solistica. Comunque sia, il livello tecnico-qualitativo della band è assai elevato; il rischio semmai, in dischi come questi, è che alla fine sia la noia a prevalere per una certa somiglianza di fondo tra i vari brani. A me gli Arcane Order non dispiacciono affatto e ancora oggi a distanza di anni, mi piace potergli dare un ascolto. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/thearcaneorder

martedì 24 settembre 2019

Relinquished - Addictivities (Pt. 1)

#PER CHI AMA: Death/Black/Doom Progressive, Daylight Dies
Come un ecoscandaglio, prosegue l'opera di perlustrazione del sottosuolo da parte del Pozzo dei Dannati. Quest'oggi facciamo tappa in Austria, per conoscere i Relinquished, un quintetto formatosi nel 2004, ma al sottoscritto rimasti totalmente sconosciuti per tre lustri, un peccato. La proposta dei cinque tirolesi di Ebbs tocca un po' tutti gli ambiti del metal estremo, ammorbiditi però da una spiccata vena dark progressive. 'Addictivities (Pt. 1)' è il terzo album per la band uscito in digitale nel 2018 (ed in formato fisico solo quest'anno) a seguito di una lunga pausa presa dopo il rilascio delle release datate 2010 e 2012. Il disco si apre con il sussurrato di "Expectations", che mostra la pasta di cui è costituito quest'ensemble. Buona la prova infatti a tutti i livelli, dalla prestazione tecnica, alla capacità di emozionare con delle ottime melodie all'insegna del melo death o ancora di ringhiare grazie alle growling vocals del frontman Sebastian "Vast" Bramböck. Più marziale ed oscura l'intro della seconda "Bundle of Nerves", una song che vede aspre accelerazioni death spezzate da parti decisamente più atmosferiche, in cui il cantante si concede anche a vocalizzi puliti ed in cui gli accostamenti che mi viene da fare in tema di influenze, sono per lo più con Daylight Dies e Opeth. La prova è convincente, anche se ci sono alcune parti di chitarra che suonano, come dire, un po' vecchiotte, old school se vogliamo essere raffinati. Questo è confermato anche dalla terza traccia "Avalanche of Impressions", aperta da un lungo sibilo di chitarra che costituirà l'elemento trainante di un pezzo che guarda al death doom come fonte di ispirazione, in un alternarsi tra ritmiche roboanti e frangenti più calibrati che richiamano la vecchia scuola dark capitanata dai The Fields of the Nephilim, ma che strizza l'occhiolino anche ai Crematory, in un pezzo che sul finire si lancia in accelerazioni assai vicine al black, senza rinunciare a fantastici assoli o partiture eleganti. Forse qui sta il punto di forza della band austriaca, che altrimenti rischierebbe di sprofondare nell'anonimato di un genere che ormai ha già ampiamente dato. I nostri non si danno per vinti, piazzano un intermezzo elettronico, "Pulse", e poi giù di nuovo lungo il dirupo del dark doom melodico con le malinconiche melodie di "Damaged for Good", in un pezzo dal piglio molto classico, che vede in qualche trovata tecnologica, il punto di connessione della band con i giorni nostri. L'inizio di "Syringe" sembra non promettere nulla di buono e il mio intuito non sbaglia, almeno nel suo primo minuto che poi lascia il posto a suoni ancora una volta più compassati, forti peraltro di ariose aperture alla sei corde che concedono un po' di respiro. Questo per dire che l'ascolto di 'Addictivities (Pt. 1)' non è proprio di cosi facile presa, forse anche per delle tematiche alquanto pesanti che narrano la storia di un tossicodipendente lungo gli alti e bassi della propria dipendenza. Nel frattempo "Zero" suona nel mio stereo e capisco immediatamente che è la mia traccia favorita (confermata poi da molteplici ascolti) per quel suo costante ondeggiare tra death, sfuriate black e partiture melodiche che torneranno anche nella seguente "Into the Black", un tuffo nei più oscuri anfratti della mente umana, tra parti dark segnate da un'angosciante linea di basso e chitarra (ottimi peraltro gli assoli), ed un cantato quasi costantemente sussurrato che individuano la traccia come la mia seconda preferita del disco. A chiudere 'Addictivities (Pt. 1)', ecco il doom ipnotico e morboso di "Void of My Ashen Soul", una song interessante e malata (con fortissimi echi a "Time", colonna sonora di 'Inception') che apre a potenziali sviluppi futuri, sperando solo di non dover aspettare più di un lustro prima di sentir ancora parlare dei Relinquished. (Francesco Scarci)

(NRI Records/Soul Food - 2019)
Voto: 74

http://relinquished.at/ 

domenica 15 settembre 2019

Chaos Over Cosmos - S/t

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
È un progetto internazionale quello dei Chaos Over Cosmos che ci propinano, in questo loro EP uscito esclusivamente in digitale, tre tracce che fanno l'occhiolino in modo quasi malizioso ed inequivocabile agli Scar Symmetry e più ad ampio raggio, ad un prog melo death sci-fi che trova ampi consensi anche tra i gusti del sottoscritto. Tre tracce dicevo per questo EP omonimo, che arriva a distanza di un anno dal debut 'The Unknown Voyage', che si aprono con "Cascading Darkness", song che chiarisce immediatamente la direzione musicale del combo austral-polacco, che dai maestri svedesi non raccoglie solamente le linee di chitarra ma anche il classico dualismo vocale (growl/clean, anche se quest'ultimo è da rivedere). A livello musicale, i nostri se la cavano davvero alla grande, non fosse altro che alla chitarra c'è questo musicista polacco, tal Rafał Bowman, un virtuoso della sei corde, mentre alla voce il bravo vocalist australiano Joshua Ratcliff, già visto nei Resurgence ed ex Born of Chaos. Comunque la band ci sa fare ed il secondo brano conferma se addirittura non migliora, quanto proposto nell'opener. "Consumed" è infatti una song di otto minuti, in cui i nostri ci dilettano con quanto di meglio ha da offrire la casa, soprattutto a livello tecnico, palesando un ottimo gusto per le melodie con l'ottimo lavoro alle chitarre e synth da parte di Rafał. La band si dice ispirata da band quali Iron Maiden, Dream Theater, addirittura Vangelis e Depeche Mode per ciò che concerne l'ambito elettronico; a mio avviso, i due musicisti sono degli ottimi mestieranti, in grado di mettere su pentagramma suoni accattivanti, sicuramente un po' ruffiani (basti ascoltare anche la strumentale traccia conclusiva "Asimov") in un esercizio di stile, sicuramente non indifferente. Per me è si, e sono quasi certo che i Chaos Over Cosmos avranno tutte le carte in regola per farsi strada nella jungla del death melodico. (Francesco Scarci)

sabato 27 luglio 2019

Halls of Oblivion - Endtime Poetry

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Formatisi addirittura nel 2007, i teutonici Halls of Oblivion si sono presi tutto il tempo necessario per arrivare al debutto sulla lunga distanza e se non è record questo poco ci manca, giusto perchè nel 2015, il quartetto di Stoccarda aveva fatto uscire un EP di sei pezzi. La proposta dei quattro tedesconi racchiude in questo 'Endtime Poetry', nove brani apparentemente devoti ad un guizzante melo death che si lascia ben ascoltare per la sua forte vena creativa. Lo si capisce nel brillante prologo di "Vanishing Woods", un pezzo che mette ben in evidenza tutte le peculiarità dell'act germanico in termini di gusto melodico, cambi di tempo, esplosività, preparazione tecnica e quant'altro, a delineare una prova già di per sè matura e che diventerà via via più convincente nel corso dell'ascolto del disco, dove molteplici altre influenze emergeranno infatti dai solchi di 'Endtime Poetry'. Parlavamo inizialmente di un death melodico, ma in realtà ascoltando "Under the Weeping Willow", potrei accostare la proposta degli Halls of Oblivion all'epicità dei Windir, in un'essenza peraltro davvero ispirata lungo i quasi nove minuti del brano, che mi farà gridare al miracolo più volte. La lunga chiusura semi-acustica del pezzo testimonia poi quanto stia scrivendo sulle capacità intrinseche della band. Nel frattempo mi avvio all'ascolto di "Last Glance Of The Sun". Questo è un brano ricco di groove, carico di melodie che si muove lungo un mid-tempo sognante e rilassato che vede qualche impennata chitarristica e poco altro ma che si lascia ben ascoltare, forte appunto di melodie orecchiabili, clean vocals, ottimi assoli e momenti atmosferici, vicini al gothic dei primi Crematory. "The Servant" prosegue lungo questo binario, premendo poco di più sull'acceleratore, ma preservando le caratteristiche melo-dinamiche della band germanica, dando grande spazio alla componente percussiva e dove a tener banco, rimane la chitarra solista e il growling aspro, visti i continui sconfinamenti nello screaming, del frontman. A me gli Halls of Oblivion francamente piacciono, avendomi catturato con le melodie delle loro chitarre, quell'alternanza frenetica tra pezzi che ammiccano al black metal con altri ben più ragionati e ruffiani, per quanto questa parola abbia qui una valenza totalmente diversa dal suo reale significato, ma con la quale voglio giustificare le melodie più soffuse di un brano come "A Poem of the End", un pezzo vario, più compassato ma davvero azzeccato. Cosi come l'intro patinato, tra acustica ed elettrica, di "Walking Dead" che sembra quasi presa in prestito dagli Amorphis, e che vede il vocalist nuovamente in versione pulita a fare da contraltare al suo più arcigno modo di cantare, in un brano che sembra risentire ancora una volta di quel gothic sound che rese grandi band come i già citati Crematory, Darkseed e in qualche modo gli Atrocity, e che richiama al "Sehnsucht" dello spirito romantico tedesco e a quello stato d'animo legato allo struggimento interiore. Ecco quello che sento (a tratti) nelle note di 'Endtime Poetry' (e penso anche a qualcosa di "A World Falling Apart"), questo perchè poi di sovente, la band cambia registro e ci lancia in pezzi più tirati (ad esempio nelle incendiarie "The Final Regret" e "The Hypocrite", che strizzano l'occhiolino maggiormente al sound svedese dei primi In Flames), uno status nel quale i nostri sembrano trovarsi molto a proprio agio, ma che a mio avviso li spersonalizza un pochino. Per il momento 'Endtime Poetry' a me sembra un ottimo biglietto da visita ove l'invito dell'ascolto deve essere un must per molti. (Francesco Scarci)

domenica 21 luglio 2019

Desire of Pain - Immensity

#PER CHI AMA: Death Progressive, Ne Obliviscaris
L'Australis Records è un'etichetta cilena che ci sta permettendo di aprire una finestra sulla loro scena locale. Dopo aver da poco recensito i paurosi techno death metallers Target, ecco che facciamo la conoscenza dei Desire of Pain, altra band di Santiago, questa volta focalizzata ad un death più melodico e ricco in sfumature grooveggianti ma anche prog. 'Immensity' è il secondo lp in otto anni per il terzetto, che vede tra le proprie fila, l'ex vocalist dei Clair de Lune Morte, una band doom che alcuni di voi ricorderanno di certo. Ma passiamo ai contenuti di questo disco che si muovono dall'intro melodica di "Everything" al groove ritmato e melodico di "Ascension", una song che ci dice un paio di cose rilevanti dei Desire of Pain: la prima è che i nostri sono degli ottimi musicisti, essendo dotati di un eccellente bagaglio tecnico; la seconda che la band ha una discreta vena creativa che permette loro di suonare ciò che vogliono e con risultati di un certo livello. Quello che di contro mi fa storcere immediatamente il naso è la prova dietro al microfono di Sebastián Silva, probabilmente più a proprio agio nella versione growl che in quella, meno convincente, clean. La musica invece vive di strappi: accelerazioni, stop & go, parti più atmosferiche accanto ad altre più ritmate, giusto per accontentare un po' tutti i palati, anche quelli più sopraffini. "Vertigo" è un pezzo devastante di oltre undici minuti di apocalittico e death metal old school, riletto in chiave moderna. Guizzi ficcanti, ritmiche tritaossa, oscure growls e urlacci più incazzati senza dimenticarsi le voci più pulite, ovviamente il tutto inondato di una bella dose di melodie e di un break ove fa la sua comparsa una tromba che viene utilizzata dai nostri alla stregua di quel violino indiavolato dei Ne Obliviscaris che raddoppia la prova strepitosa di Marcelo Fuenzalida alla chitarra solista. Bravi, non c'è che dire, anche se qualcosina ancora non suona perfettamente fluido, soprattutto nella componente più death doom oriented dei nostri che pare stonare dal resto del contesto musicale. "Eternal" è un pezzo semi acustico che ci introduce a "Trascendence", una traccia che sembra uscita da un qualche disco new wave di metà anni '80 e qui la voce, pulita, gotica e carica del giusto pathos, è perfettamente inserita nel contesto del brano. A chiudere il disco ecco arrivare "Aeon" e i suoi dieci minuti di prog rock fatto di lunghi assoli, atmosfere tiepide e rilassate, ma anche di feroci scorribande death metal che esaltano le eclettiche doti dei nostri. Ben fatto. (Francesco Scarci)

venerdì 14 giugno 2019

Feradur - Legion

#PER CHI AMA: Melo Death/Thrash, Amon Amarth
In uscita questi giorni il comeback discografico dei lussemburgo-teutonici Feradur. 'Legion' rappresenta infatti il secondo lavoro per il quintetto originario della capitale del piccolo stato mittle europeo, con qualche membro poi dislocatosi ad Amburgo e Colonia, in Germania. 'Epimetheus', il debut del 2015 era arrivato solamente nove anni dopo la nascita della band, ora abbiamo atteso quattro anni per gustarci il secondo album dei nostri, con questo ritmo non è detto che il prossimo lavoro possa uscire fra un paio di anni. Comunque, parlando dei contenuti musicali delle undici tracce qui incluse, posso dire che in mano ci ritroviamo un Lp dedito a sonorità melodeath, dalle influenze più disparate. Si va dal sound degli Amon Amarth di "A Hadean Task" agli Iron Maiden di "Fake Creator", ma andiamo con ordine. I nostri sono sicuramente diligenti nello svolgimento del loro compito, affidandosi sin dall'opener "Deus (Finis Saeculorum)" a ritmiche robuste, ben dosate, una produzione bella piena, e ritmi incandescenti. Ascoltatevi a tal proposito la roboante "Kolossus", una bella cavalcata death thrash, che vi riporterà ai fasti degli anni '90, pronti per lanciarvi in un infuocato headbanging, anche se poi il finale sembra virare verso territori più moderni, ad un black death dotato di ottime melodie al servizio di una buona tecnica. Sia ben chiaro che nessuno ha scoperto l'acqua calda, un nuovo continente o inventato un nuovo genere musicale, i Feradur suonano quello che più amano e più ha plasmato la loro crescita musicale, un death metal venato di qualche influenza progressive, che trova addirittura il modo di sfociare in influenze folkloriche. Si perchè l'inizio acustico di "Omen of Incompleteness" ci proietta al Kantele finlandese di Amorphis memoria, in un brano che evolve successivamente in un sound macinaossa stile Arch Enemy. Ben più ruffiana "Fake Creator", vuoi per le melodie che si stampano immediatamente in testa, ma anche per l'uso delle keys, che lasciano poi il posto ad un bel rullo compressore fatto di ritmiche tirate e un growling omicida, merito dell'ultimo arrivato, in seno alla formazione, l'unico vero tedesco della compagnia, Mario Hann, che suona nei Reapers Sake e ha peraltro collaborato con altre band, sia dietro la consolle che come guest, vedi Firtan o nel nuovo EP dei Luzidity. Intanto, qui si continua a viaggiare su tempi sparatissimi con un bel tremolo picking in sottofondo, mentre le chitarre sembrano invece richiamare il NWOBHM con le linee melodiche in stile Iron Maiden. C'è tempo ancora di farci sparare in faccia altre granitiche tracce, il disco dura infatti oltre 50 minuti: "Of Greater Deeds" è una bella mazzata in pieno volto con una serie di cambi di tempo da urlo ed una prova alla batteria di "D-" Mich Weber davvero notevole, senza mai perdere di vista il lavoro dei due axemen, che ne combinano di tutti i colori alle sei corde. Più oscura "The Night They Were Taken", dura, quasi spettrale nella sua componente solistica, che mi ha evocato per certi versi i primi Testament, poi altro sublime cambio di tempo e sembra di ascoltare un altro brano, compresso, caustico, serrato, feroce. Si cambia ancora registro con il mid-tempo di "Amplification Monolith", un brano che s'ispira nuovamente agli Amon Amarth e che vede nel ricamo chitarristico delle due asce, il punto di forza della compagine lussemburghese. Poi il finale, affidato alla marziale "Maelstrom" e a quel prepotente gorgo che crea un ambiente denso ma atmosferico prima dell'uscita sparata a mille, con chitarre di Overkilliana memoria. Si arriva intanto alla conclusiva e strumentale "Into Stygian Depths", un breve outro che chiude questo secondo episodio della saga Feradur. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 75

https://feradur.bandcamp.com/

venerdì 7 giugno 2019

Rituals - Neoteric Commencements

#PER CHI AMA: Death/Black Melodico, Necrophobic, At the Gates
E io che pensavo che la Sleeping Church Records si dedicasse quasi esclusivamente al doom/stoner, sono stato immediatamente smentito con l'avvento di questo EP degli australiani Rituals, che con un moniker del genere, sentirli dediti ad un death melodico è quasi una bestemmia. Comunque 'Neoteric Commencements' è un lavoro di quattro pezzi che ci riporta ai fasti del death melodico svedese di primi anni '90. E "Wake of a Dead God's Robe" ne è la prima dimostrazione con un riffing massiccio, contrappuntato da buone melodie e growling vocals che mi hanno fatto pensare a gente del calibro di Unanimated, gli Entombed più melodici nella loro primordiale veste estrema e Necrophobic. Forse con "Drown Amongst Serpents" si può cogliere un più vasto ventaglio di influenze, scomodando anche i primi In Flames e gli At the Gates, fatto sta che il quartetto di Melbourne ci sa sicuramente fare, pur non promuovendo nulla di nuovo all'orizzonte. E allora non ci resta che ascoltare in modo spensierato anche le restanti "Slaves to the Tyrants" e "The Eighth Door", dove nella manciata di minuti a disposizione, la band australiana propina una bella ritmica portentosa, delle growling vocals belle profonde e poco altro che faccia gridare realmente al miracolo. Nella prima delle due song ci ho sentito un che dei primissimi Amon Amarth, quelli più oscuri e decisamente meno epici, mentre la seconda è un altro discreto pezzo di death che non rimarrà certo negli annali della musica estrema ma che comunque si lascia ascoltare con una certa fluidità. Per ora, mi sento di dire che quello dei Rituals non è nulla di cosi memorabile, si auspica pertanto in futuro un full length più illuminato. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2018)
Voto: 62

https://ritualsau.bandcamp.com/

sabato 6 aprile 2019

Sundead - Ashes

#PER CHI AMA: Symph Death, primi Dismal Euphony
Credo che la scena tedesca sia, al pari di quella francese, quella che ha da offrire, in termini di quantità, ma non ancora di qualità, più band in Europa. Gli ultimi giunti sulla mia scrivania sono i Sundead, quartetto proveniente dalla cittadina di Ludwigsburg che con 'Ashes' giungono al loro debutto, dopo che la band si era formata nel 2014. Un lungo periodo di gestazione per produrre questo lavoro interessante che mette in luce le importanti qualità dei nostri in ambito black death melodico. Nove pezzi, ma in realtà abbiamo un'intro e un'outro, per spiegarci la loro visione del metal estremo, e devo ammettere che non è affatto male. Si perchè quando "Reduced to Ashes" irrompe nel mio stereo, la stanza viene invasa dal suono imponente dei quattro musicisti teutonici, che offrono un po' gli ingredienti tipici del genere con feroci sgaloppate melodiche, inserti progressive, growling (e di rado qualche screaming) vocals e parti atmosferiche che mi hanno rievocato un po' i tempi d'oro del genere in Scandinavia, con band del calibro di Siebenburgen o Dismal Euphony, due realtà con i quali i Sundead potrebbero tranquillamente condividere il palco. La vena sinfonica dei nostri emerge anche nell'incipit devastante di "Unwatered", song iper tirata, ma al contempo che include un po' tutti gli elementi del black sinfonico, voci femminili comprese, in una spettrale (brava la tastierista Ashima) cavalcata davvero da applausi. "Into Black Horizons" è un altro bel pezzo che combina in modo armonico, graffianti riff di matrice classica con un tocco sinfonico, qui a tratti anche malinconico, grazie all'uso del tremolo picking che in taluni momenti si sostituisce all'arrembante ritmica creata dall'ensemble. Il risultato è davvero avvincente ed esplosivo, anche laddove il clima si preannuncia più tranquillo (ma solo nella prima e nell'ultima parte) come accade in "The Vault", un'altra piccola perla in grado di combinare estremismi sonori di scuola svedese con una componente solistica da urlo che invece apre le porte ai classici dell'heavy metal. "Solar Winter" suona molto fresca, sebbene le chitarre in tremolo picking, disegnino panorami sonici contraddistinti da un delicato mood malinconico in cui ho come la sensazione di scorgere in sottofondo il suono di un violino che aumenta l'efficacia della proposta della band germanica. Ci si avvia verso il finale, ma un paio di interessante guizzi i Sundead hanno ancora modo di regalarli: "Kali Yuga" è un mid-tempo emotivamente assai potente tra saliscendi ritmici notevoli (un plauso complessivo va al batterista Tomasz "Nefastus" Helberg, uno che ha suonato con Debauchery e Belphegor, tanto per citarne un paio). In "Patient Zero" i nostri confermano la loro verve autunnale, sostenuti sempre da una produzione cristallina che enfatizza la potenza strumentale dell'act tedesco soprattutto nella cavalcata conclusiva che chiude il brano, prima dell'ipnotica chiusura ambient di "Remember the Future". Insomma 'Ashes' è un buon biglietto da visita per i Sundead, per cui auspico fortemente un ascolto della loro proposta. Sono quasi certo che potranno far parte delle nuove leve future nel riscoperto ambito del death sinfonico. (Francesco Scarci)

giovedì 28 marzo 2019

Sunless Dawn - Timeweaver

#PER CHI AMA: Prog Death, Opeth
Da quando gli Opeth si sono dati al rock progressivo, il prog death ha visto un più grande sviluppo nell'ultimo periodo, quasi la band di Mikael Åkerfeldt e compagni rappresentasse un ostacolo un po' troppo ingombrante per la crescita di altre realtà musicali. L'ultima mia scoperta arriva da Copenaghen e si chiamano Sunless Dawn, e 'Timeweaver' rappresenta il loro album di debutto. E che debutto. La band, che ha vinto il concorso Wacken Open Air Metal Battle nel 2016, propone un qualcosa davvero fresco che fin dall'opener "Apeiron" alle tracce successive, lascia intravedere le molteplici influenze dei nostri. Nella breve opening track ci sento una versione estremizzata di Devin Townsend, suonata con classe e cura certosina. Questa mia percezione positiva si conferma anche con la successiva"Aether", un brano che evidenzia il bagaglio tecnico di cui è dotato l'ensemble nordico fatto di cambi di tempo, ottimi assoli e melodie, senza dimenticare la prova convincente alla voce (costantemente in growl) di Henrik Munch ad impreziosirne i contenuti. Devo essere sincero però che una versione pulita di Henrik avrebbe reso ancor meglio l'output musicale di questo 'Timeweaver', ma sono quasi certo che dal prossimo disco ci sarà qualche novità da questo punto di vista, è fisiologico. "The Arbiter" sciorina una bella ritmica di scuola Opeth e un approccio solistico intrigante (sono pazzo o ci sentite anche voi un che degli Amorphis?). Con la strumentale "Biomorph I: Polarity Portrayed" si apre una sorta di mini concept all'interno del disco: il brano è raffinato, delicato, e apre a deviazioni sperimentali in stile greci Dol Ammad. Con "Biomorph II: Collide into Being" si torna invece a veleggiare nel death "opethiano": interessante qui il bridge iniziale ma in generale sono gli arrangiamenti a fare la differenza e poi beh, quell'assolo a metà brano è semplicemente da applausi e da solo vale l'acquisto del cd; poi il celestiale chorus a fine brano individua probabilmente quella che sarà il mio pezzo preferito del disco. Ma le sorprese sono dietro l'angolo perché strani cori aprono anche la terza parte "Biomorph III: Between Meadow and Mire", in una song dal funambolico incedere black melodico, preso in prestito da altri mostri sacri, i Ne Obliviscaris, a farmi probabilmente cambiare idea sulla mia song favorita. Ragazzi che bomba di album, qui ce n'e davvero per tutti i gusti (anche per chi apprezza gli Scar Simmetry o i Raunchy), soprattutto andando verso il finale della traccia dove la sezione ritmica ne pensa una più del diavolo e a mettersi in luce non sono solo le due asce, ma anche il basso tonante di Eskil Rask. Classe sopraffina confermata anche da "Grand Inquisitor", un pezzo più classico e tortuoso, ma che ha ancora modo di riversare tonnellate di riffs (soprattutto nel finale) e quintalate di groove, grazie all'apporto azzeccatissimo di synth mai invasivi. "Erindringens Evighed" al di là dell'eccelsa qualità musicale che ormai non fa più notizia, la citerei piuttosto per l'utilizzo a livello lirico della lingua madre dei nostri; però visto che ci siete ascoltatevi attentamente anche il finale mozzafiato della song che ci conduce a "Sovereign". Questa è la canzone che era stata scelta come singolo nel 2016, quindici minuti che sublimano il concetto di musica death progressiva, attraverso una scoppiettante prova, corredata da una complessità musicale davvero elevata, in cui mi sembra di percepire a livello di chitarre anche un che degli Edge of Sanity di 'Purgatory Afterglow'. Non so se siano clamorosi abbagli dovuti all'entusiasmo scatenato dall'ascolto di 'Timeweaver', ma ragazzi, un unico consiglio, fate vostro questo disco, non ve ne pentirete assolutamente, soprattutto se siete fan di Opeth, Ne Obliviscaris, Enslaved, Amorphis, Ihsahn, Porcupine Tree, Devin Townsend e compagnia, insomma quanto di meglio la scena abbia da offrire. Che altro state aspettando? (Francesco Scarci)

martedì 26 febbraio 2019

Vanir - Allfather

#FOR FANS OF: Viking, Amon Amarth
Vanir is a band that, on paper, should be buttering my bread. A thick layer of bass clouds the mix while shafts of light break through in choral cries. Chest-pounding rhythms stomp through meaty melodic guitar riffs and images of grizzled ancients thrown about by massive waves complete the atmosphere of “Ironside” as landfall comes with a tide of chaos. The murky melancholy of glorious battle is brought by thunderous drumming, raging rhythms, and soloing six strings aching to accentuate the intensity of peril amidst the clashing of shield walls.

There is a palpable zeal in this dense almost atonal delivery, one as colorless as a collage of weathered stones and fading runes. The massive marching momentum of 'Allfather' cracks you across the face with a flying riff on occasion or a solo that spurs sails forward, but end up crashing into staggering waves of plodding verses and forgettable choruses that salt the wounds opened by such heartfelt moments. Attempts to outdo Bathory in atmosphere fall painfully flat as this flawlessly clean delivery roots itself in a groundwork of stiff blackened death aesthetic and the surrounding yawns of choir and synth make bleak what should be the clenching of a triumphant gauntleted fist. There is little to characterize this band in its own space, merely a series of tropes thrown at a template so basic and phoned in that it's clear why this band is entirely forgotten in the overflowing sea of folk, extreme, and viking themed metal bands populating Scandinavia and swarming scenes the world over with a reach that would make their ancestors weep.

The opening song, “Væringjar” is very much a testament to what you'll hear throughout the rest of the album. Melodic riffs with death metal aesthetic, a very Amon Amarth similarity as this folk metal overruns its power metal presentation with the harsh vocals and bass-heavy thunder of this modern more brash brood. Hulking melodies majestically flow like the grizzled beard of a great warrior, his outstretched arm gripping a rope as waves toss his boat to and fro, a blizzard fueling the large square sail as “Ironside” tumbles to tears of riffs and sprays of double bass. However, beyond the theme of songs like “Ulfhednar” about wolf-skin wearing berserkers of old, the energetic “Shieldwall” opening with a sample from the television show “Vikings” before crashing into its murky production, or “Einherjer”, named for the fallen who are brought to Valhalla, the album revels in an epically stagnant blandness that swamps over the wide gaps between its richest moments.

The Amon Amarth style flows too obviously when melody comes up. A guitar moment in “Einherjer” is taken right out of Judas Priest's “You've got Another Thing Coming” and is easily found in Amon Amarth's “The Beheading of a King”, “An Ancient Sign of Coming Storm”, and “Under the Northern Star”, but altogether is best shown in Amon Amarth's take on Judas Priest in “Burning Anvil of Steel”. This is totally derivative and its rise is the sort of blackened quip that Primordial employs to great release throughout 'Redemption at the Puritan's Hand' among many other black metal offerings that plunge into the ethereal sea in submarines of blast beats for a weekend of “Murmaider”. The reality is though, this moment is a meaty rip off of the opening riff to “She Sells Sanctuary” by The Cult, yet another derivative metal moment that I cannot unhear. Funny how the biggest standout in this release is also its most cliched moment, making an album that's supposed to be brash, grandiose, and powerful fall directly onto its face.

As Amon Amarth enters a new era of creative bankruptcy so epic that the government of Sweden will need to bail the band out in order to prop up its Dethklokian economy, this depression spreads to its Danish cousins as Vanir defaults on its loans from the viking cliché while making music as absent of life as the graves it robs for an identity. The reality is that this album isn't blatantly awful and doesn't feature any flubs. There's no single moment of cringe, save for the clean singing in the German vocalized “Fejd”, and the album becomes a flat plane of plain music. 'Allfather' is astonishingly average and makes Amon Amarth sound fresh and still vibrant in comparison, which is all sorts of sad when considering just how out of steam Vanir's Swedish cousins are. For an album that attempts to sound so monumental in aesthetic, its execution is so bland and blatant a rip off that it makes for a forgettable and disappointing listen when opening an ear a bit more beyond the band's fantastic presentation. (Five_Nails)

(Mighty Music - 2019)
Score: 65

mercoledì 6 febbraio 2019

Down to the Heaven - [level-1]

#PER CHI AMA: Djent/Cyber/Deathcore, Meshuggah, Enter Shikari
Avete voglia di divertirvi, ascoltare qualcosa di moderno, carico di groove, con quel pizzico di ruffianeria che non guasta mai, senza dover rinunciare ad un bel po' di riff schiacciasassi? Beh, a prestarvi aiuto in tali richieste, ecco giungere dalla Polonia i Down to the Heaven, una band proveniente da Bielsko-Biała, che nel qui presente '[level-1]' fonde death metal, metalcore, arrangiamenti ben orchestrati, elettronica e djent, in un calderone di potenza e melodia davvero intrigante. Il tutto è testimoniato da "Catharsis" che segue a stretto giro quella che appare essere l'intro del disco, "Down to the...". Poi giù tante mazzate, con dei riffoni sparati a tutta velocità, ma con una componente melodica davvero vincente, che si muove tra influenze che chiamano in causa indistintamente Dark Tranquillity, Enter Shikari, Meshuggah, Coraxo, ...And Oceans e tanti altri, in un vibrante concentrato dinamitardo da sentire e risentire, meglio se sparato a tutto volume in automobile o comunque lasciato libero di fondervi le orecchie per il volume inaudito a cui dovrete sottoporlo. Stratosferico. Fenomenale, come la cavalcata furibonda che chiude "Unbroken", una song dal sapore esotico che da sola vale l'acquisto del cd. Per non parlare poi di quella cibernetica sensualità che contraddistingue le note iniziali di "No Vision", prima che l'arroganza elettrica prenda il sopravvento e ci delizi per quasi sei minuti di graffianti sonorità strumentali. Con "Kingdom of Delusion" fanno ritorno le vocals di Rusty in una song dai ritmi infuocati pur sempre carica di melodia, accostabile, molto più di altre tracce, ai Dark Tranquillity. Siamo quasi in chiusura, un peccato, a rapporto mancano però ancora "Tyrant's Fall", song debortante, che per quanto povera in fatto di originalità, ha comunque il merito di catalizzare l'attenzione per la pienezza delle sue ritmiche, le cyber trovate dei nostri che fanno da corredo ad una componente melodica sempre estremamente importante (qui si strizza l'occhiolino agli ultimi In Flames) e ad un finale sorprendentemente trascinante per intensità e profondità. "We Are" è una song dall'incipit rockettaro con un cantato che sembra quello del buon Chuck Billy, e un sound multiforme, psicolabile e che tocca vette brillantissime tra cyber metal, industrial e deathcore, a sancire l'eccelsa qualità dell'ennesima valida band proveniente dalla Polonia che ha davvero qualcosa da dire. (Francesco Scarci)

martedì 20 novembre 2018

From Ashes Reborn - Existence Exiled

#PER CHI AMA: Swedish Death, Amon Amarth, primi In Flames
Formatisi appena nel 2017, i From Ashes Reborn arrivano velocemente alla release del primo album, questo perchè i nostri non sono certo degli sprovveduti, avendo la formazione, per 4/5, militato in precedenza nei deathsters Badoc. Dalle ceneri di quella band, ecco quindi risorgere il quintetto che vede l'aggiunta in line-up di Ronni, il nuovo vocalist. Il risultato è 'Existence Exiled' e le otto song in esso contenute. Le danze si aprono con le melodie sognanti dell'intro "The Onerous Truth" che in poco più di un minuto consegna a "Fight for the Light" il compito di aprire ufficialmente le danze, in modo più efficace. Presto detto, la band inizia a macinare montagne di riff fumanti, strizzando l'occhiolino al melo death di matrice scandinava. Non mancano pertanto i riffoni roboanti, i break acustici, le growling vocals e le immancabili linee di chitarra un po' folkish che guardano ai primi In Flames ma anche agli Amon Amarth. Ce n'è per tutti i gusti, basta solo accomodarsi e prestare un po' di attenzione alla proposta dei nostri musicisti teutonici e provare a non farsi schiacciare dalla loro furia vibrante, soprattutto quella contenuta in "Follow the Rising", un brano energico (pure troppo a livello di drumming) e ficcante, che soffre il solo problema di voler imbastire la linea ritmica con un po' troppe cose correndo il rischio di sovrassaturare il sound. Questo torna fortunatamente ad essere più intellegibile nella sua esaltante sezione solistica, davvero da urlo. "The Essence of Emptiness" apre un po' nel modo dei vecchi album di Anders Friden e soci, con un bell'arpeggio su cui poi si poggiano un riffing corposo e la bella voce in growl di Ronni, in una song incisiva dall'inizio alla fine. Si può dire altrettanto della breve schiacciasassi "Infected", incazzata e roboante nel suo incedere sempre comunque pregno di melodie che rendono per lo meno il disco piacevole da ascoltare, soprattutto a livello di solismi, sempre davvero ineccepibili e coinvolgenti. Un po' più tradizionale ed incentrata su un mid-tempo invece la title track, con nessuno spunto davvero degno di nota, se non i vivaci virtuosismi alla sei corde che davvero donano parecchio brio al pezzo. Il bombardamento prosegue in "Homicidal Rampage", un altro buon brano che necessita ancora di uno snellimento a livello ritmico per risultare più centrato; qui da sottolineare un riffing più marcescente che si fa ad altri classici spinti al versante death metal, mentre la coppia di asce prosegue il proprio dibattimento in fatto di supporto ritmico+assolo. Demoliti da quest'altra carneficina, arriviamo all'ultima "The Splendid Path", gli ultimi tre minuti e mezzo strumentali che chiudono con eleganza 'Existence Exiled', un disco interessante che abbisogna, come dicevo, di un maggiore alleggerimento a livello sonoro per evitare quell'effetto caos che talvolta si respira durante l'ascolto del disco. Per il resto, direi che siamo sulla strada giusta. Un'ultima cosa, dimenticavo: la produzione di 'Existence Exiled' è stata a cura di Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak, Sun of the Sleepless) nei Klangschmiede Studio, mica l'ultimo degli sfigati, pertanto non sottovaluterei fossi in voi questo lavoro. (Francesco Scarci)

domenica 28 ottobre 2018

Coldbound - The Gale

#PER CHI AMA: Melo Death/Doom, Insomnium
"61°43’N17°07’E" non solo è l'evocativa opening track di quest'album, ma rappresenta anche le coordinate che dovrete seguire quest'oggi per inseguire fino in Svezia i Coldbound anche se in realtà dovreste ricercarne le loro origini in Finlandia. Nati infatti nel 2012 a Vantaa come la one-man-band del mastermind Pauli Souka, i Coldbound oggi hanno la parvenza di un gruppo a tutti gli effetti con tre elementi che fungono in realtà di supporto al frontman. E se agli esordi (questo è il loro quarto album) era un black/death a farla da padrone, ora il sound è virato verso lidi melo death intonacati di una vena doom, con risultati abbastanza rilevanti. Lo testimonia "The Evocation", e le sue ispiratissime linee melodiche che si muovono a metà strada tra Insomnium e i Saturnus più malinconici, non disdegnando tuttavia rasoiate ritmiche più vicine alla scuola melodica svedese, complice forse la nuova residenza del buon Pauli. La componente ritmica è davvero corposa, grazie ad un sound robusto, ma che ne preserva la componente melodica. Detto del mood decadente di "The Invocation", con "Endurance Through Infinity" si fa sentire una più marcata influenza dei My Dying Bride, là dove mi preme sottolineare l'ottima performance vocale del bravo Pauli dietro al microfono. E vi dirò che ci sento pure dei riferimenti alle tastiere degli Amorphis di 'Tales from the Thousand Lakes', ma forse saranno mie allucinazioni sonore. In "The Eminent Light", fa l'apparizione al microfono la voce femminile (poco convincente oserei dire) di Paulina Medepona in una song che avrebbe tutte le potenzialità per colpire nel segno ma che in realtà rimane strozzata proprio nelle corde vocali della gentil donzella, troppo poco convinta delle sue capacità. Decisamente più roboante e convincente la title track che esplode con forza in una traccia dai forti sentori black, retaggio degli esordi della band, anche se lungo il brano, Pauli sembra correggere il tiro e virare verso il melo death di scuola finlandese, in una traccia che comunque ho apprezzato più delle altre per quel suo spirito energico e battagliero, corredato da belle melodie in sottofondo e ottime orchestrazioni a cura di Andras Miklosvari, il braccio destro di Pauli. Annientati dall'onda anomala di "The Gale", il sound vira drasticamente in "My Solace", traccia più sofferta e dal piglio dark rock, con le vocals quasi sussurrate all'inizio, prima che rientrino nei binari di un growl concreto che comunque si alternerà in questa song con le clean vocals. Il pezzo comunque è assai convincente, complici anche alcune interessanti linee di tastiere, sebbene possa suonare un po' troppo derivativo. 'The Gale' volge già verso il termine, ma riserva ancora qualche spunto interessante: l'irrequieta irruenza di "Winters Unfold", cosi doomish e più gustosa nel finale, le linee di chitarra di "Shades of Myself" e quel suo drumming evocativo nella parte centrale del brano, qui marcatamente influenzato dagli Insomnium. E poi c'è il gran finale, affidato agli undici minuti di "Towards the Weeping Skies", il brano più completo e maturo del lotto, una summa di tutto quanto ascoltato sin qui, che si manifesta attraverso le atmosfere darkeggianti di una song delicata e le vocals sofferenti del sapiente frontman finlandese, in un brano sicuramente evocativo, e ben più rilassato rispetto ai precedenti. Alla fine 'The Gale' è un buon disco che certamente mostra diversi pregi ma ancora qualche difettuccio, forse legato ad una sensazione di già sentito che talvolta riemerge dalle note del combo nordico. A parte questo, sono convinto che sia parte di un normale percorso di crescita che vedrà probabilmente nel prossimo capitolo, toccare un apice musicale ancor più elevato. (Francesco Scarci)

(Moonlight Productions - 2018)
Voto: 70

https://coldbound.bandcamp.com/album/the-gale