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lunedì 20 dicembre 2021

Malo Moray & His Inflatable Knee - Improvisations from the Solar System (and other Solo Pieces)

#PER CHI AMA: Ambient/Noise/Experimental
E giunge fino a noi dalla lontana galassia tedesca, direttamente dalla colonia spaziale della città di Lipsia, un nuovo lavoro dal vivo, del collettivo Malo Moray & His Inflatable Knee. L'autore e fondatore, Martin ‘Malo’ Riebel, conferma che l'intento di questa opera, è di mettere in musica la profondità di un cosmo sconosciuto, di galassie infinite e silenziose, ponendole in parallelo alla depressione e alla solitudine (vissuta anche in prima persona dall'artista in epoca recente) in cui versa l' umanità odierna. Il contrabbassista tedesco gioca con loop, elettronica e strumenti auto costruiti per intavolare un viaggio sonoro suggestivo, in perfetta simbiosi con i canoni della musica ambient spaziale, futuristica e d'avanguardia. Quindi, tra rumoristica cosmica, neo classicismo e sperimentazione, cresce progressivamente la curiosità dell'ascoltatore per quest'album, brano dopo brano. Realizzato come una lunga colonna sonora che si snoda tra sentori jazz, riadattati in direzione dello stile ambient di Brian Eno e l'avanguardia di Edgar Varese, il tutto filtrato da una vena molto cupa e dark oriented, che offre un tocco assai sinistro all'intera opera. Piccoli rumori colti in ambiente danno una prospettiva filmica ai brani, così, l'iniziale " Intro (A Gentle Sunrise Kisses the Surface of Mars)", già dalle prime note, mostra l'ambiente sonoro che si andrà ad affrontare lungo i solchi del disco, un assaggio di estatica, fluttuante, malinconia intergalattica, che si propaga nella sua ottima produzione di alta classe. Nella lunga e affascinante "Building Skyscrapers on Jupiter", si esaltano rumori e atmosfere inquietanti, visionarie e oscure, giocate su di un linguaggio extraterrestre destabilizzante, un tappeto musicale che vira profondamente verso melodie adatte ad un film thriller, intense e cariche di suspense. L'astratta bellezza della trama jazz che contraddistingue il brano "A Busy Suspension Bridge Floats Over a Deserted Area on Venus" è scarna e desolata come lo spazio più profondo. "The Secret of Saturn's Hexagon" mostra tutto il carisma e gli intenti neo classici di Malo, immaginandolo seduto su di un anello di Saturno, avvinghiato al suo contrabbasso che, archetto alla mano, sperimenta suoni misteriosi trasudanti sentori sinistri. Tutto, di questa lunga colonna sonora, si evolve in maniera ispirata ed omogenea. Il sound è sempre raffinato ed anche nella sua oscurità, mantiene una forte personalità intellettuale, ricca di composizioni ragionate e ben studiate, pur trattandosi di una performance live, registrata in maniera egregia, a Barcellona nel Febbraio del 2021. In questo album appare anche la singolare reinterpretazione della cover della magnifica "Listen to the Hummingbird" di Leonard Cohen, dal titolo rivisitato "Nature's Call (Listen to the Hummingbird)", brano che completa un già ottimo insieme di creazioni sonore. Un disco che è un'esperienza d'ascolto e che introduce nel modo migliore il successivo album, registrato sempre dal vivo, uscito da pochi giorni e intitolato 'Das Weltall', ovvero l'Universo. (Bob Stoner)

lunedì 22 novembre 2021

Clayhands - Is this Yes?

#PER CHI AMA: Cinematic Post Rock
Dove c'è Barilla c'è casa, citava un famoso spot televisivo di parecchi anni fa. Parafrasando quel jingle, mi viene da dire che dove c'è Bird's Robe Records, c'è post rock. Quindi, per gli amanti di queste sonorità, eccovi servito il nuovo lavoro degli australiani Clayhands, combo originario di Sydney che è uscito all'inizio di novembre con questo 'Is this Yes?', ambizioso album di cinematico post rock, come da flyer informativo annesso al cd. Partendo da un caleidoscopico artwork di copertina che, per colori e forme richiama i King Crimson, i nostri proseguono in modo altrettanto coerente con un sound assai delicato che potrebbe inglobare al suo interno sfumature progressive, jazz, ambient, improvvisazione pura, musica da colonna sonora e tanto tanto altro, il tutto suonato in modo a dir poco celestiale. Questo almeno quanto percepito dalle colorate note dell'opener "Godolphin" e confermato poi dai tocchi malinconici ma cangianti della successiva "Orchid", dove sottolinerei l'ottima performance di ogni singolo musicista e il gran gusto per le melodie. "Murking" si muove in territori ancor più alternativi, vuoi per un sound molto più ricercato, vuoi per l'utilizzo di strumenti a fiato, non proprio consoni al genere, ma il brano alla fine, nelle sue strambe circonvoluzioni, si lascia ascoltare piacevolmente. Ben più sfocate le immagini prodotte inizialmente da "The Boy Left", prima che la song trovi una sua direzione un po' più definita ma comunque fuori dai soliti schemi post rock, con melodie a tratti dissonanti ma che comunque in questo contesto, donano grande originalità al tutto. Peccato solo manchi una voce a far da Cicerone a questa produzione, perchè con un cantante dalla calda ugola suadente o evocativa, credo che quest'album avrebbe meritato un risultato ancor più esaltante. E allora lasciatevi andare, fatevi avvolgere dalle melodie eteree dei Clayhands, dalla loro impressionante e incessante voglia di stupire con suoni che tra le proprie influenze inglobano ancora Pink Floyd, Shels, i già citati King Crimson, gli Yes e molti altri a dare garanzia di una qualità compositiva davvero eccelsa. È chiaro che 'Is this Yes?' non sia un lavoro cosi semplice da digerire, complice un'architettura sonora ben strutturata e pezzi anche dalla durata notevole: "Polars" supera gli otto minuti mentre la conclusiva "Playgrounds" sfiora i 15, proponendo in questo frangente temporale quanto di meglio i nostri hanno offerto sin qui. Chitarre liquide, incorporee che prendono lentamente forma e si lanciano in sofisticate e magnetiche fughe strumentali da lasciare a bocca aperta. Spettacolari, non c' altro da dire. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/is-this-yes

domenica 5 settembre 2021

Jordsjø - Pastoralia

#PER CHI AMA: Prog Rock
I Jordsjø sono un duo proveniente dalla Norvegia, con all’attivo già diverse uscite (dal 2015 se ne contano 8 tra demo, split, EP e album veri e propri). Qui ci troviamo nell’ambito del progressive più puro, e non parlo di prog metal alla Dream Theater o cose del genere, mi riferisco proprio al progressive rock che negli anni '70 irrompeva sulla scena mescolando in modo fino ad allora inaudito il rock figlio della rivoluzione 60s con il folk, il jazz e la musica classica. E se è vero che, a volte, il connubio ha generato mostri, è innegabile che abbia anche dato vita a diverse esperienze interessanti. I Jordsjø si tengono dalla parte “buona” della barricata. Quella che riesce ad ibridare linguaggi non sempre facilmente conciliabili in modo equilibrato ed elegante, senza eccedere nel virtuosismo autoindulgente o soluzioni eccessivamente cervellotiche e tenendosi bene alla larga dal gigantismo o la magniloquenza che caratterizzano le esperienze meno felici (e ahimè non sono poche) di quel movimento. In 'Pastoralia' i due scandinavi sembrano avere preso a modello i primi Gentle Giant (ascoltare i 7 minuti di "Skumring i Karesuando" per credere), filtrandoli attraverso le lenti del folk e certo jazz di stampo nordico, smussando gli angoli e smorzando il toni generali fino ad ottenere un prodotto di altissimo artigianato che riesce a risultare fuori dal tempo, nel suo coniugare prog anni '70 ad un afflato nordico quasi pop, soprattutto nell’uso della voce. Ecco allora che ci sono momenti in cui la ripresa del folk nordico risplende come un diamante, come nella notevolissima title track o l’incantevole "Fuglehviskeren", dove sembra di ascoltare i Pentangle. Altre volte ad emergere è l’amore per certe atmosfere jazzate ("Beitemark"), fino a far confluire nella conclusiva "Jord III" tutto il loro mondo fatto di arpeggi acustici alternati ad ispirati fraseggi elettrici, flauti, mellotron, piani elettrici e strutture complesse ma mai astruse. Disco molto bello, davvero di alto livello. Un must have per gli amanti del genere. (Mauro Catena)

(Karisma Records - 2021)
Voto: 80

https://jordsjo.bandcamp.com/album/pastoralia

martedì 31 agosto 2021

Manes - How the World Came to and End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Avantgarde Music/Jazz
Dopo l’ascolto di quest’album, giunsi alla conclusione che in Norvegia ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria, perché i gruppi norvegesi si sono rivelati, giorno dopo giorno, sempre più ispirati e in grado di reinventarsi musicalmente disco dopo disco. I Manes non sono mai stati esenti da tutto ciò: iniziata la loro carriera nel 1993 come blacksters super incalliti, hanno saputo evolvere il proprio sound in modo magistrale ed estremamente eclettico dapprima con 'Vilosophe' nel 2003. È seguito poi lo sperimentale 'View', presagio di cosa ci avrebbe riservato il futuro, arrivando con 'How the World Came to and End' a stravolgere totalmente la loro musica, con questo straordinario disco, che ho fra le mani. Questo lavoro sfugge infatti totalmente alla definizione di musica metal, perciò chi non dovesse avere una mentalità notevolmente aperta, si mantenga a distanza di sicurezza. Chi invece come il sottoscritto, ha saputo apprezzare l’evoluzione stilistica del sestetto scandinavo, potrà tranquillamente avvicinarsi a questa delirante produzione. Non saprei proprio da dove iniziare, tanto si presenta spiazzante all’orecchio dell’ascoltatore questo full length. Si parte con “Deeproted” che ci mostra subito la direzione cibernetica abbracciata qui dalla band: la voce di Asgeir è sempre ben riconoscibile su delle basi techno-jungle, che contraddistinguono il sound dei nostri. Con la successiva “Come to Pass” (e l’ottavo pezzo “The Cure-All”), assistiamo all’incredibile: l’uso di vocals rappate e suoni hip hop, stile Pleymo, inserito in un contesto oscuro e ipnotico, che termina in una fuga elettronica alla Prodigy. Con la terza traccia si celebrano atmosfere degne dei migliori Archive, mentre con “A Cancer in our Midst” vi è una ripresa dei suoni tanto cari ai Depeche Mode, con la sola differenza che le vocals sono filtrate, simil industriali. L’album di questi pazzi scatenati, viaggia lungo i binari del paradossale, attraversando lande desolate dal sapore vagamente jazzato, città futuristiche dai suoni spaziali e paesaggi notturni fatti di ritmi elettro-trip hop. I Manes hanno sempre avuto una marcia in più, versatili e dall’enorme inventiva: tutti i dieci brani riescono a catapultarci all’interno di un vortice di forme e colori, dal quale ne usciamo profondamente turbati e intontiti. Seguendo le orme dei compatrioti Arcturus e Solefald, ma ancor di più dei pionieri Ulver, i Manes hanno plasmato la loro mutante fisionomia, destabilizzando, con il loro sound, l'ormai “vecchia” concezione di musica metal. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2007)
Voto: 80

https://manes.no/

giovedì 26 agosto 2021

Edredon Sensible - Vloute Panthère

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde
Due sassofonisti e due percussionisti, un disco di debutto ed una copertina assurda per una musica ipnotica, poliritmica ed influenzata dalla follia di certo jazz sperimentale quanto dall'avanguardia. Non dimentichiamoci poi di un impatto folle, tra il primo disco degli Ottone Pesante ed i Naked City, meno inquietante e più naif, il tutto nel segno dell'ipnosi psichedelica di certe band trance dei 90s (vedi Seefeel) ed una certa follia liberatrice nello stile del Krautrock. Detto questo, il disco dei francesi Edredon Sensible è molto interessante: gli schemi compositivi a volte si ripetono volutamente per indurre l'ascoltatore in un volo sciamanico/tribale di moderna concezione, evoluzioni soniche con lunghi assoli di sax che si rincorrono, ritmi incalzanti e stravaganti, quasi a immaginare il sound degli X-Ray Spex, spogliato di tutto ma non della sua istericità e del nervosismo tipico del punk. Quando i nostri rallentano sembrano una versione esotica dei Morphine, senza voce né basso, virati all'allucinazione come nel favoloso lunghissimo brano "Blirprulre", dove tra una esplosione e l'altra, poliritmi ossessivi ed una ottima produzione, ritrovo il piacere e l'interesse d'ascolto che un tempo apprezzavo tanto nei fantastici dischi del trio Medeski Martin and Wood, con la stessa fantasia e profondità per la composizione e per la ricerca del suono caldo, vivo, pulsante e presente. Il jazz in 'Vloute Panthère' è sempre dietro l'angolo e fa da solida base, ma la struttura ritmica si contorce e muta in maniera funambolica, tanto che "String et Bermuda", potrebbe essere una rilettura dei concetti percussivi espressi nel capolavoro 'Flowers of Romance' dei Pil, rielaborati con il tocco folle, dissacrante e genuinamente transalpino di band come Brice et Sa Pute, Lfant, Piol, Piniol, un modo di intendere e fare musica ("Jus d'Abricote" ha un'indole spettacolare tra atmosfera cinematografica e danza rituale woodoo) non convenzionale, figlio del dio Zorn ma con uno stile proprio di una scena che conta un sacco di idee e ottime realtà musicali d'avanguardia. Un disco davvero stimolante ma forse non per tutti, semmai adatto ad orecchie ricercatrici, che amano la sperimentazione ortodossa, quella che costruisce passo dopo passo composizioni varie, inaspettate ed ispirate e non vive di sola improvvisazione, ma unisce arte, rumore, capacità tecnica e tanto amore per la musica libera da ogni convenzione. L'ascolto di questo disco è un dovere e a buon intenditore poche parole dovrebbero bastare. (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2021)
Voto: 78

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/vloute-panth-re

venerdì 23 luglio 2021

Captain Kickarse and the Awesomes - Grim Repercussions

#PER CHI AMA: Prog/Math Rock
Ancora Bird's Robe Records, ancora band australiane quindi, quasi sia un mantra dell'etichetta di Sydney arruolare realtà del proprio paese. La band di oggi è un trio strumentale che propone in questo 'Grim Percussion', un rock muscoloso davvero libero da ogni schema. A certificarlo subito le note della breve intro "Sixes and Dozens", che ci danno un'idea di che pasta siano fatti questi tre aussie boys, che sono in giro ormai dal 2009, quando uscì il loro EP di debutto, 'Falsimiles From The Facts Machine'. Con la seconda "Pogonophobe", ma sarà poi una costante lungo l'intero disco, quello che balza subito all'orecchio, è l'assoluta libertà da parte dei Captain Kickarse and the Awesomes di suonare quel diavolo che gli pare senza paura del giudizio esterno. Si va quindi dal jazz rock singhiozzante di questa song, alla più percussiva "Immaculate Consumption", dove ancora i fraseggi jazz la fanno da padrone. Certo si richiede una certa predisposizione a questo genere di suoni perchè dire che siano immediati da percepire e gradire, rischierebbe di essere una gigantesca bugia. E allora lasciatevi investire dalle sonorità un po' più grasse di questo pezzo e dalla sua delirante follia, affidata alla tecnica sopra la media dei tre musicisti, che in tre differenti occasioni, riusciranno a mettersi in mostra. Un breve intermezzo acustico e via per altri lidi di delirio musicale: ascoltando l'apertura di "Smallcastle", non si può non corrucciare le sopracciglia cercando di capire che cavolo i nostri stiano combinando con i loro sperimentalismi musicali. Dopo un paio di minuti, la traccia prende una sua forma meglio definita combinando prog e post rock, con un tappeto ritmico bello robusto e con ulteriori ammiccamenti a psichedelia e sludge. Il duetto di song costituito da "The Grapes" e dalla title track, si prende da solo quasi 21 minuti di musica stralunata, oscura ed imprevedibile (chi ha detto math-rock?), che saprà disorientarvi ancor di più rispetto a quanto fatto sin qui dal terzetto originario del Nuovo Galles del Sud. Non mancheranno infatti momenti estremamente riflessivi ed introversi, cosi come scariche di rabbia e frustrazione, colate di suoni ridondanti e roboanti che vedono a mio avviso, solo l'assenza di una dissennata forza della natura a urlare nel microfono, il che avrebbe reso la proposta dell'act australiano un po' meno ostico da digerire. Si perchè le cose si fanno ancor più complicate in "A Beard of Bees", un pezzo noise introdotto dal didjeridoo e affidato poi al caos primordiale, prima che "Fourth Party" metta la parola fine a questa fatica targata Captain Kickarse and the Awesomes, a tratti davvero complicata da affrontare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 73

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/grim-repercussions

giovedì 22 luglio 2021

Il Wedding Kollektiv - Brodo

#PER CHI AMA: Art Rock/Alternative/No Wave
Alessandro Denni (synth e programming) è la mente di questo interessante progetto, denominato Il Wedding Kollectiv, sviluppatosi musicalmente tra Roma e Berlino, dove è stato registrato (il moniker stesso della band deriva dal nome di un quartiere multiculturale della capitale tedesca). La prima cosa che salta all'orecchio ascoltando questa release di debutto della band capitolina, dal titolo azzeccatissimo, 'Brodo', è l'attitudine poetica dei testi, curati dalla giovane scrittrice romana, JFL, che caratterizzano il canto di una Tiziana Lo Conte in perfetta forma vocale che, sensuale ed intrigante, spesso tesa e misteriosa, si muove con stile tra le parole trasversali di nervose ed affascinanti scritture, cavalcando con classe composizioni cariche di teatralità. Un'ottima performance vocale che esalta il ricordo della sua lunga militanza in band iconiche come Gronge, Goah e Roseluxxx, e proprio di questi ultimi, si sente una buona influenza (si ascolti l'album 'Resti di una Cena'), sottraendone però il lato più rock. Colpisce anche l'istinto no wave che si aggira all'interno di tutte le tracce, una commistione tra avanguardia elettronica alla The Knife/Fever Ray, un lato cameristico alla maniera della Penguin Caffè Orchestra ed un pizzico della follia di musiche da culto come quelle prodotte dal mitico Confusional Quartet e Gaznevada, unite in maniera bizzarra da una vena cabarettistica, teatral-recitativa ("L'Astronomo") fino ad arrivare alla canzone d'autore e ad un certo acid jazz minimalista e sintetico. Tutto questo impasto sonoro è impreziosito dalla presenza di vari ospiti, Claudio Moneta alle chitarre, Inke Kühl al violino e sax, Chiara Iacobazzi alla batteria, Federico Scalas al basso e violoncello, Stefano Di Cicco alla tromba, per un sound difficile da inquadrare, assai stimolante, vivo e libero da vincoli di genere, cosa che lo rende molto piacevole sin dalla prima ottima traccia, "Ipersfera Relazionale". 'Brodo' è un lavoro che in poco più di venti minuti, traccia un solco incolmabile tra quello che la musica italiana, per così dire leggera, dovrebbe e potrebbe essere, e quella patacca sonora che ci viene propinata da tempo immemore. Una musica con brani che si avvalgono di una produzione preziosa, per una manciata di canzoni, complesse e ricercate, ragionate ed intelligenti. Venti di rock-in-opposition ed elettronica anni '80 per l'inizio di "Sabato 16 Giugno", con quel suo testo suggestivo e la voce vellutata, un sax astrale e quelle venature jazz a creare qualcosa di così distaccato dalla solita routine italica, che solo Cosey Fanni Tutti o le gesta eroiche dei Tuxedomoon sono riusciti a toccare. "A Proposito del Tuo Candore" chiude poi il cerchio, mostrando il lato più rock oriented del collettivo italico, con una registrazione che ricorda nei suoni, un miscuglio tra i Morphine di 'Like Swimming' e alcune cose alla P.J. Harvey, per una composizione diversa dalle altre presenti nel cd, più ipnotica e ariosa ma anche molto più psichedelica ed oscura nelle sue sonorità più classiche. Con 'Brodo' ci troviamo alla fine di fronte ad un ottimo disco, che per i canoni italiani odierni, è da considerarsi un lusso che non tutti possono permettersi, paragonabile a mio avviso, non per similitudine sonora ma per estro creativo, ad 'Aristocratica', il magico capolavoro dei Matia Bazar uscito nei primi anni '80. Ascoltare per credere. (Bob Stoner)

(Neontoaster Multimedia Dept. - 2021)
Voto: 74

https://ilweddingkollektiv.bandcamp.com/album/brodo

lunedì 12 aprile 2021

Kaschalot - Zenith

#PER CHI AMA: Math/Post Rock Strumentale
Quello degli estoni Kaschalot è un mini di quattro pezzi, che mi permette di saperne un po' di più del quartetto di Tallin, in giro dal 2014 e con un paio di EP (incluso il presente) ed un full length all'attivo. 'Zenith' ci dà modo di tastare il polso di questi giovani che propongono un math/post rock strumentale. Le sonorità pregne in dinamismo e melodia, si possono già apprezzare dall'apertura affidata a "Supernova" che irrompe con la sua carica esplosiva che va via via affievolendosi nel corso dell'ascolto, prima di ripartire con più slancio a metà brano e poi ritornare sui propri passi con sonorità più intimistiche che evidenziano alla fine un buon lavoro compositivo. Poi di nuovo, è tutto in discesa con ottime linee melodiche ed un finale a dir poco devastante. Di ben altra pasta invece la successiva "Mothership", ben più calibrata nel suo incedere math rock che palesa l'ottimo lavoro dietro alle pelli del batterista, gli squisiti, jazzati ed irregolari cambi di tempo che sottolineano una preparazione tecnica di una band davvero invidiabile, a cui manca però una sola cosa, una voce al microfono. Si davvero, sono convinto che avrebbe aiutato ad elevare ulteriormente le qualità di un platter multiforme, ben costruito e dotato di una certa vena creativa. Come il funk-rockeggiare iniziale del basso in "Beacons", che prima si prende la ribalta assoluta dei riflettori e poi li condivide con chitarra e batteria. Infine, largo ad una ritmica bella compatta, distorta quanto basta e dal finale alquanto serrato. "Distant Light" chiude in modo apparentemente più pacato l'EP, dico apparentemente perchè a fronte di un incipit controllato, i nostri si lanciano al solito in spirali musicali di grande intensità, interrotte da break più equilibrati, da cui ripartire con più irruenza. Alla fine quello dei Kaschalot è un buon dischetto, forse di scarsa durata (20 minuti) ma che permette comunque di godere appieno delle qualità di questi quattro fantastici musicisti. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/Stargazed Records - 2021)
Voto: 72

https://kaschalot.bandcamp.com/album/zenith

lunedì 5 aprile 2021

Crrombid Traxorm — Anamnesis Morbi

#PER CHI AMA: Experimental Thrash/Death
A volte mi domando se le band riflettano un attimo sulla scelta del loro moniker. I russi Crrombid Traxorm a mio avviso non tanto, e questo francamente credo non aiuti nel memorizzare nome e proposta della compagine di turno. E dire che le origini dei nostri affondano addirittura nel 1990 e a quei tempi la scelta era un po' più estesa rispetto ad oggi. Comunque il duo, sebbene originario di Yaroslavl, ci propone un sound in linea con le produzioni thrash/death americane anni '80/90. I nostri con 'Anamnesis Morbi' tornano dopo un silenzio durato ben 26 anni (credo sia un record), fatto salvo una compilation di demo uscita anch'essa nel 2020. La proposta dicevo pesca da un anonimo thrash death statunitense, almeno per quel concerne l'opener "Rising Reanimation". Con "Mortalgramma" infatti le cose prendono già un'altra piega, se considerate che il cantato si muove tra il growl ed un pulito alla System of a Down, con la comparsa poi in sottofondo anche di una gentil donzella. "New Vaccine" prende altre derive, tra un prog jazz death sperimentale che evoca Cynic e Pestilence dell'era d'oro, sonorità death, ma anche avanguardistiche. Tuttavia, leggendo i titoli dei brani e confrontandoli con quelli dei primi demo del '90 e '92, mi rendo conto che le tracce qui contenute sono in realtà le stesse concepite trent'anni fa dall'allora quintetto che si formò post scioglimento dell'Unione Sovietica. Oggi quei brani sono stati riarrangiati e ri-registrati da un collettivo di musicisti che ha contribuito a restituire una nuova vita a quelle tracce, finite probabilmente fino ad oggi in soffitta in una qualche cassetta registrata in modo casalingo. E cosi ecco prender forma una proposta che pur puzzando di stantio, mette in luce caratteristiche particolari di una band che forse all'epoca sarebbe stata definita visionaria al pari dei nostrani Sadist, degli Atheist, dei Death e di altre realtà considerate all'epoca sperimentali. Date allora un ascolto alla folle (fantastico l'intro humppa) "Stomatologic Operation", che si muove a cavallo tra death, thrash, alternative e prog. "Each Physician Has His Own Graveyard" ha una ritmica tipicamente thrashettona, ma l'assolo (il primo almeno) suona davvero hard rock, mentre il secondo viaggia su binari di grande stravaganza. "Massacre of the Innocents" si sente che è assai vintage nell'animo, ma l'aggiunta della voce femminile ed una componente solistica sempre brillante, lo rendono più attuale. Curiosa la scelta dei titoli: "Damage in the 21st Chromosome" mi fa pensare ai vecchi Carcass e alla scelta di utilizzare una terminologia medica nei loro titoli. Comunque sia, il brano è divertente, soprattutto a livello di cori, ma anche per l'utilizzo di una tromba nel finale. L'esperimento di utilizzare strumenti inusuali viene ripetuto anche in "Stadiums/Dinosaurs", dove i nostri si concedono il lusso di utilizzare violino e violoncello, a rendere più moderna la loro stralunata proposta. In conclusione, 'Anamnesis Morbi' non è un album certo facile da avvicinare, però se siete curiosi e di mentalità aperta, io un pensierino lo farei. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 70

https://crrombid-traxorm.bandcamp.com/album/anamnesis-morbi

domenica 4 aprile 2021

Collectif Eptagon – A​.​va​.​lon

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Il collettivo transalpino Eptagon, presenta la sua scuderia di collaboratori con una raccolta, in forma di doppio album, che per metà è finalizzata a raccogliere fondi destinati al Metallion store, uno dei pochi negozi di dischi rimasti fedeli alla causa della musica estrema e underground locale di Grenoble. Devo ammettere che è difficile giudicare un album così variegato, ben prodotto e dalle esposizioni sonore tanto colorate e diversificate tra loro, quindi, dovrò fare i complimenti all'associazione, alla qualità dei progetti tutti rigorosamente originari di Grenoble, ed infine un augurio che tutto questo materiale, registrato in un 2020 da dimenticare, con tutta il suo carico di energia espresso in un anno così buio, siano di buon auspicio a tutte le band per un futuro pieno di soddisfazioni. Dicevamo che l'album è variegato, essendo diviso tra stili e composizioni diverse tra loro, ma accomunato da una sorta di filo conduttore, qual è l'appartenenza underground di queste realtà sotterranee, un posto ideale dove far convivere death, black, sludge, post ed alternative, tecnico, d'atmosfera o aggressivo esso sia, con il dark jazz, la musica elettronica, il progressive e l'ambient, il tutto distinto e separato in singole pillole sonore di egregia qualità strumentale, esecutiva e di produzione. Nessuna sorta di lacuna nel suo lungo ascolto, suoni eccellenti, dinamica a mille e professionalità a go go. Da constatare e lodare che, per essere una compilation, la scaletta dei brani fila via che è un piacere, anche per chi predilige lavori più complicati. Il suo insieme si snoda proprio con la fluida progressione di un album ben ragionato e frutto di tanta passione, che si mostra con forza nella qualità d'esecuzione espressa dalle tante compagini qui presenti. Diciassette brani di carattere, che prediligono varie forme di metal nelle prime cinque canzoni, dal death dei Kisin, al doom rock dei Faith in Agony, al grind degli Epitaph, al prog death dei Demenssed fino agli sperimentalismi estremi dei Jambalaya Window. La sesta "Arashi" (Robusutà) crea una sorta di frattura nella trama dell'intero lavoro con un sound strumentale ammiccante ai giapponesi Mono. Da qui in poi, le sonorità prenderanno direzioni diverse, fatta eccezione per un ritorno di fiamma decisamente più metallico nel brano live dei Liquid Flesh. Un brano che, con la sua matrice ultra pesante e tecnica, si pone come apripista all'avanguardia jazz, dal gusto Zorn e oltre, degli Anti-Douleur ("Beyrouth"), per esporsi in territori più sperimentali ed oscuri, frastagliati e sofisticati. Elettronica, drone music, jazz sperimentale, ambient noir, noise, alternative elettro e via via, la personalità mutevole di questa raccolta di brani vive proprio dei suoi continui contrasti e cambiamenti, che si muovono in paesaggi estremi con una fluidità d'ascolto eccezionale. Volutamente non voglio proclamare quale brano e quale ensemble valga di più di altri presenti nella compilation (anche se, e vi chiedo perdono, devo dire che la voce di Madie dei Faith in Agony è davvero splendida), ma sarebbe un errore imperdonabile da parte mia e da chiunque ami la musica indipendente, underground e alternativa, voler giudicare, rinunciando ad un ascolto travolgente, libero, senza porsi troppe domande sul chi stia suonando meglio cosa. Rinnovo i complimenti a tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto così ben strutturato. Esorto il collettivo Ep.ta.gon a non mollare la presa ora, e vista la qualità della carne sul fuoco, non possiamo aspettarci altro che pranzi reali con realtà musicali cosi variegate come queste. Una compilation da ascoltare tutta d'un fiato, a volume alto ma soprattutto a mente apertissima. (Bob Stoner)

giovedì 28 gennaio 2021

Taumel - There is no Time to Run Away From Here

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Jazz
Jakob Diehl è un compositore freelance di musica per teatro e cinema, conosciuto anche come attore nel cast della nota serie televisiva 'Dark' e altri film ancora, mentre il suo compagno di viaggio musicale, Sven Pollkötter, è un affermato batterista e percussionista di stampo neoclassico, compositore e autore di vari progetti che si spostano dall'improvvisazione, al folk, dal jazz al metal fino al prog (Assignment, Alternative Allstars, Clause Grabke). Da questa unione nasce il progetto strumentale, Taumel, soluzione sonora sofisticata che usa le trame del jazz avvicinandole alle cadenze rallentate del doom, per far nascere un ambiente sonoro che potremmo senza difficoltà etichettare come dark jazz. Le composizioni di questo 'There is no Time to Run Away From Here' si avvalgono anche di chitarra, piano, rhodes e filicorno (a grandi linee una specie di tromba della famiglia degli ottoni) facendo notare grosse affinità di forma ed effetto filmico alla The Mount Fuji Doomjazz Corporation e dimostrando di poter competere con i mostri sacri del genere, anche se ad un ascolto più attento, oserei dire che i Taumel abbiano un approccio quasi più romantico del genere noir, più sentimentale, ipnotico e meno horror dei colleghi olandesi. "There is" apre le danze con una chiara matrice jazz, che va sfumando in un inaspettato corto circuito noise che introduce la drammatica vena di "No Time", impreziosita da tanta effettistica d'origine elettronica in sottofondo ed un bel gioco di riverbero che ne amplifica lo stato d'animo cupo. La lunga "To Run" è una marcia funebre che si alimenta di sonorità care al post punk più oscuro degli esordi, ed è forse il brano più teso e lugubre del lotto. Comunque, per tutti i pezzi che compongono il disco, ci si immerge in un'atmosfera notturna, piovosa, dove l'ingresso del filicorno, ad esempio in "Away", fa soffrire l'ascoltatore in una maniera morbosa, per una canzone che sfrutta tutta la potenza della visione al rallentatore, come in una scena di un film visionario in slow motion. Il brano è notevole, si eleva nel suo avanzare lento, con un senso di immobilità che per più di otto minuti riesce a rallentare il battito cardiaco, ponendosi statuario, ma allo stesso tempo esponendo un sound caldo ed intenso, come del resto, lo si nota lungo tutta la durata dell'album. Impossibile non notare la peculiare e maniacale ricerca del suono perfetto in una produzione che cura tutti i minimi particolari, dalle sonorità più profonde della batteria ai riverberi ed echi che circondano le melodie, per farle entrare in comunione con i colori della notte. Il piano di "From Here" mi ricorda una moderna interpretazione del più celebre "Clair de Lune", ma solo abbozzata, come se qualcosa di inconsueto e maligno, l'avesse interrotta maldestramente, chiudendo un disco che aspira nel suo profondo al suono dell'infinito. Ottimo debutto, album da non perdere. (Bob Stoner)

sabato 2 gennaio 2021

Le Grand Sbam - Furvent

#PER CHI AMA: Avantgarde/Progressive/Jazz
Il nuovo album dei Le Grand Sbam è uno di quei prodotti che fanno meravigliare gli appassionati e i ricercatori di musica d'avanguardia con la A maiuscola. Un lavoro indefinibile, imprevedibile, variegato e variopinto di mille colori e umori, costellato di pura e ricercata follia compositiva. L'ottetto francese scolpisce liberamente, attorno agli scritti, l'orda del controvento e dal simbolismo dello Yi King (I Ching), del neurologo/saggista portoghese Antonio Damasio, un lungo e articolato concept musicale dalle contorte intuizioni musicali, ai confini della realtà. Basta dare uno sguardo ai video live proposti dalla band sul canale youtube per capire di che pasta è fatto l'ensemble transalpino, che unisce la teatralità intellettuale dei The Residents alla follia iconoclasta Zappiana, passando per il jazz, il prog e persino spunti di rumorismo e punk, tutto rigorosamente d'avanguardia. Il primo brano, "La Trace", è una suite di oltre 18 minuti che stende l'ascoltatore per la semplicità con cui il collettivo di Lione, riesce a cambiare volto alle musiche, chiaroscuri e altalene armoniche, tenute insieme da una continua ricerca vocale polifonica sbalorditiva, schizofrenica ed ipnotica, sana pazzia, che s'intrecciano e sovrastano per creare qualcosa che esaspera le teorie musicali dei Magma di 'Mekanïk Destruktïw Kommandöh' (1973), mentre la seguente "Nephèsh", si muove a suo agio sulle tracce delle intricate e geniali, fantasie vocali di Joan La Barbara e Meredith Monk. Proseguendo con l'ascolto, ci aspetta una sfilata di brani decisamente più corti, dal taglio jazzistico, inteso alla maniera dei Naked City (stile 'Grand Guignol') ma più dolce ed armonioso, con i giochi vocali messi in particolare evidenza. Ci si muove tra sussulti punk alla Nina Hagen ed esperimenti alla Shub Niggurath, ma il suono si espande per lirismo e profondità, tra Eskaton, e riferimenti alti, di scuola Edgar Varese ed il must Zappiano, 'The Yellow Shark', senza dimenticare che musicalmente il suono di questo collettivo rimane sempre teso, intricato, schizoide e raffinato al tempo stesso, quasi fosse un album dei Psyopus, suonato con marimba, xilofono, percussioni, batteria elettroacustica, mellotron, basso, moog, rhodes, cimbalom e quant'altro serva per creare un'isola felice, oserei dire felicissima, di suoni cari al rock in opposition. La musica contenuta in 'Furvent' è incredibilmente teatrale, avvolgente e liberatoria, rivolta ovviamente ad un pubblico preparato e amante dell'avanguardia radicale di ogni epoca, che si aspetta sempre qualcosa di sbalorditivo, per qualità ed esplosività della proposta musicale. "La Trace" alla fine è il mio brano preferito dell'esteso lotto sonoro, ma anche "Yi Yin I Ken (La Montagne)", con il suo potentissimo, inaspettato finale ritmico, è da pelle d'oca, come del resto tutto l'album, che poteva giungere al grande pubblico solo tramite i canali della specialissima e unica label Dur et Doux, autentico caleidoscopio di musica jazz d'avanguardia. Un disco senza tempo, un contesto sonoro indecifrabile, un album splendido per una delle migliori uscite del 2020. Un collettivo di musicisti fantastici per un disco adorabile! (Bob Stoner)

martedì 29 dicembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol II

#PER CHI AMA: Experimental/Kraut/Psych
Li avevamo incontrati qualche mese fa in occasione dell'EP Vol I di questa serie digitale intitolata 'Tribute to Atrophos'. Ritroviamo ora i Queen Elephantine con il secondo dei tre volumi di improvvisazione musicale. Questo nuovo capitolo include tre lunghi pezzi che ci condurranno nei meandri più bui delle menti di questo collettivo che dall'India ha messo poi radici a Philadelphia. Qui i nostri, in periodo di clausura da Covid, si sono divertiti a ridefinire gli spartiti del proprio sound imbastendo estemporaneamente fraseggi free-jazz guidati da un basso ipnotico e sovversivo ("Synthetic Mist"). Diciamo che qui di regole scritte non ce ne sono, la band fa un po' come diavolo gli pare senza seguire dettami specifici di un genere piuttosto che di un altro. Come avevo già sottolineato in precedenza del primo EP, la band sembra giocare a strimpellare con i propri strumenti come se fosse alla ricerca del riff perfetto da buttare nero su bianco per il prossimo album. E allora ecco il giochicchiare con le chitarre, un drumming quasi impercettibile che potrebbe far pensare alle deviazioni più psichedeliche e malate dei The Doors. La seconda "Burning Spectre" è anche più cerebrale, fortuna nostra che il brano va poco oltre i sette minuti, mai una passeggiata da affrontare con questi pazzi furiosi. C'è da divertirsi nel capire che cosa possa venir fuori da queste sperimentazioni, quindi l'ideale è non aver alcun tipo di pregiudizio e lasciarsi guidare da quello che potrebbe poi evolvere in blues rock, prima del finale affidato ai 13 lunghi minuti di "Ash". Una combinazione di kraut rock, noise, psych e urla sciamaniche contraddistinguono un pezzo che si conferma noiosetto almeno fino al minuto 5, prima che i nostri si mettano a danzare attorno al fuoco con una danza etnica che troverà il suo finale approdo in tremebondi suoni dronici. Solo per pochissimi fan. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music - 2020)
Voto: 68  
 

mercoledì 28 ottobre 2020

Katharos XIII - Palindrome

#PER CHI AMA: Black/Doom/Avantgarde/Jazz
Uscito oramai un anno fa ma arrivato solo oggi sulla mia scrivania, mi appresto a parlarvi di 'Palindrome', atto terzo dei rumeni Katharos XIII. La band originaria di Timișoara, aveva già fatto parlare positivamente di sè nel 2017 quando uscì 'Negativity'. Ora le cose sembrano migliorate ulteriormente con un 5-track ricco di contenuti. Se la base da cui partiva il quintetto era quella del depressive black, qui assistiamo ad una interessante evoluzione. Lo si capisce già in apertura, in cui facciamo conoscenza della candida voce di Manuela Marchis ma soprattutto del sax assatanato di Alex Iovan, altra splendida sorpresa di questo lavoro. "Vidma" è un pezzo che si muove tra black, doom, jazz e atmosfere orrorifiche che mi hanno rievocato 'The Call of the Wood' dei nostrani Opera IX, ma nelle parti più malinconiche, mi hanno evocato anche un che dei The Third and the Mortal di 'Tears Laid in Earth'. Potrete pertanto immaginare il mio sommo piacere nel godere di simili sonorità, che durante le fughe del sax, chiamano inequivocabilmente in causa anche i White Ward. Insomma un trittico di nomi che francamente mi fanno sobbalzare dalla sedia e pensare che stavolta i Katharos XIII l'abbiano combinata davvero grossa. E non posso che rimanere piacevolmente colpito anche dai successivi pezzi: "To a Secret Voyage" è un drammatico viaggio ambient imperniato su atmosfere notturne, quasi da piano bar, dove sedersi al bancone e affogare ogni singolo pensiero nell'oblio di un qualsivoglia distillato. La song prova a dare qualche accelerazione black (non proprio riuscitissima a dire il vero), ritornando poi a quelle sonorità lounge, in cui i nostri sembrano trovarsi maggiormente a proprio agio. E si va a nozze a tal proposito anche con la lunghissima "Caloian Voices", un altro esempio di avanguardistico sound dark jazz doom prog con la voce di Manuela davvero ispirata e quel sax che è puro godimento ascoltare. Non mancano i cambi di tempo, che spezzano le atmosfere rilassate sin qui create e ne generano altre decisamente più angoscianti fatte di suoni spettrali e voci malvagie in sottofondo. Il finale poi è da applausi con lo sperimentalismo dei nostri che prende il sopravvento tra parti disarmoniche e fughe jazz. "No Sun Swims Thundered" ci conduce in misantropici oscuri meandri dai quali non far ritorno per abbandonarsi ai vocalizzi della bravissima e sofferente Manuela, sempre più convincente. La song vive ancora di spettrali break atmosferici e quegli ormai consueti frangenti jazz che li avvicinano ai norvegesi Shining. Uno spettacolo, anche alla luce di un finale affidato allle delicate e soffuse melodie di "Xavernah Glory" che sanciscono le enormi potenzialità di questa compagine. Insomma, per me 'Palindrome' è una sorta di buy or die. Intesi? (Francesco Scarci)

lunedì 12 ottobre 2020

Automatism - Immersion

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Kraut Rock
Da Stoccolma ecco giungere dritto nel mio stereo gli Automatism a stemperare quella colata lavica di black che ha saturato le mie orecchie cosi tanto ultimamente. Si perchè il quartetto scandinavo in questo nuovo 'Immersion' è autore di uno psych rock strumentale, uno di quelli che ti permettono di stravaccarti in poltrona, mettere delle luci soft e assaggiare un bicchiere di whiskey con giusto un cubetto di ghiaccio, mentre in sottofondo vanno le ispiratissime linee di chitarra della band svedese in un ipnotico viaggio musicale. Si parte con le melliflue melodie di "Heatstroke #2", un pezzo che si muove tra prog e kraut rock con una vena psichedelica fortemente preponderante. È il turno poi della eterea "Falcon Machine", una song sinuosa dal piglio post rock, che parte con somma delicatezza e va salendo gradualmente in intensità, affidando il driving della traccia al fraseggio di una splendida chitarra solista che sembra muoversi all'interno di una fitta coltre di nebbia. Le melodie sono davvero fantastiche e sembrano sopperire alla solita cronica mancanza di un vocalist in questo genere. Tralasciando mestamente questa mia sterile polemica senza fine, non mi rimane che focalizzare la mia attenzione sulle ritmiche lisergiche trasmesse dai quattro ottimi musicisti nordici. In "Monochrome Torpedo" i ritmi sono assai cadenzati, quasi da lounge bar, tra luci soffuse e qualche donnina che si muove eroticamente attorno ad un palo da lap dance, in un'atmosfera fumosa ma intrigante, di scuola pink floydiana, che tuttavia sulla lunga distanza, tende un pochino a stancare. Allora meglio skippare sulla successiva "New Box", traccia che nel suo saliscendi chitarristico, sembra nascondere melodie mediorientali, comunque inserite in un contesto costantemente a cavallo tra psichedelia e rock progressivo. Citavo poc'anzi delle atmosfere fumose, sarebbe stato ancor meglio affibbiarle a questa "Smoke Room", song dal ritmo ovviamente assai lento, in cui le chitarre sembrano lanciarsi in improvvisazioni e rincorrersi tra loro mentre eleganti percussioni creano un substrato dal forte sapore blues. A chiudere 'Immersion', ecco "First Train" altri sette minuti abbondanti di suoni tenui ma al contempo palpitanti, complice l'utilizzo di una effettistica che sembra evocare l'utilizzo del mellotronin una traccia da vaghi richiami jazz che completa un disco ambizioso, non di facilissima presa ma sicuramente affascinante per mille motivi. (Francesco Scarci)

venerdì 25 settembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol I

#PER CHI AMA: Avantgarde/Psych/Jazz
Il Covid-19 è tutt'ora fonte di grande dolore ma è stato anche innesco di diverse opere artistiche (libri, dischi, cortometraggi). I Queen Elephantine sono tra quelli che hanno sfruttato il momento di difficoltà proponendo i rilascio di nuovi EP in formato digitale. Il collettivo di Hong Kong, originario però dell'India e con base oggi a Philadelphia, ha rilasciato ad aprile, nel pieno della prima ondata di coronavirus, il cui presente 'Tribute to Atrophos Vol I', primo (di tre?) EP votati all'improvvisazione totale. Li avevamo lasciati sul finire del 2019 alle prese con 'Gorgon', li ritroviamo oggi più stralunati che mai con quattro nuovi eterei pezzi che miscelano casualmente psych e kraut rock, avanguardistico, jazz, drone e stoner con un'alchimia sciamanica misticheggiante. Questo almeno quanto trasmesso dalla trascendentale opening track, "I Alone Am Right", che per undici minuti entra nel mio cervello e con la sua infima retorica cervellotica, insidia i pochi neuroni residui nella mia materia cerebellare, con un sound lisergico e desertico. Ancor più complicata "I Am Left Alone", proprio perchè sa di jam session a tutti gli effetti, quasi che il collettivo indiano si sia messo li un angolino a strimpellare in attesa di far uscire le idee migliori da registrare. Quindi, non è il caso di aspettarsi nulla di travolgente visto che si tratta di pura improvvisazione dettata dalla noia che sembra per lo meno cresca in intensità perchè si è trovata la giusta chiave per costruire una song. E anche con le seguenti "Surfacing" e "Sunk", il canovaccio della estemporaneità non cambia. La prima delle due song ha un andamento oscuro quasi dronico, bloccato in un ipnotico loop di chitarra astrale. La seconda invece è più noise rock oriented (sebbene qualche accenno in sottofondo alla musica indiana), con chitarra e batteria lasciate come cani sciolti a cazzeggio per quattro minuti di puro divertimento. (Francesco Scarci)

sabato 27 giugno 2020

Seims - 3 + 3.1

#PER CHI AMA: Math/Post Rock/Avantgarde
Quello dei Seims è il tipico lavoro di casa Bird's Robe Records, un'etichetta che seguiamo ed apprezziamo da anni qui nel Pozzo dei Dannati. E cosi, un po' come tutte le band della label australiana, anche la compagine di Sydney propone un sound (semi)strumentale, all'insegna di un ibrido sperimentale tra post rock e math. Peraltro, come il titolo suggerisce, '3 + 3.1' include l'album '3' uscito nel 2017 e l'appendice successiva, '3.1' appunto, rilasciata lo scorso anno, qui ora raccolte in un'unica release. Sette pezzi quindi da ascoltare, cominciando dall'opener "Cyan", una song che inizia a fare chiarezza sul concept relativo ai colori e alla scelta ora più sensata dell'artwork di copertina. Una traccia che parte come avvolta in un nero velo che sembra lentamente in grado di dischiudere colori via via più brillanti, muovendosi da un post rock chiuso e riflessivo verso lidi western (splendide le trombe e gli archi a tal proposito) e poi sul finale, follemente più math rock oriented, con un risultato piacevole e originale, che non manca di robustezza e divagazioni electro jazz avanguardiste. Il secondo colore è "Magenta", e sfavillante quanto la sua tonalità, anche il brano sembra lanciarsi in sonorità dirompenti, che tuttavia non raggiungono la medesima qualità emozionale dell'opener, ma palesano piuttosto una difficoltà nella costruzione di un'architettura sonora altrettanto convincente. "Yellow", il giallo, è la terza tappa nel mondo dei colori dei Seims, e anche qui la proposta del quartetto capitanato da Simeon Bartholomew (supportato da una marea di ospiti) sembra trovare qualche difficoltà in termini di fluidità sonora, sebbene i nostri vaghino in stralunati ed asfissianti mondi noise, math, prog, psichedelicamente ondivaghi come il suono delle chitarre qui contenute. Il pezzo dura oltre 12 minuti e vi garantisco che non è cosi semplice da affrontare senza rischiare la follia mentale (soprattutto nella seconda parte), complice anche l'utilizzo di vocalizzi che sembrano provenire da un gruppo di amici completamente ubriachi ed un finale affidato ad un ambient etereo che stravolge completamente quanto ascoltato fino ad ora. L'unione dei primi tre colori genera il nero imperfetto che dà il nome alla quarta "Imperfect Black", ove ad evidenziarsi è la voce femminile di Louise Nutting su di una linea melodica completamente dissonante che ci conduce ad "Absolute Black", primo pezzo di '3.1' che mostra nuovamente quella verve splendente che avevo apprezzato nella traccia d'apertura e che anche qui risuona in un'ingovernabile struttura matematica davvero imprevedibile soprattutto quando imbeccata da viola, violoncello, tromba e trombone che rendono il tutto decisamente più godibile. Fiati ed archi non mancano nemmeno in "Translucence" (che dovrebbe essere la trasparenza), un pezzo che fatica un pochino a decollare ma che nella sua seconda metà mette in mostra comunque qualche ulteriore buona cosa dell'act australiano. A chiudere il disco ci pensa la roboante e melodica "Clarity", il brano probabilmente più immediato del cd e più semplice se si vuole avvicinarsi alla band. La melodia è davvero coinvolgente e funge da colonna sonora al video estratto dal disco, una sorta di mini documentario sull'esperienza della band in tour in Giappone che ci racconta qualcosina in più di questi meritevoli Seims. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 74

https://store.seims.net/album/3-31