Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Heavy. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Heavy. Mostra tutti i post

sabato 6 marzo 2021

Jours Pâles - Éclosion

#PER CHI AMA: Heavy/Black
Formatisi solo nel 2020, i Jours Pâles non sono certo degli sprovveduti, includendo tra le proprie fila membri o ex di Gloson, Uada, Aorlhac, Shining e Asphodèle. E proprio dal mastermind di quest'ultimi, Spellbound e da un disco fatalità intitolato proprio 'Jours Pâles', nasce la band di oggi. Nonostante la compagine comprenda musicisti svedesi, statunitensi e francesi poi, come ormai da protocollo Les Acteur de l'Ombre Productions, la scelta per il cantato è ricaduta sulla lingua francese. Per il resto la formazione è davvero parecchio recente ed 'Éclosion' rappresenta il loro debutto assoluto. Nove brani per 50 minuti di musica davvero convincente che si allontana almeno inizialmente dai soliti clichè di devastazione post-black dell'etichetta transalpina per offrire un sound più educato, che irrompe con le malinconiche melodie di "Illunés". Dicevo educato perchè il cantato è pulito almeno per la maggior parte del tempo, le ritmiche lineari, il riffing sembra un mix tra Dark Tranquillity e Novembre, ma sono soprattutto le melodie affidate ai solismi finali (la lead è affidata a Sylvain Bégot dei Monolithe) che fanno subito breccia nel mio cuore. La successiva "Aux Confins du Silence" mostra invece un altro lato della medaglia dei nostri che sfoderano qui un cantato più aggressivo, una linea di chitarra più ruvida e nervosa ma comunque melodica. Il ritmo è più frenetico, tipicamente black, ma le chitarre soliste fanno ancora una volta la differenza, dando un tocco di epicità e melodia al risultato finale. Apertura arpeggiata per "Ma Dysthymie, Sa Vastitude"con spoken words in accompagnamento. Poi un bel riff di chitarra squarcia l'aria qui più oscura e pesante. E poi via tutti gli altri strumenti con un lavoro al basso eccezionale (bravo Christian Larsson!) cosi come fantasioso il drumming di Phalène. Il pezzo va a progredire a livello ritmico con un funambolico finale con acuti di chitarra e voci taglienti. Ma è sempre quell'alone di malinconia ad aleggiare attorno all'intero lavoro a fare la differenza e rendere la proposta dei nostri più intrigante. "Le Chant du Cygne" è più compassata nella sua andatura, mostrando a livello chitarristico più di un'analogia con i Novembre degli esordi anche se nella parte centrale scorgo più di un riferimento a 'Seventh Son of a Seventh Son' degli Iron Maiden, si avete letto bene, questo a testimoniare le qualità di una band che in pochi secondi arriva a regalarci una ferocissima scorribanda black ed uno splendido finale in tremolo picking. "Eclamé" vede la partecipazione al microfono di Ondine Dupont voce dei Silhouette, il che ci consegna una versione più sperimentale dei Jours Pâles, anche se il sound dei nostri è in costante movimento con il black che incontra l'heavy e il dark si miscela al depressive. Lo stesso genere che si respira nella parte iniziale della title track prima che i nostri ci delizino ancora con giri post-black venati di punk, ma è comunque un grondare di melodia, malinconia, parti acustiche e altre avanguardistiche. I quattro musicisti non si fermano davanti a nulla, sciorinando suoni imprevedibili e tenebrosi come quelli contenuti nella tempestosa, ipnotica ma trememndamente melodica "Suivant l'Astre". Ma le sorprese non sono affatto finite in quanto "Des Jours à Rallonge" ha da presentarci l'ultima ospitata del disco, manco fossimo a Sanremo, con David Lomidze dei Psychonaut 4, che presta la sua tragica voce (anche lui in francese sebbene sia russo) a regalare gli ultimi minuti di grandissima qualità (ma soprattutto emozionalità) per un lavoro davvero notevole a cui manca solo la degna chiusura, affidata alla criptica electro-ambient della strumentale "C2H6O", un pezzo che dopo un inizio atmosferico, ha ancora il fiato per l'ultimo graffio post-black. Sublimi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/closion

venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)

martedì 9 febbraio 2021

Malice Divine - S/t

#FOR FANS OF: Death/Black
The global pandemic situation we all are suffering has nearly made impossible to enjoy live concerts, putting many bands under a difficult economic situation. On the other hand, many other bands, especially solo projects, are focusing more than ever on creating new music, prior to a hypothetical solution to this tricky situation. Malice Divine is a solo project hailing from Toronto, that took the advantage from such situation to give the final touches to its self-titled debut album, to be released this February. Ric Galvez, the musician behind this new act, had a previous band called Astaroth Incarnate. After leaving this band, he focused on composing a full album for his solo project, where we could have the creative control expressing in one project all his musical influences. Twenty-twenty was not obviously an easy year to record an album but with the support of a session drummer, he was able to record this opus, that combines black, death and thrash metal influences, always with a strong melodic touch.

Malice Divine´s self-titled album lasts almost an hour and it is indeed a melodic fest of excellently composed guitars. It is pretty clear that Ric has some classic influences when he draws the guitar lines, especially the frequent and well-executed solos, that have a remarkably vintage influence. As it is quite obvious, this is a guitar led album where the riffs play a shining role, flowing from more black metal influenced riffs to some death metal, thrash metal and even heavy metal ones. The guitars are excellently composed and executed with very well-crafted sections, that change frequently pace and intensity. With regards to the vocals, Ric’s voice is quite good, typically rasped and enough strong so as not to pale in comparison to the powerful rhythm base and guitars. The songs are quite varied in terms of pace, combining fast and medium sections with a remarkable naturalness. There are indeed some nice examples of relentless fury as we can enjoy in "Malicious Divinity". Other compositions like the short "Intuitive Realization" are not as fast as the aforementioned one, tough they don't lack the expected forcefulness. In any case, Malice Divine sounds more comfortable with mid-tempo sections full of intensity, with very powerful drums that create a relentless rhythmic section, making the songs sound stronger overall. "Ancient Visions" is probably the song with a clearer contrast between the fast sections, with blast-beasts and typically black metal influenced tremolo picking guitars and the calmer sections, making it the most personal composition of this album.

All in all, Malice Divine’s debut is a quite impressive first effort, that shows the great amount of work done by its mastermind. The well-made confluence of styles makes this album very appropriate for any fan of extreme metal. (Alain González Artola)


venerdì 29 gennaio 2021

Черные Сердца (Black Heart) - Anthology

#PER CHI AMA: Pagan Metal
L'etichetta russa Wings of Destruction presenta orgogliosamente questa ristampa nell'intento di rispolverare le origini del metal di casa. I Черные Сердца (Black Heart per chi non mastica il cirillico) sono una band di Velikie Luki, città situata nella Russia occidentale, nota per gli scontri tra le armate russe e tedesche nella Seconda Guerra Mondiale, ed effettivamente, quell'indole guerriera si nota nel pregevole artwork di copertina, cosi come nel notevole impegno di cercare di fare musica metal, utilizzando nel canto la propria lingua madre. L'album, intitolato 'Anthology', include tutte le realizzazioni del gruppo, ovvero i due album realizzati nel 2004 uniti ad un demo del 2003. Dalla prima traccia alla quinta si possono sentire i brani del full length 'Hyperborea', dalla sesta alla decima il disco 'In Fire', mentre dall'undicesima alla diciassettesima traccia, ecco il demo del 2003. La cosa strana di quest'uscita è che non è stata fatta nessuna opera per ripulire o aumentare la qualità audio delle tracce, presumo ritenendo giusto ripresentarle nella loro forma originale, quando invece avrebbero necessitato di un restyling per acquisire nuova linfa vitale, visto il basso profilo in termini di qualità sonora, tutte falcidiate da una registrazione che supera di pochi punti la qualità di un demo amatoriale registrato in cassetta alla fine degli anni '80. Da salvare c'è la grande volontà di espressione dei nostri che vogliono emulare le gesta eroiche di band gloriose del metal internazionale ma il risultato è alquanto altalenante tra buone idee rovinate da una produzione inesistente (la batteria sembra un giocattolo cosi come le distorsioni delle chitarre) e da un'esecuzione dei brani che a volte inciampa vistosamente, soprattutto negli arrangiamenti che rischiano di naufragare in un mare di banalità. Non tutto però è da buttare, e ripeto, se non fosse per il suono decisamente scarno e low-fi, direi che evitando 'Hyperborea', si nota una miglioria nei brani di 'In Fire', che a mio parere, con la dovuta produzione sarebbero anche gustosi e più agguerriti, con una miglior interpretazione vocale nello screaming, meno nel cantato pulito che ricorda certi prodotti nipponici da film anime. Comunque, la vena pagan metal e la ricerca di epicità si sentono tutte e sarebbe stato anche interessante se emancipata in un sound più maturo e aggressivo. Il demo del 2003 non aggiunge niente di nuovo se non dimostrare che i due full length registrati l'anno successivo, siano stati concepiti in modo maldestro a livello sonoro, tagliando definitivamente le ali alla band, pur confermando che alcune idee di composizione potevano essere assai interessanti. Anche la presenza della classica voce femminile poteva essere una buona idea ma, sentita in questo contesto alquanto scadente, non la si può apprezzare al meglio, essendo drammaticamente più vicina ad una specie di folk rock rurale che al metal. 'Anthology' è un'uscita di carattere storico che appassionerà pochi intimi curiosi, io l'ho appezzata nel suo contesto, pur conoscendo poco la genesi della band, l'atmosfera in cui nacquero i loro lavori e quanto pionieristica fosse stata la loro musica in patria a quei tempi, ma devo riconoscerne i monumentali limiti musicali e stilistici, sicuramente fuori luogo e fuori tempo massimo per i tempi e suoni odierni. (Bob Stoner)

(Wings of Destruction - 2003/2004 - 2020)
Voto: 50

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/anthology

lunedì 25 gennaio 2021

Jinx - Darkness is Worldwide

#PER CHI AMA: Thrash/Death
'Darkness is Worldwide' dei Jinx è il quinto lavoro della band originaria di Smolensk. Uscito ormai nel 2017, il quintetto russo ci propone un thrash metal piuttosto canonico, di quello che certamente non lascia grande spazio alla fantasia ma nemmeno alcuna via di scampo. Lo si capisce subito dal ritmo martellante inferto dall'opener "Elizabeth", un pezzo sia chiaro, che non è solo ritmiche tiratissime e urla sbraitanti del vocalist Aleksander Ivanov, ma racchiude anche parti più ragionate. Sia altrettanto chiaro però, che non siamo al cospetto di nessuna novità per quanto riguarda il genere, offrendo i nostri suoni piuttosto convenzionali che con questo lp non arricchiranno di certo la vostra collezione di dischi memorabili. Quindi prendete 'Darkness is Worldwide' per quello che è, un disco di divertente thrash con aperture melodiche di stampo scandinavo, qualche discreto assolo come quello che si sente nella grooveggiante "Voices from the Past" o nella vorticosa title track. Ecco "Darkness is Worlwide" presenta delle variazioni al tema grazie ad un sound detonante, forse il pezzo migliore del disco insieme alla conclusiva "Dogs of War" (con i suoi fraseggi acustici e divagazioni heavy rock), ma da qui a dire che si possa realmente gridare al miracolo, ce ne passa. Direi infatti che ci sono alcune piccole cosine che faccio fatica realmente a digerire. La voce di Aleksander è tra queste, visto che il suo cantato è una sorta di growling strozzato in gola che impazzire proprio non mi fa. Tuttavia i nostri si impegnano, non sono degli sprovveduti essendo peraltro in giro da un ventennio, sanno come gestire la loro strumentazione al meglio ed in alcuni pezzi, danno delle accelerazioni che hanno un sapore più death oriented ("Pitiful Existence"). Da segnalare infine la scelta di coverizzare "Curse the Gods" dei Destruction, piuttosto fedele all'originale, ma con una produzione certamente più moderna e potente. A chiudere il disco dicevo, "Dogs of War" per gli ultimi sei minuti abbondanti di terremotante thrash old school che segnano un ritorno alle origini primordiali del metal. (Francesco Scarci)

sabato 16 gennaio 2021

Cyanide Grenade - Kind of Virus

#PER CHI AMA: Thrash Old School, Venom, Destruction
La scena thrash metal russa sembra essere improvvisamente in grande fermento, merito dell'etichetta Wings of Destruction che abbiamo avuto modo di apprezzare con innumerevoli uscite nell'ultimo periodo. La band di quest'oggi arriva da Yekaterinburg, si chiamano Cyanide Grenade e il qui presente 'Kind of Virus' rappresenta il secondo lavoro del terzetto dall'anno della loro fondazione, nel 2013. Dieci pezzi, inclusa una intro che ci accompagna a "Death in Anabiosis" la quale ci permette di far conoscenza della proposta musicale dei nostri, il cui sound ci permette un salto indietro nel tempo di oltre tre decadi. Si perchè il sound tipicamente old school della band chiama in causa vecchi classici che andavano di moda negli anni '80 quando il thrash si diffondenva a macchia d'olio a livello globale. Si partiva dagli States e da quella Bay Area in cui hanno visto svilupparsi band del calibro di Metallica, Exodus o Megadeth, o in contemporanea dalle parti di New York Anthrax e Over Kill sbocciavano con il loro sound. Per non dimenticare poi che nella piccola Newcastle upon Tyne in Inghilterra si formavano i Venom. Perchè tutti questi nomi? Semplice, sono solo alcune delle band a cui, in un modo o nell'altro, i Cyanide Grenade hanno pagato dazio nella stesura di questo disco. L'album irrompe infatti con quel sound thrash/punk che evoca gli esordi di James Hetfield e compagnia ma anche di Scott Ian e soci, senza dimenticare quell'aura maligna del duo Cronos/Mantas che avvolge l'intera release. Nella seconda "Birth of Hell" non nascondo ci abbia sentito un che dei primi Death nelle note corrosive della linea ritmica, qui un filo più articolata, complice un death mid-tempo. In chiusura poi quell'assolo allucinato ammetto mi abbia ricordato Bobby Gustafson, ascia impazzita dei primi Over Kill. Insomma, questo per dire che gli amanti di sonorità di questo tipo potrebbero anche versare una lacrima di nostalgia ascoltando 'Kind of Virus', visto che la super retrò "Salvation Denied", nel suo riffing lineare potrebbe evocare anche 'Killing is My Business...', con la più classica delle cavalcate dove le chitarre si muovono a cavallo tra thrash e speed metal, suoni che hanno cambiato la mia vita in quegli anni. E poi via giù di assoli super tirati che ci fanno ululare come matti. "Judgment Day" ha echi dei primi Testament, con la voce un po' disgraziata del frontman russo che potrebbe richiamare quella del buon vecchio Chuck Billy. Francamente, non mi vorrei dilungare oltre per dirvi che quello che ho fra le mani è un compendio del thrash metal anni '80, che ha ancora modo di citare il sound teutonico del trittico delle meraviglie formato da Kreator, Destruction e Sodom. Vi serve sapere altro? Non direi, se siete fan di tutte queste band, in 'Kind of Virus' troverete pane per i vostri denti necessari a organizzarvi la gita fuori porta che vi riporterà agli albori della storia. Ah, ovviamente il tutto senza un briciolo di originalità, ma questo era quanto meno scontato. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Global Thrash Attack - 2020)
Voto: 65

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/kind-of-virus-2

domenica 3 gennaio 2021

Hourswill - Afterhours

#PER CHI AMA: Heavy/Prog, Nevermore
'Afterhours' è il nuovo EP dei portoghesi Hourswill che avevamo incontrato grossomodo un anno fa in occasione del loro terzo album 'Dawn of the Same Flesh'. Ritornano con un dischetto di sei pezzi ove accanto a vecchi brani dal vivo, estratti dal già menzionato lavoro e da 'Harm Full Embrace', il quintetto lusitano ci presenta anche un nuovo pezzo, l'opener "Inevitable Collapse II" e una rilettura di "Now That I Feel (L.S. Version)". La prima attacca con quel suo fare tra Nevermore e Anacrusis, sempre contraddistinta da una solida base ritmica e da una ricerca (non troppo efficace) di emulare a livello vocale, il compianto Warrel Dane. Poi a livello solistico-melodico conoscevamo già le potenzialità della band e non posso fare altro che confermarne le qualità. È il turno di "Now That I Feel" già contenuta in 'Dawn of the Same Flesh' e che non mi aveva certo entusiasmato lo scorso anno, torna con una versione che francamente mi spinge nuovamente a passare oltre, visto che fondamentalmente la differenza rispetto alla vecchia traccia è l'assenza di Neide Rodrigues alla voce a bilanciare quella di Leonel Silva. Non si discutono le doti tecniche dell'ensemble di Lisbona, ma si poteva fare anche a meno. Cosi come non si discutono le capacità della band dal vivo, abili a sciorinare uno dopo l'altro i quattro pezzi inclusi, a coinvolgere il pubblico con il loro heavy prog thrash, ma che a me personalmente non ha lasciato davvero nulla. Se siete fan della compagine portoghese, 'Afterhours' potrebbe, ma non è un obbligo, far parte della vostra collezione, altrimenti si può vivere tranquillamente senza. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Hourswill

venerdì 18 dicembre 2020

Black Viper - Hellions of Fire

#FOR FANS OF: Heavy/Speed Metal
These guys sound pretty vintage heavy metal in the vein of Ozzy (old), et al. I really enjoyed this entire album. The songs are lengthy and quite innovative riff-wise. The leads are good, too! I'd have to say that every song is good on here. And the vocals aren't annoying like some other heavy metal bands. This band reflects the early 80's 90's era of heavy metal. That's what I like about them! They've gone old school and they're a modern metal band. I like how they put together the songs. And I don't hear the "speed" metal but the moderate guitar work. I really like this band. I'm glad I discovered them.

The music and vocals are the highlights to this album. The guitars were a little sloppy in some instances, but not on a whole-scale. A lot of tremolo picking with the rhythms. But the tempos were just reflective of a classic heavy metal album. I enjoyed it really. There was some sort of echo to the vocals and production. It just seemed to be how they wanted the album to sound. And the vocals at times were screaming in a high pitch. But it went along with the music. I liked the guitar the most. The riffs are wholly likable, that's what drew in their audience, I think. But the vocals and drums were good, too.

I'd say the groove this band gives off is significant! The rhythms are notorious for being catchy and original. It's just that the vocals have a tinge of Ozzy (as mentioned) in them, but it's still good to listen to. It's nothing too brutal. These guys are solely not mainstream at all. This is a band that needs more publicity and recognition. I was happy to discover them when I did. Even though this album is about 2 years old, it's not really lacking in anything. It's straight forward and grappling. They seem to draw in their influences without duplicating them. The riffs are totally invincible I think they're the highlight, absolutely.

If you're just in the metal (general) genre, you should be able to dig this with immense joy! Or just want a change from brutal genres then you're set. They seem to attract people that are interested in many different forms of metal. So if you're like me, check them out when you want a change from say death metal. These guys are straight heavy metal with a punch,. The riffs are awesome and the originality is there too. You can download or buy the physical CD. I'd say the latter to show support to the band. I might have to do that myself keep these guys going onward! (Death8699)

mercoledì 9 dicembre 2020

Clouds Taste Satanic - The Satanic Singles Series Vol 1: The Book of Satan

#PER CHI AMA: Doom Strumentale
I Clouds Taste Satanic ci introducono in una nuova avventura musicale, stavolta incentrata sui ricordi musicali che hanno avuto un'importanza nel corso della vita del monolitico combo di New York. 'The Satanic Singles Series Vol 1: The Book of Satan' è una particolare rivisitazione della band di alcuni brani non necessariamente legati al mondo doom, pubblicati a piccole dosi in vinile 7'' da collezione, con copertine esoteriche da urlo, in soli 200 esemplari, licenziati via Kinda Like Music. All'interno del primo volume, troviamo due cover stravaganti, che vengono rivisitate in maniera molto originale e fantasiosa dal trio americano. La prima cosa che si nota è il tipo di sonorità adottata dalla band che si discosta leggermente dalla pesantezza tipica della solita proposta, un leggero cambio di registro che, nell'ascolto del disco, non compromette minimamente l'integrità sonora del gruppo. Da un lato del disco troviamo "Funeral for a Friend", un classico intramontabile di Elton John, ridisegnato a puntino con un estroso gioco continuo di chitarre che ricordano i Thin Lizzy carichi ma melodici dell'album 'Renegade', mentre dall'altro lato del vinile un'inaspettata, "Also Sprach Zarathustra" di Richard Strauss, o almeno quella piccola parte celebre, fissata nelle colossali immagini del film di Kubrick, '2001: Odissea nello Spazio'. Un brano di musica classica ricostruito per l'occasione in una veste più consona ai Clouds Taste Satanic, per maestosità del suono, in una rilettura di appena due minuti di accordi ariosi nello stile da opera rock di Pete Townshend. Tornando a "Funeral for a Friend", quello che colpisce è come un brano dal sostrato molto triste riesca, tramite delle mani esperte, essere suonato con un calore ed un colore sonoro tutto nuovo e squisitamente rock, un rovente, epico retro rock, delicato e potente allo stesso modo, facendolo esplodere letteralmente, riesumandolo senza farne perdere il senso di malinconia, per renderlo un brano incendiario, soprattutto se immaginato dal vivo. In definitiva, se questo è l'inizio di una serie di 7'' pollici così ben concepiti, non possiamo far altro che attendere tutte le prossime uscite dei 'The Satanic Singles', trepidanti e curiosi. (Bob Stoner)

martedì 3 novembre 2020

Command the Machyne - S/t

#PER CHI AMA: Power/Heavy, Iron Maiden
Dalle lande teutoniche arrivano i Command the Machyne, un gruppo heavy/power metal, con un sound che si rifà a gente come Iron Maiden ed Helloween, che ha debuttato quest’anno con l'omonimo album. E questa specie di mix tra Iron ed Helloween la si può notare durante quasi tutte le 11 ottime tracce del disco, con alcune che richiamano maggiormente la band di Bruce Dickinson e compagni, ad esempio "Prisoners of Time", "Kingdoms Prayer" e "River of Life", altre che evocano i power gods tedeschi ("Sarah’s Heart", "Reaper" e "The King"). Le mie tacce preferite rimangono però "Burn’em", che a mio avviso risulta essere la canzone più personale della compagine germanica, una song che contiene un assolo breve ma intenso, la già citata "Sarah’s Heart" con un ritornello molto helloweeniano ed una parte di tastiera/voce a dir poco meravigliosa e infine "Prisoners of Time", la quale presenta ben due assoli i quali, soprattutto il secondo, non possono non rendere di buon umore. Sottolineerei ancora "Prisoner of Time", il cui riff di chitarra si ispira totalmente a quello di tastiera di "Moonchild" e sembra essere uscita da 'Dance of Death' dei Maiden ed infine "River of Life", un brano che sembra essere fatto dagli stessi Iron per quanto sia simile alle loro canzoni e che presenta dapprima un assolo di tastiera che sembra provenire direttamente da un horror e ci preparara a quanto verrà dopo, ossia un assolo di chitarra fulminante, potente e melodico allo stesso tempo. Chiude "Shadows" un brano che mette da parte il power/heavy dei pezzi precedenti e strizza l'occhiolino alle classiche ballate dei Dream Theater. I Command the Machyne con questo debutto si dimostrano un gruppo di ottima qualità, che sa a tratti essere originale e contemporaneamente rimanda alle sonorità di gruppi storici. Sicuramente l’elemento più interessante di quest’album sono gli assoli di chitarra di Machyne ed Ulrich che, fra chi più potente, melodico, infiammante, sono in grado di entusiasmare al massimo e, talvolta, anche di commuovere. L’altro elemento di spicco del disco è l'eccellente voce di Florian Reimann, in grado di emozionare per quel suo lato più dolce ma anche di graffiare, con una vena più pomposa ed incalzante; i fan degli Iron ci sentiranno addirittura il cantato del buon Bruce in alcuni frangenti. Per un gruppo del genere non c’era altro modo per rompere il ghiaccio pertanto, se vi piacciono le loro influenze, compratevi il cd per supportare una band che secondo me merita, ma che potrebbe crescere ulteriormente se dienisse ancor più personale. E chissà se fra qualche anno li potremmo vedere esibirsi a livello internazionale! Per ora non ci resta che attendere e vedere come evolverà il sound di questi Command the Machyne. (MetalJ)

sabato 24 ottobre 2020

Falconer - From A Dying Ember

#FOR FANS OF: Power/Folk
I didn't think too much of this album until I heard it enough to make a formal opinion about it. It's quality! So sad to hear of their departure from the music community upon release of their album. They really had a great career that spanned about 30 years. I worked with Stefan on the guitar tab "Upon The Grave of Guilt" which made it official. The fact that he took the time to correct it was very kind on his part. And it goes to show you what a pleasant band to write about. This one is another one that goes into the about an above average release. As I say, it took a while to listen to until I felt the vibe on this.

The vocals are all clean by Mathias which isn't any different than any Falconer release. The riffs are invigorating and mindful. I like the melodies and leads. All 11 songs are killer. I liked every one of them and I thought that they were well worked out by the band. The vocals go well with the music. The guitars are way melodic. And there were some clean points mixed with piano (brief). I don't think there's a Falconer release that I dislike. They all are monuments. And Stefan kills it every time on lead. His performance is nothing but incredible. It's a shame that they wrapped it up for good with this release.

The production quality is sublime. It does the music justice. And the mixing, too. I'd say the highlights of the album are the tracks that show the utmost diversity in musicianship. The guitars are pure Stefan-related. He really does a powerful job with the writing here. Nothing but perfection! I think that these guys are and always will be at the top of their game. This one I like as much as 'Black Moon Rising' and 'Among Beggars and Thieves'. The music (I think) is the most noteworthy on this one rather than previous releases. It just simply shreds all of it. I think that they really left the scene on a positive note.

Check this out on YouTube because it might not be on Spotify. There's nothing but perfection on here. The whole album just simply rips. When you hear track 1 you'll probably say "oh yeah, I hear what he's talking about". I think that the legacy that Falconer left is for the next generation of folk metal to become of another. There will never be another Falconer, they are in the archives now with the rest of retired bands that left the scene on a good note and with another monument. It's sad that this is a reality, but they've chosen other pursuits in life to challenge them, thank you Falconer, thank you. (Death8699)


(Metal Blade - 2020)
Score: 76

https://www.facebook.com/falconermetal/

giovedì 25 giugno 2020

Harms Way - Oxytocin

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Un inizio in crescendo apre questo lavoro degli svedesi Harms Way, ormai datato 2006: una chitarra travolgente mi fa ben sperare per un gruppo di cui non ho mai sentito parlare, poi stop. Un Ozzy Osbourne dei poveri mi fa capire che il disco che ho fra le mani è una reinterpretazione dei Black Sabbath scoperta dalla Black Lodge Rec. che ha pensato bene di produrre questo quartetto scandinavo e di darlo in pasto agli avidi ascoltatori. Il risultato non è malaccio, trattandosi appunto di una versione, riletta in chiave più attuale, dei vecchi insegnamenti di Ozzy e soci, e non solo. Si capisce subito dalle ritmiche pachidermiche e ossessive prodotte dalle due asce, con quel loro incedere asfissiante, e quei giri di chitarra che ricamano montagne di riffs a sostegno di una batteria bella potente, che gli Harms Way amano il glorioso passato heavy doom ove si collocano non certo come degli sprovveduti tecnicamente. In alcuni momenti si respira proprio l’aria degli anni ’70; in altri, dove è il basso di Dim a dominare la scena, i ricordi si fanno relativamente più recenti, ad 'Heaven and Hell' degli stessi Black Sabbath, ma anche ad alcune cose dei primi Iron Maiden e al fantastico basso di Steve Harris. Altri giri di chitarra mi rievocano le cavalcate di Adrian Smith ai tempi di 'Killers'. Poi inevitabilmente c'è sempre qualcosa che fatico a digerire e qui è la voce dello stesso Dim, poco potente ed inespressiva; peccato, sarebbe stata l’arma in più, per ottenere un responso critico più positivo. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2006)
Voto: 66

https://blacklodgerecords.bandcamp.com/album/oxytocin

sabato 30 maggio 2020

Antipope - Apostle Of Infinite Triumph

#PER CHI AMA: Black/Heavy/Industrial
Siamo arrivati addirittura al quinto album di questi finlandesi Antipope per renderci conto della loro esistenza, questo a significare ancora una volta che là fuori c'è uno sconfinato mondo di cui noi conosciamo verosimilmente un 10%. E finalmente eccomi, faccia a faccia con questo quartetto originario di Oulu, una cittadina in cui ho speso alcuni giorni e in cui, a parte bere e suonare, non c'è altro da fare. Qui nascono le velleità di questo ennesimo combo finnico, che propone in 'Apostle Of Infinite Triumph', un'interessante commistione tra un black metal assai tecnico, heavy metal e una spruzzatina di industrial, cosa che deve aver catturato per forza l'attenzione della Fertile Crescent Productions. "Harbinger of Dawn" è la prova di questo stravagante mix che, a parte un attacco prog black, si assesta poi su un industrial ricco in fatto di groove grazie a delle chitarre che ammiccano al melo death finlandese, mentre il growling del frontman vuole farsi amico il cantante dei Rammstein. Con "Natural Born Heretic" ci si lancia invece in un violento turbinio ritmico, tanto frastagliato a livello di drumming quanto più lineare a livello delle chitarre che ricalcano i dettami dell'heavy metal ma anche quelli più etnici degli Amorphis, in una song completata poi da arrangiamenti orchestrali che ne aumentano la complessità compositiva. Anche la voce stessa di Mikko Myllykangas qui assume sembianze differente, tra voci pulite, roche ed effettate. Devo ammettere che la proposta dell'ensemble non mi è assolutamente indifferente, anzi più vado avanti nell'ascolto e più mi faccio coinvolgere da un sound fresco e potente, ma anche a tratti ammorbante. È il caso di "Intoxicating Darkness", più oscura e venata di una certa aura gothic-doom, che ci regala un'ulteriore versione degli Antipope, il cui moniker (cosi come pure l'obbrobrioso artwork del cd), lasciatemi dire, non calza proprio a pennello con la proposta musicale della band. A parte queste raffinatezze, la song prosegue nel suo incedere atmosferico e darkeggiante, scomodando anche i Fields of the Nephilim nel suo ventaglio di influenze, segno che non ci siano evidenti confini, e questo è un bene, nella musica dei nostri. La title track prosegue nel sottolineare le qualità della compagine nordica, con una sezione ritmica corposa (merito del drumming) ed un cantato che qui prende completamente le distanze da estremismi sonori, essendo molto più vicino a gente stile Running Wild o Crematory. La song risulta comunque assolutamente piacevole anche nella sua porzione solistica che a questo punto, avvicina maggiormente la band all'heavy metal piuttosto che a quel black prog imbastito nelle note iniziali, il che mi disorienta un attimo, soprattutto nell'ottica di dove collocare esattamente un'uscita come questa e soprattutto a chi consigliarla. Pertanto, meglio andare avanti e capire cosa le restanti tracce hanno da dirci. "Red Goddess" parte in sordina, ma poi si affida ad una roboante cavalcata per ricondurci in territori viranti verso il death gothic. La song non entusiasma come le precedenti, fatta eccezione per la coda solistica e l'arrembante attacco black che chiude il pezzo. "Venereal Ritual for Dispersion and Reintegration of the Soul" è più ubriacante per quel giro riff in apertura, anche se il blast beat affidato alla batteria ci riporta ancora una volta in territori più estremi. Ma la capacità del combo scandinavo sta nell'alternare generi cosi distonici tra loro in pochi secondi e quindi black, gothic, dark, thrash, folk, heavy e industrial si fondono tutti insieme in un crogiulo di generi e suoni. "Serpent of Old" ha ancora voglia di ubriacarci con delle chitarre frenetiche anche se l'effetto sorpresa sembra vada affievolirsi e la song perda un po' in interesse, sebbene a livello tecnico, la band confermi le sue eccelse qualità, soprattutto quando l'axeman sciorina l'ultimo interessante assolo. L'ultima traccia è affidata alla più lunga composizione del lotto, "0=2" che supera abbondantemente i sette minuti, con un sound più compassato e stanco, un mid-tempo che segna l'evidente calo dei nostri sulla lunga distanza. Peccato, ma fisiologicamente ci stava, forse era meglio collocarla a metà strada, giusto per concederci il tempo di rifiatare. Pur non essendo una song brillantissima, complice anche un finale estremamente atmosferico, non intacca assolutamente la mia valutazione di un disco, 'Apostle Of Infinite Triumph', che correrà il rischio di piacere a tanti, trovando ahimè anche una frangia che attaccherà la band per eccessivo "paraculismo", di cui francamente me ne fregherei alla grande. (Francesco Scarci)

(Fertile Crescent Productions - 2020)
Voto: 74

https://antipope.bandcamp.com/album/apostle-of-infinite-joy

sabato 16 maggio 2020

Hyena/Mandrágora - Bite of Steel

#PER CHI AMA: Heavy Metal, primi Iron Maiden
Con questo split album facciamo conoscenza di altre due realtà della scena peruviana: gli Hyena sono un quintetto originario di Cajamarca, i Mandrágora invece arrivano da Nuevo Chimbote. 'Bite of Steel' l'occasione per vedere da vicino le due band, accomunate dal desiderio comune di dar voce all'heavy metal. Niente estremismi sonori quindi, il che si evince quando "Ready to Explote" dei Hyena fa la sua comparsa nel mio stereo con le sue cavalcate helloweeniane e i suoi chorus che sembrano invece chiamare in causa gli Over Kill. Poi è solo una tempesta di chitarre, le vocals di Miss Diana Cabanillas tirate all'acuto più acuto che c'è, quasi da spaccare i bicchieri. E poi tanto divertimento che non provavo dagli anni '80. Con "Rise Your Fist" addirittura rivivo il mio periodo Motley Crue di metà anni '80, periodo 'Shout at the Devil'. Ecco per chi non avesse bene in mente le date, il balzo indietro nel tempo è di ben 37 anni, non so se è chiaro. Questo per dire che la proposta degli Hyena, per quanto divertente possa essere (figo peraltro l'assolo della seconda traccia), non è proprio freschissima, il pesce comprato al mercato una settimana fa, tenuto fuori dal frezeer, puzzerebbe di meno, giusto per chiarirci le idee. Il che è dimostrato anche dalla successiva "Keep It True", il cui riff di chitarra potrebbe essere preso in prestito dagli Iron Maiden degli esordi, e a quel punto andremo indietro di oltre 40 anni. E con la quarta "It's Shout Rock n' Roll", i nostri sudamericani rischiano addirittura di impantanarsi nelle sabbie del rock heavy di anni '70 ricordando anche un che dei Saxon. Vediamo allora di verificare se i Mandrágora seguono le stesse orme dei loro compagni di viaggio o se la loro assai più lunga esperienza, li ha maturati un pochino. Sempre quattro le tracce a disposizione, dalle durate mediamente più lunghe. La lunga "Bitterness" è il biglietto da visita e l'ombra di Bruce Dickinson e compagni è li ad aleggiare, almeno fino a quando un'altra gentil donzella, alias María Orythia, fa la sua comparsa dietro al microfono a provare solo lontanamente ad emulare il suo esimio collega britannico con un risultato lontano anni luce dall'originale. Il sound poi strizza l'occhiolino al periodo "Powerslave" della Vergine di Ferro, i cui punti di contatto non si limitano al solo rifferama ma anche spudoratamente al basso che ha reso famoso nel mondo il sublime Steve Harris. Buona la porzione solistica, ma sottolineare qualcosa di originale in queste note è impresa ardua. Con "Death to the Witch" posso confermare per lo meno l'omogeneità di fondo del quintetto, a differenza della performance dei colleghi Hyena. Quindi qui il problema rimane semmai quale album degli Iron rievocare, in questa song ci sento un che di 'Piece of Mind' ad esempio, anche se la voce della frontwoman rischia di essere un supplizio per le mie orecchie. Più retrò invece il sound di "Lies" che, per quanto ricca di groove, mi indispone non poco e pertanto preferisco skippare all'ultima più moderna e d'acciaio "Never Surrender", quasi a palesare un differente periodo di stesura dei pezzi, ma anche a sancire la fine di uno split album che rischia di fare la gioia solo di pochi nostalgici del vecchio NWOTHM, presente escluso che continuerà ad amare solo ed esclusivamente gli originali. (Francesco Scarci)

Beesus - 3eesus

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Le vie dello stoner sono infinite. Almeno così pare, osservando la prolifica scena underground del belpaese, in costante fermento ultimamente per quanto riguarda le ruvide sonorità fuzzate e le frequenze ultrabasse. La trasposizione del copione poi, può risultare anche altamente personalizzata, nel caso intervenga una sapiente lungimiranza dell’interprete. Ne sono un esempio i Beesus, gruppo laziale attivo da una decina di anni, che pubblica quest’anno il terzo LP. Dopo qualche burrascoso cambio di line-up occorso negli ultimi anni, la formazione si assesta sull’attuale essenziale power-trio. Non si può dire però che '3eesus' sia altrettanto essenziale. Abituata a sperimentare incessantemente per dare forma alle varie visioni allucinogene, la band capitolina riconferma la propria tendenza ad assimilare elementi delle più disparate provenienze, dal doom allo psych, fermandosi talvolta ad un “lo-fi-pit-stop”. Quello che forse traspare da quest’ultimo lavoro rispetto alle due precedenti uscite, è probabilmente il raggiungimento di una maggior compattezza e organizzazione sonora, per quanto possibile. Ci si scrolla di dosso qualche sporcatura punk da 'Sgt. Beesus… And The Lonely Ass Gangbang!' (2018), senza però perderne l’attitudine. Il primo impatto con “Reproach” è un vero pugno nello stomaco, con riff annichilenti da far tremare le interiora. Energia catalizzata in ritmo e potenza. Compaiono anche i primi cori ed intrecci a tre voci, come novità. Se pensate poi che non sia possibile sentire Melvins e The Doors in uno stesso brano, vi invito ad ascoltare “Sand for Lunch”. Uno dei più emblematici del disco sicuramente, dal titolo già di per sé evocativo. Ci troviamo inizialmente immersi in una tipica allucinazione morrisoniana, a sorvolare distese aride e desolate, per poi riscoprire nella seconda parte della track, le antiche tracce dei pionieri, quelli del già più riconoscibile Palm Desert. Se è vero che i Kyuss hanno interrato un seme estremamente vigoroso, è altrettanto vero che i germogli che crescono assumono le forme e le dimensioni più varie in assoluto. “Flags of the Sun” rappresenta un’altra dimostrazione di come il trio romano abbia concepito la propria impronta sonora per questo disco. Oltre alla viscerale sintesi dello stoner, qui si scorge qualche ispirato fraseggio dalle intenzioni blueseggianti. Le atmosfere psych sempre a fare da cornice, anche nella lisergica “Gondwana”. Forte anche di un’ottima produzione, più pulita e diretta, '3eesus' vanta l’interessante privilegio di essere stato registrato in presa diretta dal vivo. Pootchie (Guitars/Vocals), Johnny (Bass/Vocals) e Mudd (Drums/Vocals) hanno infatti avuto l’occasione di eseguirlo niente meno che al Monk Club, famoso locale da concerti della capitale. Questo grazie anche alla disponibilità di Giacomo Serri che ha reso possibile la realizzazione di questo notevole lavoro. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(More Fuzz Records/GoDown Records/New Sonic Records - 2020)
Voto: 77

https://beesus.bandcamp.com/album/3eesus

sabato 9 maggio 2020

Kayleth - Back to the Earth

#PER CHI AMA: Space Rock/Stoner
Dopo aver viaggiato in lungo e in largo nello spazio interstellare, ecco che i Kayleth fanno ritorno a casa. La band veronese torna infatti col terzo full length intitolato 'Back to the Earth', continuando con quella loro bella abitudine di trattare tematiche filosofico/spiritual/sci-fi a livello lirico. Il disco include dieci song e la prima cosa che avverto all'ascolto dell'opening track "Corrupted", è un forte ancoraggio dei nostri ai classici del passato, pur non rinunciando alle caratteristiche space rock che ne hanno contraddistinto le loro ultime release. Ma quello del quintetto veneto, più che un ritorno sulla Terra, mi pare piuttosto un ritorno alle origini, là dove tutto è cominciato. Black Sabbath e Kyuss tornano ad essere le preponderanti influenze di questa nuova fatica. La song pertanto mette in mostra un bel riffone di matrice sabbatthiana, con la voce di Enrico Gastaldo però che rimane quasi strozzata in sottofondo, mentre le keys di Michele Montanari assurgono sempre quel ruolo di arrangiamento che va a riempire a tutto tondo il sound dei nostri. Il brano va comunque in levare, con una bella base ritmica che accelera anche grazie alle martellate sulle pelli erogate dal sempre puntuale Daniele Pedrollo. "Concrete" è violenta e abrasiva sin da subito, una cavalcata desertica che trova il proprio ristoro in un litanico break centrale ove dar sfogo a tutte le visioni lisergiche dettate dalla Psilocibina contenuta nei funghi di quei luoghi cosi desolati. I giri di chitarra e basso, a cura del duo formato da Massimo Della Valle e Alessandro Zanetti, ci conducono ancora indietro nel tempo, anni '70 per l'esattezza; quello che non mi torna invece è ancora la voce del buon Enri sommersa da una produzione probabilmente troppo ovattata. Con "Lost in the Canyons", i nostri proseguono sulla medesima pista desertica, guardando questa volta agli Hawkwind, percependo anche un che dei System of a Down in una qualche nota di chitarra, e sottolineando poi come l'ipnotico incedere ritmico venga costellato dai pregevoli synth di Mick che qui assumono quasi la fisionomia del frinire dei grilli nella notte. Se non mi sono poi bevuto del tutto il cervello, mi pare di udire in questa traccia anche il verso di quello che sembra essere un sax ad arricchire i nebulosi arrangiamenti dei nostri. "The Dawn of Resurrection" è un'altra bell'esempio della roboante proposta dei nostri, guidata qui dal basso stentoreo di Ale che, a braccetto col rutilante drumming di Dany, mette a ferro e fuoco un'aria già di per sè incendiata. Qui l'influenza degli Electric Wizard torna a riaffacciarsi, cosi come quella dei Queens of the Stone Age, il cui fantasma aleggia un po' ovunque nel disco. Con "Delta Pavonis", i Kayleth vogliono ricordare parte del loro viaggio intergalattico quando si affacciarono alla costellazione del Pavone, a quasi 20 anni luce dal nostro sistema solare. I suoni da queste parti appaiono più freddi e rarefatti, anche se le melodie delle keys cercano di riscaldarli guidando poi un inebriante giro rock'n roll a base di chitarra e basso. È poi ancora una ritmica pesante quella contro cui sbattiamo il muso nell'incipit di "By Your Side". Mentre le tastiere fanno il diavolo a quattro, la voce di Enri prosegue nel suo evocare il vecchio Ozzy. Quello che preferisco della song è però quel finale etereo tra chitarre e keys che ne rendono davvero giustizia. "Electron" è un pezzo magnetico d'altro canto con un titolo del genere che cosa vi aspettavate? Carico grondante di groove fin dalle note iniziali, il brano scivola che è un piacere in bilico tra uno stoner rock mid-tempo, un post-grunge e una darkwave di fine anni '80, senza troppi fronzoli e trovate, il che ci mostra un lato ancora nascosto del quintetto italico. La sua essenza è tanto perfetta quanto imprevedibile, ideale per un po' di meditazione alla ricerca del proprio IO supremo, l'autocoscienza, prima che nel finale i nostri riaccendano i motori della propria astronave e decidano di riprendere il volo. "The Avalanche", come una valanga, ci investe in modo forse volutamente un po' disomogeneo, mentre "Sirens" ha un che di decisamente magico ed esoterico nei suoi solchi, forse la traccia più strana ed originale del disco, anche se dobbiamo ancora commentare "Cosmic Thunder", la song che furbescamente (e maliziosamente) chiude il disco. Si tratta di una track dall'incedere disco dance anni '70/80 che ci mostra come, in perfetta simbiosi col rock rude dei Kayleth, ci sia ancora molto da scoprire in questa parte non del tutto esplorata di mondo. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2020)
Voto: 75

https://kaylethstoner.bandcamp.com/

venerdì 10 aprile 2020

Blissful Stream - When The Wolves Start To Circle

#PER CHI AMA: Black'n'Roll/Doom, Venom
Qualcosa di magico alberga nel nuovo full length della one-man-band svedese Blissful Stream, dove Equimanthorn si prende l'onere e l'onore, di essere unico musicista e compositore delle affascinanti otto tracce che formano il disco. Dopo alcuni Ep, dove già si poteva intuire lo stile originalissimo del progetto, si arriva a questo rude, gioiellino underground, pregno di oscurità e fondamenta metal, orgogliose e pure. In realtà dietro a 'When The Wolves Start To Circle' c'è un vero e proprio esempio di conoscenza del genere sotterraneo, dal doom alla psichedelia, passando per rock'n'roll e gothic rock. Calcolando inoltre la militanza dell'artista tra le fila di una black metal band di culto, come i Pest (quelli svedesi), non possiamo che avvicinarci a questo album con interesse particolare. Prendete il concetto cantautoriale blues di stampo apocalittico dei The Devil's Trade ed accostatelo al maligno cataclisma sonoro dei Venom, unitelo alla profondità dei capolavori creati da band magiche come gli In the Woods e per finire avvicinatelo ad un panorama, simile per attitudine, agli intrecci chitarristici carichi di allucinazione, dei mitici 13th Floor Elevators. Solo così potremmo essere preparati ad ascoltare un'esplosiva e pericolosa miscela di black'n'roll dalle tinte fosche e drammatiche, che trafiggono il lato più dark dell'ascoltatore. Un magma sonoro oscuro e travolgente, che in meno di mezz'ora di musica ci proietta in una dimensione parallela nerissima, dall'umore tetro ma sempre carico di un'adrenalina hard rock/metal impensabile. Le danze si aprono con la bordata di "We See the Light" con il ricordo di Cronos e compagni ancora vivido; di seguito la spettacolare title track, con un riff portante di chitarra che fa terra bruciata intorno ed una interpretazione vocale da brividi. La lenta cadenza di "Sow the Seeds of Discontent" con il suo canto pulito ed un magnifico ritornello evocativo, non fa prigionieri nella sua semplicità devastante e gotica, che porta alla memoria (e non chiedetemi il perchè di questa mia impressione) certi primi lavori dei Joy Divison. Ci si inoltra sempre di più nella scaletta di un album pressochè perfetto, nella psichedelia sgraziata di "Covenant of Decay" e via verso altri quattro brani micidiali. Quando si parla di rock'n'roll dalle chitarre sonanti, dal timbro oscuro e violento, fatto con ispirazione e carico di emotività, di vera ribellione, di gotica genuinità con un certo indimenticabile sound stile batcave e un solenne, strascicato, passo pieno di enfasi, verso la musica del destino (DOOM), da oggi non potrete non ricordare questo magnifico disco. 'When The Wolves Start To Circle' è un album davvero degno di nota, il cui ascolto è a dir poco obbligato. (Bob Stoner)

sabato 22 febbraio 2020

Ironflame – Blood Red Victory

#FOR FANS OF: Heavy/Power
So the mighty Ironflame have returned with their third album in less than three years; with their sophomore effort being released just sixteen months after the debut. Andrew D’Cagna has this incredible ability to consistently write songs that give me those same feelings that I got the first time I heard Halford, Dio or Dickinson. As he writes and records everything, there is a true consistency to the music without being the same album over and over again. While the sophomore was much more ambitious in the song writing. 'Blood Red Victory' sees the direction of the songs more in line with the debut. This time he also seems more focused; and the result is nothing short of amazing.

One thing that I noticed immediately was that the solos were no longer being supplied by Wheeling, West Virginia shredder extraordinaire Jim Dofka. His solos on the sophomore were beyond brilliant. Instead, this time D’Cagna decided to go with the two shredders that are part of his current touring band; Jesse Scott and Quinn Lukas, the latter being with D’Cagna in the Pittsburgh veteran melodic metallers Icarus Witch. That was a really smart move. Both guitarists are brilliant live so it was great to see their actual input into the songs. Each solo on this album is brilliantly thought out and take each song to the next level.

The songs themselves are just metal as fuck. The riffs, the melodies, the solos, and those unforgettable vocals. Andrew D’Cagna’s vocals are just brilliant and I truly believe he set the bar for the modern true metal vocalist. The opener, “Gates of Evermore” has an opening riff that sets the tone for the song. It kind of reminds me of 'Glory to the Brave' era HammerFall. The melodies are catchy and the choruses are infectious. These are heavy metal anthems that can stand rightly along side any of the classics. I dare you to listen to “Honor Bound” and not get that feeling like you are hearing metal again, for the first time. “Blood Red Cross!” That “OHHHH” during the bridge is fucking brilliant! I could listen to that song over and over again. The song builds to this incredible solo three quarter the way in….I got goose bumps!

I don’t know how this guy keeps pumping out quality heavy metal; all along with playing bass and writing songs with stoner rock band Brimstone Coven as well as being full time vocalist for Icarus Witch. “Graves of Thunder” has that melodic metal feel of an Icarus Witch song while still having that Ironflame sound. “Grace and Valor” take it right back to epic power metal with some incredible dual harmony riffs driving the verse. Brilliant! “Night Queen” is the longest song on the album and reminds me of “Shadow Queen” off the debut…could even be a sequel. Nonetheless, none of that take away from the sheer brilliance of the execution. The song sucks you in with the melodies and hooks. The perfect album closer.

Classic heavy metal is making a comeback and there are some really great bands and some incredible metal coming from this resurgence. Ironflame have set the bar, quite high I might add for this movement. Three consistently incredible true metal albums loaded with everything that made me obsessed with metal to this day. Keep ’em coming Andrew!! (The Elitist Metalhead)

(Divebomb Records - 2020)
Score: 100

https://ironflame.bandcamp.com/

venerdì 14 febbraio 2020

Hourswill - Dawn of the Same Flesh

#PER CHI AMA: Heavy Prog, Anacrusis
Ci eravamo lasciati nel 2017 con i portoghesi Hourswill alle prese col loro secondo lavoro 'Harm Full Embrace'. I nsotri tornano sul finire del 2019 con questo nuovo 'Dawn of the Same Flesh', album sempre targato Ethereal Sound Works, proponendo il loro classico heavy prog dalle forti tinte malinconiche, come dimostrato già dall'iniziale "Asherah", una song piacevole ma forse un po' troppo sdolcinata per i miei gusti. Le cose iniziano a migliorare dalla seconda "Innocence", un pezzo dotato di una bella base ritmica, ottime vocals, discrete melodie, ma poco altro. Non che si tratti di una song brutta, non fraintendetemi, anzi il suo strizzare l'occhiolino più volte ai Nevermore, la fa apparire anche interessante, però è quel senso di stra-sentito che dopo pochi minuti mi infastidisce e me ne fa perdere l'attenzione. Ci si riprova con "A Beauty in Bloom", un pezzo ben più tirato (che risulterà anche essere il mio preferito), complice un muro ritmico che sembra combinare nello stesso momento heavy, hard rock, prog e thrash, in una combo che mi ricorda un mix tra Anacrusis, Xentrix, Meshuggah e Saxon. Strano no? Vi basti però dare un ascolto attento a quelle chitarrone un po' sincopate verso metà brano per capire cosa stia blaterando. Si torna a delle sonorità più soffici con "Now That I Feel" e francamente questo è il lato che fatico maggiormente a digerire dell'ensemble di Lisbona, troppo dura per essere considerata la classica ballad, troppo leggerina per essere definita una song metal, per non citare poi quel duetto tra il frontman e la classica fanciulla di turno (Neide Rodrigues) a offrire i propri servigi canori dietro al microfono (la vocalist tornerà anche in "Hanwi"), che non ho trovato proprio appropriatissimo. Si ripassa al robusto heavy rock di "Enlightenment" con la voce di Leonel Silva fin troppo sopra le righe, mentre alle sue spalle, giochi di chitarre, basso e batteria, regalano attimi di grande interesse soprattutto nella seconda parte della traccia. Si arriva cosi al trittico formato da "Benightedness (Part I, II & III)", che lungo i suoi oltre dodici minuti alterna un po' tutti gli umori sonori del quintetto lusitano, dai suoni in penombra di quell'introduttivo piano (con terribile voce a complemento), passando da ringhianti riff di chitarra della seconda parte per arrivare fino alle partiture acustico jazzy-flamencate della terza sezione. Il disco ha ancora ben quattro da offrire ma soprattutto una schiera di numerosi ospiti da proporre. Tra questi, mi soffermerei su Agostinho Lourinho che nella conclusiva e già citata "Hanwi", trova modo di dar sfoggio della sua creatività al sax con un assolo pauroso in un caldo pezzo atmosferico che sembra esser stato concepito sulle spiagge di Salvador de Bahia dal duo formato da Toquinho e Gilberto Gil, per un esperimento questo, davvero riuscito. Che altro dire degli Hourswill quindi? C'è ancora sicuramente molto da lavorare; in "Dawn of the Same Flesh" si trovano cose decisamente interessanti alternate ad altre un po' più noiose e scontate, tuttavia mi sento di dare fiducia al combo portoghese auspicando in nuovi passi in avanti nel futuro della band. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2019)
Voto: 67

https://www.facebook.com/Hourswill

domenica 19 gennaio 2020

Prime Creation - Tears of Rage

#PER CHI AMA: Heavy/Power, Hammerfall, Stratovarius
Dopo le iniziali scorribande nelle lande del power metal, i membri orfani del gruppo svedese Morifade, si riuniscono nel 2015 in un nuovo progetto che sancisce una svolta sostanziale negli intenti dei musicisti di Linkoping: i Prime Creation. Esauritasi infatti la spinta del filone power scandinavo, probabilmente indispensabile per sostenere i quattro album all’attivo, non molto convincenti a dire il vero, e terminati gli argomenti da spendere in materia, i tre amici e compagni Henrik Weimedal al basso, il batterista Kim Arnelled ed il chitarrista Robin Arnell hanno optato per una brusca sterzata al loro sound originale. Già dal 2016, con l’omonimo (ottimo) disco d’esordio, i Prime Creation mettono in chiaro i propri intenti per un deciso passaggio verso territori meno aulici e più diretti. Un solido heavy metal di scuola svedese con qualche riffone di chitarra e cavalcate in doppia cassa da headbanging puro, talvolta a sconfinare nel thrash. Un po’ il percorso che seguirono a suo tempo i connazionali Hammerfall, ma senza il loro classico biker-appeal. Durante la stesura del primo album, l’ensemble si completa con il reclutamento di Esa Englund ($ilverdollar, Hellshaker), vocalist dalle tonalità baritone, decisamente più adeguate allo scopo. Tuttavia, sembra quasi che il cambio di direzione fosse più convinto e convincente, nell'album d’esordio, rispetto a quest’ultima uscita intitolata 'Tears of Rage', risalente a pochi mesi fa. Nonostante l’impronta sia quella più heavy tradizionale che avevamo sentito in 'Prime Creation', questo secondo disco lascia permeare tra i solidi riff, qualche respiro rievocante il passato dei Morifade. Qualche refrain a ritmi abbassati, i cori e le tastiere che ritornano a farsi sentire pressoché in tutti i brani (seppur con peso differente) e sporadici rimandi a certe icone della vecchia guardia. Penso per esempio ad “All for my Crown” che sa un po’ di Stratovarius, anche se quelli meno ispirati del periodo tardivo. Oppure i Symphony X più orecchiabili (di 'Paradise Lost', per dire), con un alone percepibile in “Before the Rain”. Appunto, pare che solo qualche anno fa, i nostri fossero stati più radicali nelle scelte stilistiche. Oltre al sound meno deciso rispetto al precedente esordio, le sezioni “di respiro” si fanno più frequenti. Le tastiere ritornano ad assumere maggiore importanza, in tracce come l’opener “Finger Crossed”. Oltre a questa, buoni anche i brani “Pretend till the End” con la suo intro elettronica e la title-track “Tears Of Rage”, coi suoi carichi ed abbondanti riff ed un’ottima sezione solista di chitarra. Mancano però quei meccanismi che inneschino la giusta scintilla. Questa seconda fatica dell’ensemble svedese non è decisamente al livello del precedente. Un po’ troppo diluita forse. Oppure banalmente povera di ispirazione nel songwriting, magari troppo affrettata a causa del contratto discografico, anziché beneficiato dai giusti tempi per composizione e organizzazione delle idee. Anche la conclusione appare un po’ fuori luogo, con un tappeto di tastiere e la cadenzata voce di Englund su ritmi blandissimi in "Endless Lanes". Un passetto all’indietro quindi per i Prime Creation: peccato perché ci avevano davvero stupiti all’esordio, piazzando un bel colpo alla prima uscita. Ma appunto per questo, restiamo fiduciosi in attesa. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)