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mercoledì 30 settembre 2020

Svenia - Black Hearts

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic Metal, Sentenced
La Gothic Slam da sempre è focalizzata su prodotti inevitabilmente gothic. Li abbiamo ripresi da poco con i My Craving, li ripeschiamo con un altro vecchio lavoro, questa volta degli Svenia, altra presunta “new sensation” di gothic metal appunto, uscita nel 2005. La cosa che unisce essenzialmente le due band, oltre al genere musicale proposto, è la pessima performance dei rispettivi vocalist. Per quanto riguarda gli Svenia, trovo per lo meno un po’ più personale la loro proposta con un sound che parte si da basi gotico-romanticheggianti, ma le arricchisce di influenze che derivano dalla musica italiana anni ’70. Sembra quasi sentire un darkeggiante Bobby Solo unito a certe canzoni di cartoni animati (in particolare Daitarn III), il tutto miscelato al gothic sound finnico dei maestri del genere. Difficile rendere bene l’idea di quanto ascoltato, però vi garantisco che vi basti ascoltare l’opener "Burial in Autumn" e la terza "In the Shadow of Death in the Shadow of Love " per capire bene di cosa vi stia parlando. Gli Svenia danno così alla luce 'Black Hearts', album di debutto (rimasto tale), costituito da 10 brani i cui i testi pongono l'attenzione sugli eterni dilemmi dell'amore e della morte. La proposta di questi ragazzi non è malvagia sebbene ci siano una serie d’imperfezioni che in fase di costruzione delle song ma, soprattutto in fase di registrazione e produzione, si rivelano alquanto scadenti anche in questo caso. Auspicavo a suo tempo che la band si scrollasse quanto prima di dosso, l’ombra assai fastidiosa delle varie influenze che ne ispirano il sound, cercando di percorrere, con convinzione e duro lavoro, la propria strada. Tuttavia da 15 anni il silenzio regna sovrano, sebbene la compagine romana risulti ancora a tutti gli effetti attiva. (Francesco Scarci)
 
(Gothic Slam Records - 2005)
Voto: 62

lunedì 28 settembre 2020

Entrails - Rise of the Reaper

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Swedish Death Metal, early Entombed
I do not see why this release got such poor feedback! To me, it's at least a "B" rating. The Swedish sound is definitely there. I like the music, the riffs are well put together. Not as good as previous releases, but it is still good these guys are making music. I'd say that their previous albums are better, but this one is still good. And the vocals are quality. A well put-together and constructed album. I don't think that they really need to change much on here, maybe a little bit less on some synthesizers, though it is here in just a modicum of play on here. The tempos aren't extremely fast, but definitely good riffs here and there.

The main guitars are killer, not too many leads but some. That doesn't take away from the fact that the band is still solid. It's not a boring album, this release is filled with some good music. I'd say it's a good follow-up, but not the strongest that it could be. If they used less lead and focused more on the main guitars, I think it'd be stronger. But it is still balls out with precision. Most of the tracks on here I could tolerate, just not so much at the end. But as a whole album, it's totally a "B" rating. It just lacks the intensity like on older albums. But there are blast beasts just the intensity isn't as full throttle like previous albums.

Swedish death metal bands are all unique to me in the fact that the pedal they use to get the proper sound is rather unique. On here, it is used in a lesser degree. It is still there, the sound but not as apparent. You can tell they are Swedish based but I just would like to make the distinction that they're changing it up a little bit. All the songs on here are worthy of praise, just not towards the end (as explained). Just the fury isn't so much here, it's a milder album. But they're still death metal oriented and they didn't changed their style like Entombed did. That band, now 'Entombed AD' totally changed and it's disgusting.

I found this album at a local record store and thought it'd be good to show support for the band especially since I collect CD's. And own a CD player not like a lot of my friends. I would say to buy the physical copy, but pretty much all metalheads are doing the digitally based gig. If you have a CD player, buy this show that you're still supporting the scene or if you don't want the CD, Bandcamp I'm sure has digital downloads if you'd like to hear this album. It's a good release, I cannot stress that enough! It's not their greatest album, but it's still worth getting. Don't listen to the naysayers about this one, it's quality! (Death8699)


(Metal Blade - 2019)
Score: 76

https://entrails666.bandcamp.com/

Requiem - Government Denies Knowledge

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Malevolent Creation
Mi mancava un album capace di trapanarmi le orecchie come questo dei Requiem. Dalla terra del cioccolato approdano ecco approdare alla tedesca Massacre Rec. questi baldi giovani al loro secondo lavoro, 'Government Denies Knowledge', titolo che credo, derivi da una frase del famoso agente dell’FBI, Fox Mulder di X-Files. Direi di partire, partendo dalla bellissima e funesta copertina del cd, la fine del mondo?! Per ciò che concerne la musica, siamo al cospetto di 35 minuti di furia esplosiva di chiara matrice statunitense. E dire che se non avessi letto la provenienza della band (la Svizzera appunto), avrei scommesso 100€ che il quartetto provenisse dagli States. Comunque sia, i Requiem ci mitragliano addosso tutta la loro rabbia: colate di riff violentissimi, gorgheggi dall’oltretomba, una brutale e veloce batteria, rarissimi inserti melodici e chi più ne ha più ne metta. Le influenze sono assai palesi, con i Malevolent Creation in testa, ma in generale, è tutto il death “made in USA” ad influenzare quest’album, che certamente non potrà non piacere agli amanti del death tritura budelle, mentre agli amanti di sonorità più alternative od originali, suggerisco di astenersi dall’ascolto di questo lavoro. C’è ben poco da segnalare di questo lavoro, data la pochezza e la scarsa originalità delle idee messe in musica. Un’ultima raccomandazione: questi Requiem sono quelli svizzeri e suonano death, da non confondere con le band omonime colombiana e finlandese! (Francesco Scarci)
 

domenica 27 settembre 2020

Solkyri - Mount Pleasant

#PER CHI AMA: Post Rock/Math
Quando si parla di Bird's Robe Records è inevitabile pensare immediatamente a qualche realtà australiana dedita ad una qualsiasi forma di post strumentale. Non mi sbaglio quando infilo il cd dei Solkyri nello stereo e mi ritrovo una band originaria di Sydney (ma questo l'avevo già letto nel flyer informativo) che propone appunto un post qualcosa senza avere un vocalist. Questo è quanto lascia trasparire la song in apertura di 'Mount Pleasant': "Holding Pattern" è infatti una miscela irrequieta di post e math rock, che lascia spazio a ritmiche sghembe nella prima parte e si concentra in suoni più intimisti nella seconda. "Potemkin" inizia graffiante tra ritmiche infingarde e stop'n go, in un rutilante incedere non proprio cosi armonioso e melodico come mi aspettavo. Sono alquanto ostici questi quattro ragazzi della East Coast, sebbene abbia l'impressione che loro si rendano conto di poter tirare fino ad un certo punto la propria proposta ma poi essere costretti a dover mollare, dando più spazio ad un sound melodico e pulito che qui si mantiene però criptico e nervoso. "Pendock & Progress" sembra più shoegaze oriented (solo nella prima metà però), un tema quello della malinconia, che tornerà anche nelle successive "Meet Me in the Meadow" e "Time Away". La musica dei nostri è sicuramente piacevole e chi apprezza questo genere di sonorità non dovrà certo lasciarsi scappare questo lavoro che per lo meno mostra meno prevedibilità rispetto a tanti altri dischi analoghi. Quello che lamento ovviamente io, Don Chisciotte del 2020 che lotta contro i mulini a vento, è forse che un elemento fondamentale come la voce non dovrebbe mai mancare, in quanto caratterizzante la proposta di una band, in male o in bene sia chiaro, ma a volte bisogna prendersi certi rischi. Però, che volete che vi dica, io mi infilo le cuffie, inizio ad ascoltare, ma dopo un po' mi subentra comunque una grande noia, per cui devo interrompere e pensare di riascoltare in un altro momento. Mi è capitato anche qui lo devo ammettere, sebbene i buoni pezzi non manchino. Penso alla già citata "Meet Me in the Meadow", emblema proprio shoegasiano, o ancora alla spettacolare "Summer Sun", il mio pezzo preferito: inizio tiepido quasi si trattasse di una melodia da tramonto di fine estate. Poi la traccia evolve, acquisisce dinamicità, potenza, verve forte di quei riverberi spettacolari di chitarra e pulsioni tooliane che la rendono decisamente diversa dalle altre e anche più abbordabile ed interessante. In chiusura, un altro pezzo degno di nota, "Gueules Cassées", una cavalcata roboante di poco più di sette minuti che avrebbe certamente meritato un vocalist a piazzarci quattro urlacci in mezzo per avvalorarne ulteriormente la qualità. Insomma, della serie chi si accontenta gode. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records/Dunk!records/A Thousand Arms - 2020 )
Voto: 72

https://solkyri.bandcamp.com/album/mount-pleasant

In Cauda Venenum - G.O.H.E.

#PER CHI AMA: Symph/Post Black
Incontrati già in occasione del loro omonimo debut album e nello split in compagnia di Heir e Spectrale, fanno il loro ritorno sulle scene gli In Cauda Venenum con il secondo lavoro, 'G.O.H.E.', il cui acronimo non mi è ancora dato di sapere. La nuova release del trio transalpino evolve ulteriormente, attraverso le sue due tracce, in un flusso profondo di post black dalle forti venature post rock. Questo quanto si evince dal flyer informativo della label, un po' meno dalle note iniziali della deflagrante "Malédiction", che apre il disco con i suoi 22 minuti di musica possente, tonante poi per quelle sue inequivocabili ascendenze sinfonico-orchestrali che rappresentano verosimilmente la vera novità dei nostri in questo 2020. La traccia è davvero notevole proprio per i suoi traccianti black permeati di grande melodia e poi da quelle sublimi atmosfere che ne ammorbidiscono una ritmica impastata e comunque furiosa, spezzettata qua e là da ottimi passaggi tastieristici, rallentamenti improvvisi e giri di violoncello, come quello che si registra al minuto 13.40, che ci catapulta immediatamente in una lounge room. Tutto questo sottolinea una rinnovata vena sperimentale da parte di Ictus, N.K.L.S. e Raphaël Verguin, i tre musicisti che compongono la line-up degli In Cauda Venenum. La seconda parte della song viaggia su questi binari più sperimentali (fatto salvo lo screaming onnipresente) in una sorta di sound che potrebbe essere accostabile a quello degli ucraini White Ward. La seconda traccia si affida ai quasi 22 minuti di musica di "Délivrance", un pezzo che costitutisce la naturale prosecuzione del primo brano tra ritmiche strutturate, break acustici in cui compaiono spoken words, frangenti ambient, pomposi momenti sinfonici, solenni momenti affidati agli archi (stile Ne Obliviscaris - ascoltate anche qui il fatidico tredicesimo minuto) in un turbillon emotivo davvero entusiasmante, che non concede comunque adito a pensare ad un ammorbidimento del sound dei nostri (viste le arrembanti ritmiche post-black che popolano anche questo secondo gioiello). Penso piuttosto che al solito, la Les Acteurse de l'Ombre Productions ci abbia visto giusto nel mettere a suo tempo sotto contratto questi estrosi musicisti, per cui vi invito caldamente a dargli un'occasione, non ci sarà nulla di cui pentirsi. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 82

https://www.facebook.com/incdvnnm/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Intig - Utfryst
Olhava - Ladoga
Break My Fucking Sky - Blind

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Alain González Artola

Mesarthim - The Degenerated Era
Incantation - Sect of Vile Divinities
Katavasia - Mangus Venator

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Death8699

Blood of the Wolf - III - Blood Legend EP
Cardiac Arrest - The Day That Death Prevailed
Fusion Bomb - Concrete Jungle

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Shadowsofthesun

The Ocean: Phanerozoic II - Mesozoic - Cenozoic
Deftones - Ohms
Collars - Tracoma

My Craving - No Mercy For Broken Hearts

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Sentenced, HIM 
La proposta musicale del sestetto piemontese è un gothic rock dalle tinte romantico-malinconiche. Formatisi nel 2003, i My Craving con 'No Mercy For Broken Hearts', ci propinano sette brani (per un totale di 34 minuti), che non sono altro che il demo uscito nel 2004 più tre nuove canzoni e che grazie al contratto con la Gothic Slam Rec., è stato ristampato con una miglior veste grafica. Dunque, c’è da dire subito una cosa: il disco a me non dispiace poi tanto, anche se trovo pessima la performance del vocalist Traci Blackstar, vera mente del gruppo, ma non proprio bravo nel trasmettere le emozioni che un album del genere dovrebbe infondere. Sarebbe stato più indicato infatti in una band hard rock stile Van Halen, ed è tutto dire. Inoltre una pessima produzione che privilegia principalmente la voce di Traci a discapito degli altri elementi del gruppo, di certo non agevola la riuscita di questo lavoro. La musica coglie a piene mani dal tipico sound finlandese di HIM e Sentenced (tanto per citarne solo un paio), proponendosi quindi come un gothic dai tenui colori autunnali fatto di melodie ruffiane, tastiere ispirate, sprazzi di buona musica e godibili assoli. Quello che proprio non digerisco è appunto la voce del frontman che mal si adatta ad un sound che dovrebbe essere invece intimista e che richiederebbe quindi un vocalist più adeguato. Ripetendo quanto detto all’inizio della recensione, questi ragazzi avrebbero dovuto rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per scrollarsi di dosso le palesi (talvolta fin troppo ingombranti) influenze dei gruppi nordici sopra citati, migliorare la produzione e cambiare le corde vocali al cantante. Ma dopo questo lavoro, datato 2005, i nostri si sono squagliati come neve al sole. (Francesco Scarci)

(Gothic Slam Records - 2005)
Voto: 58

https://www.metal-archives.com/bands/My_Craving

venerdì 25 settembre 2020

Left Sun - Tidal Flow

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Riverside
Sembra ormai una sentenza: per tutti i dischi che mi arrivano dalla Ethereal Sound Works pare sempre più incasinato trovare qualche informazione relativa alla band. Gli ultimi in fatto di tempo approdati sulla mia scrivania sono questi Left Sun, compagine che in realtà avevamo già conosciuto in occasione del loro disco omonimo nel 2016. I lusitani tornano con una release nuova di zecca, intitolata 'Tidal Flow' che ci consegna una band in stato di grazia che prosegue postitivamente sulla scia del debut album, combinando pertanto progressive, alternative e post metal. Forti della presenza di Flavio da Silva dietro al microfono e la meravigliosa Clara Campos al violino, il quintetto sciorina attraverso le nove tracce qui incluse, tutti gli eterni dilemmi dell'uomo, le sue paure e speranze. Il tutto contrappuntato da un sound che, dall'iniziale "Devotional" alla conclusiva "Soaring", mostra una grande progressione rispetto al passato e soprattutto ama coinvolgerci nel suo flusso magnetico che chiama in causa sin dall'opening track, i Porcupine Tree ma che in realtà nel corso di questo liquido viaggio astrale, ripercorre anche le orme di Anathema, Riverside (l'influenza principale a mio avviso), A Perfect Circle e Pink Floyd, in un'alternanza musicale davvero efficace. E allora perchè non lasciarsi abbindolare dai suoni elettronici di "All Roads" o dalle calde e caleidoscopiche visioni strumentali della suggestiva title track. Altrove è la voce di Flavio in primo piano a fare bella figura ma nel retrobottega si nascondono in realtà le eccelse qualità di musicisti competenti, dotati peralttro di grande gusto per le melodie. I pezzi sono tutti in realtà interessanti anche se è ovvio che non brillino proprio di luce propria. Forse non ho apprezzato particolarmente il sound più vintage e scontato di "Cold", di contro l'apertura in acustico di "Waiting" (diamine sembrano gli Oasis), le intemperanze ritmiche di "Celebrate" o le melliflue atmosfere di "Hide" (con tanto di magnifico violino), mi fanno apprezzare non poco questa nuova nuova fatica targata Left Sun. Provare per credere. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/LeftSunOfficial/

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol I

#PER CHI AMA: Avantgarde/Psych/Jazz
Il Covid-19 è tutt'ora fonte di grande dolore ma è stato anche innesco di diverse opere artistiche (libri, dischi, cortometraggi). I Queen Elephantine sono tra quelli che hanno sfruttato il momento di difficoltà proponendo i rilascio di nuovi EP in formato digitale. Il collettivo di Hong Kong, originario però dell'India e con base oggi a Philadelphia, ha rilasciato ad aprile, nel pieno della prima ondata di coronavirus, il cui presente 'Tribute to Atrophos Vol I', primo (di tre?) EP votati all'improvvisazione totale. Li avevamo lasciati sul finire del 2019 alle prese con 'Gorgon', li ritroviamo oggi più stralunati che mai con quattro nuovi eterei pezzi che miscelano casualmente psych e kraut rock, avanguardistico, jazz, drone e stoner con un'alchimia sciamanica misticheggiante. Questo almeno quanto trasmesso dalla trascendentale opening track, "I Alone Am Right", che per undici minuti entra nel mio cervello e con la sua infima retorica cervellotica, insidia i pochi neuroni residui nella mia materia cerebellare, con un sound lisergico e desertico. Ancor più complicata "I Am Left Alone", proprio perchè sa di jam session a tutti gli effetti, quasi che il collettivo indiano si sia messo li un angolino a strimpellare in attesa di far uscire le idee migliori da registrare. Quindi, non è il caso di aspettarsi nulla di travolgente visto che si tratta di pura improvvisazione dettata dalla noia che sembra per lo meno cresca in intensità perchè si è trovata la giusta chiave per costruire una song. E anche con le seguenti "Surfacing" e "Sunk", il canovaccio della estemporaneità non cambia. La prima delle due song ha un andamento oscuro quasi dronico, bloccato in un ipnotico loop di chitarra astrale. La seconda invece è più noise rock oriented (sebbene qualche accenno in sottofondo alla musica indiana), con chitarra e batteria lasciate come cani sciolti a cazzeggio per quattro minuti di puro divertimento. (Francesco Scarci)

Vader - Solitude In Madness

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Death/Thrash
This is vintage Vader, pity that it's only about 30 minutes long. I'd say that the riffs are more catchy than anything else. And the production quality top notch. That's what makes the instruments more endurable and their straightforward songwriting capabilities. Peter did an awesome job here both on vocals and musically. This sounds more death metal oriented than thrash, even though they fall in between these two genres. I'd say that the music is what makes this one stand out more than anything else. The tempos aren't extremely fast, just interesting and unrelenting blasts in your face. The vocals go well with the music. Everything here goes smoothly.

I've never been a huge Vader fan myself, but some of their releases are decent. This is definitely a step-up from their previous. In many ways, I should say. This is probably the best produced Vader album that I can say. And the music is just monumental. I'll use that interchangeably with sublime. I don't think there's a better Vader release than this one for a while. It just smokes. The riffs are probably the highlight of this album. I think most of the riffs are entirely unique. Some fast tremolo picking and some just flat-out bar chord chunkiness. The leads are good, too. They're pretty cool, not sloppy just unique.

I think aside from the production and mixing, this one is definitely done right! These guys kill it in every aspect! Peter's vocal outbursts I think are intriguing. His voice alongside the music is outstanding. I think he's at his peak here, and a pinnacle in the songwriting as well as the lead guitar work. Technical as fuck! These guys worked hard to getting this one to be a better era for the band. I wouldn't say that they're veterans but maybe close to it! Out of the few albums by them, this one by far is the best. I wouldn't disclose this to be their absolute best release, but close to it. Very close to it. And the songwriting, VERY GOOD!

Do the band some justice and purchase the physical CD! You can always check it out on Bandcamp or YouTube before you figure that this is for you or not. If you're a hardcore Vader fan, I'm sure you'll get the physical CD in no time! These guys did a good job for 2020 releases. It's a shame that the album isn't longer than it is, like I mentioned but it sure is something to keep in mind that even then it's still worth getting! Some people don't have CD players anymore so the digital download would be sufficient. But yeah, one of the best Vader releases I've heard, at least for a while that is! Long live the death/thrash legends! (Death8699)


giovedì 24 settembre 2020

Biohazard - Means to an End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk Hardcore/Thrash
Allarme, allarme rosso: una sirena annuncia l’inizio di questo album dei Biohazard (il decimo della loro discografia includendo il 'Live in Europe' e la raccolta 'Tales from B-sides'). L'act di Brooklyn è da sempre fautore di un certo hardcore e 'Means to an End' continua quel percorso musicale intrapreso con il precedente 'Kill or Be Killed', dopo il mezzo passo falso di 'Uncivilization'. È innegabile l’importanza di questa band nel panorama hardcore mondiale, alla luce anche degli anni di militanza nell'underground metallico e da quelli già trascorsi dall’omonimo debut che fece furore nel 1990. Questo disco di Evan Seinfeld e soci ci consegna poco più di mezz’ora di musica selvaggia, un mix tra hardcore, thrash e punk. Le song sono veloci, brutali e dirette, prive di quelle contaminazioni nu/rap che avevano influenzato il già citato 'Uncivilization'. I Biohazard ritornano qui ai vecchi fasti di un tempo: brani come “Killing to Be Free” e “Filled with Hate” sono vere e proprie mazzate nello stomaco. Rabbia, odio, violenza e vitalità sono gli aggettivi che si possono tranquillamente attribuire a questo lietissimo comeback della band di New York City. 'Means to an End' è una breve ma intensa cavalcata che riporta alle radici una band granitica nelle sue idee e nella sua proposta musicale. Che goduria sentire Graziadei e Roberts graffiare con i loro killer riff e quegli assoli in pieno Slayer style. Gli echi di 'Urban Discipline' (secondo album della band) sono forti e captabili lungo tutto il corso del disco a riprova che l’energico hardcore dei Biohazard è qui più incazzato che mai ed esige un vostro ascolto! (Francesco Scarci)

Gernotshagen - Ode Naturae

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Dalla Turingia ecco giungere direttamente dentro al mio stereo la quarta fatica dei Gernotshagen, a distanza di ben nove anni dal precedente album, 'Weltenbrand', che tanto impressionò (pare) la critica musicale. L'oscuro sestetto si presenta come dedito ad un pagan black misticheggiante e lo dimostra subito "Erwachen", intro tastieristica posta in apertura a questo 'Ode Naturae'. Dopo l'estasiante prologo, ecco scatenarsi il black dei nostri con la lunga "Eibengang", una traccia che mette in mostra le velleità dell'ensemble teutonico nel voler coniugare il furore della fiamma nera con sonorità ben più ispirate che ci trascinano in luoghi incantati, popolati da mitologiche creature. E la colonna sonora di tutto questo non poteva che essere affidata alla musica dei Gernotshagen, bravissimi nel saper dosare alla perfezione rabbia (poca a dire il vero) con splendide atmosfere, ma soprattutto incantevoli assoli che elevano alla grandissima le sorti ddell'album. Non li conoscevo, lo ammetto candidamente, ma diavolo che musica spettacolare, cosi suggestiva ed evocativa nel suo incedere, da farmi gridare immediatamente al miracolo. È un black mid-tempo quello che si consuma poi nelle note di "Eisenwald", traccia contraddistinta da una linea ritmica pulita, da screaming (e growling) vocals sempre comprensibilissime e da risvolti gotici che sembrano rievocarmi un che dei primi Moonspell. A tutto questo aggiungete anche una certa vena sinfonica, venature malinconiche e una dose di pompose atmosfere che sembra talvolta sovrassaturare la proposta dei sei musicisti di Trusetal. In taluni frangenti parrebbe infatti che la band voglia stupire con un sound costantemente in movimento che non riesce a proseguire su di uno stesso filone per più di pochi secondi. C'è davvero tanta carne al fuoco in queste tracce e il consiglio che mi sento di darvi è quello di assaporare il tutto con un bel paio di cuffie che possano avvinghiarvi le orecchie ma pure il cervello. E lasciarsi andare. Abbandonarsi alle autunnali atmosfere di "Blut für die Meute", un ascolto ideale per questo periodo dell'anno, laddove il verde delle piante cede il posto agli splendidi aranciati e rossi delle foglie che dipingono idealmente la musica di questa compagine tedesca che scopro ahimè soltanto ora, nonostante la loro formazione risalga addirittura al 1999. Mea culpa, e per farmi perdonare, mi darò all'ascolto dei precedenti lavori, ma nel frattempo ho promesso di immergermi nelle magica musicalità delle successive tracce: "Fahle Wege" sembra ispirata da certe cose dei Moonsorrow (soprattutto a livello effettistico) mentre i seguenti deliziosi capitoli che ci condurrà per quasi 70 minuti di musica a gustare melodie di un altro tempo. "Zyklus Tod" e "Wildnis" sono due song notevoli per proposta artistica, forse più cruda e orientata a sonorità doomish la prima, sebbene una seconda parte più varia, tra epici chorus e ritmiche più arrembanti (per non dire blackish). La seconda invece parte subito forte, tagliente, la più violenta del lotto e per questo anche la più imprevedibile. Ma i Gernotshagen sanno come ricatturare l'attenzione di chi ascolta, proponendo nuovamente partiture estremamente atmosferiche, cariche di un misticismo davvero intrigante, corredato qui da voci e cori puliti. Il risultato conferma l'eccelse doti dei sei guerrieri germanici, nelle cui file figurano anche ex membri di Menhir e Firtan, due band parecchio apprezzate da queste parti. In chiusura, la song fiume, "Transzendenz", diciassette e più minuti di sonorità fosche e decadenti, all'insegna del black progressivo, ove perdersi definitivamente nell'ascolto di un lavoro di tale portata che si candida ad essere una delle mie sorprese di questo 2020. Classe sopraffina, melodie incantevoli, talento da vendere per una band davvero sorprendente. (Francesco Scarci)

mercoledì 23 settembre 2020

Resistance - Lies in Black

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Power/Thrash, Grave Digger
I Resistance sono una band di cui all'epoca - era il 2004 quando uscì autoprodotto - non sapevo assolutamente nulla, in quanto non avevo ricevuto uno straccio di biografia. Comunque spulciando sul web ecco trattarsi di un quintetto americano, originario della California, il cui sound veniva descritto come un mix tra il thrash della Bay Area e il power metal europeo con 'Lies in Black' a rappresentare il loro debutto. Un frammento di inno nazionale americano apre le danze di questo cd, poi è un fiume di emozioni a guidarci all’interno del mondo targato Resistance. Il sound della band potrebbe essere accostabile a quello di Primal Fear e Grave Digger, ma presenta anche ripetuti richiami ai Nevermore, Iron Maiden e Pantera. Pesanti riffoni di chitarra tessono infatti trame complesse con la ottima voce di Robby Hett a farla da padrone (tra l’altro Robby è stato candidato a best vocalist ai Metal Music Awards del 2004). Momenti acustici, squisiti assoli, un ottimo gusto per la melodia ed una eccellente prova collettiva dei membri della band, impreziosiscono questo 'Lies in Black'. Da segnalare poi la disinvoltura con la quale il combo di Glendora riesce a passare da momenti hard ad altri più soft, a testimoniare l’estrema versatilità del gruppo. Complimenti alla Lion Music per aver scovato questa band successivamente, abile sia in veste compositiva che esecutiva. Ottima infine la produzione presso i Desert Moon Studios di Anaheim, California. Album dalle grandi potenzialità, peccato solo duri la misera di 28 minuti. (Francesco Scarci)

Dust Bolt - Trapped In Chaos

http://www.secret-face.com/
#PER CHI AMA: Speed/Thrash, Destruction
The one thing I like about this band (among many other things) is the fact that they have their own unique sound to them. And vibe. This album isn't overly brutal, it has a cool feeling to it. The guitars have some unique riffs and they're done with precision. I think that the vocals here fit the guitars. The riffs are cool and fresh a nice way of organizing songs to make them interesting. Their vocalist actually "sings" too. I think that the whole album just smokes. I cannot fathom why anyone would think ill of this release. It's quite diverse and mature. The riffs hit home with me, unique stuff like their older material but a little catchier (to me).

This is under 40 minutes and the last track is a ballad. Pretty well done outro to the album the vibe was glorious. I don't hear too many thrash metal bands that actually have singers that "sing." That's why I like this so much because the aggression is there but the voice sets the groove to the songs. The backup vocals are good, too. I think this band is highly underrated and not well known. They sure are dynamic! I liked this the first time I heard it. It's one of those that you either like it or you think it may be too mild. I thought it was terrific! There's no songs on here that suck they're all good and the energy is all there.

The production quality is phenomenal for a not well known band. Their is kind of a reverb vibe to the vocals and music, which sets the tone for the album. The riffs go well with the vocals they go side by side them. I think that this is a highly underrated album and it's sad in a way because this band has so much to offer the metal community. I think that as long as they keep making music the way they do, they'll get noticed. I'm trying to spread the word with this release. I'm sorry but a poor rating is unacceptable. I think that they're way high up on the ratings. That's just my take on the album. It's filled with thrash metal vigor!

I would get this on CD if I were you it's worth it. I'm glad I did because I liked all the songs. They're German version of thrash metal has them among the likes of Destruction, Kreator, et al. Of course they're taking their influences and making their own sound and voice. They really need to spread the word and buying the CD is a step in the right direction. Same with their older albums, they're good as well. This one is less aggressive and more focus on the vocals and vibe. If you're not able to get the CD, at least visit their Bandcamp site. You need to hear this album despite what other critics are saying! Own it! (Death8699)


martedì 22 settembre 2020

Magni - S/t

#PER CHI AMA: Folk Acoustic Rock, Tenhi, T.K. Bollinger
Da membri ed ex membri di Until the Sky Dies e Idiot Robot, ecco a voi i Magni, band originaria di Phoenix che si presenta al pubblico con questo EP omonimo di quattro pezzi. La band, formatasi per mano di Clint Listing durante le sessioni dei suoi Until the Sky Dies, combina visioni dark folk sulla scia di quanto fatto da Tenhi o Antimatter, due band citate dallo stesso Clint nella pagina bandcamp dei nostri. Il dischetto si apre con le tenui suggestioni di "Pagan Vastland", una song che scorre sui tiepidi e malinconici accordi di chitarra acustica e una voce ancora bagnata da whiskey e sporcata dal fumo di una sigaretta. "Ragnarok" prosegue su queste coordinate, forse ancora più oscure e fragili dettate da enigmatici tocchi di tastiera dal forte impatto destabilizzante; quello che cambia rispetto all'opener è l'utilizzo di una voce che sembra travalicare nel black ma che dà comunque un pizzico di originalità alla proposta del duo dell'Arizona. Con "The Watcher" i nostri sembrano muoversi nei meandri di un gothic rock ancestrale, in una delle prime manifestazioni ottantiane del genere, penso a dei Joy Division decisamente depotenziati e de-elettrificati. In chiusura "Gold Fields", un altro pezzo dedito ad un mix tra folk, rock acustico e blues, con qualche rimando anche a T.K. Bollinger. Insomma, quello dei Magni è un discreto esordio per gli amanti di sonorità soffuse e raffinate. (Francesco Scarci)

(Dead Games Records - 2020)
Voto: 65

https://magnifolk.bandcamp.com/album/magni

Throwdown - Vendetta

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore, Pantera
Mi sono sempre chiesto quanto potesse durate durare il fenomeno metalcore sin dal momento della sua esplosione? A quando il collasso? I Throwdown nel 2005 erano l'ennesima band proveniente dagli States a proporre il medesimo genere musicale, un death/thrash-metalcore, peraltro con già quattro album all'attivo, di cui 'Vendetta' rappresentava appunto la nuova fatica del quartetto californiano. Prodotto presso i Planet Z Studios da Zeuss (Hatebreed, Shadows Fall), l’album vede la partecipazione di Howard Jones (Killswitch Engage) e Sean Martin (Hatebreed). Si tratta di un genuino disco di hardcore vecchia scuola, come se ne sentono tutt'ora a centinaia in giro, influenzato da Pantera (anche a livello vocale) e Hatebreed. Le caratteristiche dell’album sono poi sempre le stesse: brani semplici e diretti, sezione ritmica bella tosta, con saltuari inserti melodici, un growling potente e liriche belle incazzate, la descrizione perfetta di centinaia di album che infestano da sempre il panorama metal e che hanno poco da dire. Se potessi immaginare fisicamente questo disco, sarebbe come un fiume di adrenalina in piena, ideale per feste o per un pogo con gli amici, ma lungi dal trasmettere emozioni profonde. Questa è musica sentita e risentita negli ultimi 30 anni troppe volte; nulla quindi di originale, nulla di provocante, niente di niente di nuovo all’orizzonte. Bravi, per carità a spaccare, ma niente di più. (Francesco Scarci)

(Trustkill Records - 2005)
Voto: 62

https://throwdown.bandcamp.com/album/vendetta-2

lunedì 21 settembre 2020

Ultha - Floors of Heaven

#PER CHI AMA: Black/Doom
Gli Ultha non sono affatto male, ma da una band nata dalle ceneri dei Planks, era lecito aspettarselo. L'avevamo intuito con quel macigno di 'The Inextricable Wandering', loro ultima opera su lunga distanza, li abbiamo riapprezzati poi con 'Belong' e ora con 'Floors of Heaven', due EP usciti nell'ultimo anno. Quest'ultimo in formato 7", nato dal recente periodo di isolamento, è giusto un assaggio di quanto dovremo attenderci verosimilmente nei prossimi mesi dalle menti perverse del quintetto originario di Colonia, con quel sound abrasivo che unisce ritmiche black con urticanti isterismi hardcore in una miscela che, per quanto micidiale essa sia, nasconde momenti di grande atmosfera e tormento interiore. Questo almeno quanto si apprezza nella prima "Forever Always Comes To An End", prima che il suono si faccia più fumoso nella successiva "To The Other Shore Of The Night", un mid-tempo decisamente noir caratterizzato dal ripetitivo incedere ritmico dei nostri che in un malefico loop in grado di assorbire ogni nostra incorporea energia in un flusso comunque contraddistinto sempre da intrigati melodie e screaming vocals. Ecco, se questo è quanto sarà lecito attendersi dalle prossime release dei nostri amici tedeschi, beh c'è da leccarsi i baffi. (Francesco Scarci)

(Vendetta Records - 2020)
Voto: 75

https://ultha.bandcamp.com/album/floors-of-heaven

Bleeding Eyes - Golgotha

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
La trasformazione dei Bleeding Eyes è ormai completa e ci mostra una band in una splendida forma decadente e buia, dal forte sapore poetico e dal suono asfissiante, concentrata in territori funerei tra sludge e doom metal. La loro nuova opera, 'Golgotha', è marcata da un'importante presenza vocale che caratterizza oggi più che mai il risultato sonoro, non solo per la capacità canora, che rincorre gli stilemi del genere, ma per le sue proprietà espressive che, con lunghissimi testi apocalittici cantati in italiano, superano ogni aspettativa artistica, proiettando l'esperta band di Montebelluna in una dimensione propria assai originale. Dimensione che in "1418", un bel pezzo sulfureo e potente cantato in inglese (lingua prevalentemente usata per i primi quattro album), rischia di sfigurare di fronte alla magniloquenza mostrata negli altri brani cantati in italiano. Il salmodiare del canto, unito alla ricerca nera delle melodie, che si muovono tra chiaroscuri potenti ed infernali, inoltrano l'ascoltatore in un pozzo senza fine, diabolico ed infinito. Sono pochi gli album cantati in lingua italica che si lasciano apprezzare come questo nuovo full length del combo veneto, intitolato a fondata ragione, 'Golgotha'. Dicevamo che la metamorfosi è ora completa ed il fatto che per la prima volta nella discografia dei Bleeding Eyes, i brani in lingua madre siano in numero maggiore rispetto a quelli in inglese, è un segnale di forte emancipazione. I suoni sono sporchi, macabri e sinistri, non vi è luce nemmeno nell'arpeggio apripista del singolo "Confesso", che non lascia speranze tra le parole di un disco che trasuda macabro esistenzialismo da tutti i pori, per una traccia killer di oltre otto minuti. Traccia che parla del rapporto uomo e ira divina, dolore, morte e mancata redenzione. Le atmosfere lugubri ricordano il side project di Lee Dorian, Teeth of Lions Rule the Divine, per la loro ruvidezza e sofferta esternazione, il contraltare sludge alla decadenza black metal dei Forgotten Tomb, una sorta di Massimo Volume in salsa hardcore stile RFT, rinchiusi tra inquietanti e mastodontici riff diabolici, dove il diavolo s'impadronisce del linguaggio messianico per predicare una visione di morte imminente. La band trevigiana sfodera un album al fulmicotone con i controfiocchi, visionario, violento e abrasivo quanto basta, in tutta la sua durata. Brano dopo brano, il veleno si mostra in tutta la sua forza, con stile e sapienza, una svolta che eleva il quintetto italico ad un piano dimensionale superiore e si fa amare sempre più, nota dopo nota, per quel cantato in lingua originale ed il potere evocativo ed angosciante dei testi. In questo lavoro licenziato dalla GoDown Records, la poesia dell'apocalisse incontra la musica del destino, in un calderone di devastante cupa emotività. Un piccolo gioiello di poesia doom dalle immense potenzialità. Musica tesa, esistenziale, depressiva, dai toni biblici e catastrofici, un mix originale per un disco che solleva la sorte della scena sotterranea, estrema nazionale. (Bob Stoner)

Subway to Sally - Nord Nord Ost

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Folk Metal
Premesso, odio il cantato in crucco e trovarmi di fronte a questo disco, mi si scatena una sorta di allergia. Vabbè, cercherò di essere professionale fino in fondo. I Subway to Sally, come sapete, provengono dalla Germania, nazione importante solo per crauti e birra, per quanto mi riguarda. Formatisi nel 1992, vantano una discreta produzione discografica che spazia tra l’hard-rock e il metal, passando attraverso la musica folk-medievale, tanto da essere più volte accostati ai loro conterranei In Extremo. Questo 'Nord Nord Ost' album uscito una quindicina d'anni fa, non aggiunge più di tanto alle loro precedenti produzioni, se non per l’aver relegato in secondo piano la componente folk e vedere l’ingresso del batterista Simon Michael a completare la line-up. Per quanto riguarda la musica, direi che i Subway to Sally seguono il filone capitanato dai Rammstein, come era successo per 'Engelskrieger' con i classici pesanti riffoni di chitarra, musica elettronica e tante melodie popolari parecchio ruffiane. Alcuni brani non sono neppure malaccio, sempre dotati di ottimi arrangiamenti e piacevoli inserti acustici di liuto, violino e mandolino, tanto per citarne alcuni, ma poi quella voce, quella fastidiosa voce che si staglia sopra gli strumenti e che utilizza la “melodiosa” lingua tedesca per trasmettere le proprie emozioni, riesce nell’intento di rovinare tutto. No, proprio non riesco a mandare giù questo tipo di musica, ci ho provato con diversi ascolti, ma niente da fare, inoltre ho spesso trovato i brani fin troppo prevedibili e poco efficaci. Se anche voi, come me, non amate il cantato in teutonico, lasciate perdere; se siete amanti di Rammstein o In Extremo, i Subway to Sally potrebbero essere una discreta (ma niente di più) alternativa. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/subwaytosally/

domenica 20 settembre 2020

Diablo - Mimic 47

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Machine Head, Korn
So perfettamente che i finlandesi amano la musica metal, ma da qui a pensare che questi Diablo siano entrati nelle charts finlandesi direttamente al primo posto (davanti a Madonna e Black Eyed Peace - era il 2006), beh non me lo sarei mai aspettato. 'Mimic 47' fu sicuramente un bel lavoro di musica thrash-death, dedicato peraltro alla memoria di Chuck Schuldiner, sebbene con i Death non abbia molto a che fare. Il sound del quartetto finnico è infatti influenzato dal thrash-crossover “made in USA”, che ha fatto la fortuna di band come Machine Head o Korn, tanto per citare qualche nome. Ad ogni modo, gli ingredienti per fare di questo 'Mimic 47' un buon album ci sono tutti: ottime le ritmiche, con chitarroni in pieno “Pantera style” e un notevole lavoro alla batteria, buona la prova di Rainer Nygård alla voce, capace di passare dal growl alle clean vocals con estrema disinvoltura; coretti ruffiani, la saltuaria comparsa di una voce femminile, interessanti assoli in grado di trasmettere forti emozioni, aperture melodiche e spruzzate di un certo Nu Metal (Korn docet), che ricorda anche qualcosa dei lavori centrali degli In Flames, a completamento dell’architettura di questo album dei Diablo. Peccato solo che il disco sia giunto in un momento in cui, di lavori del genere, ne uscirono in quantità industriale. Comunque, anche se ho dato mezzo punto in meno, questo disco mi piace, perchè era orecchiabile e moderno e in più i ragazzi tecnicamente ci sapevano fare. (Francesco Scarci)

Nornes - Threads

#PER CHI AMA: Death/Doom, Candlemass
I Nornes sono un quartetto proveniente dal nord della Francia che sta muovendo i primi passi nel mondo del doom. Dopo 'Vanity' uscito due anni fa, è il turno del sicuramente più strutturato 'Threads', le cui atmosfere si rivelano decisamente azzeccate in questo confuso periodo di pandemia e isolamento sociale. La prima traccia “Hurt” ci fornisce un quadro piuttosto chiaro delle coordinate della band: la voce angosciosa del cantante, i ritmi lenti e solenni e l’arsenale di riff ombrosi richiamano alla memoria i Candlemass di 'Nightfall', seppur con alcune digressioni più vicine al blackgaze degli ultimi Alcest che affiorano qua e là. "Near Death" spinge sull’acceleratore e osa spingersi su territori più vicini al blackened death\doom dei Dragged Into Sunlight: si parte con un blast-beat per poi sviluppare trame claustrofobiche che si attorcigliano come il filo tessuto dalle Norne da cui il gruppo prende il nome. La title-track esce decisamente dal seminato: si tratta di un brano costruito su una linea melodica di basso che si snoda tra sinistri effetti ambient e l’inquietante parlato in francese di una donna, quasi una colonna sonora per un film noir. Il disco si chiude con la conclusiva "Burning Bridges", brano dall’arrangiamento un po’ confuso che si distingue per toni sempre più cupi e atmosfere goticheggianti. 'Threads' è la prova di un gruppo volenteroso che però deve ancora trovare un’identità ben definita: ci sono buoni spunti che andrebbero coltivati con cura per poter raccoglierne i frutti alla prossima uscita. (Shadowsofthesun)

(Sleeping Church Records - 2020)
Voto: 63

https://sleepingchurchrecords.bandcamp.com/album/threads

The Legion - Revocation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Sarcasm
Questo è uno di quegli album che non so mai come recensire e valutare. Trattasi di un furioso death/black metal in pieno swedish style, con chitarre ronzanti, ritmiche assassine e vocals infernali, che tributa pesantemente ad act quali Dark Funeral e Marduk. La cosa positiva, ed è forse per questo che il mio giudizio risulterà sufficiente, è la presenza di chitarre (rare, non preoccupatevi) che tessono linee melodiche, che perdurano per l’intera durata di un brano, in grado di proiettarmi indietro di quasi 25 anni quando, ancora giovinetto, acquistai tramite una ‘zine padovana, il demo di un gruppo svedese, tali Sarcasm, che stravolse enormemente i miei gusti musicali. Tutto questo giro di parole, per farvi capire che i nostri non inventano nulla d’innovativo, però la musica che suonano, pur essendo un inno selvaggio alla fiamma nera, sicuramente non deluderà i fan più intransigenti del genere. Tecnica, ferocia, malvagità pura, schegge impazzite di death-black si fondono perfettamente a costituire il classico cd senza fronzoli “Made in Sweden”. Per chi non ama il genere, un consiglio spassionato: lasciate perdere, là fuori ci sono gruppi in grado di darvi maggiori emozioni, ma se proprio avete bisogno di una colonna sonora per il vostro party satanico, beh sicuramente questi Legion faranno al caso vostro. (Francesco Scarci)

mercoledì 9 settembre 2020

Ottone Pesante - DoomooD

#PER CHI AMA: Death "Brass" Metal
Inizialmente schedulato ad aprile di questo funesto anno bisesto, gli Ottone Pesante hanno dovuto spostare l'uscita del palindromico 'DoomooD' a settembre, causa famigerato Covid-19. Forti finalmente di una etichetta alle spalle, Francesco, Paolo e Beppe, possono tornare a proporre la loro folle musica, quel "brass" metal da loro coniato per l'utilizzo assai atipico degli ottoni e non certo per alcun malizioso riferimento al buon Tinto. Il sound dei nostri si fa ancor più cupo rispetto al recente passato di 'Apocalips' e l'opener "Intro the Chasm" sembra lasciar non troppo spazio a questo presagio, laddove tromba e trombone emanano mefitici suoni di morte. "Distress", la normale prosecuzione dell'intro, sembra allegerire quest'atmosfera funesta, sembra appunto. La song, guidata dagli ottoni di Francesco e Paolo, si inerpica infatti in una serie di granitici "riffoni" (chissà se poi se riff sia il termine corretto) sostenuti dal drumming sempre fantasioso e vivace di Beppe. La traccia è breve e cede presto il passo a "Tentacles", il primo singolo rilasciato dalla band romagnola, che vede peraltro la partecipazione della cantante dei Messa, Sara, in un incedere ipnotico e ansiogeno quanto basta, dove la scena viene rubata dalla suadente performance della soave voce della vocalist, un vero portento. Il pezzo è un fantastico esempio di doom che ricalca le gesta dei primi Candlemass con la sola differenza che qui di chitarre non c'è nemmeno l'ombra, sebbene la pesantezza ritmica potrebbe lasciar pensare ad un muro di chitarre. Il disco continua il suo cammino su ritmiche oscure, a tratti asfissianti ma anche venate di influssi progressive; è questo il contesto in cui cresce e si sviluppa un altro piccolo gioiellino, "Coiling of the Tubas", che ammicca, con gli stridori della sua tromba, agli anni '70, ma anche ad un che degli *Shels di 'Plains of the Purple Buffalo'. Il sound si fa più dinamico e violento nella schizoide "Serpentine Serpentone", dove compaiono le harsh vocals di Silvio degli Abaton. Questa è la vetta dell'album, dalla quale il terzetto sembra scendere dal versante opposto in un cammino comunque arzigogolato, che vede la sua prima angosciante tappa nel noise loopato di "Grave", song stralunata e dal finale circense. Ritmi più lenti e cadenzati vedono in "Strombacea" un delizioso esempio di death mid-tempo in cui gli ottoni (in compagnia del growl del cantante) rendono a livello ritmico molto più che un'abbinata tra sei-corde e tastiere. La song è comunque il ponte che ci conduce a "Endless Spiral Helix", penultimo atto di 'DoomooD', altro lisergico brano dalle forti tinte "tooliane" che ci accompagna al malinconico e mefistofelico epilogo di "End Will Come When Will Ring the Black Bells", la perfetta conclusione di un'opera che aspira giustamente a grandi traguardi. In bocca al lupo ragazzi. (Francesco Scarci)

Eave - Phantoms Made Permanent

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
Founded only four years ago, the Portland based band Eave is a project consisting of four members, with not known previous experience in the extreme metal scene. Nevertheless, the band was able to release a solid debut entitled ‘Purge’, which received positive reviews, although it was discovered be only for a few fans. Anyway, with this decent debut, plus a reasonably quite active career, having been released a split and a previous EP, the guys caught the attention of the respected American label Bindrune Recordings, which usually has quite interesting bands on its roster.

Reinforced by this new deal, Eave has recently released its sophomore effort called ‘Phantoms Made Permanent’. This albums follows the trend of combining a depressive oriented black metal with some post metal influences, in a way that we have seen previously with other bands, not a few of them also coming from USA, where it seems that this kind of mixture has some success in the underground scene. With regards to the production, the album has quite raw sound, trying to avoid those ultra-clean productions that some post influenced albums have nowadays. The band tries to remain inside what it can be considered a rough sound, which plays a key role for the band members, when they want to create a hypnotic atmosphere. The vocals are the expected shrieks, classically mixed in order to make they sound like a distant echo, a very typical characteristic in the black metal scene. The pace varies between slow and fasters parts in a very natural way, making the songs quite diverse in this aspect. The structures have a clear contrast between the typically black metal sections and the post influences parts, which usually come in the form of more acoustic oriented compositions, like acoustic guitars or electric ones with a more tranquil tone, with the typical hypnotic chords that are very common in the post black metal genre. The album opener "A Godless Frame" is a clear example of this, with these variations in the pace and intensity, as the track navigates from the straight forward black metal sections with furious screams, fast drums and tremolo guitars, to acoustic sections with some calmer guitars and a very slow pace. Another fine example is "Mana Descending", with an atmospheric intro made by those strongly post-metal influenced guitars, which is abruptly broken by an aggressive black metal section. The calmest sections have the aforementioned post metal influence with a somber and more melancholic feeling, though it doesn´t reach that desperate tone of the pure depressive black metal bands. The ferocity, like the mournful parts, are combined in a very moderate dose, not reaching the strength a typical black metal nor the pure depression of the DSBM bands but creating a gloomy atmosphere which fits the music.

All in all, ‘Phantoms Made Permanent’ is a solid effort by Eave, which will please the fans of this genre, though it doesn´t reach the level of a superb album, which could make them lead the scene. This is, anyway, a good step forward and the band should continue working in the pursuit of excellence. (Alain González Artola)


Yyrkoon - Unhealthy Opera

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse
Death, death e solo death, che palle! Tanto avevo amato gli esordi della band transalpina con quel suo sound catchy, ricco di melodie e ariose tastiere che, pur mantenendo un’impostazione prettamente death metal, era riuscito ad indurmi all’acquisto del cd per quel suo stile così frizzante e brioso. Col terzo album però, 'Occult Medicine', la verve della band era andata un po’ perduta appannaggio di un sound più diretto e brutale, e quindi assai poco originale. Non del tutto diverso è il destino di questo 'Unhealthy Opera', quarta opera dei cugini d’oltralpe, confezionato in modo molto simile al precedente Cd. Ci tengo a chiarire subito una cosa: il disco non è assolutamente brutto, tanto meno la band è scarsa sotto un profilo tecnico-compositivo, ma la delusione per la povertà d’idee è così tanta, da giustificare la mia scelta di indicarlo come “disco flop”, un lavoro in cui ho riposto molte aspettative, ahimè tradite. Le sonorità proposte dagli Yyrkoon, che ricordo comprendere tra le proprie fila membri di Aborted e Taliandorogd, optano qui per un brutal death sulla scia di Cannibal Corpse e gli Aborted stessi, con qualche saltuaria apertura melodica e qualche raro rallentamento. Piacevoli assoli non fanno altro che confermare la bravura dei nostri dal punto di vista tecnico, ma la pochezza d’idee, sospinta da un estremismo sonoro d’altri tempi, non fanno che ribadire che il disco fra le mie mani, rappresenti un’uscita fra le tante, nel sempre saturo calderone di band estreme. Riffs affilati inseriti su ritmiche parossistiche completano poi il quadro di questo 'Unhealthy Opera'. Da segnalare la presenza di un fantastico assolo di Andy LaRocque (eroico chitarrista di King Diamond) in "Horror from the Sea". Peccato, se solo avessero continuato a percorrere la strada intrapresa con il caldo 'Dying Sun', probabilmente questo non sarebbe stato il loro canto del cigno. (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2006)
Voto: 55

https://www.facebook.com/yyrkoonband/

lunedì 7 settembre 2020

Dawn of a Dark Age - La Tavola Osca

#PER CHI AMA: Black Avantgarde/Folk
Dopo aver saputo che Vittorio Sabelli aveva ricostituito la sua creatura Dawn of a Dark Age (supportato questa volta alla voce da quell'Emanuele Prandoni di cui abbiamo recentemente recensito l'album degli Anamnesi), ero assai curioso di ascoltare i contenuti del nuovo disco. Abbandonato il filone relativo ai sei elementi della Terra, Vittorio è tornato questa volta con una tematica di carattere storico, 'La Tavola Osca' (o Tavola degli Dei), che dà appunto il titolo alla release e si riferisce ad un antico reperto di bronzo del III secolo a.C. appartenuto al popolo dei Sanniti, che testimoniò l'esistenza della lingua italica nella terra di origine del musicista molisano. Il disco pare muoversi attorno alle vicende che hanno portato al rinvenimento della lastra bronzea nel 1848 e alle sorti che la portarono a scomparire e ricomparire nelle mani di vari personaggi storici, ma il tutto è ben spiegato all'interno del booklet. Si parte dall'opener "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.1 (Excerpt 1)", una song che sembra voler ricalcare il passato musicale dei nostri, attraverso la combinazione di un black serrato contrappuntato da una forte componente folklorica, il tutto palesato da ritmi incalzanti, screaming vocals ma anche da splendide melodie in sottofondo. Interessante il mid-tempo a metà brano con certi interessanti richiami a sonorità anni '70. Vittorio non rinuncia ovviamente alla furia del black, ma nemmeno alle trovate avanguardistiche che da sempre contraddistinguono il progetto. Si prosegue con i suoni pù calibrati di "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.2 (Excerpt 2)" dove largo spazio viene concesso alla narrazione degli eventi da parte della voce di Vittorio stesso, ma l'apoteosi si raggiunge quando la scena se la prende l'imbizzarito clarinetto del polistrumentista italico, con un assolo da brividi, che mi fa ricordare il motivo per cui non vedevo l'ora di riascoltare la musica dei Dawn of a Dark Age. Quasi a voler parafrase il suo titolo, "La Tavola Osca - Processione Funebre pt.3 (Excerpt 3)" assomiglia ad uno di quei cortei funebri che sono stati messi in scena nella filmografia del sud Italia. Sicuramente un brano suggestivo a suggellare l'italianità di un lavoro che sembra voler affrescare scene della vita del nostro Mezzogiorno. Terminato questo trittico di brani facenti parti dell'Atto I del disco, ci troviamo di fronte al secondo Atto, che prosegue in "La Tavola Osca (I Atto)", con la narrazione da parte del factotum nostrano degli eventi storici come se si trattasse di un audiolibro, con tanto di strumenti acustici e clarinetto in background ad accompagnarne la lettura. Bisogna immergersi quindi nel coinvolgente contesto storico-musicale di queste parole e note, lasciandosi sedurre dal folk acustico del sempre più imprevedibile polistrumentista originario di Agnone, che da li a breve si lancerà in un'altra cavalcata dal sapore post-black. Ma la song, della durata di ben 23 minuti, regala sprazzi di grande musica evocativa, toccante, tribale, mediterranea, feroce quanto basta per definire questa suite un piccolo gioiello incastonato nella discografia del mastermind italico. L'ultimo atto, "La Tavola Osca (II Atto)", nei suoi 17 minuti narra di quando nel 1873 il British Museum acquistò la collezione artistica che includeva la tavola stessa e che oggi stesso ancora la preserva, alternando nel suo corso, fumantine esplosioni black con popolari intermezzi da sagra di paese. Gli ultimi dieci minuti che rappresentano verosimilmente l'ultima scena del lavoro, sono affidati ad un antico e litanico rituale in cui vengono menzionati peraltro i nomi delle divinità sannite incluse nella tavola. Alla fine, 'La Tavola Osca' segna il graditissimo ritorno sulle scene di uno dei musicisti più talentuosi e originali della nostra penisola, con un album strutturato, dotato di una buona dose di raffinatezza e sicuramente ben suonato, che peraltro unisce con grande interesse due ambiti culturali, la musica e la storia, ove il folklore popolare ne rappresenta il minimo comun denominatore. (Francesco Scarci)

Ensoph - Projekt X-Katon

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Avantgarde, The Kovenant
Gli Ensoph li seguo dalle loro origini più lontane, quando ancora la band veneziana si chiamava Endaymynion, di cui conservo ancora oggi gelosamente il loro demo 'Thy Art'. A distanza di quasi dieci anni dal cambio di monicker, il quintetto veneto ha intrapreso un percorso musicale veramente unico e originale, che coniuga intelligentemente sonorità estreme a momenti sinfonici, gothic, prog ed electro-industriali. 'Projekt X-Katon', il terzo full length per il combo guidato dalle oscure vocals di N-Ikonoclast, rappresenta un altro capitolo di riflessione metafisica, nel percorso intrapreso dalla band nel 1997 con il MCD 'Les Confessions du Mat'. L’opener del nuovo lavoro, segna l’inizio di un cammino spirituale, un viaggio dell’anima attraverso la mente, le emozioni e i turbamenti di questi uomini; è un’esplorazione intima, attraverso suggestioni derivanti dall’esoterismo, dalla filosofia e dalla teologia. 'Projekt X-Katon' attanaglierà le vostre menti fino a farvi impazzire, grazie alle seduttive melodie chitarristiche, agli inserti progressive, a suoni techno-EBM e all’ammaliante flauto di Anna. Finalmente il cantato di N-Ikonoclast ha messo in secondo piano quelle scream vocals che tanto non avevo digerito nei precedenti album, lasciando maggiormente spazio ad una interpretazione più pulita e seducente. La band si è ulteriormente evoluta rispetto al già ottimo 'Opus Dementia', sciorinando brani più diretti ma allo stesso tempo più ricchi di pathos, grazie a loop, campionamenti vari e ad un uso più emozionale delle keys. Il sound degli Ensoph, pur riportando alla mente in certi frangenti Moonspell, Kovenant o alcuni act elettro-gothic tedeschi, acquisisce qui una propria personalità, che rende i nostri tra i maggiori interpreti di sonorità d’avanguardia. Gli Ensoph, grazie al duro lavoro, hanno saputo centrare in pieno l’obiettivo di migliorarsi ulteriormente e lo hanno fatto con classe, proponendo un sound di difficile interpretazione e di non facile assimilazione, ma che alla fine si rivela un tourbillon di emozioni, grazie all’intreccio di generi che hanno arricchito il già ricco background musicale della band: elettronica, black, gothic, avantgarde, death, prog, industrial, EBM, ambient si amalgamano infatti indissolubilmente in questo bellissimo 'Projekt X-Katon'. L’album, mixato alla grande poi da Giuseppe Orlando (Novembre, Klimt 1918) agli Outer Sound Studios di Roma e masterizzato da Goran Findberg ai Mastering Room in Svezia, venne rilasciato in digipack in una prima edizione limitata che includeva anche 'The Seductive Dwarf', un bonus EP che vedeva Steve Sylvester cantare sulla cover dei Soft Cell “Sex Dwarf” (riproposta in due versioni differenti), e rifare “Sun of The Liar”, classico della band veneziana. Da ripescare assolutamente. (Francesco Scarci)

Dagoba - What Hell Is About

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Thrash, Fear Factory, Slipknot, Pantera
All'epoca dell'uscita di questo lavoro si parlò di new sensation dalla Francia, i DAGOBA! Devo ammettere di essermi avvicinato a questa band con molto scetticismo, convinto di trovarmi al cospetto dell’ennesima clone band dei vari act svedesi/americani dediti all’ormai ipersvalutato death/thrash e invece tatah. Co somma gioia per il sottoscritto e gran furore da parte di questi baldi giovani, vi ripropongo il loro secondo album 'What Hell is About'. Dopo un primo non brillantissimo Mcd, la band transalpina, con una serie di concerti alle spalle con Fear Factory, Machine Head e Samael, sfodera in questo caso una più che discreta prova con un melting pot di generi, che vanno dal death/thrash al nu metal, passando attraverso soluzioni elettro cibernetiche un po’ scopiazzate dalla band di Dino Cazares & Co, ed altre trovate spesso interessanti. Dodici tracce intense e violente, che investono l’ascoltatore con quel sound potente, diretto, cristallino, dal mosh frenetico, dal refrain accattivante, vero crocevia di stili. Strano passare dalla prima parte vicina al sound dei Fear Factory, a brani di slipknotiana memoria (sentitevi “Cancer”) o ascoltare una song come “It’s All About Time”, che ci mostra in apertura la durezza, la compattezza e la perizia tecnica del quartetto francese per poi avvicinarsi a certe soluzioni sonore vicine agli Arcturus, soprattutto per quanto riguarda l’uso della voce. Il disco viaggia comunque su questi binari, mostrandoci una band valida e tonica, pronta già allora a spaccare i fondelli ai colleghi d’oltreoceano. Era ora che qualcuno provasse a rischiare qualcosa in un genere che ormai non aveva più nulla da dire. Questi marsigliesi invece con un uso sapiente delle tastiere, l’impiego dell’elettronica (da urlo certi samples utilizzati) e una buona dose di incazzatura, sono riusciti ad arricchire uno stile musicale ormai destinato a sprofondare nelle sabbie immobili. Un plauso va anche alle vocals, con il cantante abile nel passare da growl violentissime ad una voce calda e pulita sulla scia di quanto fatto dagli In Flames. Talentuosi questi Dagoba, fin dalle loro prime batture. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2006)
Voto: 72

https://www.facebook.com/dagoba13

giovedì 3 settembre 2020

Arallu - The War on the Wailing Wall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Melechesh
'The War on the Wailing Wall' usciva per la Raven Metal nel 1999 dopo l'omonimo demo del '97. La band si presentava al pubblico con il proprio bagaglio dinamitardo di black death con tanto di graffianti screaming vocals (e qualche urletto di scuola Tom Araya), una rutilante sezione ritmica (ma il drumming era un artifizio dato dalla drum machine) e qualche elemento prodromico di quello che sarebbe stato poi il sound della band israeliana. Dopo 21 anni e un bel po' di gavetta alle spalle, quel duo diventato intanto un quartetto, ha deciso di ridare alle stampe al proprio debutto grazie alla label Essential Purification Records, affidandosi al remastering di Patrick W Engel ai "Temple of Disharmony" studio, per una nuova fiammante vinilica release. Ascoltando il disco e la sua apertura "Arallu's Warriors", ci troviamo di fronte al solito nevrotico sound degli Arallu, in una versione più primordiale, fatta di chitarre al vetriolo, harsh vocals e quella batteria che somiglia più ad una contraerea che ad altro. Del marchio di fabbrica orientaleggiante che ha reso famosi i nostri in compagnia dei Melechesh, non vi è ancora palese traccia, anche se la successiva "Sword of Death", nel giro di chitarra, sembra richiamare echi lontani di un sound esotico. Altrettanto fa "Morbid Shadow", un altro vorticoso esempio di black furioso che non concede troppo spazio alla melodia ma semmai si affida alla fisicità rabbiosa delle proprie chitarre, anche se nella seconda parte, decisamente più controllata, affiorano ancora minimalistici elementi dal vago sapor mediorientale. Quello che balza comunque all'orecchio durante l'ascolto del disco è la foga distruttiva della compagine di Gerusalemme che all'epoca voleva verosimilmente mostrare al mondo tutte le proprie capacità sia in fatto di velocità che di malvagità, elementi che servivano a poco se non adeguatamente convogliati. E quindi, si palesano tutti quegli elementi che hanno reso 'The War on the Wailing Wall' un album non ancora del tutto maturo. Se siete però dei fan della band e non volete rinunciare ad una ristampa come questa su vinile, oppure se non li conoscete ancora e volete saperne di più, sarebbe un modo interessante per scoprire da dove gli Arallu sono nati e come si è evoluto il loro sound. Qui per ora potrete godere delle infernali ritmiche di "Warriors of Hell" oppure assaporare le embrionali influenze folkloriche di "Mesopotamian Genie" (ancor più forti in "Barbarian Bloodshed" o nelle conclusive "Satan's War" e "Kill the Traitor") che ammiccano nuovamente ai conterranei Melechesh, sebbene qui venga privilegiata la componente più estrema della propria musica a discapito di quella più atmosferica. Ciò che potrebbe essere interessante in un ulteriore approfondimento del disco è a livello lirico, visto che la band descrive la situazione attorno al centro storico di Gerusalemme e alla conflittuale convivenza delle tre religioni che vi risiedono. Dovendovi segnalare qualcos'altro vi direi di porre attenzione all'ascolto di "Satanic Birth in Jerusalem" e al suo mefistofelico basso in chiusura oppure all'atmosferico break centrale di "My Hell" che di contro, mi ha fatto capire, da dove certi vorticosi giri di chitarra dei nostrani Laetitia in Holocaust, possono aver tratto spunto. Se potessi avere un desiderio da spendere con il genio della lampada, visto che ci troviamo in Medio Oriente, mi piacerebbe ascoltare questo disco con un vero batterista in carne d'ossa, forse sarebbe tutta un'altra storia. (Francesco Scarci)

(Essential Purification Records - 1999/2020)
Voto: 67

https://arallu.bandcamp.com/album/the-war-on-the-wailing-wall-2020