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martedì 24 settembre 2024

Cabal - Magno Interitus Rework

#PER CHI AMA: Death/EBM/Industrial
I danesi Cabal hanno fatto uscire nel 2022 'Magno Interitus', un disco all'insegna di un death black, impreziosito da venature djent/hardcore. A distanza di due anni da quel lavoro, la band di Copenaghen torna con un EP, 'Reworks', che include quattro pezzi di quel lavoro, riletti in chiave elettro industriale dai talentuosi artisti elettronici Inhuman, John Cxnnor, Misstiq e il bassista della band, Johu. Ecco, quello che ne viene fuori è qualcosa di notevole, ma solo se siete di mente aperta e apprezzate le contaminazioni in toto in stile dei messicani Hocico e il loro EBM da discoteca. Si perchè quello che si palesa alle nostre orecchie è un sound intriso di musica techno che esplode veemente nei suoi battiti per minuto, quasi ci trovassimo in un rave party dove ballare tutta la notte su ritmi danzerecci. Quello che tiene la proposta ancorata al metal sono forse le vocals, rancide e rabbiose quanto basta. Questo almeno quanto ascoltiamo in "Magno Interitus", visto che già dalla successiva "Plague Bringer", gli ancoraggi alla musica estrema saranno molto più evidenti, sia a livello vocale (imponente il growling del frontman) che musicale, con una ritmica devastante, infettata da qualche effettistica elettronica giusto qua e là, cosi come qualche voce pulita estraniante il contesto. Il risultato però è figo anche laddove i nostri sfondano la barriera del death doom. Ma con "If I Hang, Let me Swing", le cose tornano a pompare pericolosamente in ambito techno hardcore con un quantitativo di bpm davvero sopra le righe, e vocalizzi growl che poggiano appieno sull'impetuoso tappeto ritmico. Ancor più folle la conclusiva "Exit Wound", che ci proietta in mezzo alla pista da ballo, con suoni sintetici in sottofondo, voci aliene, partiture industriali e tanto tanto altro ancora che vi invito ad ascoltare con le vostre orecchie. (Francesco Scarci)
 
(Nuclear Blast - 2024)
Voto: 75
 

domenica 15 gennaio 2023

Ghoster - Sombre Crame

#PER CHI AMA: Electro/EBM
Fortunatamente sono solo quattro le tracce che devo recensire quest'oggi, ossia quelle incluse in 'Sombre Crame', EP del duo francese dei Ghoster. Non risponde infatti ai miei sacri crismi musicali la proposta dei nostri che attaccano con un techno beat nella traccia d'apertura "Crame 1", song che potrebbe essere perfetta per una serata in discoteca o meglio, per un grande rave party. Non per me quindi, ma forse per gli amanti di suoni sperimentali, decisamente più indicato per chi è fan dell'EBM o in generale di elettronica e musica House. Ribadisco quindi il mio essere lontano anni luce da simili sonorità, per quanto i due loschi figuri, Ben e Greg, non siano affatto degli sprovveduti. Le quattro tracce ("Crame 1, 2, 3 e 4") sono tutte interamente strumentali e votate ad un costante battito techno che ad alcuni (me incluso), farà venire il mal di testa o accrescere l'angoscia ("Crame 3" e la più ipnotica "Crame 4"), mentre per altri potrebbe essere la colonna sonora perfetta per ballare tutta la notte (e forse pure il giorno dopo) sballati dall'effetto di amfetamine e alcol. Buon divertimento. (Francesco Scarci)

(Atypeek Records - 2022)
Voto: 65

https://ghoster.bandcamp.com/album/sombre-crame

sabato 25 giugno 2022

Klymt - Murder on the Beach

#PER CHI AMA: Coldwave/Post Punk
Ho provato quasi un brivido di freddo quando ho fatto partire questo lavoro dei francesi Klymt. Quello incluso in 'Murder on the Beach' è infatti un asettico concentrato di coldwave che vi raggelerà il sangue nelle vene già con le sintetiche sonorità d'apertura di "Analogue Bastard", dove confluiscono turbinii industrial che ammiccano ai Nine Inch Nails. Ecco, in linea di massima su quali coordinate si muovono i nostri, che con la successiva "Blind Fish" si affidano a sonorità ancor più artificiali, ove elettronica ed EBM si prendono per mano e saturano tutta la scena. Ben più diversa invece "Mood", tra post punk e darkwave, in un compendio musicale ben più semplice da fissarsi nella testa, grazie a sonorità qui più dirette e melodiche. "Blue Song" è decisamente più cupa e marziale nel suo incedere. La voce del cantante è ben calibrata nella sua sofferenza con il contesto musicale, sebbene ogni tanto sembri fare il verso a Matthew Bellamy dei Muse e qui mi piace un po' meno. Ma la musica è sempre piuttosto convincente anche nella più delirante ed incalzante "Stay at the Bottom", furiosa nel suo martellante beat. In chiusura, l'inquietante ed enigmatica title track, dove le vocals dei due cantanti finiscono per essere sorrette da una matrice sonora fredda come quel brivido provato all'inizio del mio viaggio. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/KdB Records/Anesthetize Prod./Araki Records/Postghost Recordings - 2022)
Voto: 74

https://klymt.bandcamp.com/

giovedì 12 maggio 2022

Déhà - Decadanse

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
"Se non ci fosse bisognerebbe inventarla" citava uno spot di una famosa automobile parecchi anni fa. Ecco, applicherei la medesima formula anche ai Déhà, prolificissima one-man-band belga, il cui frontman, credo possa contare tra collaborazioni ed ex band, quasi 50 nomi, e se non è record questo, poco ci manca. E a proposito di record, 'Decadanse' è già il terzo album del 2022 (il secondo in ordine cronologico però), il 35esimo dal 2018 a oggi, se contiamo anche le collaborazioni e gli EP. Insomma, una fucina di idee (non tutte geniali per carità), il cui duro lavoro si concretizza quest'anno in questa nuova uscita targata Les Acteurs de l'Ombre Productions. Due nuovi pezzi, per tre quarti d'ora di musica pronti a condurci direttamente all'Inferno con un biglietto di andata/ritorno. La via per scendere negli inferi è quella offerta dalla criptica "The Devil's Science", e quel suo sound all'insegna di un black doom claustrofobico, compassato, oscuro e su cui si stagliano le urla dannate del frontman. In sottofondo, è un giochicchiare di effetti di synth, lugubri atmosfere, prima che lo stesso sound sfoci in cavalcate furenti di black privo di tanti fronzoli. Ma il sound estremo di Déhà fa dell'imprevedibilità il suo motto, ed eccoci risprofondare nelle viscere della Terra per altri frangenti di funeral doom apocalittico, pronto ancora una volta ad esplodere in derive industrial/EBM (addirittura rap) che rendono la proposta del mastermind di Bruxelles estremamente solida ed accattivante. Il viaggio di ritorno ce lo offre invece "I Am the Dead", un nome un programma: il pezzo si apre con nebulose melodie e ritualistiche voci in background. Poi anche qui si prosegue con atmosfere dal forte sapore funeral, da cui iniziare ad evolvere in primis, i vocalizzi (dallo screaming ad urlacci più nitidi, fino a clean vocals) e poi anche un sound che progredisce dapprima in un break acustico, poi tremebonde sfuriate grind (stile Anaal Nathrakh meets Dødheismgard) e ancora suoni epici, avanguardistici, il tutto in un divenire totalmente improvvisato e per questo meritante di tutta la vostra attenzione. Oramai il brano è un fiume in piena, che ha ancora da farci strabuzzare gli occhi con un assolo di synth, rutilanti ritmiche black/death, sprazzi elettronici o il banalissimo ma evocativo chorus indirizzato alla dea Kali. Un pot-pourri di generi che vi convincerà della bontà di quest'artista che se non esistesse, bisognerebbe semplicemente inventarlo. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/decadanse

mercoledì 30 giugno 2021

Mesarthim - Vacuum Solution

#PER CHI AMA: Electro/Cosmic Black
Il misterioso duo australiano dei Mesarthim torna con una nuova release che va a renderne più cospicua la discografia. Sempre sotto la guida esperta della nostrana Avantgarde Records e con un concept perennemente ispirato alla cosmologia, la band ci propone un sound ancora una volta intrigante, in grado di miscelare cosmic black con elettronica e space rock, in un favoloso mix di melodie che si esplicano alla grande lungo le cinque tracce qui incluse. Quello che più ho apprezzato di 'Vacuum Solution' è sicuramente l'utilizzo dei synth nella memorabile title track posta in apertura, che è impossibile non memorizzare e arrivare quasi a fischiettare. Non me ne vogliano i due musicisti australiani, ma questa rischia di essere una delle canzoni più melodiche della loro discografia, sebbene le screaming vocals provino a mantenere un ancoraggio con le produzioni precedenti. Certo che quel finale quasi EBM rischia di stravolgere (positivamente sia chiaro) il pensiero che mi lega da sempre ai Mesarthim. Con "Matter and Energy" le cose sembrano complicarsi ulteriormente, lasciandosi penetrare sempre più dal beat techno elettronico, con il solo cantato black a mantenere un ponte di connessione con la musica estrema. Con "Heliocentric Orbit" ci manteniamo in territori affini, con i due che provano a unire quel sound techno dei Samael di metà carriera con la musica trance e le ultime invenzioni vocali (quasi anime giapponesi) degli azeri Violet Cold. Audaci. Impavidi soprattutto in "A Manipuliation Of Numbers", un pezzo che prende in prestito le tastierine del dungeon synth e le mette a servizio di un sound più etereo che comunque riflette il trademark dei nostri. A chiudere, ecco "Absence" con il suo ambient nudo e crudo, una sorta di colonna sonora di film stile "Interstellar" o "Gravity", che chiude l'ennesimo viaggio nello spazio di questi due sognatori australiani. Ah, una piccola curiosità: l'artwork di copertina è realmente una foto della Nasa. (Francesco Scarci)

lunedì 22 marzo 2021

Moaan Exis - Necessary Violences

#PER CHI AMA: Industrial/EBM
Nuova uscita per i transalpini Moaan Exis, band che dal 2016 ad oggi ha già dato vita a tre album ed un EP, tutti orientati e concentrati nei territori sintetici dell'industrial/EBM. In realtà, il duo di Tolosa, nasce con l'intento di rivitalizzare un sound che ha dei capisaldi molto noti, caratteristiche ben delineate nel corso dei '90s e negli anni 2000 che si possono cercare nei lavori di NIN, Suicide Commando, Hocico, Skinny Puppy, Front 242, senza dimenticare le influenze contaminanti del digital hardcore e della techno dark, con un taglio marcatamente cinematografico e tanta rabbia al silicone. 'Necessary Violences' si presenta subito con un ottimo artwork ed un prodotto a regola d'arte, rivendicando un costante suono abrasivo, una sorta di nera prigione digitale ad alta tecnologia ("Alone Together"), mentre il canto è assai violento, coperto perennemente da una distorsione che ne accentua l'aggressività. I ritmi sono quasi sempre ricchi di schizofrenia ed il disagio trasmesso è palpabile fin dall'iniziale ed inquietante traccia d'apertura, "Everyday is a Simulation", carica di cupa atmosfera e sinistri presagi. Il paesaggio sonoro molto dark nelle musiche, interagisce alla perfezione con un cantato di derivazione NIN/Marilyn Manson/Hocico, di sicuro effetto e resa sull'ascoltatore. È un contesto glaciale, rigido, sintetico, malato, perverso, con ritmiche al limite del marziale, ossessive e disturbanti ("Divine Automation" ne è uno splendido esempio). Non si avverte mai l'idea di essere di fronte a qualcosa di banale, anche su alcune basi techno ("Coercion") che potrebbero risultare stra-abusate, si nota comunque una certa dimestichezza e bravura nel rielaborarle intelligentemente e nel rivedere certi giochi musicali, mostrando vecchie teorie sonore rimesse in pista con nuova luce e molta più energia. I Moaan Exis conoscono molto bene i territori da loro percorsi per esprimere al meglio la loro musica e si muovono saggiamente sempre sul filo del rasoio, tra il pericolo di plagio, sbandierato da chi non li ascolta profondamente e chi non percepisce il gusto e la bravura con cui mescolano le carte, e la capacità di rendere l'Electro Body Music, un genere instintivo, una musica di ribellione, tanto violenta e rumorosa quanto trascinante e ballabile. Tutto questo, nel vasto mondo dell'elettronica estrema, li fa apparire interessanti, forti di una conquistata identità musicale, capaci di un grande equilibrio che gli ha permesso di arrivare fin qui senza sbagliare un colpo a livello di produzione, approdando in questo 2021 con un disco brillante, che porta quel titolo inequivocabile che è 'Necessary Violences', che non ha nulla da invidiare ai padri fondatori di questa nicchia musicale. Una nuova generazione di figli digitali perfetti, che dovrebbero essere amati da tutti coloro che si rispecchiano nel duro rumore industriale e nei ritmi asfissianti della techno più oscura. (Bob Stoner)

lunedì 7 settembre 2020

Ensoph - Projekt X-Katon

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Avantgarde, The Kovenant
Gli Ensoph li seguo dalle loro origini più lontane, quando ancora la band veneziana si chiamava Endaymynion, di cui conservo ancora oggi gelosamente il loro demo 'Thy Art'. A distanza di quasi dieci anni dal cambio di monicker, il quintetto veneto ha intrapreso un percorso musicale veramente unico e originale, che coniuga intelligentemente sonorità estreme a momenti sinfonici, gothic, prog ed electro-industriali. 'Projekt X-Katon', il terzo full length per il combo guidato dalle oscure vocals di N-Ikonoclast, rappresenta un altro capitolo di riflessione metafisica, nel percorso intrapreso dalla band nel 1997 con il MCD 'Les Confessions du Mat'. L’opener del nuovo lavoro, segna l’inizio di un cammino spirituale, un viaggio dell’anima attraverso la mente, le emozioni e i turbamenti di questi uomini; è un’esplorazione intima, attraverso suggestioni derivanti dall’esoterismo, dalla filosofia e dalla teologia. 'Projekt X-Katon' attanaglierà le vostre menti fino a farvi impazzire, grazie alle seduttive melodie chitarristiche, agli inserti progressive, a suoni techno-EBM e all’ammaliante flauto di Anna. Finalmente il cantato di N-Ikonoclast ha messo in secondo piano quelle scream vocals che tanto non avevo digerito nei precedenti album, lasciando maggiormente spazio ad una interpretazione più pulita e seducente. La band si è ulteriormente evoluta rispetto al già ottimo 'Opus Dementia', sciorinando brani più diretti ma allo stesso tempo più ricchi di pathos, grazie a loop, campionamenti vari e ad un uso più emozionale delle keys. Il sound degli Ensoph, pur riportando alla mente in certi frangenti Moonspell, Kovenant o alcuni act elettro-gothic tedeschi, acquisisce qui una propria personalità, che rende i nostri tra i maggiori interpreti di sonorità d’avanguardia. Gli Ensoph, grazie al duro lavoro, hanno saputo centrare in pieno l’obiettivo di migliorarsi ulteriormente e lo hanno fatto con classe, proponendo un sound di difficile interpretazione e di non facile assimilazione, ma che alla fine si rivela un tourbillon di emozioni, grazie all’intreccio di generi che hanno arricchito il già ricco background musicale della band: elettronica, black, gothic, avantgarde, death, prog, industrial, EBM, ambient si amalgamano infatti indissolubilmente in questo bellissimo 'Projekt X-Katon'. L’album, mixato alla grande poi da Giuseppe Orlando (Novembre, Klimt 1918) agli Outer Sound Studios di Roma e masterizzato da Goran Findberg ai Mastering Room in Svezia, venne rilasciato in digipack in una prima edizione limitata che includeva anche 'The Seductive Dwarf', un bonus EP che vedeva Steve Sylvester cantare sulla cover dei Soft Cell “Sex Dwarf” (riproposta in due versioni differenti), e rifare “Sun of The Liar”, classico della band veneziana. Da ripescare assolutamente. (Francesco Scarci)

domenica 26 luglio 2020

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance

#PER CHI AMA: Electro Black/Techno/EBM, Hocico
La musica dovrebbe essere evocativa e simbiotica dell'attuale clima sociale. Ecco come si presentano i giapponesi Violent Magic Orchestra, che altro non sono che alcuni membri dei Vampillia, la cantante Zastar e Kezzardrix, con alcuni precedenti componenti della band, Pete Swanson (ex Yellow Swans) ed Extreme Precautions (Mondkopf). La proposta del collettivo di Osaka non può che proporre inevitabilmente musica folle che parte dalla techno music della opening track "You Are Hate", su cui piazzarci giustamente black metal e industrial. Scelta scellerata per i più ma ascrivibile a pura genialità per il sottoscritto, visto che alla fine mi fa apprezzare anche la techno, con i vocalizzi in scream, il tutto a ricordare i messicani Hocico. Si procede sugli stessi stilemi anche con la debordante seconda traccia, "Massive Aggressive", meno di due minuti di techno-industrial, noise, grind e quant'altro di folle ci si possa inventare. Ma d'altro canto da musicisti di questo tipo, era lecito aspettarsi solamente delirio musicale, mitigato in conclusione dalla poetica sintetica di "New World Ballad", una ballata dance su cui impiantare i vocalizzi disperati black della frontwoman. Se non avevo per nulla apprezzato la violenza caustica del precedente 'Catastrophic Anonymous', con questo nuovo EP, mi apro al nuovo mondo targato VMO.

(Never Sleep - 2020)
Voto: 74

https://violentmagicorchestra.bandcamp.com/

martedì 5 marzo 2019

Master Margherita - Border 50

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Dub/Elettronica
Il consolidato musicista/DJ Moreno Antognini, che sotto le spoglie di Master Margherita sfodera musica al confine tra dub ed elettronica berlinese fin dai primi anni 2000 (innumerevoli le sue release), si scopre primo attore anche tra le fila della Ultimae Records, etichetta dai gusti molto radicali in fatto di musica, che però, con questo nuovo 'Border 50' lascia diversificare leggermente le sue proposte musicali, permettendo di spostare il tiro verso un ambient con spunti di matrice decisamente più alternativi. Una forma diversa, pensata con i ritmi lenti, psicotici e bui della Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, Bohren & Der Club of Gore e Dale Cooper Quartet & Dictaphones, dove tutto risulta sospeso e rinchiuso nell'ombra, dai rumori uditi in lontananza fino ai colpi di una batteria appena accennata. La composizione di matrice rock oriented (alla maniera dei Pink Floyd più eterei), è un punto di partenza e non un arrivo, un motivo che offre uno spunto di ispirazione ma che viene progressivamente fatto svanire in favore di un ambient più consono all'estetica dell'etichetta. Spiccano le fughe sonore dei synth e la drone music più meditativa, tipico delle produzioni della Ultimae. Il dub che vive nel background dell'artista elvetico, viene messo in sordina nella parte iniziale dell'album, anche se, per tutto l'intero fluttuare del disco si sente, nella profondità dei bassi e nel bilanciamento del suono, che Master Margherita ha la stoffa, il carattere e l'esperienza per governare al meglio questo tipo di sonorità. Dicevamo che il sound può essere anche classificato come dark ambient, poiché richiama arie e stili usati da band vicine al dark/synth wave in generale (vedi 'Time Machines' dei Coil). Sicuramente ci si mantiene all'interno del genere e lo si rivisita in chiave malinconica e scura, ottenendo un'elettronica scenografica e cosmica di scuola Martin Nonstatic (compagno di scuderia), utilizzando in maniera statica e cupa il suono elettronico di Sync24. Il trittico iniziale è spettacolare nel suo essere un colosso sonoro completo ed elegante, un suono misterioso che sfocia ("Shruti One - Ambient Mix") in un folk guidato da un flauto etnico (magistralmente suonato da Don Hooke), dal tocco estremamente magico. Da questo punto in poi i ritmi diventano sempre più rarefatti, i brani sembrano rifarsi ad una coltre di fitta nebbia e tutto sembra congelato ed immobile. Con "Cosmogram" (il brano migliore della compilation a mio avviso) l'abbandono avviene tra le stelle di una sconosciuta e nera galassia, una visione buia ed infinita. I dieci minuti abbondanti di "Border 50 Dub Mix" in compagnia di The Positronics, ci riavvicinano al dub cosmico, liquido e pulsante con i suoni rimodernati alla maniera del mitico Bill Laswell con un ricordo d'annata delle opere di 'The Scientist'. In chiusura il ritorno al drone/ambient di "Extending Downwards (Border 50 Mix)". Un disco non facile da assimilare ma che offre spunti di cristallina bellezza, sicuramente non da sottovalutare (disponibile anche in versione 24 bit). (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2018)
Voto: 73

https://ultimae.bandcamp.com/album/border-50

giovedì 24 gennaio 2019

Borghesia - Proti Kapitulaciji

#PER CHI AMA: Electro/Post-Industrial/Darkwave
Risulta molto difficile catalogare i Borghesia, band di Lubiana che opera in ambito sperimentale ed elettronico fin dal 1982. Industrial, darkwave, trance-dance s'incrociano con un ambient cinematografico (cosa che il gruppo conosce bene visto la loro forte dedizione verso le colonne sonore), la rumoristica ed il post punk elettronico degli anni novanta e duemila. Un'ottima produzione poi dà il giusto appeal ad un lavoro sicuramente intrigante ed intellettuale, di non facile approccio, peraltro cantato in lingua madre, sui versi del giovane poeta Srečko Kosovel, morto di meningite all'età di soli 22 anni. La militanza antifascista, parte del lato artistico della band a cui si aggiunge una visione cupa relativa al declino in cui riversa il mondo di oggi, è sempre padrona della scena. Una scena musicale che è un meltin pot variegato, tra Disciplinatha, Falco, Skynny Puppy, Kraftwerk, Palais Shaumburg, Kirlian Camera, Malaria, un certo art rock/pop/dance, riproposto alla maniera storta dei Chumbawamba, con l'attitudine tipica di una post punk band rumorista, giunta direttamente da Berlino (vedi le analogie di produzione con il recente 'Lament' degli Einstürzende Neubauten). Canti nostalgici , sperimentazione, folk ed elettro-rock vanno a braccetto per tutto il tempo del disco, rilasciando, nel proseguo dell'album sentimenti di tristezza e amarezza, profondità ed introspettiva che prevalgono sull'impatto sonoro in "Europa Umira" e "Razočaranja I", che emergono per ingegno compositivo e delicate atmosfere. L'intento sonoro è comunque di unire ritmiche attraenti, melodie incalzanti e l'uso del cervello, per pensare a cosa ci riserverà il futuro. Anche la techno (quella intelligente) è spesso citata nel sound della band, come in "Moj črni Tintnik", brano che si pone il compito di unire il lato dance dei nostri ad echi in sintonia con la famosa colonna sonora di 007 e con la song tanto discussa ed icona di un'estate di tanto tempo fa, dal titolo, "Da Da Da" della pop wave band Trio. Nello srotolarsi dei brani, alla fine ci si immerge spesso in carrellate di word music e ambient trip hop dal taglio etnico ovviamente dell'est Europa, campane come intro su "Radovnik" e spazio al classicismo per le arie della conclusiva "Blizu Polnoči". Un album 'Proti Kapitulaciji', che ha bisogno di essere assimilato lentamente (perchè quindi non sfruttare il download gratuito su bandcamp?), un lavoro complicato e studiato nei particolari con gusto e dedizione, un lavoro che cerca di emancipare la cultura sonora elettro-industriale di venti/trent'anni fa senza renderla retrograda o insignificante, ridonandole lustro e significato. Disco che non è per tutti, ma che mostra molte potenzialità espressive. (Bob Stoner)

lunedì 17 settembre 2018

Phal:Angst - Phase IV

#PER CHI AMA: Post Metal/EBM
Album particolare quello che ho tra le mani oggi. Trattasi dei viennesi Phal:Angst, band a me totalmente sconosciuta fino ad ora, che con questo 'Phase IV' arriva al traguardo del quarto album. Leggendo sul web, capisco che la band è promotrice di un sound a cavallo tra EBM, Industrial e post-rock. Lo si evince immediatamente ascoltando la lunga e claustrofobica traccia in apertura, "On the Run", tra l'altro il singolo apripista del lavoro. La song ha un incedere asfissiante tra suggestive atmosfere post rock, tra l'altro corredate da un chitarrismo bello pesante, su cui si installano successivamente rumorismi industriali e pattern electro-EBM. Il suono è cristallino, splendido a tal proposito l'inizio di "Money and Fame", in cui si possono distinguere chiaramente strumenti ed effetti vari. La song ha un piglio elettronico nel suo delicato proporsi, ma quello che frega sembra essere una monoliticità di fondo della proposta del combo austriaco. Non c'è infatti dinamicità nella traccia, sembra sempre che debba decollare da un momento all'altro, ma alla fine non accade nulla se non rilasciare un sound sintetico che alla fine risulta quasi sfiancante. Due brani e si sfiorano già i 19 minuti e con i successivi non si scherza altrettanto viste le durate infinite di pezzi che si palesano alla fine tutti allo stesso modo, ossia con un'importante base ritmica costituita da un bel riffone portante e che incorpora elementi elettronici, cyber vocals (in versione pulita o sussurrata), insomma un po' come se i Neurosis si mischiassero con i Coil. Lo stesso dicasi di "Comeuppance" e francamente la sensazione inizia a divenire alquanto frustrante, cosi come con gli oltre dodici minuti di "Despair II", una nenia colossale che non vira mai verso lidi alternativi, ma che nei primi cinque minuti propone fondamentalmente la stessa soluzione musicale; fortuna nostra che la song va alla ricerca di soluzioni un po' più mutevoli, altrimenti il rischio di stroncatura era davvero dietro l'angolo. Non che le cose cambino drasticamente, però i nostri ci mettono dell'impegno per provare ad acquisire nuovi fan con fughe oniriche o successivamente con un approccio quasi dronico, nella song che mi rimarrà in mente più che altro per la lunghezza del titolo ("They Won't Have To Burn The Books When Noone Reads Them Anyway") che per altro. Arrivo stancamente alla conclusione di 'Phase IV', con un paio di remix (l'ipnotica "Despair II" e la quasi EBM "The Books Jk Flesh"), entrambe contraddistinte da un carattere quasi trip hop, di cui avrei fatto volentieri a meno. Che fosse un disco particolare, lo avevo dichiarato sin dall'inizio ma che fosse un paccone di questo tipo, lungi da me dall'immaginarlo. Che fatica. (Francesco Scarci)

(Bloodshed666 Records - 2018)
Voto: 60

https://phalangst.bandcamp.com/track/on-the-run

martedì 24 luglio 2018

Progenie Terrestre Pura - StarCross

#PER CHI AMA: Extreme Avantgarde
Il nuovo EP dei Progenie Terrestre Pura (PTP) è un concept album che esce dalla mente di Davide Colladon, mastermind del progetto PTP fin dalla sua nascita e che in questo nuovo 'StarCross' vede il sound della band prendere una piega evoluta in un senso molto cinematografico. Non che questa propensione mancasse nella band fin dalle prime release, ma qui emerge proprio il tratto e la volontà di ragionare in stile propriamente da soundtrack. Sviluppato come in una saga spaziale, qui il protagonista sfida l'infinito all'inseguimento di un segnale sconosciuto, vagando nello spazio alla ricerca di questo contatto, e la sua colonna sonora non poteva che essere buia, sconsolata e cosparsa di momenti terribili e pieni di insidie. Con l'uso sapiente del black metal, l'industrial e alcune soluzioni thrash metal, qui ci si avvicina alla concezione di un metal intergalattico a cui sta stretta la gabbia di metal stesso e che aspira a divenire opera musicale vera e propria. La senzazione di intraprendere un viaggio verso l'ignoto è palpabile e reale, con trame space/horror importanti e l'introduzione di un ambient cupo e dilatato, su tappeti ritmici sintetici cari al settore harsh/EBM, con voci etno/ancestrali in sottofondo ed un cavernoso cantato violento che funge da nero Cicerone che rincara la drammaticità e la sensazione di incapacità verso la giusta scelta da fare da parte del protagonista di quest'avventura. Il disco si ascolta con sommo piacere scorrendo veloce nei suoi lunghi cinque brani (per circa una trentina di minuti) e, a dispetto dei suoi predecessori, porta una vena sci-fi più accentuata, del resto dicevo, è da vedere come vera e propria colonna sonora di un film di fantascienza, anche se l'impronta sonora rimane legata alla logica creativa di Colladon. Altra novità è poi l'abbandono della lingua madre nel cantato, a favore dell'inglese, con l'intento verosimile di raggiungere una platea più vasta, cosa che non stona affatto e rende giustamente più internazionale la proposta dei nostri a livello artistico (anche se li avevo ammirati particolarmente per il coraggio di usare l'italiano nei precedenti lavori). Immancabile la linea di paragone verso progetti sofisticati come Ulver o Solefald e l'insano esistere dei Borgne, ma la musica dei PTP si dimostra più fantascientifica ed il contatto con l'avanguardia è reale e il suono cosmico ben ricercato. Il passaggio tra l'elettro ambient di "Chant of Rosha" e "Toward a Distant Moon" mostra subito la vera identità del disco e l'accuratezza dei particolari, buona la produzione, la capacità compositiva di rendere una musica complessa ascoltabile è poi un segno distintivo nei PTP, una qualità che spinge l'ascoltatore alla voglia costante di sentire e scoprire cosa succederà brano dopo brano, proprio come in un inquietante film ben fatto o in un buon libro che rapisce e fa correre la fantasia. "The Greatest Loss" è la mia song preferita, in odor di Blut Aus Nord che si avvia al termine con la minimale, sospesa e conclusiva "Invocat", che lascia un filo sospeso tirato da un canto gregoriano che assume un'identità sinistra ed oscura. 'StarCross' è un album difficile da assimilare per la massa, ma geniale nel suo complesso, l'ennesimo salto di qualità per la band veneta, un progetto sonoro che si è ormai dimostrato nel tempo essere una garanzia. Da ascoltare indisturbati. (Bob Stoner)

martedì 4 luglio 2017

Antigone Project – Stellar Machine

#PER CHI AMA: Electro/Space Rock, New Order, Depeche Mode, The Mars Volta
La Dooweet Agency ci presenta il nuovo lavoro degli Antigone Project, uscito a maggio di questo caldo 2017. La band parigina, contraddistinta da una spiccata personalità e da idee variegate, giunge al secondo full length dopo una prima prova che si era rivelata già convincente e coinvolgente. Il mix di elettronica e rock presentato dalla band, rappresenta una formula vincente nonostante le evidenti influenze, echi compositivi che sfiorano i confini sonori di band blasonate come New Order, Depeche Mode, The Music, IQ, Antimatter e parte della musica elettronica/industriale alternativa di casa Project Pitchfork e Skinny Puppy. Devo ammettere con gioia che, nonostante la marcata venerazione per queste band, il cd risulta veramente efficace e comunque suona originale e fruibile all'ascolto. "Poison" apre le danze e mi sembra di rivivere il mito del primo album dei The Music, con una superba voce dalle doti eccelse. "Schizopolis" trasuda EBM da tutti i pori e proietta la band in un atmosfera sintetica alla Gary Numan. "III" è una ballata sulfurea giocata tra synth wave ed etereo dream pop. In realtà, l'album è assai vario, caratterizzato com'è da un suono assai compresso e sintetico, anche quando si parla di rock, o di indie trafitto dalla tecnologia, di un pop lacerato dall'elettronica più trasversale, rumorosa e shoegaze come si sente in "Mantra Nebulae". I puristi del suono castigheranno quest'album per la sua sonorità inusuale (che resta comunque una caratteristica fondamentale della band) centrifugata in un low-fi sotterraneo ed astratto. Cosa che al contrario, affascinerà gli ascoltatori più aperti che gioiranno sulle note di "Raphe Nuclei", così immensa nel suo ricordare i giorni più malinconici dei migliori Radiohead. Robotici, glamour, violenti, acidi e danzerecci, gli Antigone Project rivendicano un posto al sole in una fascia di mercato dove pochi osano confrontarsi, proponendo la loro formula originale di musica controcorrente, appassionata e trasversale. Una band geniale che coniuga rock ed elettronica con la stessa affinità progressiva che ha contraddistinto band come i The Mars Volta, grazie a composizioni sonore che meritano grande rispetto, una voce da brivido (eccezionale a tal proposito Frédéric Benmussa) che cavalca tutti i brani dell'album con una maestria tale da far impallidire chiunque, una rivelazione assoluta che con una produzione mainstream rischierebbe di svettare sopra ogni tipo di classifica alternativa mondiale. Perla assoluta. (Bob Stoner)

domenica 9 aprile 2017

Netra - Ingrats

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Burzum, Ulver, Massive Attack
Netra potrebbe essere il nome di un locale in cui trovare parecchie sale dove assaporare aromi esotici ed ascoltare musiche diverse. In "Gimme a Break" potrete immaginare ad esempio, di trovarvi nella lounge room del locale, con un tizio che suona il pianoforte ed un altro che abbraccia il contrabbasso, in una scena sicuramente tinta di bianco e nero. In quella sala, chi è più attento, potrà scorgere nascosta una scala che porta dritta nei meandri dell'inferno, dove la sulfurea colonna sonora è rappresentata dal black ferale di "Everything's Fine". Qui lo screaming straziante del mastermind viene smorzato da un break avanguardista anche se il ronzio delle chitarre prosegue come se uno sciame di vespe ci stesse investendo. Se vi piace la musica di Bristol di Massive Attack e Portishead, ecco che la terza sala è quella che fa per voi, per soffermarvi ad ascoltare il trip hop caldo ed onirico di "Underneath my Words, The Ruins of Yours". L'elettro dub sullo stile degli Ulver di 'Perdition City' (anche a livello vocale) lo potete ritrovare in "Live With it", una traccia imprevedibile e dall'arrembante finale EBM. Imprevedibilità, ecco il segreto del mastermind transalpino. Ci mancava la jazz room, eccomi accontentato con "Don't Keep me Waiting" dove la follia dei fiati, da li a poco, si scontrerà con ritmiche infernali nere impestate, in un tripudio di suoni apocalittici che sanciscono l'insanità di quest'imperdibile lavoro. Continuiamo a girovagare nel locale Netra ed ecco palesarsi la darkwave di "A Genuinely Benevolent Man" che nelle sue circonvoluzioni soniche, trova modo di fondere la musica trance col black in stile Burzum, con le urla disumane del factotum francese (ora trasferitosi in Norvegia) sorrette dall'elettronica. Un po' di noise a complicare il tutto di certo non guasta e anzi cade a fagiolo con la lisergica "Paris or Me". "Could’ve, Should’ve, Would’ve" vale una menzione quasi esclusivamente per il titolo azzeccatissimo, perché per quanto riguarda la musica, la sensazione è quella di stare ad ascoltare i Depeche Mode. Sconcertati? Io no anzi, a dir poco esaltato. Le danze si chiudono col blues jazz black funambolico e sperimentale di "Jusqu’au-boutiste", ultimo esempio di lucida follia che esalta la performance incredibile di questo fantastico artista. 'Ingrats' è un album a dir poco spettacolare, chi ha orecchie da intendere... (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2017)
Voto: 90

martedì 4 aprile 2017

It's Everyone Else – Heaven is an Empty Room

#PER CHI AMA: Industrial/Digital Hardcore/Electro Noise
A fine novembre del 2016, la Noise Appeal Records ha fatto uscire l'album di debutto del duo sloveno degli It's Everyone Else. Un lavoro ritmicamente intenso, carico di violenza selvaggia e distruttiva, liberatoria, debitore e seguace delle traiettorie sonore già tracciate dai vari Prodigy, Skinny Puppy e Atari Teenage Riot, un frammento di potente saggio di musica dal gusto inequivocabilmente industrial, elettronico quanto basta per accostarlo al digital hardcore ma con sconfinamenti nell'alternative punk, complice certe geniali trovate che hanno reso famose band del calibro dei Chumbawamba, con vocals maschili e femminili che si alternano nell'imitare lo stile di Pixies e Rage Against the Machine oltre ai già citati precedenti gruppi. L'industrial non se la passa molto bene ultimamente e considerate le poche idee innovative, riusciamo ad individuare un'alta dose di creatività nel duo di Ljubljana, l'originalità non è proprio di casa ma le lezioni lasciate dai maestri del genere hanno dato buoni frutti in questo box di circa mezz'ora, dove il calderone di suoni rievoca spettri e vette musicali di tutto rispetto. Il disco vola velocissimo con i suoi dieci brani intrisi nel silicone e rivestiti di lattice; il tocco perverso, estremo e ribelle si nota fin dalla prima nota e genera nell'ascoltatore una buona sensazione di familiarità col genere ed allo stesso tempo di curiosità che lo porta a seguire uno dopo l'altro lo sviluppo delle canzoni. La voce di Pika Golob dona un tocco di glamour trasversale ed oscuro con il suo canto sofferente e di scuola alternative punk alla Kim Gordon mentre Lucijan Prelog spinge sull'acceleratore, focalizzandosi sulla falsariga del punk più indie, combattivo ed estremo che ricorda i gruppi già citati di Zack de la Rocha e Alec Empire. La presenza costante di atmosfere sinistre e oppressive, la prevalenza scenica del noise e la variabile EBM, rendono ancora più accattivante la figura del duo di Ljubljana, ed è per questo motivo che brani come "The Truth About Mirrors" e "Sleep is So Cruel" diventano canzoni memorabili che alimentati da brani lampo come la rumorosissima "Nineteenninetyfive" o l'allucinata e isolazionista "Lone", completano un ottimo manifesto di elettronica d'assalto futurista che anche dopo infiniti ascolti riserva ancora delle nuove sorprese sonore. La scelta dei suoni, la produzione più che buona e una copertina che ingloba il sinistro, nero disagio che avevamo già apprezzato in 'Adore' degli Smashing Pumpkins ampliano a dismisura la potenza di fuoco di questa coppia di killer armati di sintetizzatori, coinvolgendo e trascinando chi ascolta con la stessa energia di una band hardcore. Saranno difficili da accettare per la massa, magari anche un po' derivativi, ma questo album è un vero carico di materiale infiammabile, dinamite pronta ad esplodere nelle vostre orecchie! Sottovalutarli sarebbe un grave errore, disco consigliato, da ascoltare ad alto volume, altissimo volume! (Bob Stoner)

giovedì 6 ottobre 2016

Radar Men From the Moon - Subversive II: Splendor of the Wicked

#PER CHI AMA: Psych Rock, Kraut Rock, Amon Düül II, Gond, Can
Questo non è un disco, è un’esperienza musicale. Gli olandesi Radar Men From The Moon (che definiscono il loro genere ‘psych-house’) confezionano un lavoro splendido, sospeso tra kraut-rock, psichedelia ed elettronica strumentale. Ipnotico, ossessivo, straordinariamente ritmico pur nella sua capacità di costruire mondi lontani. Un disco che, sparato a tutto volume in cuffia, vi farà dimenticare dove siete, che giorno sia e persino come vi chiamate. L’opening “You Filled The House With Merciless Sand” è esattamente l’inizio che ti aspetti: una lunga introduzione di synth che respirano fuori dal tempo, fino all’improvvisa apertura electro-rock dal sapore vagamente retrò – sembrano i Can che suonano con la strumentazione dei Depeche Mode. Basso e batteria guidano incessantemente il passo anche in “Splendor Of The Wicked”, dove i RMFTM dimostrano di non disdegnare una pesante post-produzione dei suoni. Gli oltre 11 minuti della traccia fanno girare la testa annebbiando i sensi tra bassi distorti, batterie oscure, synth dissonanti e la fortissima sensazione di ascoltare un disco dub digerito dagli Amon Düül II. “Masked Disobedience” viaggia veloce, retta da un arpeggio di synth indovinatissimo su cui basso, chitarra e batteria riempiono ogni battuta disponibile. È qui che ci si accorge che i RMFTM non si limitano a ripetere riff e pattern, ma aggiungono variabili ad ogni battuta: un colpo di charleston in più, una nota di passaggio, un accento più vigoroso. Straordinari. L’andamento apparentemente marziale di “Rapture” è la scusa per costruire una canzone assai più poetica, con lunghe code di strings e morbidi synth dallo spazio. Chiude “Translucent Concrete”, con la sua ritmica decostruita e scomposta – persino industrial nei suoni meccanici e potenti – che nasconde atmosfere rarefatte sullo sfondo e prosegue mesmerizzante fino all’esplosione finale. Questo 'Subversive II' (che arriva, ovviamente, dopo un 'Subversive I' del 2015 e 'Decadence' dello scorso aprile) è un disco maturo, difficile, ipnotico: una perla nell’universo talvolta sempre uguale a se stesso della musica di oggi. È il tentativo di smontare e rimontare la concezione di un gruppo e della musica stessa, rimuovendo l’idea di una forma canzone preconfezionata, e pescando a piene mani da un passato (quello del kraut-rock, della psichedelia suonata) che ha ancora moltissimo da offrire – per poi ripresentarlo, rinnovato e contemporaneo. (Stefano Torregrossa)

Voto: 85

Arriva questa volta da Eindhoven la proposta che non ti aspetti, dalla band dal nome atipico e dalla copertina alquanto psichedelica. Signori, questi sono i Radar Men From the Moon (RMFTM) e 'Subversive II: Splendor of the Wicked' dovrebbe essere addirittura il quinto lavoro dal 2011 a oggi, mica male per questi ipnotici ragazzi olandesi, che devono aver scritto questo disco sotto strani influssi psicotropi. Il lavoro, che fa parte di una trilogia di suoni mossi ad esplorare, destrutturare e capovolgere il processo creativo, consta di cinque brani dalle durate importanti, che apre con l'ambient di "You Filled The House With Merciless Sand". Dopo un approccio, forse un po' troppo prolisso di synth, il quartetto tulipano attacca con un rifferama compatto che fa della ripetitività delle sue ritmiche il punto focale del proprio sound, in quell'incedere tipico del kraut-rock che ha portato a coniare il termine "motorik" per descrivere i tempi in 4/4 utilizzati. E la ridondanza di suoni è la caratteristica di fondo su cui poggiano i RMFTM come rettificato anche nella seconda "Splendor of the Wicked". L'effetto ottenuto? Potete immaginarlo voi stessi, angosciante; sembra quasi essersi calati un qualche trip e camminare in una disco con fastidiose luci stroboscopiche, a volumi disumani in mezzo ad una calca di gente, e in tutto questo macello non capirci davvero un cazzo. Delirante, non c'è che dire, le influenze IDM, EBM, minimal, si fanno sentire e conducono pericolosamente ad effetti indesiderati per la psiche, per cui dovrebbe essere messo un warning bello grosso sulla copertina del disco perché la proposta di questi folli, rischia di nuocere seriamente alla salute mentale. Ubriacato da questa serie di suoni che hanno perso del tutto la loro vena rock per far posto a quella elettronica, riesco ad arrivare incredibilmente all'ascolto della terza disturbante "Masked Disobedience", che mostra quasi un approccio post punk iniziale prima di orientarsi a nuove fughe lisergiche annienta neuroni. Ripetitivi fino alla morte, per lo meno in questo caso la band si limita a soli sei minuti di suoni ubriacanti; cercate di non ascoltarli in auto, se foste astemi, rischiereste di farvi trovare positivi dalla polizia al controllo del vostro tasso alcolemico. "Rapture" ci dà forse il colpo di grazia con un sound tribale, sciamanico, che ci conduce al centro della pista e ci lancia in un ballo in pura trance ipnotica, crivellati dai colpi penetranti di questi quattro criminali. Industrial, campionamenti vari, noise vanno a fondersi nell'ultima "Translucent Concrete", l'ultima tappa danzereccia di un pauroso viaggio, da cui sarà difficile fare ritorno. Pericolosi. (Francesco Scarci)

martedì 28 giugno 2016

Suicide Commando - Axis of Evil

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: EBM
Era il 2003 quando mi ritrovai tra le mani il nuovo album di Suicide Commando, senza ombra di dubbio l'uscita discografica che quell'anno attendevo con maggior impazienza! Vi posso assicurare che fu veramente sorprendente ciò che Johan Van Roy era riuscito a fare in 'Axis of Evil', un album che ad un primo ascolto poteva anche sembrarvi molto diverso dalla precedente produzione dell'artista belga. In particolare con 'Construct Destruct' e 'Mindstrip', Johan ci aveva infatti abituato ad una forma di EBM talmente personale ed inconfondibile che ogni singolo aspetto della sua musica sembrava perfetto esattamente così com'era, senza bisogno di cambiar nulla e senza che nessun fan si fosse mai aspettato in verità alcun stravolgimento di sorta. Suicide Commando rientrava insomma in quella categoria di progetti musicali ai quali non chiedi altro che i soliti ingredienti per rimanere soddisfatto, come se la forte dipendenza da una formula ormai ben consolidata e familiare ti facesse apparire poco attraente qualsiasi prospettiva di cambiamento. Così anch'io ho dovuto ascoltare 'Axis of Evil' alcune volte prima di riuscire ad abituarmi alla sua diversità che, seppure non eclatante, si poteva sicuramente avvertire in una maggior varietà delle vocals, in una produzione più morbida e soprattutto nella tendenza dei brani ad assumere una struttura più complessa che in passato. Il risultato fu un'apertura intelligente verso un suono che legava violenza e melodia dosando entrambe in quantità pressoché perfette ed eccedendo nell'una o nell'altra solamente quando ne convenisse ad un effetto complessivo di immediatezza, la quale sarebbe stata difficile da ottenere se non fosse che il responsabile di tali equilibri era un musicista con alle spalle già un'esperienza più che decennale nell'ambito dell'elettronica. Quello di 'Axis of Evil' era un flusso ininterrotto ed avvolgente di beat che instaurava un dialogo continuo con i vari campionamenti utilizzati e con le urla rabbiose di Joahn, il quale alternava alla sua tradizionale prestazione vocale inedite vocals robotiche che meglio si adattavano alla vena dance-floor di episodi quali "Face of Death", "Reformation" o "One Nation Under God". Trovo non vi sia nulla di studiato o di "sornione" nell'accessibilità di questi brani moderati ed orecchiabili, ma vi si intraveda piuttosto il desiderio di voler allargare lo spettro emozionale della propria musica su un campo più vasto, che potesse ricoprire una varietà di umori differenti. La fusione tra linee di basso distorte e pesantissime percussioni non venne comunque relegata in secondo piano trovando il suo sfogo più aggressivo in "Plastik Christ", il cui testo confermava ancora una volta la posizione fortemente critica di Johan nei confronti della religione. Ma il concept lirico dell'album affrontava in maniera dura e provocatoria numerosi altri argomenti d'attualità per l'epoca, dal tema del suicidio fino a quello spinoso dell'allora situazione politica internazionale. Non so se fosse corretto chiamarlo capolavoro, le premesse c'erano comunque tutte! Io non posso fare altro che consigliarne l'ascolto a tutti coloro che non conoscono Suicide Commando e a farsi conquistare da 'Axis of Evil', avvicinandosi in questo modo all'esempio forse più attendibile e convincente di quale significato assumesse il termine EBM nel 2003. (Roberto Alba)

(Dependent Records - 2003)
Voto: 85

http://www.suicidecommando.be/

domenica 10 gennaio 2016

Stories From the Lost - Impairment

#PER CHI AMA: Alternative Elettronica
SoMnius deve essere un'anima inquieta che rifiuta di stare con le mani in mano e sente la necessità di dar sfogo di continuo alla propria creatività. Nel 2013 con la sua band omonima, nel 2015 con i Varen; doveva in un qualche modo colmare il gap temporale fra questi 2 anni e cosi nel 2014 è uscito con il quartetto degli Stories From the Lost, e quello che è il secondo album per la band belga, dopo 'For Clouds' uscito nel 2012. 'Impairment' è peraltro un doppio cd, contenente ben 15 brani strumentali che strizzano l'occhiolino a un alternative post metal dotato di forti venature elettroniche. Il disco si muove tra possenti riff di chitarra, frammenti parlati ("The Haze II"), estrapolati magari da qualche film (questo non mi è dato saperlo), breaks elettronici e bombastici arrangiamenti orchestrali. Ecco, se pensavate che anche in questo disco potesse apparire lo spettro black di SoMnius, state pure tranquilli, perchè qui avrete di che divertirvi con le splendide melodie post- dei quattro di Zottegem. L'album è lungo (oltre 75 minuti), quindi mettetevi comodi, spegnete le luci e rilassatevi, potrete immergervi in un lungo e fruttuoso viaggio, a tratti spensierato, a tratti malinconico e in alcuni momenti quasi danzereccio ("Impulsion"). La bellezza di 'Impairment' alla fine risiede nella sua eccletticità, nel suo passare da oscuri frangenti, ad altri più meditabondi, passando da intensi attimi di malinconia fino ad arrivare ad abbracciare l'elettronica tout court, le colonne sonore ("Mighty Nobody"), l'ambient ("Benefits") e il cinematico ("Complex #"), mantenendo comunque intatto lo spirito post incarnato dalla band fiamminga. Mancano le vocals lo so, ma la loro assenza è supplita dalla presenza di quel parlato campionato di cui facevo menzione inizialmente, ma anche da tutto l'apparato musicale che contraddistingue la musica degli Stories From the Lost. Il secondo cd mostra un approccio pesantemente più votato alla elettronica e questo sinceramente non mi turba più di tanto: "Black" è una breve intro quasi techno, mentre in "Duosign" i nostri sperimentano un noise cibernetico. Le atmosfere si fanno ancor più cupe e surreali, e sembra addirittura di essere finiti nel set cinematografico di 'Blade Runner' dove "ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire". Gli Stories From the Lost mi hanno conquistato con il loro sound inedito che necessita però di grandi aperture mentali. (Francesco Scarci)

(Dunk! Records - 2014)
Voto: 75 

sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

lunedì 24 agosto 2015

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80