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sabato 27 febbraio 2021

Les Chants de Nihil - Le Tyran et l'Esthète

#PER CHI AMA: Symph Black
Mentre i Les Chants de Nihil tagliano il traguardo del quinto album, io me li trovo davanti per la prima volta in vita, che vergogna. Autofustigatomi per benino per le mie mancanze, mi metto all'ascolto di questo 'Le Tyran et l'Esthète'. Il disco, promosso dall'ormai omnipresente Les Acteurs De L’Ombre Productions, ci propone un interessante concentrato di black dalle tinte sinfonico-folkloriche che si dipanano dalle scorribande sonore della seconda "Entropie des Conquêtes Éphémères" che segue a ruota la strumentale "Ouverture". Il suono dei nostri non è cosi semplice da digerire per quanto l'approccio sinfonico ne dovrebbe invece agevolare l'ascolto, ma le elucubranti orchestrazioni unite a funambolici giri di chitarra e vocals che si manifestano sia in versione harsh che in un cantato più pomposo (direi grandeur), rendono l'ascolto non proprio cosi immediato. A questo aggiungete vorticose linee ritmiche in cui basso, batteria e chitarra sembrano in realtà cavalli imbizzarriti alla guida di una carrozza totalmente fuori controllo (la mia immagine di "Ma Doctrine, Ta Vanité"). E il parallelismo vocale tra scream efferati e cori maestosi, il tutto rigorosamente cantato in francese, con un suono che non resce a star fermo nemmeno un attimo e che qui in chiude addirittura in un rallentamento doom, non agevolano certo l'assimilazione della proposta dei quattro musicisti proveniente dalla Bretagna, dal piccolo paesino di Pléri. E quell'appendice doom in chiusura della terza traccia serviva ad introdurre la gloomy (adoro questo termine ad indicare la cupezza di un suono) "L'Adoration de la Terre", un pezzo che inizia in modo alquanto rallentato prima di deragliare in una serie di ambientazioni che variano tra il sinfonico, l'avantgarde, il progressive e ovviamente il black, in una sorta di rivisitazione della musica di Stravinsky, con il tutto comunque corredato da una più che discreta dose di imprevedibilità che rende il disco decisamente poco scontato. "Danse des Mort-nés", più lineare delle precedenti, mi ha evocato un che dei conterranei Misanthrope. Interessante ma non avvincente come quanto ascoltato sino ad ora, colpa forse di una linea di chitarra troppo più vicina allo zanzaroso black norvegese piuttosto che al maestoso sound delle prime tracce. Con la title track spazio al marziale drumming di Sistre prima che le voraci e schizoidi linee di chitarra prendano il sopravvento in un turbinio sonoro (per lo più di stampo militaresco) che vedrà esibire anche uno splendido assolo che non avevo ancora fin qui assaporato e che rappresenta la classica ciliegina sulla torta. "Ode Aux Résignés" esibisce una malinconica melodia iniziale in un brano dai tratti più compassati che comunque nella sua seconda metà, non rinuncerà all'ebbrezza dei ritmi infernali delle sue chitarre. "Lubie Hystérie" ha ancora forza dirompente per investirci con il tremolo picking, con i nostri che non si esimono nemmeno qui in cervellotici giri di chitarra che ci danno il colpo del definitivo KO. Ma non siamo ancora alla fine visto che sarà "Sabordage du Songeur - Final" a porre fine alle ostilità. Il brano è l'ultima scheggia impazzita di un disco sicuramente suonato a livelli disumani sia di tecnica che di velocità esecutiva, per un album intensamente bombastico e moderno che comunque non rinuncia agli echi di un passato glorioso nè ad un modernismo presente. Un lavoro, 'Le Tyran et l'Esthète' che necessita comunque di grande pazienza per poter essere assimilato. (Francesco Scarci)

venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)

Vestindien - Null

#PER CHI AMA: Black/Epic, Isengard
Dalle lande norvegesi ecco arrivare i Vestindien con il loro debut su lunga distanza, ben nove anni dopo l'EP che li vede debuttare, 'We Are the Lords of Hellfire, and We Bring You​.​.​.​Fire'. Il quartetto di Bergen, una città che ne ha viste di belle per quel che concerne la scena black metal negli anni '90, propone un black che prende drasticamente le distanze dal punk/hardcore degli esordi. 'Null' parte in sordina, con le note strumentali e assai malinconiche dell'opener "Mot Dag", che mi danno un'idea del tutto estranea a quello che sentiremo da "Beerenberg" in poi. Si perchè dal black atmosferico della traccia d'apertura si passa ad un sound più old school che evoca nella sua linea di chitarra il mefistofelico duo Venom/Bathory, mentre la voce irrompe prima in falsetto (King Diamond docet) per poi farsi più screamish. E nella parte finale, il black si miscela al thrash per una chiusura più robusta. "Meldrøye" mi dà una visione più epica dei norvegesi, quasi i nostri rendano tributo agli Isengard del buon Fenriz, con un sound decisamente più ritmato ma anche estremamente più melodico e venato di quel piglio folklorico che contraddistinse il mitico 'Vinterskugge'. Con la title track, le melodie si fanno più dark e al contempo ipnotiche, complice dei synth vintage che potevano stare tranquillamente nella colonna sonora di 'Twin Peaks'. Il sound è cupissimo, complice quel basso che detta i tempi in sottofondo ma che oscura totalmente tutti gli altri strumenti, mentre la voce del frontman Torjus Slettsnok eccheggia nel sua cantato il buon Quorthon. Da brividi. Quelli che non ho sentito invece nella più lineare "Ormegard", una traccia in cui forse emerge il retaggio hardcore dei nostri, ma che nel finale palesa invece ancora forti ancoraggi con il folklore nordico. Meglio la successiva "Ned", un mix tra black, viking e folk che la rendono davvero gradevole e danzereccia. Con la conclusiva "Øst for Sol", i suoni si fanno più compassati, e per quanto la song ammicchi ai Bathory più foschi, la traccia non mi coinvolge fino in fondo. Alla fine 'Null' è un album con un paio di hit davvero azzeccate ("Meldrøye" e "Null"), che lascierebbe presagire grandi potenzialità per il futuro, fatto salvo che non si debba attendere altri dieci anni. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records - 2021)
Voto: 73

https://vestindien.bandcamp.com/album/null

Sabaton - The Great War

#FOR FANS OF: Power Metal, Falconer
I was impressed from the beginning in first hearing this band and their power metal onslaught in 'The Great War'. I am not doubtful at all to give this a perfect score. The vocals and aura to the band makes this album invigorating. They really know how to hit home with some great and original power metal. The guitars were awesome and the synthesizers make the album that much of a "happier" sound. They really lift up the spirits here and the leads are with precision, carefully orchestrated. I would venture to say that this one is a top release in the year it was released (2019).

This album has a tinge of Falconer-like sounds to them. And the lead guitars are simply amazing! This is an all-out great power metal addition to the metal community. The vocals and synthesizers are a little overpowering but it doesn't make this any lesser in rating it. I thought that this would be not what I expected, but I was surprised in a good way. It's one release to turn on if you don't want to hear something brutal, it's the actual opposite of that. They are like I say "happy" metal they are invigorating. I like the fact that they do change things up on here it's not always in your face vocals and synthesizers.

I felt that the sound quality was really good! Between the music, the vocals and the production, it's a release that just nails it from start to finish! They don't disappoint. It might be under 40 minutes, but that doesn't take away from being a great release. Some of our MONUMENTS are only 30 minutes. So just be aware of this and hold on tight to it because it's mind blowing. The intensity and the overall sound quality is superior. These guys know how to tear it up in the lead department, too! The whole album has the listener keying into it and finding it amazing! It truly IS a MONUMENT.

If you're still reluctant about purchasing this release check it out on YouTube or Spotify. Then you'll get a feel for the band. If power metal isn't your "thing", then hold off. But if you want something invigorating and upbeat, you'll like this. It gave me pause at first then I slowly got into it and enjoy it from start to finish. It's just a lot of positive vibes here and the musicianship is phenomenal, I felt that the vocals were invigorating, absolutely! And the sound of this album is so positive. It really is something that can lift up your spirit if you're feeling distraught. Get it today or at least check it out! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2019)
Score: 85

https://www.sabaton.net/

Impalement - The Impalement

#FOR FANS OF: Black/Death
This is a somewhat raw death/black metal onslaught by these two newer musicians that demonstrate superiority upright with this album! The guttural vocals and brutal guitar riffs summon the antichrist with this abomination. Definitely dark and dreary a debut that scolds the righteous reigning in darkness. The music is outright depressing and the riffs quite original. Don't expect anything but your utmost darkening disturbance with this album. They know how to utter chaos and despair especially in this pandemic. The music here is a pandemic itself, with it's moments of fast guitar mixed with despondent chokehold.

I would have to say that upon repeated listens to, 'The Impalement' is one of the darkest releases I've heard from this year. Not Vader, not anyone else these guys show bleakness in it's path to destruction. The double bass kicking, the tremolo picking guitar riffs and the production sound is all ever disparaging. Weird they're just a 2-piece. But they sure as hell know how to bludgeoning destroy your eardrums. They really show that even with a debut that they have a long career ahead of them. With the originality and brutality, Impalement knows how to get every last bit of utmost dreariness out there.

The vocals mixed with the guitar causes desperation and depressing after effects. There's no dropping these guys, they're in for the long haul. Somewhat like Darkthrone but more brutal and the mixture of both death/black metal combined making them unique. There are some songs that are filled with hatred and others more of a groove laden guitar work. But overall they show you how they destroy your speakers with sounds like never before. A shit-ton of tremolo picking and double bass. Not something to listen to on a dark, depressing day. The can overindulge you with depression.

Maybe check Spotify or YouTube for songs. I supported the band by buying the CD. You won't hear much more darkness that this one here especially on a debut. The guitar solos need a little work but the rhythms are wholly original and death-defying. You'll get it all here, one monument of noise destruction. These guys demonstrate hatred here and blasphemy. Show them that you can appreciate their efforts especially the frontman by getting this one on CD. They need more support and more people listening to their musicianship. It definitely slays galore! (Death8699)


giovedì 25 febbraio 2021

Seasurfer - Zombies

#PER CHI AMA: Dream Pop/DarkWave
“SOS” non è una mia richiesta d'aiuto ma l’incipit di 'Zombies', atto terzo del progetto tedesco Seasurfer, che racconta l’urgenza scomposta tra ruggente post punk e darkwave, tra rabbia e pensieri, tra graffio e cura. L'opener dell'ensemble di Amburgo, ribalta il senso comune perchè il graffio diventa la cura e la cura sublima. Si sposta la torcia dalle rocce acuminate di un sound electro noise invadente, a quell’acqua che racconta che una grotta non è stagna. Parte un vibrato, un ritmo synth pop di anni passati (gli indimenticabili ottanta) ed una danza metallica che stride sul ferro dell’ascolto da fare scintille più di una saldatrice. È lei la voce calda e pulsante di "Too Wild". Avanziamo a quadrato come in battaglia, quando parte "Zombies". Siete pronti per una via tortuosa, contorta e adamantina? Una voce d’angelo che custodisce l’inferno. Un sollievo apparente che vi farà viaggiare tra gironi danteschi e paradiso. Il lavoro partorito da Dirk Knight è una strada lunghissima, articolata, introspettiva. Mi perdonerete se lascio in etere alcune tracce, ma prima debbo sostare in "Tears & Happiness", leggera come un filo invisibile che lega i sensi ai polsi, volubile come la golosità per chi ha fame. Veniamo a "Chemical Reaction". Balliamo con la mente ammaliata dalla voluttà della voce sensuale di Apolonia che fino alla traccia 16 si dividerà il ruolo con Mr Knight, per poi lasciare il posto a Elena Alice Fossi dei nostrani Kirlian Camera, per le rimanenti otto del secondo cd, 'The Dreampop Days'. Se volete mandare on air un ambient spinto, la breve “Devils Walk” farà per voi. In apparenza luci impazzite di un rave di emozioni. In verità un limbo, un purgatorio che lavora per un orgasmo paradisiaco in musica. Batte la bacchetta sull’altra bacchetta del batterista. Battono i bassi. Percuote lo stile di questa band. E mentre mi faccio strada nel silenzio dell’attesa, mando su come uno shuttle "Pretend". Questa traccia vi farà vorticare nell’iperspazio. Vi tatuerà l’ascolto nei timpani, lasciandovi sospesi per un po’ tra la Terra e Marte. Vita e guerra. L’ascolto continua elettrizzando le mie sensazioni quando parte la strumentale "Heaven". Ci ammortizzo la giornata. Ci faccio un giro dentro. E quando esco, mi accordo di aver vissuto un momento catartico che ha spezzato la mia quotidianità e composto l’ispirazione con la sua eterea synth wave. Non perdete la strada che vi porta in questo regno di Oz. La strada è lunghissima. E siamo solo alla traccia 15 di 24. "Dead in the Garden". Ripenso ascoltando ai Depeche Mode, ma anche alle più recenti performance degli Ulver. Quella contrattura di musica lontana che si allenta in un eco blu scuro. Il brano parte anni '90 per continuare ridondante senza forma e sostanza. Se volete un loop, questo vi piacerà. Ancora, ancora senza tregua, i Seasurfer ci fanno cambiare scenario. “Blue Days”. Cambia l'interprete vocale, non cambia il risultato. Dovrei essere descrittiva ma qui sono rapita da questa voce femminile. Dolce, malinconica, sensualissima. Me la godo e basta. Sappiamo che per ogni piacere, il karma ci manda indietro un dolore. Il mio karma è veloce e sintetico. Quando "Killing Tears of Joy" va on air, mi spezza l’anima. Mi fa sanguinare il cuore con la sua toccante malinconia. Mi porta ad un sentire senza barriere. Complimenti alla band per saper come scoprire le ferite e curarle al contempo. Leggera, delicata, anzi direi vellutata, è invece "Shine". Un balsamo di oscuro dream pop che ci prepara a "Fairies in Twilight". Il balsamo diventa mani sulla schiena, un intercalare fisico attraverso la musica che passa dalla mente al coccige. Un vello di suoni sintetici, quasi impossibile da descrivere, come solo la musica può fare. Sappiamo che ogni gioco vale la candela. Quest'album inizialmente mi sembrava una vetta invalicabile con le sue 24 song. Ora arrivata quasi alla vetta, voglio chiudere la mia personale scalata con "Fear in the Woods" (mancherebbero infatti ancora due brani a rapporto). Ma questo per me sarebbe un degno epilogo. Ad ogni fuoco corrisponde un ghiacciaio. Alla pace la paura. Quest'album mi ha fatto vivere battiti e morte apparente. L’azzardo e la bellezza. Molto, molto bene i Seasurfer. È infatti cosi che mi piace viaggiare al limite delle emozioni. (Silvia Comencini)

Swans - The Burning World

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Shoegaze/Darkwave
Una manciata di esangui lamento-tristerie dark-pop squisitamente anni '80 ("Well, I awoke this morning in the blackest night / and a million stars were aching in the sullen sky" cantato in "The River That Runs With Love Won't Run Dry", epperdincibacco) intrise di un generico pessimismo licantropico ("God Damn the Sun"), rattristanti violini ("Let It Come Down", per esempio, ma in verità ovunque nell'album) e svenevoli orchestrazioni (ancora "God Damn the Sun"), collocabili tra i Fields of the Nephilim con l'insonnia ("Jane Mary, Cry One Tear"), i The Jesus & Mary Chain con la camicia fuori dai pantaloni ("Saved") e un Nick Cave che assiste alla replica televisiva della finale di Telemike (tutto il resto del disco). Ascoltate questo (ormai introvabile) album stimolati dalla curiosità di sentire Michael Gira, stiamo parlando di "quel" Michael Gira, tristoallegramente lalleggiare canzonette pop-dark alla Bob Geldof pre-irish-era con tanto di vocione new-romantico alla Colin Vearncombe (giusto per dirne uno davvero sfigato, pace all'animaccia sua). Quello stesso M-G che successivamente si vergognerà di questo disco più o meno quanto Lenny Kravitz della foto con Clemente Mastella, al punto da disconoscerlo e affibbiarne interamente le colpe al produttore Bill Laswell, stimato jazzista e, appunto, produttore. La verità, però, sta altrove. Per esempio nella ahimè prodromica cover di "Love Will Tear Us Apart", pubblicata pochi mesi addietro e per niente prodotta da Laswell. Tecnicamente, si chiama sindrome post-traumatica da tasche piene. (Alberto Calorosi)

(Uni Records - 1989)
Voto: 60

https://www.facebook.com/SwansOfficial

mercoledì 24 febbraio 2021

Cannibal Corpse - Tomb of the Mutilated

#FOR FANS OF: Brutal Death
Burly Barnes crushes here as does the death metal (witch brutal vocals) dominates this entire release. The riffs are the highlight (to me), being a former guitarist I'm able to absorb what's being played here. I'm surprised that I didn't write about this sooner maybe 30 years plus ago since it's original release. I have nothing but good things to say here. I think that when Barnes's vocals changed on 'The Bleeding' that was it for me regarding liking the band from this era. I thought that Jack Owen was his strongest on 'Butchered At Birth' and here. Not sure what happened to him after that during Corpsegrinder's era. Aside from the fact that he joined Deicide in 2006 or thereabouts.

I don't necessarily like live tracks on albums with exceptions. And from my understanding, Jim Carrey's favorite bands (or what's been talked about in the media is Cannibal Corpse and Napalm Death). I'd have to say that what's so therefore dominating on here are again the riffs. And the bass you can hear throughout. Tempos all over the place but all interrelated. Barnes just soaks it up alongside the music and gives them that utmost gruesomeness. It sounds like he's going to chug that microphone. If they had more stable albums in respect to the music and vocals I think Barnes would've been a longtime member. Him and Six Feet Under are pathetic.

They were one of the most brutal bands back 30 years ago and they're still kicking ass. Though the guitars are way different in turning and currently Corpsegrinder with the band. There's been a lot of debate as to who's the most likeable over the years. I'd say consistently Corpsegrinder has been more solid. But I'm still appreciating Barnes on the first few releases. There's a wide variety as to who you would choose after all this time. I'd say, Corpsegrinder. He's got range that Barnes never seemed to ever have. But on the 2nd and 3rd album, I like him. After that, no more. He's just not diverse enough. But on 'Tomb of the Mutilated' he tears it up!

The mixing/production wasn't the greatest, but I still like the overall sound quality that the band sets forth thereof. There wasn't a track on here that I dislike. They were all strong musical annihilations with the guitars shredding it up. The lyrics we never tackle nor do we want to tackle. It's just gruesome and vile. The music and vocals are what's to focus on. I got this on CD a while back I'm certiain that they're on YouTube. I don't know about Spotify except for the more recent albums. I would tell you to do the band justice and just get the CD. It's worth its weight in gold. There isn't a track on here that's not good. Check it out! (Death8699)


(Metal Blade/Rock Brigade Records - 1992/2019)
Score: 82

https://www.facebook.com/cannibalcorpse

Meer – Playing House

#PER CHI AMA: Rock Orchestrale/Prog Pop Rock
Arriva dalle fredde lande norvegesi questo bel disco pieno di ottime intuizioni e tanta qualità stilistica. Nato come duo nel 2008, il progetto Meer si è evoluto addirittura in ottetto, puntando su di un groove sonoro molto raffinato e particolare che conta tra le sue doti un canto polifonico, strutture pop rock, evoluzioni melodiche nel mondo del folk ed inaspettatamente, una costante compositiva che genera continuamente trame in odor di rock progressivo, attualizzato ai parametri del neo prog di oggi. Siamo di fronte ad una band che non lascia nulla al caso, che si lancia in canzoni ricercate e complesse che contengono il pathos della migliore Tori Amos, quanto la sensualità degli ultimi lavori di Dido, passando per la svolta più intellettuale e attuale dei Leprous di 'Pitfalls' e per il prog più intimo, soft e dalle tinte malinconiche del disco 'Pharos' di Ishahn, senza dimenticare la componente emotiva più indie folk, cara a band come i Mumford & Son con aperture epiche e ariose di certo rock orchestrale nello stile di The Dear Hunter. Il gruppo definisce la propria musica come un mix di rock progressivo sinfonico, orchestrale, melodico, orecchiabile e con molti stimoli energici. Posso affermare serenamente, che mai definizione risulti più azzeccata, sia che al canto si presti la voce femminile o quella maschile, la spinta sonora rimane invariata. Il tono romantico ed epico non manca mai, scaldato da composizioni ricche di sfaccettature, colori e suoni elaborati, gestiti come un'orchestra a suon di rock e con una verve pop, nel senso di orecchiabilità e cantabilità dei brani, da veri esperti compositori. "Picking Up the Pieces" e "Beehive" aprono il disco in maniera magistrale, affidate ad un'ugola alquanto maestosa e travolgente (Johanne Kippersund). L'album prosegue con tre brani interpretati da Knut Kippersund e la trama si sposta in un clima più intimo ma senza cali di qualità, anche se la musica è più moderata e assume tinte più morbide, quasi alt country e corali, soprattutto in "Songs of Us". L'accento scandinavo si sente negli arrangiamenti che mi ricordano certe scuole di pensiero progressive provenienti da quelle zone, per peculiarità e pulizia del suono, freschezza e passione per i risvolti classicheggianti, tra violino, viola e piano, mi rievocano anche un ottimo disco strumentale di avant/prog/folk, che comprai anni fa, dei Between, intitolato 'Silence Beyond Time'. Il brano "You Were a Drum" ne è un esempio, impreziosito da una interpretazione vocale al di sopra delle righe. "Honey" mostra anche una certa vena elettronica che collega il collettivo scandinavo in qualche modo alla forma canzone sintetica ed evoluta di Fever Ray (voce dei The Knife), amalgamata perfettamente al loro stile orchestrale. "Across the Universe" scivola in scioltezza, mentre "She Goes" ha una struttura d'avanguardia, sinfonica e corale di notevole portata ed è forse la canzone più complicata del lotto e senza remore, mostra quanto sia complesso e ambizioso l'habitat musicale di questa splendida band. Una ballata morbida per "Where Do We Go From Here" e una chiusura al limite del cinematografico per "Lay It Down", per un finale esplosivo in pompa magna. Perfetto epilogo per un disco creato ad arte, con gusto e maestria. Il pop come non lo avete mai ascoltato, intelligente, suonato alla perfezione, emozionante ed intenso. Un album da ascoltare assolutamente che vi darà sicuramente delle gradevoli sensazioni. (Bob Stoner)

(Karisma/Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://meer.bandcamp.com/album/playing-house

The Pit Tips

Francesco Scarci

Voyage in Solitude - Through The Mist With Courage And Sorrow
Kultika - Capricorn Wolves
Caelestra - Black Widow Nebula

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MetalJ

Bereft of Light - Hoinar
Mormant de Snagov - Death Below Space and Existence
Paragon Collapse - The Dawning

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Death8699

Plague Years - Circle of Darkness
Asphyx - Necroceros
Blessed by Perversion - Remnants of Existence

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Alain González Artola

Sur Austru - Obârșie
Keys of Orthanc - Of the Lineage of Kings
Daius - Ascuns

domenica 21 febbraio 2021

BleakHeart - Dream Griever

#PER CHI AMA: Gothic/Doom, The Third and the Mortal
Quando ho ascoltato la prima volta i BleakHeart ho pensato ad una versione americana dei The Third and the Mortal. Fate partire "Ash Bearer", opening track di questo 'Dream Griever', e capirete esattamente a cosa stia alludendo. Certo, non ci saranno le liriche in norvegese di Kari Rueslåtten che popolavano 'Tears Laid in Earth', opera prima dei norvegesi, però il modo di cantare di Kelly Schilling (peraltro voce anche dei Dreadnought) è a metà strada tra la cantante scandinava e l'altrettanto brava Anneke van Giersbergen, anche se negli acuti la voce si perde un po'. A parte queste sottigliezze, va sottolineato come la proposta musicale del quartetto di Denver nella sua raffinatezza, si muova in bilico tra doom, shoegaze e darkwave e lo faccia sfoderando un'ottima prova collettiva. Non solo la voce della frontwoman in primo piano dunque, ma la capacità di un gruppo di musicisti di creare musica in grado di toccare le corde dell'anima, nonostante un suono non cosi facile da assimilare, complice anche la presenza in formazione di due chitarre a discapito del basso. E anche in questo la band si conferma originale. Dopo gli oltre otto minuti dell'opener, arrivano i quasi otto della seconda "Heed the Haunt", un brano che mette in mostra altre influenze dei nostri, dallo shoegaze al gothic, non rinunciando comunque a livello ritmico alla robustezza delle sei corde, stemperate dalla soave prova di Kelly al microfono. Da manuale comunque le melodie che escono dagli strumenti di questi musicisti, capaci di proporre atmosfere costantemente decadenti senza rinunciare ad una forte componente emozionale. La stessa che si scorge nella tribalità minimalista di "The Visitor", che nuovamente evoca forti rimandi ai The Third and the Mortal degli esordi. L'atmosfera creata dal drumming è cupissima, sferzata dalla sola sofferente voce della cantante. Le chitarre entrano in scena infatti solo dopo oltre quattro minuti contribuendo comunque a rinforzare quella plumbea ambientazione che proseguirà sulla medesima linea di monolitica angoscia fino alla fine di tutti gli otto minuti di durata. "The Dead Moon" prosegue sullo stesso binario stilistico, proponendo un sound sicuramente meno claustrofobico rispetto al pezzo precedente, ma sicuramente più statico rispetto ai primi due brani del disco che tanto mi avevano impressionato positivamente. Il sound dei BlackHeart resta comunque positivo, ma forse più prevedibile per quanto la performance di Kelly a questo punto innalzi la prova collettiva. La chiusura di 'Dream Griever' è affidata proprio alla title track e ad un inizio che evoca "Atupoéma", ancora estratto di quel mitico 'Tears Laid in Earth' citato a inizio recensione. Le atmosfere si confermano pesantissime, ma fortunatamente, trovano il modo di rimodellarsi nel corso del brano, con cambi di tempo che si erano un po' persi invece nella parte centrale del lavoro. Il brano regala comunque sprazzi di classe con una parte intermedia più eterea, di scuola ultimi The Gathering, con l'aggiunta di un pizzico di jazz che aumenta le vibrazioni rilasciate da tale release. 'Dream Griever' è alla fine un buon lavoro con le sue luci, qualche ombra da smussare per cercare di rendere più dinamico un sound che rischia talvolta di incepparsi sul più bello. Le potenzialità sono altissime, punterei sull'aggiunta di un bassista e sulla riduzione di quelle ritmiche pesantissime che alla lunga rischiano di soffocare l'ascolto già di per sè impegnativo di un lavoro da ascoltare e riascoltare nei momenti più bui. (Francesco Scarci)

Voyage in Solitude - Through the Mist with Courage and Sorrow

#PER CHI AMA: Depressive Black, Deafheaven
I Voyage in Solitude sono l'ennesima dimostrazione che il metal non ha confini e si possa suonare a tutte le latitudini e longitudini. Si perchè la one-man-band di oggi è originaria dei Nuovi Territori di Hong Kong e il polistrumentista che si cela dietro al monicker, Derrick Lin, ci propone un black che oscilla tra l'atmosferico e il depressive. Le atmosfere si gustano proprio all'inizio di questo 'Through the Mist with Courage and Sorrow', primo full length della band dopo tre EP e materiale vario, con la lunga apertura strumentale affidata alle magiche melodie di "Veil of Mist". Con la lunga "Dark Mist" la proposta del mastermind hongkonghese inizia a prendere più forma, delineandosi appunto come un depressive black, dalle tinte fosche e cupe, al pari dello screaming del vocalist. La prima parte del pezzo viaggia su coordinate stilistiche davvero atmosferiche, con una linea di chitarra evocativa in quel suo tremolo picking che potrebbe quasi fuorviarci e farci propendere ad un post rock. Il finale vede l'appesantirsi della sezione ritmica senza tuttavia mai trascendere in fatto di velocità, fatto salvo per la furia post-black affidata all'ultimo minuto e mezzo del brano. "Incoming Transmission" ha un preambolo nuovamente ambient, in cui una chitarra acustica s'intreccia con suoni di synth. Ma è solo una sorta di intro ad un pezzo più andante, nel quale l'artista esprime attraverso la malinconia della linea melodica e delle sue harsh vocals, la solitudine, l'impotenza e la frustazione della gente della città in cui vive, dopo un biennio davvero complicato per Hong Kong. E questo dissapore per la società emerge forte e sconsolato dalle note del brano, in cui il musicista ha modo di combinare al black eterei suoni post rock in lunghe fughe strumentali. I pezzi si susseguono, viaggiando peraltro su durate abbastanza consistenti: "Reign", nel suo torbido incedere, sfiora i nove minuti e lo fa combinando chitarre tremolanti con un drumming al limite del post-black, mentre la voce di Derrick, forse troppo nelle retrovie tipico delle produzioni molto underground, distoglie l'attenzione da quelle melodie che inneggiano qui più che altrove ai Deafheaven. Il risultato è davvero buono, forse una produzione più pulita avrebbe giovato ulteriormente, ma siamo agli inizi, quindi mi aspetto grandi cose in futuro da Mr. Lin. Ancora un intro acustico con la dolce (si avete letto bene) "Memories", un pezzo strumentale che potrebbe fare da ponte tra la prima parte e la seconda del cd, in cui lasciar vagare la vostra mente mentre guardate la cover dell'album. Qui è ancora la componente post-rock a dominare, sebbene il drumming nella seconda metà si faccia più convulso e alla fine dirompente. "Despair" prosegue sulla medesima linea tracciata dalle precendenti song: inizio timido, acustico e poi con l'ingresso dello screaming di Derrick, ecco che le chitarre si fanno più "burzumiane". Ma attenzione, perchè questo pezzo riserva una novità proprio a livello vocale con l'utilizzo del pulito in una sorta di coro, a mostrare le enormi potenzialità a disposizione della band asiatica. L'emozionalità che trasuda 'Through the Mist with Courage and Sorrow' va comunque sottolineata come vero punto di forza dell'album che si chiude con "In Between", un pezzo ove è lo shoegaze a dettare legge tra chiaroscuri di chitarra, magnifiche e sognanti melodie, un cupo pessimismo cosmico ed una gran dose di malinconia che mi fanno enormemente apprezzare la sublime proposta dei Voyage in Solitude. Bene cosi! (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 77 

Crypts of Despair - All Light Swallowed

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal
Even though the Lithuanian scene is not one of the most well-known ones, it has always delivered some interesting bands. Personally, I had some previous experience with some black and doom metal bands, but this time is the moment to discover one of those obscure bands that plays a clearly more brutal style. Crypts of Despair is a four-piece founded almost twelve years ago, though the band required almost a decade to release its first effort entitled 'The Stench of the Earth'. This was a self-release with a good quality that made possible that the always prolific underground label Transcending Obscurity Records showed interest in them. So, thankfully we did not have to wait so much time and after three years, Crypts of Despair are going to release its sophomore effort 'All Light Swallowed'.

Crypts of Despair plays death metal with a modern and clearly brutal touch, although it doesn´t reach the level of relentless speed and brutality to be tagged as brutal death metal band. Anyway, the ferocity of its sound is out of discussion. 'All Light Swallowed' has a very strong production, dense and profound, which sounds totally professional and fits the style of the band. Stylistically, as said, this is a pure death metal with a modern touch as the guitars have a distinctive disharmonic touch, that makes them sound more chaotic and smashing. Here we can find two tips of vocals, deep growls combined with more high-pitched ones. Anyhow, the first ones have a greater room, but the combination of both is always an interesting touch of diversity. The album opener "Being-Erased" is a clear example of it, with maybe a greater presence of the screaming vocals in this case. This first opus is one of the fastest of the whole album, albeit it has some nice changes in the tempo, especially in the second half with the inclusion of some mid-tempo and even slower parts. This diversity of pace is a constant touch, even if we can always expect the speedy fury so common in this genre. In any case, Crypts of Despair likes to make a clear contrast between the sections full of blast-beasts and the much slower and heavy parts. We have plenty of examples like the excellent "Anguished Exhale" and "Synergy of Suffering", where the song evolves abruptly from super-fast sections to mid-tempo ones, and in these parts the double-bass sounds absolutely smashing. No one can deny that Crypts of Despair tries to extract all the potential from this formula and they actually do it in the right way, creating songs with an undeniably crushing sound and strength independently of the chosen pace. The album flows between tracks with this aforementioned formula, where the songs, whose structure maybe doesn’t differ that much, achieve a very effective combination of rhythmic changes, making this album a fun listen.

All in all, 'All Light Swallowed' is a super solid death metal album from a band that has done a good step forward in terms of production and refinement in its compositions. A refinement done to achieve a focused brutality, that will satisfy fans of modern death metal done right. (Alain González Artola)


sabato 20 febbraio 2021

Carcolh - The Life and Works of Death

#PER CHI AMA: Epic Doom, Candlemass
Bordeaux, terra di vigne e preziosi vini, lande che fanno pensare ai famosi chateau, i castelli, magari infestati, dove la colonna sonora potrebbe essere benissimo quella servita dai Carcolh e dal loro nuovissimo 'The Life and Works of Death', atto secondo del quintetto transalpino. Sei brani per godere del doom tradizionale dei nostri, miscelato ad una epicità di fondo, come quella che ho percepito in "From Dark Ages They Came", laddove il vocalist inizia a cantare e per un attimo, mi sono sentito proiettato indietro nel tempo, ai Bathory di 'Twilight of the Gods'. Bella sensazione, sebbene il sound dei cinque francesi sia decisamente più statico rispetto al maestro svedese. Ma quando si parla di Svezia, ecco che un'altra band accorre in aiuto per ciò che concerne le influenze della compagine di quest'oggi, ossia i Candlemass. E nella seconda "Works of Death", emergono tutti i richiami alla band di Leif Edling e soci, con una sezione ritmica bella compatta, circolare, con un mood novembrino ed una performance vocale che, seppur avessi maggiormente apprezzato nella opening track, qui si conferma comunque di buon valore. Per non parlare poi della sezione solistica, davvero interessante e godibile nella sua fluida melodia. E l'aura fosca ed autunnale si palesa anche nella ritmica indolente della lunghissima "The Blind Goddess" che vanta uno spettacolare assolo conclusivo, ad altissimo tasso tecnico ma soprattutto emotivo. Più breve e dinamica "When the Embers Light the Way": qui la componente epica si fa più forte nel raddoppio delle chitarre, mentre la voce del frontman si presenta più graffiante. Per non parlare poi della parte centrale, in cui il pezzo si fa più aggressivo in concomitanza con un cantato vicino al growl. E poi via, con un altro spettacolare assolo, una parte cantata e poi voce e chitarra solista ancora a braccetto, per quello che alla fine sarà anche il mio pezzo preferito dell'album. "Aftermath" è un pezzo anomalo nel contesto del disco, vista la vena dark gothic che rimanda ai Fields of the Nephilim, per un brano di sei minuti che suona in realtà più come un lungo bridge per la conclusiva "Sepulchre", un nome un programma. Si perchè per atmosfera lugubre, pesantezza e dilatazione delle chitarre, beh manca poco che ci si avvicini al funeral doom. Non ci sono le voci catacombali del funeral altrimenti, i quasi undici minuti del brano confermerebbero la mia tesi iniziale. Gli unici bagliori di luce si vedono infatti attraverso i soli squarci solistici delle sei corde. Un brano carico di tensione ma a mio avviso non troppo convincente. Alla fine, 'The Life and Works of Death' ha comunque il sapore della vittoria, presentandosi come album maturo e suonato con competenza. Un pizzico di malizia e personalità in più e potremmo sentirne delle belle. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2021)
Voto: 73

giovedì 18 febbraio 2021

Oakmord - We Were Always Alone

#PER CHI AMA: Funeral Doom
La band di oggi è un duo tedesco-finlandese al loro debutto, con questo monicker. Si perchè gli Oakmord includono il batterista Juergen Froehling degli Absent/Minded (già incontrati più volte qui nel Pozzo), peraltro pure ex dei My Shameful, cosi come lo fu Sami Rautio, chitarra, basso e voce della band di oggi. 'We Were Always Alone' è quanto partorito dai due musicisti, un lavoro di quattro pezzi per oltre 30 minuti di tetre sonorità funeral doom. E con un background del genere cosa vi aspettavate? Non ci si stupisca quindi della criptica e deprimente melodia acustica che apre "I Pray to Unforgiving Skies", prima che il rombo di un riffone tonante irrompa nelle casse dello stereo, accompagnato da una voce al vetriolo. Giusto un paio di riff super dilatati, diciamo di un paio di minuti, e poi di nuovo un break acustico. E il gioco ondivago si ripete con un nuovo attacco distorsivo che ci riporta in un altro ipnotico e circolare giro acustico, con le voci a gracchiare in sottofondo. "Dilution of Pain" appare ancor più tormentata e malata nel suo lento incedere ma soprattutto in quel doppio cantato da incubo. Poi a prendere il sopravvento è una parte decisamente ritmata, prima di disturbanti suoni elettronici che ci catapultano nella seconda parte del brano dove le voci da orco tornano a dominare. Ancora un inizio tranquillo, quello proposto da "Deliverance", fatto di suoni lontani, corde pizzicate, landscape desolanti e voci sussurrate. Giusto un lungo e laconico antipasto dronico che ci porta nel fulcro funereo della song, cosi deprimente nella sua solitaria linea di chitarra e in quegli scarni vocalizzi in sottofondo. Insomma, se siete alla ricerca di una emotività sofferta e decadente, qui troverete quanto avete bisogno, confermato peraltro dalle note conclusive di " My Eyes Reflect Only My Death", l'ultimo bagliore di morte che si scorge nelle deprimenti note di questo 'We Were Always Alone'. Un lugubre addio affidato a cupe e sofferte parti atmosferiche che confermano le qualità di un nuovo gruppo affacciatosi nel mondo della musica del destino. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 72

https://oakmord.bandcamp.com/album/we-were-always-alone

Blurr Thrower - Les Voûtes

#PER CHI AMA: Cascadian Black
Trittico di uscite davvero interessanti in questo primo scorcio di 2021 in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions. Partiamo la nostra analisi dai parigini Blurr Thrower e dal debut su lunga distanza, 'Les Voûtes', dopo l'EP uscito nel 2018. Come spesso accade in casa LADLO, ci troviamo al cospetto di una one-man-band votata ad un black primigenio, nervoso, a tratti schizoide. Queste le prime sensazioni dopo esser stato investito dalla furia necrotizzante di "Cachot", la traccia d'apertura di questo lavoro, che per oltre dodici minuti frusta, percuote, scudiscia, flagella con sferzate ritmiche sparate a tutta velocità, con un sound che sale sulla pelle, e poi ci va pure sotto con maestria e malvagità. Il black dei Blurr Thrower è senza ombra di dubbio malefico, guardando ad influenze statunitensi per ciò che concerne l'approccio cascadiano, e penso in primis agli Ash Borer e ai Wolves in the Throne Room. Fortunatamente, non è tutta una tirata da fare in totale assenza d'ossigeno, altrimenti mi sarei visto morto già verso il terzo minuto. Il misterioso mastermind che si cela dietro a questo monicker ci concede infatti una lunga pausa ambient a metà brano, prima di tornare alla fustigazione ritmica, alle percosse e alle scudisciate citate in apertura. L'urticante voce e le rasoiate chitarristiche completano un quadro che avevamo già avuto modo di osservare e apprezzare nel precedente 'Les Avatars du Vibe'. Con la seconda "Germes Vermeils", song che vede la partecipazione dietro al microfono di Gaetan Juif (Baume, Cepheide, Scaphandre giusto per citarne alcuni), il fluido musicale si fa ancor più venefico per quanto un intro quasi post rock, mi avesse fuorviato un pochino. Ma la traccia, nel suo tempestoso manifestarsi, si rivela ben più melodica dell'opener, anche perchè dotata di una vena più tormentata e malinconica, con una batteria che più tonante non si può e in sottofondo uno strano bagliore elettronico a ingannare i sensi e affliggere l'anima. Il lungo finale dronico è la ciliegina sulla torta ma anche preludio della terza "Fanes", che si muove su simili coordinate stilistiche in quello che sembra essere un incubo ad occhi aperti, di cui "Fanes" ne è appunto colonna sonora. Quarto e ultimo pezzo affidato ai dodici minuti di "Amnios", con il drumming ipnotico e militaresco, scuola Altar of Plagues, in apertura a prendersi la scena, prima di una nuova tempesta ritmica che si abbatte furiosa sulle nostre teste, martoriandoci a dovere per lunghi tratti e lasciandoci alla fine agonizzanti in un ultimo frangente atmosferico. Ottimo comeback discografico questo 'Les Voûtes' per l'act francese, che vede fare un balzello in avanti rispetto al debutto, ma che necessita tuttavia ancora una limatura nell'intento di acquisire una personalità ben più definita. La strada intrapresa è comunque quella giusta. Penetranti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/les-vo-tes

mercoledì 17 febbraio 2021

Cornea - Apart

#PER CHI AMA: Post Rock, God is an Astronaut
Questa mattina è arrivato il corriere, mi ha consegnato 'Apart', album di debutto dei patavini Cornea. Non potevo fare altro che mettere il vinile sul mio giradischi e assaporare le note strumentali di questo nuovo terzetto italico, che vede tra le sue fila Sebastiano Pozzobon che apprezzai come bassista dei Dotzauer, Nicola Mel, (ex?) voce e chitarra degli Owl of Minerva (un'altra band che abbiamo ospitato qui nel Pozzo) e a completare il trio, Andrea Greggio alla batteria. La proposta dei tre musicisti viaggia su lidi alquanto differenti dalle loro precedenti band, trattandosi infatti di un post-rock dalla forte vena shoegaze. Ad aprire le danze "Daydreamer", un brano che definisce immediatamente le coordinate stilistiche su cui correranno i nostri, con un inizio alquanto oscuro ed intimista. Da qui le note si fanno più eteree, con la chitarra che s'incunea in territori dapprima morbidi, per poi esibirsi in un riffing più corposo e sognante, a cavallo tra post rock e post metal, quest'ultimo retaggio sonoro sicuramente ascrivibile a Sebastiano. I suoni sono suggestivi, per quanto manchi una voce a bilanciare la cascata sonica in cui ci siamo immersi, ma ne vale la pena, non temete. Con "Kingdom", nonostante un poderoso avvio, ci si imbatte in suoni più psichelidici che hanno la grande capacità di mutare in brevissimo tempo, prima ancora in un robusto post metal, e a seguire, in una serie di cambi di tempo e di ritmo dal potere avvolgente, peccato solo l'assenza di una presenza vocale a guidarci nell'ascolto, lo so, sono ripetitivo alla morte. Con "Will Your Heart Grow Fonder?" i suoni si fanno ancor più profondi a generare quasi un moto emotivo nella nostra anima, sebbene le sferzate ritmiche cerchino di rinvigorire la proposta della compagine veneta. Un break acustico rompe gli schemi, con basso e chitarra a sonnecchiare timidamente, dandoci il tempo di una pausa ristoratrice. Poi è la melodia della sei corse a prenderci per mano e condurci nella parte più intrigante e atmosferica del disco, con il basso in sottofondo a generare tocchi di un magnetismo impressionante. Qui la componente malinconica si fa più vibrante dando quel quid addizionale al brano forse meglio riuscito di 'Apart'. Tuttavia, siamo solo a metà strada del nostro cammino, visto che mancano ancora i tocchi delicati della suadente e crepuscolare "Saltwater", una piccola gemma che ha forse il solo difetto di risultare troppo circolare nel suo incedere. Essendo la traccia più lunga del disco, rischia quindi di essere quella che stanca prima, ma i nostri provano a cambiare registro con riverberi luminescenti, puranche con roboanti riff che vanno a rompere quella delicatezza iniziale. "Sentinels of a Northern Sky" parte ancora con fare gentile con la chitarra a prendersi la scena nel suo affrescare melodie raffinate, mentre il basso in sottofondo sembra richiamare (non chiedetemi il motivo, è solo una sensazione quella che provo) echi dei vecchi The Cure. Il brano cresce progressivamente con la chitarra a lanciarsi in fughe in tremolo picking, mentre il drumming detta il ritmo in modo preciso e bilanciato. A chiudere l'album ci pensa "Diver" che con i suoi astrali bagliori onirici ci accompagnerà fino alla conclusione del disco donandoci l'ultime note di un post rock che paga forse qualche tributo a mostri sacri del calibro di Mogway, Explosions in the Sky, i più lisergici Exxasens e i più robusti Russian Circles, ma che comunque mette in mostra le qualità di una band che deve solo non aver paura di osare un pochino di più. (Francesco Scarci)

(Jetlow Recordings - 2020)
Voto: 74

https://cornea.bandcamp.com/album/apart

domenica 14 febbraio 2021

Cardiac Arrest - The Day That Death Prevailed

#FOR FANS OF: Death/Black
Another great contribution by the WHOLE band! Everyone worked greatly to making this an outstanding one for 2020. The vocals fluctuate which makes it more diverse and dynamic of an album. It's surprisingly shorter than most of their LP's (if not all). That doesn't take away from their contribution to metal here. This is all in all pure death/rot. The guitars are still in B-flat so there's still that "chunkiness" to the songs. Tempos vary a lot here which is cool. And the leads were shriek-ingly intense. Technical, but loud! It seemed like they had a lot of ideas here to bring for to stage. And the riffs were really groove laden. It's definitely experimental album in that sense it's atypical CA.

I've found some really interesting tracks to be "Naegeric Outbreak" and "A Call For Violence." But I've located all the tracks to be pretty good, so I'd recommend these first to check out on YouTube. This album is available on Bandcamp or Spotify, a lot of the tracks are also on YouTube. I've found the whole album on Spotify, but I'm to get a physical CD of the album when they're available. It always sounds better through my speakers than my iPhone. I prefer CD over digital and the fact that you're supporting the band. I think ever since the beginning of CA, they've always stayed true to their roots. They've stayed death/rot metal and continue to stay.

The overwhelming variety in the music makes this to be one of their best. I really admire the riffs and the different tempo changes throughout the album. Adam knows how to write some killer riffs. Always a bad ass in the guitar department. It's been a great experience to know some of these guys in different preferences of musical tastes. The production quality is raw-like in respect to how the overall sound is. The mixing was done well too and everything sounds good in that respect. It's always great to hear interesting metal. This is one of my favorite CA albums (by far) though I just had wished that it was a bit longer. That's alright though. It's still a great listen to!

Show the band some support on Bandcamp getting the digital music or when the CD's become readily available, purchase them. Keep the spirit of the pure death/rot metal. Another album done and these guys totally nailed it. I totally respect the band and what they put out musically to the metal community. And being a native Chicagoland band puts them in the ranks of top notch to this day. Having heard bands like Cianide, Blood of the Wolf, and Everdying I've had to just say that they're the ones who've dished out the most recordings and consistently. If Cianide were able to put out more music, they'd be among the top ranked in Chicago. CA is among them. Buy their music! (Death8699)


venerdì 12 febbraio 2021

WitcheR - Néma Gyász

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Quello che ho tra le mani oggi non è altro che l'EP del 2012 dei WitcheR, rispolverato dalla Filosofem Records con una traccia addizionale, che porta la durata di 'Néma Gyász' a quella effettiva di un full length, senza dimenticare poi l'utilizzo di una nuova veste grafica per l'artwork di copertina. Il disco consta di cinque tracce per oltre quaranta minuti di musica. L'album si apre con una tastieristica intro ambient a cui segue "Egyedül": qui grande spazio viene concesso alla componente strumentale che delinea immediatamente il sound del duo ungherese come un black atmosferico. Quando la voce di Roland irrompe col suo gracchiare, i toni diventano più compassati e la proposta dei WitcheR sembra ammiccare a quella dei loro conterranei Sear Bliss. Questo per dire che i due musicisti ungheresi non propongono chissà quale ricercata proposta sonora, tuttavia il compito lo portano a casa con diligenza e intelligenza. Si sente ovviamente che il sound non è ancora del tutto formato, pecca ancora in fase compositiva e sembra essere un po' carente in fatto di personalità, per non parlare poi di una pastosità nei suoni che ne minano la riuscita finale. Nella title track si possono scorgere altri riferimenti che portano i nostri ad abbracciare anche l'epica di Summoning e Falkenbach, con un sound in cui i synth di Karola punteggiano l'intera ritmica del pezzo, affiancati dallo screaming strozzato di Roland e da una linea ritmica talvolta un po' gracile e più nelle retrovie. "Esőnap" è un lungo pezzo strumentale ascrivibile al dungeon synth, visto che qui le keys la fanno da unico padrone. In chiusura la sostanziosa bonus track, "Keresztúton", quindici minuti che ci riconducono alle radici del black atmosferico degli anni '90, per uno splendido salto nel passato che vuole rendere tributo a 'Stormblast' dei Dimmu Borgir oppure ai Gehenna degli esordi. I ritmi si confermano rilassati per quasi l'intera durata del brano, la cui stesura è comunque concomitante a quella degli altri pezzi. Eppure nel finale qualcosa cambia, un licantropo sembra impossessarsi di Roland che sprigiona dalla sua bocca voci demoniache, cosi come la ritmica qui si fa più incalzante e tirata che nel resto del disco, mostrando un lato che fino ad ora non avevamo apprezzato cosi tanto. Se il mattino ha l'oro in bocca, allora dobbiamo aspettarci grandi progressi per l'ultimo album realizzato, quel 'A Gyertyák Csonkig Égnek' che presto recensiremo su queste stesse pagine. (Francesco Scarci)

(Rotten Crowz Productions/Filosofem Records - 2012/2020)
Voto: 70

https://witcherband.bandcamp.com/album/n-ma-gy-sz 

Blood of the Wolf - III: Blood Legend

#FOR FANS OF: Death/Black, Morbid Angel
This is a bit more mild then their first two albums, but it's still good work! It's a little bit less than 20 minutes in length, but that doesn't take away from the glory of the EP. I'd say all 4 tracks hit home with me. They really know how to work hard and making some original death/black metal. It's all in your face killer! But yeah, all of these are going to pave the way to the next release. By far, they've been heading in the right direction since their debut. I don't think there's anything that I've heard from this band that isn't worthy of praise. The music is what is most captivating and intriguing. The songwriting is just amazing.

Mike was serious when he said that he's been doing good with the writing of these songs. I'd have to agree with him wholeheartedly. There isn't a song I've heard in his entire discography that I've disliked. Now they just need to keep up the pace. It'd be really great if they come out with a full length this year. If we have to wait, we wait. But the EP here is just a segue to probably another good LP. I would say that every riff on this EP is amazing. I think that the production quality here is amazing and the mixing well done, too. They really kick ass once again! Mike's vocals are deep and the riff-writing totally original.

I think that this band is filled with a long life and is totally original. The music is what hits home in every aspect. The low-end vocals just tear it up along with the guitars. Everything here slays! There is a little bit of diversity in the vocals but not much. When they change it up, it sounds good! The drums on here are sick too, fast and furious! They keep up with the guitar well. I'd venture to say that for an EP, this one does a lot of justice for the band. Tempos aren't always the same, but mostly they rip it up with fast blast beats and tremolo picking guitar work. Mike does a great job in the vocal duties.

If you haven't heard this and you're a metalhead, get it! It's a segue to the upcoming album (hopefully soon). I got this on CD, but it is available on Bandcamp and possibly YouTube. I liked all 4 tracks. They just don't end with fury, they are fueled with might! These guys just blew me away when I first heard this. Then checking out albums I&II I though was a good idea. it's good to get all of their material because it's fast, furious and filled with rage. These guys are unrelenting and they don't give up on the intensity. Wish I could see them perform in the some near future if that'll ever be possible again. Get this! (Death8699)


(Horror Pain Gore Death Productions - 2019)
Score: 80

https://hpgd.bandcamp.com/album/iii-blood-legend

Craft - White Noise and Black Metal

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Swedish Black
Dark, depressing and grim is the atmosphere of this LP. They keep it really underground to say the least. The music isn't really too fast, but has some good riffs I'd say more than here or there. The vocals make the music even more dark. I'd have to say that everything on here isn't something that you'd want to listen to if you're melancholic. So yeah, the riffs I like a lot and the aura of the album. The intensity is there, too. It's a pretty diverse release musically. I like what I'm hearing. But it's not something that I'd say I'd get the CD to. Maybe, maybe in time. My genres aren't too keen on black metal.

The guitars are really original riff writing wise. They seem to keep the rest of the instruments in flux and yes, there are some points where the music is a little bit fast and fierce. They change tempos up quite a lot. And a lot of tremolo picking with the guitars. Definitely neat in composition style. I like the way they put the music together. Of course more songs would've been nice but this is 42 minutes and the music just is balls out intriguing. I liked all of the songs on here. There's a little biased in me saying so because I'm a former guitarist. But yeah, all of the music on here is damn well good!

The production as I discussed has made the album even more dark. The sound quality is good and the mixing superb. I recently heard of this band and definitely liked what I heard. There aren't many tracks on here that have a lot of vocals which is alright a lot of it is guitar work not so much voice. But that's alright, seems like the concept is to get the guitar riffs to be overpowering in most of the music. It's definitely their concept or way of writing on here. Seems to be the focus on most of the songs on here. As I have listened through the album, the music (as stated) is the main focal points. There seems to be mostly just music.

I like this release but I thought that they needed more vocals to it to keep it more well rounded. But in any case, I still give it a "B" rating. They definitely are a good band and this album has put them in the category of some awesome black metal. I have this on my phone and find that listening to it closely the music was definitely the primary highlight than anything else. They just needed to add to the music with more vocal tracks. That's my only beef with the release. I thought that most of the riffs were really cool. And the sound quality was good. Loved the guitars a lot and the atmosphere. Check it out! (Death8699)


mercoledì 10 febbraio 2021

Needlepoint - Walking Up That Valley

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Folk
Nel brano di apertura del nuovo disco della band di Oslo, "Rules of a Mad Man", c'è una frase del testo che mi ha colpito molto e dice più o meno così: "...ben presto la scacchiera fu un disastro, il gioco non aveva l'aspetto degli scacchi, la regina è stata pugnalata da una forchetta, da una pedina malvagia di New York..." Questo dettaglio, a mio parere, è la chiave per affrontare e capire il pianeta Neddlepoint, band talentuosa, con più di un decennio di vita e molti album alle spalle, band dall'indole visionaria, stralunata, piena di risorse e degna prosecutrice di una sorta di musica concettuale con chiari rimandi al periodo power flower, quanto alla psichedelia di fine anni '60, primi anni '70 per toccare picchi di progressive, jazz e free rock. Un quartetto capace, proprio come nel primo brano, di cantare e mettere in musica, le vicende di una battaglia che avviene tra pedine, fantomatici eroi e cavalieri, in una scacchiera immaginaria. Questa ben presto si allargherà ad un campo di battaglia all'interno della mente di un folle, affondando le sue radici in un contesto intellettuale, talmente fantasy e psichedelico favolistico, che lascia sconcertati per tanta fruibile bellezza. I norvegesi Needlepoint adorano il lato morbido e poetico del progressive, carico di venature assai colorate, ove nei testi si nasconde sempre una vena malinconica. Nel loro rincorrere voli di libera fantasia, ci si può imbattere poi in un corpo che si sdraia sull'erba e vuole essere portato via dalle formiche, proprio come raffigurato nell'artwork della copertina, sulla falsa riga de "I Viaggi di Gulliver". Musicalmente il quartetto di Oslo è impeccabile grazie a una sezione ritmica brillante piena di vitalità esecutiva che quando scioglie le briglie è un piacere ascoltarla. Tra le varie peripezie, la lunga "I Offered You the Moon" è una vera delizia. Una voce moderata di grande enfasi conduce il gioco ma non invade mai il campo, a tratti ricordando il guizzo allucinato dei Nirvana (quelli psichedelici inglesi non quelli di Kurt Cobain) di 'The Story of Simon Simopath' del 1967, poi si ricoprono di luce cristallina aprendosi al psych folk di 'The Shepherd' dei Genesis più intimi, abbandonandosi alle allucinazioni psichedeliche tra The Kaleidoscope e primi Caravan. L'intero disco è solcato da un sacco di strumenti e ospiti, il solo vocalist e compositore di tutti i brani e testi, Bjørn Klakegg, suona chitarra, cello, flauto e violino con cui, nel finale della folkloristica "So Far Away", dona anche un tocco di atmosfera celtica, il che ne amplia notevolmente le prospettive. "Carry Me Away" assume un taglio esotico con venature jazz, rock e bossanova, inoltre la presenza del coro "Carry me away", impreziosisce il brano portandolo verso lidi inaspettati e geniali proprio nella sua parte finale, cosi carica di fascino luminoso. "Another Day" e la lunga title track, con quella sua iniziale sognante malinconia e la sua coda evolutiva, sono l'ideale conclusione per un'opera immensa che il grande pubblico amante del prog/psych con la P maiuscola dovrebbe conoscere. Un disco che nasconde un'infinità di spettacolari luoghi e paesaggi sonori tra le sue note, un album che impressiona anche solo immaginando lo sforzo fatto per la sua stesura, l'ottima produzione e la sua artistica concezione, un disco che a dispetto del tempo, è da mettere in bacheca tra i gioielli di un'era, quella tra il 1967 ed il 1970, che cambiò il modo di intendere la musica rock, per sempre. (Bob Stoner)

martedì 9 febbraio 2021

The Corona Lantern - Certa Omnibus Hora

#PER CHI AMA: Sludge/Death Doom, My Dying Bride, Cult of Luna, Morbid Angel
Nati nel 2014 in quel di Praga come realtà post metal, i Corona Lantern tornano a cinque anni di distanza dal loro debut 'Consuming the Tempest'. 'Certa Omnibus Hora' è lo scoppiettante comeback discografico del quintetto ceco che propone sei nuovi pezzi che ne svelano la nuova anima. A rivelarlo è "As Wide Eyes Travel", traccia d'apertura di questo secondo capitolo, che mette in mostra un sound più slabbrato che abbraccia anche doom e sludge, toccando qua e là anche influenze più esterne. Sarà l'utilizzo diversificato di una voce (quella di Daniela "Dahlien" Neumanová) capace di muoversi tra un growl aspro e spoken words, di un suono costantemente ritmato dall'inizio alla fine del brano, e di un senso di oppressività che non lascia tregua per tutti i sei minuti e mezzo dell'opener, che persiste nel generare pensieri e tormenti nell'anima. Già diversa e più accessibile è la seconda "Through This Swamp of Oblivion", un brano che evidenzia altre peculiarità del sound dei nostri ma che con il suo incedere inquieto, sembra scandire il tempo che conduce alla fine della vita, perfettamente allineato peraltro con il titolo del disco, ossia l'ora della fine è certa per tutti. Una metafora, la linea e il senso dell'esistenza, la paura, la morte, tutte tematiche che lascio a voi il piacere di approfondire, sfogliando lo splendido libretto incluso nell'elegante cd della compagine ceca. Fatto sta che, per quanto cupa e pesante sia la melodia del brano, la trovo decisamente più ariosa dell'opener, con una linea di chitarra di facile presa che ci conduce anche nei meandri oscuri di un black fosco che per oltre dieci minuti ci condurrà fino alle porte della più funerea "Up the Last Hill". Questo è un altro brano che si muove più a rilento nel contesto musicale del disco, non fissando peraltro grossi punti di riferimento nel panorama doom, sebbene il suo sound possa essere accostabile ad un ipotetico ibrido tra My Dying Bride e Cult of Luna. Interessanti non c'è che dire, ma anche arcigni e ostici da digerire, quindi fate attenzione. Questo implica inevitabilmente un maggiore sforzo in sede di attenzione da dedicare alla proposta del quintetto, il che è piuttosto consueto quando ci si avvicina ad un genere complicato come questo. Con "Hours Between Heartbeats" il suono si fa più dinamico, complice un attacco più death oriented che si assesta su un'alternanza tra parti violente e altre più compassate e melodiche, in cui la melodia della sei corde fa da driver all'intero pezzo, non disdegnando in alcuni momenti anche aperture quasi progressive, per un finale che emula il battito cardiaco a svanire. Un bel giro di tastiere apre la più psichedelica "Make Me Forget", che quando attacca con le chitarre sembra pagare dazio a "Shades of God" dei Paradise Lost. E lo dico con un'accezione positiva, dal momento che ho amato alla follia quel disco. Certo, non siamo di fronte alla grandezza di quel masterpiece che l'anno prossimo compirà 30 anni però, la musicalità, il tremolo picking, l'alternanza ritmica e la prova convincente al microfono di Dahlien, ne fanno probabilmente il brano meglio riuscito del cd. Ma ne manca ancora uno all'appello, "The Truth and Its Will", con i suoi 10 minuti abbondanti di sonorità e atmosfere soffuse che sembrano coniugare nel modo migliore, scavalcando quindi in termini qualitativi la precedente song, quanto ascoltato sin qui in 'Certa Omnibus Hora'. Il brano mette in mostra le migliori melodie del disco, mi appaga in termini di malinconia, qui rilasciata a fiumi, ha dei riffoni di una pesantezza estrema quasi ci trovassimo di fronte ai Morbid Angel, e poi sublimi sono quelle sfuriate tipicamente blackish sul finire. Diciamo che rimane ancora qualche ingenuità da limare qua e là, necessaria per scrollarsi di dosso quell'alone eccessivamente "nineties" che sembra avvolgere l'intero album, ma la band è di certo sulla strada giusta per creare una propria identità che le permetterebbe di accedere ad un pubblico più vasto ed altrettanto esigente. Osare ancora di più please! (Francesco Scarci)

Carcass - Reek of Putrefaction

#FOR FANS OF: Gore-Grind
Sweet debut from UK greats! This is pure gore-grind. Raw, brutal and fast are some ways to describe this album in its entirety. Both trade-offs in the the vocal department. Screams and bellows are some of the sounds of the vocals. It's a good combination. I liked this whole debut. Of course it lead up to something greater even though Ken Owen can't rejoin the band due to his massive brain hemorrhage when he was only 28. He's not to play drums any longer. It sucks because like Mick Harris (ex-Napalm Death, ex-Defecation) Ken was a grind great! All we have are his memories of this earlier albums.

The music is just all over the place, grind blasts everywhere. It's a mixture of death metal and grindcore hence gore-grind. There's actually a lot going on at once with this album. Some tracks feature the vocal trade-offs and blasts some just aggressive vocals and slower tempos. And strikingly loud lead guitar. In any case, Carcass does a great job as staying extreme here as to what's to pursue down the line in terms of discography. Bill and Jeff being longtime members put together some pretty cool music even though it fluctuates all over the place. That's alright though, it's what to beholden of them as I said in the future.

I enjoyed this whole album because it is just so sickly crazy. The tempos swing like memoirs of moods and madness which is taken from Kay Jamison - An Unquiet Mind. Imagine that being this Carcass release as being one big episode of madness. It's greatness is in its experimental sounds. The riffs are KING and the blasts are with precision. Ken makes a great effort in the drum department the whole way through. I enjoyed this CD a lot because of its universality. And unique sound vibes to it. It really packs a punch to it the whole way through. They just tear it up in the grind department.

This album is quite raw and unique. It really goes every which direction in sounds the guitars are just a massive aneurism. And the vocals by all three of the band members are sickly. They just don't let up in trade-offs, versatile tempos and massive grind. I would check this out on YouTube if you're a newbie to grindcore or goregirnd. It's a must to listen to this in its entirety to get a taste of what raw uncensored Carcass sounds like. The album artwork is quite disgusting so just factor that into the music and well you get the idea. I like old Carcass because of what they've become. Get it and take a listen or many! (Death8699)