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giovedì 5 dicembre 2024

Misha Chylkova – Dancing the Same Dance

#PER CHI AMA: Electro/Shoegaze/Folk
Dopo una manciata di singoli, esce finalmente il full length di Misha Chylkova, compositrice sofisticata dalla voce vellutata e intensa. Il disco si muove a ripetizione tra cantautorato dalle sonorità attuali e un'elettronica minimale e cinematica. Loop ripetitivi e circolari fanno da veri e propri tappeti volanti, visto che l'artista londinese di origine ceca, sa costruire brani sognanti e intimi, con quel pizzico di malinconia che non scade mai nel banale, mostrando un lato intimo che non si cosparge di miele ma che, al contrario, incita alla dilatazione delle pupille in una costante ricerca di qualcosa che va oltre il definito, fin dal primo ipnotico brano strumentale, "Coffee". Difficile accostare Misha ad altri artisti; la sua musica, per quanto minimale, è ricercata e certosina, dalla pulizia del suono al bilanciamento dei bassi, la produzione è infatti assai buona e gioca un ruolo importante per poter assaporare l'intero lavoro. Sonorità moderne per un incrocio di stili difficili da focalizzare, forse la Chelsea Wolfe di 'Apokalypsis' e 'Birth of Violence', in una veste meno dark e più dreampop, un folk cristallino dalla vena grigia, per ascoltatori sognanti che non rimarranno impassibili di fronte ad un brano brillante come "Sparrows", che per certi aspetti mi ha ricordato la magia del suono dei Cigarettes After Sex dell'omonimo album, ma anche le ipnotiche sperimentazioni di Anna Von Hausswolff, in chiave meno apocalittica. La bella voce della Chylkova ha venature molto velate e dolci, che ricordano molto le qualità vocali di Tracey Thorn degli Everything but the Girl, mostrando una versatile capacità d'interpretazione, con cui sposta facilmente l'ago della bilancia tra folk ed elettronica, senza cadute di stile, con piccole toccanti ed ingegnose variazioni vocali sparse tra i brani, che ne aumentano il valore e la qualità ad ogni ascolto. "Dead Plants" è un brano killer che si muove sullo stile ritmico di anthems del calibro di "Atmosphere" dei Joy Division, anche se il brano non è così oscuro ma la sua progressione mette in risalto il fatto che tra le note di 'Dancing the Same Dance', esista anche un legame sonoro con certa new wave che ha fatto giustamente la storia. Questo disco nel suo sembrare, al primo ascolto, fragile e dispersivo, nasconde invece un carattere inquieto e variegato, con punte di sperimentazione non impetuose ma peculiari, pacate e curate, tra sonorità vicine ad un moderno post rock ed un fine tocco di musica elettronica d'ambiente. Un album che non si assimila con un solo ascolto, sarà necessario ascoltarlo più volte per carpirne la giusta essenza, magari di notte guidando in solitudine. Un album comunque, che merita e che conquisterà la vostra attenzione. (Bob Stoner)

domenica 20 ottobre 2024

Serj Tankian - Foundations

#PER CHI AMA: Alternative Metal
Qualche sera fa, a cena, mi hanno chiesto cosa pensassi del nuovo EP di Serj Tankian, rapportandolo poi alla musica della band madre, i System of a Down (SOAD). Ne approfitto per rispondere a chi mi ha fatto questa domanda, scrivendo questa breve recensione, elogiando peraltro 'Foundations', un disco che riassume appieno la cultura musicale di Serj, fatta di sperimentalismi vari, improvvisazioni, punk e alternative, il tutto poi corredato da tematiche sempre ben calibrate su questioni mondiali o temi del paese d'origine dell'artista, l'Armenia, con lo scopo di non dimenticare quanto di deprecabile è accaduto lungo la storia. E Serj lo fa con i mezzi che ha sempre avuto a disposizione, la musica e cinque mai pubblicate tracce che esplodono con la furia punk hardcore dell'opener "A.F. Day", una song che a quanto pare, risale addirittura agli albori dei SOAD e che mostra una componente vocale piuttosto lontana dalla timbrica invece riconoscibilissima del frontman statunitense. Ben più indirizzata lungo i consueti binari di Serj, è la successiva "Justice Will Shine On", in cui la voce di Mr. Tankian torna su vibrazioni a noi note, dedicando la traccia ai sopravvissuti del genocidio armeno. Qui il cantante ci regala ottime melodie avvolte da un velo malinconico, maggiormente rilevabile nei cori e in un finale davvero da brividi. "Appropriations" apre con un bell'arpeggio di chitarra e la voce pulita di Serj in primo piano, a evocare i fasti dei SOAD, in una gamma musicale che si muove tra chiaroscuri armonici, riffoni più potenti e qualche rimembranza orchestrale. "Cartoon Buyer" sembra indirizzarsi verso la più classica delle ballate, ma una sterzata ritmica e delle belle urlate di vecchia scuola SOAD, la rimettono in carreggiata, pur non rinunciando ad atmosfere più soffuse che ritorneranno nel corso del brano, sempre seguite però da vorticose linee di chitarra che mi hanno evocato un che dei SOAD si 'Steal This Album!'. "Life's Revengeful Son" è l'ultimo intimistico, e obliquo, pezzo del disco, in cui la voce di Serj tocca vette sublimi, con il brano a muoversi tra partiture selvagge e anfratti orchestrali che ci riconsegnano un artista, ancora una volta, in super forma. Peccato solo si tratti di cinque pezzi, Serj mi sembra qui particolarmente ispirato. (Francesco Scarci)

(Gibson Records - 2024)
Voto: 75

Soror Dolorosa - Mond

#FOR FANS OF: Gothic/Post Punk
The French band Soror Dolorosa, founded in 2001, has been one of the most interesting exponents of the revival of post-punk/gothic rock in recent years. The five-piece project took some time to release its first album, entitled 'Severance', but since then the band's discography has been impeccable, with the release of two excellent full-length albums up to this year. Yes, it is true that they haven't been particularly prolific, but quality is the main focus here, and Soror Dolorosa takes its time to carefully craft excellent pieces of music. I was captivated by them when I discovered these French guys with the fantastic 'No More Heroes'. I was very curious to discover what they could offer with the new album, which was set to be released seven years after the great 'Apollo'.

'Mond' is the name of the new opus released by the prestigious German label Prophecy Productions. The new effort will certainly satisfy the fans of the project and should continue attracting those who love the classic sound of bands like The Sisters of Mercy or Bauhaus, among many others. Their blend of cold wave with gothic rock and other influences, is perfectly balanced and sounds up to date, thanks to the exquisite icy-cold and crystal-clear production made by James Kent. The influence of the aforementioned legendary projects is clear, but Soror Dolorosa manages to capture their essence and update it accordingly. The band leader Andy Julia is certainly an essential part of the band’s success, with his melancholic and touching vocals that capture the very essence of the genre. From the powerful and super danceable opening track "Tear It Up", where it is almost impossible not to dance, to the most melancholic tracks like "Red Love", Andy shines in every note he sings. As you probably imagine, the album has its ups and downs in terms of intensity, combining more vivid tracks with the calmest ones. "Souls Collide" is a very interesting piece, as it combines calmer and more intense moments in a masterful way. Andy’s rich vocal range and emotional performance reach a high point here, leaving the listener in ecstasy. The album gains intensity again with excellent tracks like "Obsidian Museum" or "Broken Love". The latter one has a captivating synth-guided intro that catches your attention from the very first second, where the tasty bass and main guitars do the rest of the job, alongside, of course, with the always present top-notch vocals.

Soror Dolorosa continues its flawless career with its exquisite new album 'Mond'. There is not a single mediocre track among its nice pieces, where tasty melodies and enthralling vocals hypnotize the listener from the very beginning to the last single note. I have never been lucky enough to see them on stage, but I strongly recommend you give them a chance, as it must be a unique musical experience. (Alain González Artola)


(Prophecy Productions - 2024)
Score: 87

https://sorordolorosa.bandcamp.com/album/mond

giovedì 3 ottobre 2024

O.N.O.B. - Viva! Underground (retrospettiva sotterranea)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
È successo di nuovo. Lo stravagante collettivo veronese dell'associazione culturale Teuta Gwened, è tornato sotto nuove spoglie. Un po' alla stregua dei Thee Maldoror Kollective, che a ogni album modificavano il proprio moniker, anche i nostri, che includono peraltro il buon Bob Stoner, si presentano sulla scena con differenti sembianze: Cardiac, Agatha, De La Croix, giusto per fare alcuni nomi delle varie incarnazioni, e oggi sotto questo intrigante acronimo, O​.​N​.​O​.​B. (Onirica Notturna Ostentazione di Bellezza), pronti a sfornare un nuovo lavoro, 'Viva! Underground'. Il disco consta di otto tracce che nascono ai tempi dello scioglimento dei Cardiac, e da lì ripartono sfoggiando suoni sperimentali, che si palesano sin dall'iniziale "Torture", song dotata di un riffing impastato su cui poggia un parlato quasi indecifrabile. Tutto assai normale direi, almeno fino a quando il ritmo viene alterato dal diafano poetico cantato di Betty che mi ipnotizza con le sue parole "...il tempo fa tic tac..." che si imprime nella mia testa e da lì non è più voluto uscire. La ritmica non è certo delle più raffinate, buono il lavoro di basso in sottofondo, ma ecco nulla di memorabile, perchè tutta la mia attenzione si focalizza sulla seducente ma al contempo sgangherata, voce della frontwoman, una sorta di italica Julie Christmas, forse meno rabbiosa della vocalist americana, ma sicuramente dotata di una buona dose di personalità. Con "La Madre, l'Inaspettato e l'Apocalisse, il sound dei nostri sterza verso sonorità più garage rock punk, coadiuvate peraltro da una porzione vocale decisamente più accessibile, un peccato, visto che ho adorato la prova della cantante nell'opening track. Il brano è dotato di una buona carica di groove, la voce di Betty è si qui calda ma le mie aspettative forse si erano troppo elevate. Con "Contessa" ci imbattiamo nella prima cover del disco, che ci riporta al 1980, quando quei Decibel, guidati da Enrico Ruggeri, la proposero al Festival di Sanremo. Il pezzo, riletto in chiave più moderna (e molto meno beat nel comparto tastieristico), mostra quella ripetitività marziale tipica della musica italiana di fine anni '70, dando sempre comunque rilievo alla vocalità della brava cantante e a un brano che vede una brusca accelerazione nel finale. Con "Destino" si torna a esplorare territori oscuri di punk sperimentale: buona la ritmica (ma tenete presente che la produzione Lo-Fi ne penalizza notevolmente l'acustica) che esalta costantemente la pulsione del basso, a discapito delle chitarre; eccellente ancora una volta la prova vocale, che sembra tenere a galla le velleità artistico-sperimentali degli O.N.O.B. "Anima Sbagliata" è un mattone di oltre 10 minuti che ci trascina in ambientazioni da film horror, che per certi versi mi hanno evocato alcune cose proprio di quei Thee Maldoror Kollective che avevamo citato inizialmente e del loro ultimo 'Knownothingism', complice la voce irrazionalmente espressiva della frontwoman, che ci accompagna fino a un certo punto, prima di abbandonarci in sonorità lisergico-catartiche davvero ispirate, che sfoceranno addirittura in un assolo dalle tinte psych rock. Il disco ha ancora modo di offrirci altre piccole chicche: dal noise rock di "Agli Occhi degli Uomini" alla più sghemba "Ombre", che chiuderà il disco, passando attraverso la seconda cover del disco, la più normale e rockeggiante "Diversa", a firma The Underground Frogs. Un disco quello degli O.N.O.B., in grado di esaltare la filosofia del DIY e farci potenzialmente ampliare nuovi confini della nostra mente. (Francesco Scarci)

venerdì 31 maggio 2024

L'Ombra - Soli

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
Una band di Chambéry, un quartetto formato da basso, chitarra, batteria, e una cantante di origine italiana, canzoni cantate in entrambe le lingue madri delle due nazioni cugine. Una musica dal forte accento teatrale ma non predominante, un post rock d'ampio respiro nel suo apparire, ma usato come paravento per nascondere altre mete e contaminazioni, tra cui un fondo jazz, la canzone d'autore francese e il mondo alternativo già esplorato dagli italiani C.F.F. e il Nomade Venerabile, con accenni di Amaury Cambuzàt e i suoi Ulan Bator, riabilitato in maniera più romantica e decisamente con meno tensione. Il disco è interessante ma difficilmente farà presa su un pubblico abituato al rock più generico, sicuramente, al contrario, sarà parecchio apprezzato da chi è avvezzo a derive Neo prog. La canzone "Soli", divisa in due parti, dona il titolo all'opera, giocando sul doppio significato fonetico della parola in italiano. In "Tissu", appare persino uno sfogo alternative dalle tinte prog metal, un po' come lo intendevano i Porcupine Tree e molte atmosfere potrebbero addirittura accostarsi alla band britannica se non fosse per l'interpretazione vocale di Giulia Romanelli, che condiziona e direziona fortemente l'operato del gruppo in maniera poetica, e dove una morbida malinconia quotidiana, fatta di piccoli momenti di vita, è divisa tra il personaggio sognante del film Amelie, e l'astratto che vive nel brano "Milady" dei Matia Bazar. Un'idea di ricerca di libertà, che ben si associa a una visione francese, positiva e sognante, vitale dal punto di vista artistico, propositiva, lontana dal decadente bohèmien e così distante dagli attriti politici e sociali di oggi. Colpisce molto il lavoro ritmico del basso, anche se devo dire che tutti i brani sono ben gestiti da abili musicisti. In particolare "L'Hirondelle" mostra un aspetto molto più ampio e veritiero delle possibilità della band, risultando il più complesso e dall'impatto meno jazzato, guidato da una chitarra cristallina in una sorta di evoluzione tipica di band come gli Airbag, che lascia il fiato in bocca, con una melodia triste e un finale drammatico dallo stile cinematografico. "Amigdala" riporta un concetto più cabarettistico e qui Giulia mescola le due lingue con stile e scioltezza. "Plume" ha uno forma che ricorda certi brani della psichedelia pop anni '60, ovviamente rivista con gli occhi e lo stile di questa band, e devo ammettere che il cantato in francese ha un suo fascino particolare e quel tocco di magia in più, anche quando la Romanelli usa l'italiano, un timbro personalissimo che ricorda Rossana Casale, e il suo modo di esprimere il canto jazz. Ho apprezzato poi tanto "Nonni", il cui testo mi par di intendere che sia di qualche dialetto regionale del nord Italia, e mi si perdoni l'ignoranza se non riesco a decifrarne la zona geografica certa (immagino il piemontese), e questo rimarrà per sempre un mio vuoto, anche se noto una somiglianza di accento con alcune cose di Mara Redeghieri. In realtà, mi piace molto il loro stile teatrale, legato a una poetica che li eleva dal panorama del solito rock e anche se li accostassimo al mondo del progressive, suonano troppo diversi ed eterei, per rinchiuderli fra il perimetro di questo genere; forse il post rock potrebbe essere il posto in cui collocarli, se proprio volessimo classificarli, anche se questo posizionamento rimarrebbe comunque riduttivo. Un lavoro tuttavia complicato, che deve essere ascoltato più e più volte per essere apprezzato veramente, un disco che fa un balzo in avanti dal precedente omonimo album, per qualità e varietà compositiva, per la bellezza della sua copertina, come per la migliore produzione, un disco fatto per ascoltatori aperti alle mille sfaccettature del rock d'autore contaminato e in continuo movimento. (Bob Stoner)

martedì 14 maggio 2024

Pinhdar – A Sparkle in the Dark Water

#PER CHI AMA: Dark Wave/Alternative
Ascoltare questo disco mi ha posto di fronte a un bel quesito. Può esistere di fatto, una linea di contatto sonora tra Portishead, Kirlian Camera e Chelsea Wolfe? Cosi ho provato a estraniarmi, come da modus operandi del Pozzo dei Dannati, da tutto quello che ho trovato in rete, come il fatto che la band milanese abbia collaborato in precedenza con Howie B (uno che ha lavorato con U2 e Bjork, giusto per citarne un paio/ndr), che abbia registrato in UK e che l'autore della copertina sia il fondatore dei Gallon Drunk, e ho cominciato a sezionare quest'opera senza farmi troppo influenzare da altre varianti. Il disco si muove costantemente attraverso atmosfere sospese, fluttuanti, ma toccate da una malinconia astratta, elevata, quasi ossessiva, ritmi lenti ed essenziali, uniti a una cura peculiare dei suoni. In generale, l'effetto ci porta sulla strada dei Portishead ("Murderers Of A Dying God") anche se i Pinhdar hanno un suono più freddo e tagliente, usano l'elettronica in maniera più vicina alla dark wave, e questo li avvicina molto, agli ultimi lavori della band di Elena Alice Fossi ("In the Woods"), anche se è la voce che crea i rimandi più suggestivi e porta sempre l'ascoltatore verso una piacevole catarsi uditiva, parecchio coinvolgente. La voce della cantante Cecilia Miradoli è prioritaria e non delude mai, intensa ed emotivamente viva, mostra le sue potenzialità brano dopo brano, instaurando un perenne duello con il passo lento e ipnotico di una chitarra eterea e notturna, sulla scia di "Nightvision" di Hugo Race, che riesce a mantenere comunque, pur trattandosi di musica elettronica, un ottimo contatto con il mondo del rock. Il fatto di rinchiuderli in un unico calderone chiamato trip hop, lo vedo molto riduttivo, in quanto li trovo anche divisi tra new wave e dark wave ("Cold River"), electro rock psichedelico e freddo alternative rock. Certo, non si fanno mancare attitudini e affinità raccolte dai classici, Massive Attack, Tricky, gli stessi Portishead, e Mandalay ("Humans" o la conclusiva "At the Gates of Down"), ma ripeto sono suggestioni, belle suggestioni, poiché alle composizioni del duo meneghino, manca la componente che rese unico il trip hop, ovvero il lato caldo della black music. È molto attivo invece quel lato sonoro psichedelico e oscuro, che li avvicina di fatto alle atmosfere di Chelsea Wolfe, magari di "The Graim and the Glow", oppure "Pain is Beauty", con una veste più docile, meno folk apocalittico e più elettronica, meno aggressiva e più raffinata ed evanescente. I Pinhdar si spingono molto in alto in quanto a composizione, con l'ambient elettronico di "Solanin" e "Abysses", che portano nell'animo una vena ritmica tribale molto marcata, che peraltro riesce a mostrare concretamente, che la linea di contatto tra Portishead, Kirlian Camera e Chelsea Wolfe, può essere di fatto tracciata, ascoltando questo brano. In sostanza, 'A Sparkle in the Dark Water' è un disco che richiede un'immersione a fondo, per non incorrere a facili resoconti di somiglianza, che potrebbero ingannare al primo ascolto. Musica notturna e riflessiva, atmosfere profonde, attimi di sospensione eterni, infiniti che rendono questa release una delle migliori uscite per una band in continua ricerca e crescita stilistica. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

giovedì 2 maggio 2024

Bloody Sound – Sound Bloody Sound

#PER CHI AMA: Alternative Rock
La marchigiana Bloody Sound Record, per festeggiare i sui vent'anni di attività discografica in nome del più arcigno concetto "do it yourself", ha collezionato una raccolta di 14 tracce inedite estratte dai lavori dei tanti artisti del proprio rooster, passati nei corridoi sonori fin dal 2004, e inglobandoli in una raccolta molto interessante e intelligentemente confezionata, che porta il titolo mirato di 'Sound Bloody Sound', ovvero lo stesso della prima compilation fatta uscire appunto nel 2004, quando l'etichetta era ancora una fanzine. Calcolando il vasto territorio del suo patrimonio sonico, l'ambiente musicale trattato è alquanto variegato, e spazia dal punk alternativo dei Lleroy, per arrivare alle sperimentazioni dei Saturday Night Dengue. Da questa etichetta che conta uscite di artisti assai quotati, tra cui OvO, Fuzz Orchestra e Jesus Franco and the Drogas, salta fuori una compilation che si fa ascoltare con tanto interesse dal primo all'ultimo brano, passando per punk, alternative, afro jazz, hip hop contaminato, elettronica, ambient e avanguardia. Si parte con "Cilicio", brano esplosivo degli ottimi Lleroy, per continuare con un'altra bomba che scuoterà le folle, il brano "Borgobio" di Zolle, a cavallo tra l'alternative e quel modo di intendere il rock potente, in aggiunta al glam dei Turbonegro. Di seguito i già citati Saturday Night Dengue, sperimentali, quanto l'interessante canzone di Esseforte, tribali ed etnici i primi, hip hop dal suono singolare con influenze elettro jazz il secondo. Māyā ci parla con morbida verve psichedelica; psych più elettronica invece per la coppia Mattia Coletti/Marco Bernacchia in "Night Monk", più rumorosa a tratti la proposta dei Kaouenn, mentre più luminosa quella di Terenzio Tacchini in "Plein Air". Scansionando il tutto a settori musicali e non nell'ordine di scaletta del disco, si passa poi al lato più sperimentale d'ambiente, sulla falsa riga di soundtrack ispirate e visionarie, come quella di Loris Cericola ("Tutto Tondo" sarà uno dei miei brani preferiti) o l'inconfondibile stile chitarristico del noto musicista/produttore, Bruno Dorella con la sua strumentale, cupa e desertica interpretazione del brano "Ghost Wolf". Tonto presenta una canzone dal taglio elettrodub, peraltro bella coinvolgente ma la mia attenzione cade sulla bella traccia dei Sapore, che trovo deliziosa, dal canto stregato e dalla sua sonorità astratta, acida e ipnotica. Gli Heat Fandango ci regalano una bella performance, con la loro "Giro di Giostra", al limite tra '60s garage e rock italiano, assai godibile, che riporta l'ago della bilancia verso il rock più sanguigno e nervoso che si va a incanalare perfettamente a "Sea of Darkness" dei CUT, cult band bolognese in corsa nel circuito rock da parecchio tempo. Un elenco esteso ma dovuto per cercare di darvi un motivo valido per addentrarsi in una compilation di questo tipo, compito che molti ascoltatori stupidamente, saltano volentieri a piè pari. Il bello di questa collana di titoli, è proprio il gusto musicale che fa da filo conduttore, e si muove in perfetta sintonia tra brani molto diversi tra loro, riuscendo a tessere una trama credibile e di qualità, che aiuta l'ascoltatore ad appassionarsi al disco, traccia dopo traccia. La Bloody Sound ci ha fatto proprio un bel regalo per festeggiare i suoi primi vent'anni di musica alternativa, con la release peraltro disponibile in cassetta, cd deluxe handmade a tiratura limitata, e ovviamente in formato digitale. L'ascolto, a questo punto, direi che è doveroso. (Bob Stoner)

mercoledì 3 aprile 2024

Lato - Karisma

#PER CHI AMA: Indie Psych Rock
Onde d’acqua circostanziale. È "Soul of Blood". Un suono che si trasforma in concentrici cerchi vitali. Ed è improvviso quanto imperante l’incipit dell’album, con quel graffio di elettricità strumentale a breve trasformata in una risacca cantata. Se amate l’acqua pura e i suoi abissi incantati, addentratevi in questo mare apparentemente calmo. Questa prima song dei milanesi Lato parte con la sinuosità dell’acqua che preda sia l’ascolto che l’empatia distorsionale del cantato. Muoviamoci poi verso "Certainty and Disenchantment", secondo pezzo incluso in questo 'Karisma' (che dovrebbe essere anche il secondo disco per la band italica). Stride l’esordio del brano. Picchia forte. Graffia gole arse. E poi inizia quel cantato che scalda improvvisamente. Direi una versione futurista di Jonny Cash, ma senza le tipiche inflessioni country. Il pop si mescola in una disillusione dell’attesa. Funziona bene. Anzi molto bene. E mi ritrovo trepidante. La terza traccia sarà diffratta dalle precedenti? A voi "Millions of Us", che non risparmia l’usura delle corde metalliche in un riff piuttosto accattivante, reiterato, ricco di mordente. Il fondo del brano è sempre mosso, come sballato sistematicamente da sonorità etnico percussionali, morbide. Entra il pop della voce, ma anche quello che credo sia uno stralunato sax. Non posso fare a meno di sentire rimembranze anni '90. Per una attimo sono tornata agli U2 e alla loro "Achtung Baby", ma ne siamo comunque lontani. Approvato il presente nel passato. Ma veniamo al momento oscuro del disco con "Stars Spangling". Un treno d’altri tempi sbuffa ritmicamente. E poi arriva alla stazione dolcemente. Il brano dondola in una bolla di zucchero. La voce accarezza lasciando piccole ferite tra pelle e anima. Il ritornello vorrebbe spaziare, ma accompagna. In quattro parole. Una song piacevolmente sospirante. Spezziamo la malinconica dolcezza con "Triangular". Si, perché questa song è distratta, ipnotica, e dal taglio alternativo. Posso farvela immaginare come una danza sinuosa, a tratti spinta, ma mossa da abbandono e utopia. Una traccia per dimenticarsi di se stessi, ascoltandola e riascoltandola. Elettronica, strusciante, digitale. Parte la robotica "Hole in My Head". Solo il cantato ci fa aggrappare alla realtà, mentre la base ritmica potrebbe collegarci a un gioco della Playstation. Ascoltiamo poi la robusta "Diamonds". Torna un indie pop, spaccato a metà strada tra gli Oasis e quel post punk da pub underground londinese, ove ballare e isolarsi dalla realtà, e null'altro. Arriviamo al penultimo pezzo con "Deep". La traccia parte da lontano con una lunga e tiepida carezza, e prosegue in pallide nuvole senza pioggia. È cupa, eppure non porta pioggia. È vento, eppure le foglie sono immobili. È malinconicamente emozionante eppure invisibile in un sospiro in cui la si può solo sentire, ma non vedere. Un climax emozionale in cui è la voce a guidarci nel buio. Chiudiamo l’ascolto di 'Karisma' con "Dancing with Decadence". Armonica e la voce suadente del frontman. Nostalgia e consapevolezza. Stile e coraggio. Avvolgente e caratterizzante questo album. Un incontro di suoni e voci che spezzano, accarezzano, avvolgono, sfiorano, giocano con noi. (Silvia Comencini)

sabato 23 marzo 2024

Zipper Blues - I Wish I Could Be Like a Tree

#PER CHI AMA: Dark/Alt Rock
Bisogna ammettere che, mentre ci sono artisti come il signor Lindemann, che non hanno compreso bene, o hanno semplicemente dimenticato, lo spirito con cui si faceva ottima musica alternativa tra la seconda metà degli anni '80 e i primi anni '90, (sono convinto che la sua cover di "Entre Dos Tierras", non sarà ricordata nel tempo a venire), altri meno famosi di lui, ne fanno bottino e buon uso tutt'ora, proprio come la band veronese degli Zipper Blues. I nostri, alternando erudizioni eighties con quella dell'alternative rock/grunge degli anni novanta, danno vita a un EP dagli spunti molto interessanti. 'I Wish I Could Be Like a Tree' nasconde molti richiami dell'epoca, ma come in una sfera di cristallo, l'insieme sembra tutelato da un'originalità molto intelligente, soprattutto nella composizione e nell'uso dei suoni atti alla rievocazione sonora. Il disco ha un buona produzione, moderna e di qualità, i brani risentono di un taglio tipico della new wave e del post punk, forse perché la sezione ritmica è già in forza tra le fila dei Carnage Visors, nota tribute band ufficiale dei The Cure, e fin dalle prime note, ci si accorge che basso e batteria suonano con lo stesso stile, minimale, avvolgente, pulsante e statuario, tipico dell'album 'Seventeen Seconds' di Smith e soci. Nella filosofia musicale degli Zipper Blues vige una linea molto vellutata per il rock, che anche quando si aprono alle cose più rumorose, mantengono il controllo in maniera maniacale, sobriamente ricercati, per creare un suono omogeneo che si estende per tutti i brani dell'album. La chitarra mi piace molto, perché vanta influenze che possono ritrovarsi nelle atmosfere dei Cocteau Twins ("The Gain Game"), negli Smashing Pumpkins ("Squash the Bug") e persino sfumature care al sound dei Red House Painters di 'Down Colorful Hill', offrendo un apporto importante al sound, pur rifiutando il ruolo di primadonna. Inserita sempre in maniera peculiare, la sei corde si muove a suo agio tra le ritmiche tonde, proponendosi con un suono dinamico ma non esuberante, e comunque sempre dall'anima perfettamente rock. Il tribale usato in "Insanity" rimanda all'iconico inizio di "Figurehead" dei The Cure, cosi come il giro di basso del singolo "In or Out" è un toccasana per le orecchie cosi pure nel finale della conclusiva "Lipton", dove la chitarra si appresta a riecheggiare armonie di memoria Screaming Trees e Nirvana (quelli meno rumorosi), senza mai eccedere in vortici dal sapore noisy. L'equilibrio è il grande segreto e valore aggiunto di 'I Wish I Could Be Like A Tree', album autoprodotto registrato negli studi della Fantasma Records. Il quartetto suona bene e il disco non mostra lacune, l'anima dark si estende qua e là, capitanata dalla bella voce di Sara, che difficilmente si presta a un confronto con vocalist più famose, poiché vive di una veste canora tutta sua, uno stile particolare, che guarda al glam, ma che sa dare anche profondità (ascoltatevi "The Gain Game") e il riferimento più attinente, se proprio vogliamo paragonarla a qualcuno, direi Anneke van Giersbergen dei The Gathering in "Shortest Day", primo brano dell'album 'Home'. Stiamo parlando di rock raffinato e maturo, con una buona dose di esperienza portata da musicisti che sanno costruire brani efficaci e piacevoli. Non rimarrete delusi da questo EP di debutto degli Zipper Blues, e sicuramente non avrete la sensazione di trovarvi di fronte a uno scontato e sommario album buttato lì per caso, il disco è tutt'altro che mansueto e i suoi 23 minuti si fanno ascoltare tutti d'un fiato. Sarebbe una nota dolente per voi farvelo scappare, ascolto consigliato! (Bob Stoner)

martedì 19 marzo 2024

Cannibali Commestibili - Dio Sta Invecchiando Male

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Se tanto ho amato titolo del disco, artwork e moniker di una band che non conoscevo assolutamente, non posso dire altrettanto di essermi lasciato sedurre dai contenuti di questo 'Dio Sta Invecchiando Male', nuova release dei trentini Cannibali Commestibili. Mettiamoci però che il sound proposto dal terzetto italico non rientra proprio tra i gusti affini alle mie papille gustative, offrendo un alternative rock cantato in italiano. Sei i pezzi a disposizione dei nostri, brevi, essenziali, e con quella giusta presunzione di volersi ficcare nella nostra testa a tutti i costi, come accade con il coro dell'opener "Scimmie": per quanto mi riguarda, l'obiettivo però non è raggiunto. Posso tuttavia apprezzare il fuzz delle sei corde, la robustezza di qualche ritmica, soprattutto quella della title track, interessante anche per le sue liriche. Ma ci sono alcune cose che non mi hanno fatto impazzire durante l'ascolto dell'EP, la voce è una di queste, che a mio avviso, ha il suo perchè quando si propone più aggressiva e ben supportata dalla muscolosità delle chitarre. Le stesse chitarre poi, in taluni passaggi, mi indispettiscono per quel loro piglio hard rock che a mio avviso non rende giustizia all'ensemble e potrebbe bollarlo addirittura come discendente di gente del tipo di AfterHours o giù di li ("Cimice"). Direi invece che preferisco la band in comparti più attuali e sperimentali come accade in "Vodka Economica" che, tra vaneggiamenti di primusiana memoria, testi psicotici e passaggi più claustrofobici, mostra la parte più sperimentale del trio. Lo stesso dicasi per la stravaganza di "Ballerine Splatter", bella furiosa nel comparto vocale e nelle brevi schegge chitarristiche, o in chiusura, con l'ossessività paranoica della breve "Il Finale". Insomma, un disco che per quanto mi riguarda, ho faticato ad apprezzare fin da subito, ma che nella sua brevità, potrebbe comunque riservare qualche bella sorpresa. (Francesco Scarci)

Above The Tree & Drum Ensemble Du Beat - Afrolulu

#PER CHI AMA: Psych/Noise/Indie
Quanto di nuovo ci sia in questo secondo album degli Above The Tree & Drum Ensemble Du Beat, album che arriva esattamente dieci anni dopo al loro debutto, lo lascio al libero arbitrio degli ascoltatori. Il fatto che sia un buon disco non lo metto nemmeno in dubbio, d'altra parte la band è composta da musicisti navigati ed esperti, ma trovo che gli manchi qualcosa per aprire una breccia nei cuori del pubblico contemporaneo, non per sua mancanza propria, ma perché penso che questo tipo di sound sia tanto nostalgico e di rimando ai concetti sonori che animavano a suo tempo, i Banco de Gaia, che oggi per i più, potrebbe risultare purtroppo poco attraente. L'intuizione di un suono analogico con il sodalizio tra vibrazioni retrò e psych, che ricordano alcune pagine scritte ai tempi d'oro della musica afrobeat degli anni '70, saranno apprezzate solo da persone esperte in quest'ambito musicale, e da chi come me, ama riscoprire questo tipo di sonorità. Analizzandone il lato più sperimentale dei brani, ci rendiamo conto che 'Afrolulu' gode e soffre delle stesse virtù del suo suono, lasciandoci stupiti per quei suoi ritmi e canti rituali tipici del continente sub-sahariano, condito da percussioni e riverberi che possono ancora destare qualche sorta di effetto sulla nostra conoscenza musicale, dopo la scomparsa della prima ondata della musica trance, quella più ipnotica e cerebrale, quella che mostrava ancora segni di intelligenza. Quindi i brani "Bufalo" e "Lagos", giocano facilmente la carta etnica e nostalgica, mentre "Talker X" si abbandona al flusso d'ispirazione lavorando sulla falsariga di cose apparse sullo splendido album 'Deceit' dei This Heat, mentre "Fc Lampedusa", e infine "Sabbie", si espongono a un suono più sperimentale, che se godesse del potere di certo Hi-Fi, potrebbe gareggiare con le uscite "high-tech" della Ultimae Records. Un disco quindi cerebrale che al primo ascolto risulta ostico, ma che a un ascolto più approfondito, mostra una saggezza psichedelica fuori dal comune e anche aspetti krautrock in più occasioni. Un album liturgico nel segno di 'Freeform Flutes & Fading Tibetans' dei già citati Banco de Gaia, per un bagno ipnotico, suoni familiari, e costruzioni che si dissetano nel mare del già conosciuto e sentito, ma che sprigionano nell'ascoltatore un cosmo di allucinogene fughe dalla realtà, un allargamento sonico della propria percezione temporale. Un viaggio sonoro in un mondo primordiale immaginario, a cui vale la pena partecipare, costellato di mille rimandi, dai campionamenti vocali delle voci di Malcom X e Martin Luther King, fino ad arrivare ai canti tradizionali africani. Musica fatta con un cuore d'altri tempi. (Bob Stoner)

mercoledì 28 febbraio 2024

BS Bone – Cerberus Bone

#PER CHI AMA: Hard Rock
Album difficile da inquadrare questo nuovo lavoro dei molisani BS Bone, un disco carico di energia elettrizzante ma incredibilmente fuori tempo massimo sotto l'aspetto sonoro e compositivo. L'album si snoda bene e non rallenta mai, è dinamico e ben suonato, ha dei brani di sicuro effetto, che potrebbero mostrarsi dei singoli perfetti ma espone anche alcuni dettagli negativi. Una buona produzione rimette in pista quattro canzoni già presenti nel primo EP, ma mi destano dei dubbi alcuni dei suoni usati, che risultano come un incrocio tra il sound dei Mother Love Bone, vedi "Always a Cheater", che per il sottoscritto è una splendida canzone, e certo metal di fine '80, anche se qui le strutture si rifanno più alle sonorità di band degli anni '90 come i Mindfunk, o ancora al primo grunge, quello di gruppi ancora in erba che poi diventeranno famosi. Infine, sottolinerei l'uso del riverbero sulle voci che risulta datato e scontato, avrei osato qualcosa in più nell'effettistica. "Bad Influencer" nasconde qualcosa di hard rock vicino ai primi lavori degli Audioslave ed è trascinante, come "IDG (a Fuck)" del resto, anche se tutto è simile allo stile dei mitici e dimenticati troppo in fretta, The Almighty. Possiamo dire che il concetto compositivo è molto classico e segue sempre la logica giusta, senza mai porre deviazioni pericolose, e questo rende l'opera molto omogenea e compatta, e tolto il velo che li riconduce a certo rock duro dei '90s, bisogna ammettere che il disco funziona comunque, pur suonando in una maniera molto vintage, se accostato ai canoni standard di produzione metal odierna. La ballad "Panic and Silence" diventa un classico, "Dysfunctional Souls" ha un coro in stile Anthrax che è puro amarcord, e via fino alla fine, tra assoli pirotecnici perfettamente incastrati e giri di basso a dovere, anche se l'inizio della conclusiva "Suicide Journey" sembra affidato a un riff di Simon Gallup dei The Cure. 'Cerebous Bone' è un lavoro che può essere criticato sotto tanti aspetti, ma credo che riceverà anche tanta stima, visto che per certi versi, ignora quello che il metal offre in genere in epoca moderna, e il suo fascino retrò e la sua grande energia, unite a una ruvida genuinità, lo fanno elevare sopra tutta una serie di lavori appiattiti contemporanei. Ascoltate il riverbero nella voce di "99 Lions", che farà correre i vostri ricordi ai Motley Crue oppure ai White Lion, una cosa impensabile al giorno d'oggi, e sono sicuro che comunque questo disco conquisterà molti fans, sicuramente quelli che conoscono, hanno seguito e seguono l'evoluzione del genere in questione. Un disco interessante, che pecca solo nel suo essere debitore del suono e nelle idee di un'epoca passata ma che viene riportata in vita nel presente da una band viva, che ha voglia di esprimersi con tanto orgoglio e sano carattere. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 70

https://bsbone.bandcamp.com/album/cerberus-bone

mercoledì 14 febbraio 2024

Katatonia - Sky Devoid of Stars

#FOR FANS OF: Alternative Metal
Well, this metal is more on the alternative side of that genre, very eclectic! I liked this whole album, there were really no peaks and valleys in it, it was solid the whole way through. I didn't play favorites with any of the songs, either. They were all good, the 11 tracks featured a bonus song. I kind of didn't want this to end, it was so mesmerizing. It's anything but aggressive though the roots are still in that genre, I wouldn't call this alternative rock really like see more modern Anathema. This band is Swedish based and a lot of excellent albums are from that country, especially melodic bands. That would be At The Gates, Dismember, et al though those are really heavier bands. Dark Tranquillity and Arch Enemy are other metal bands that are melodic too!
 
The recording quality was quite good. The instruments were well mixed too, and I'd have to say that it's a more romantic sort of recording, featuring more clean vocals throughout. That's what made this album so appealing if you're not expecting anything heavy. It's just not there on here!

I kind of didn't want this album to end! But it met the mark in my top albums for 2023. It would be the one that I've held most in high esteem for that genre, and others that are a bit heavier would be Fires In The Distance. They're melodic too but a little bit heavier. And good news that yet another Dark Tranquillity album is coming out soon they've just finished with that recording so my sources say! It's a year that has done well with metal in 2023. This year, in terms of melodic bands, Everdying is another melodic band that's heavier though and much more aggressive than Katatonia. Anyway, all the songs on this Katatonia release are favorites. I can't site one that's better than another. They all have a special place in their discography.
 
Not to digress like I did previously, this is something that's so esoteric and surreal! They're not balls out intensity, it's wholly melodic with so many intriguing instruments in the mix that are essentially clean. Basically, they have light-to-metal guitars and keys that play well with the vocals.

I think this is my favorite release from the band. It's so consistent, just don't expect it to be balls out heavy the element here is "feel" opposed to aggression. These guys take melodicism to the next level with genius syndrome effects and essence, as I'll revisit my previous state. Check it out! (Death8699)
 

venerdì 2 febbraio 2024

Sarneghera? - Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Tornano i bresciani Sarneghera? per raccontarci altre epiche storie proveniente dal lago d'Iseo, utilizzando quel loro stralunato sound che già avevamo avuto modo di apprezzare in 'Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1', atto primo del quartetto nostrano. 'Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2' prosegue su coordinate similari, arricchendosi tuttavia di ulteriori richiami che, nella distruttiva traccia d'apertura, "Human Killa Machina", sembrano accostare a quella disarmonica linea ritmica già descritta nel debut, richiami di "beatlesiana" memoria nel bridge centrale o addirittura echi dei The Buggles, quelli che cantavano "Video Killed the Radio Stars", per intenderci. Sarò un visionario, però questo è quello che ci sento, nonostante la band lombarda ci prenda a badilate sul muso. E continuano a farlo anche nella più punkeggiante "Vono Box", una cavalcata abrasiva interrotta da momenti più ragionati, che rendono l'ascolto dei nostri più interessante, soprattutto a fronte di un'alternanza vocale - pulito/distorto - alquanto azzeccata e a delle liriche che ancora una volta miscelano più lingue. "Sos" è un pezzo più ipnotico, grazie a un'arpeggiata parte introduttiva che lascerà ben presto il posto a una roboante ritmica in grado di evolversi ulteriormente verso più direzioni, tra il math, l'alternative e il post metal cinematico. Non si tirano certo indietro i Sarneghera?, il braccino corto lo lasciano ad altri e provano in mille modi a sperimentare, riuscendoci poi più o meno bene e non importa, ciò che è rilevante è quello che ne venga fuori sia sicuramente ancora assai apprezzabile. Ultimo brano e sento anche qui odore di provocazione, cosi com'era successo nel primo EP: "L'Universo è una Parte di Me", cantata anche qui in italiano (un'altra analogia col precedente lavoro), mescola garage rock, indie, alternative, post-hardcore e tanto altro, per un pezzo breve, ma ficcante al punto giusto. Mentre mi rimetto ad ascoltare l'EP, ribadisco la necessità di un lavoro più lungo per meglio tastare il polso dei bravi Sarneghera?. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings/I Dischi del Minollo - 2023)
Voto: 74

https://sarneghera.bandcamp.com/album/il-varco-nel-vuoto-tales-from-the-lake-vol-2

sabato 18 novembre 2023

S.C.I.O. – Discorsi Distorti

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
Quasi un'ora di deliri sonori in compagnia del basso elettrico di Stefano Scioni (alias S.C.I.O.), uno che ai tempi della sua militanza negli UDE, ha aperto per i mitici Scisma. Questo è il suo debut ufficiale per la Overdub Recordings, intitolato 'Discorsi Distorti'. Una sorta di presentazione del disco viene fatta dal polistrumentista emiliano con l'introduttiva "Primo Cielo", che spiega l'esperienza dell'ascesa al monte Cusna, la visione delle stelle, l'insegnamento del cielo e dello spazio sulla necessità di svanire in un buco nero (una metafora che credo debba valere come insegnamento all'umanità), un eccessivo uso delle parole che porta solo a discorsi distorti. Ecco un sunto, alquanto destrutturato, del razionale/idee/pensieri che si celano dietro a questo monolitico disco di ben 15 tracce che si muovono tra l'alternative rock e lo stoner, tutto (o quasi) rigorosamente in modalità strumentale. Si inizia dalle cupe atmosfere di "Blame the Colours", tra suggestioni in chiaroscuro e quelle che sembrano chitarre stratificate (è in realtà un basso) al limite dello stoner. È poi il turno della brevissima interferenza elettronica "Elettronoia", che ci introduce alle spagnole spoken words di "Respiri Verso l'Aria", un pezzo più intimista che per questo ammicca al post rock, quello più notturno, freddo, quasi distaccato ma che con quelle sue tormentate linee di basso, ha invece un effetto opposto, in grado quindi di scaldarci quell'anima impassibile che giace in mezzo al nostro petto. Inquietanti voci in sottofondo aprono e ci accompagnano per oltre un minuto in "Tra le tue Parole", per poi lasciare spazio a un brillante, melodico ma stralunato pezzo che dovete assolutamente ascoltare. In "Pseudoumani", fa finalmente la sua comparsa la voce del frontman, sorretta da pulsanti linee di basso e da un'atmosfera darkeggiante che per due minuti e mezzo incutono una sorta di timore reverenziale; poi spazio ad una splendida cavalcata con batteria, basso e synth a guidarci in questo valzer sonoro. Un altro simbolico bridge ambientale ("Nostalgia e DNA") per cui vale la pena quasi esclusivamente soffermarci a riflettere sul titolo ed eccoci arrivati alle super distorsioni di basso di "About Brunale", song dal piglio noise (nella prima parte), più alternative nella sua progressione verso la coda del brano, e dove ancora a mettersi in mostra sono senza ombra di dubbio le melodie architettate dal polistrumentista italico. "Il Sole è Solo Mio" potrebbe quasi essere una dichiarazione egocentrica messa in note da Luigi XIV, mentre "Sasha Corri" lascerà un sapore jazzy ai vostri palati. Il disco si sposta verso le sperimentazioni orientaleggianti della brumosa e claustrofobica "Riferimenti in Circolo", mentre il basso introduttivo di "Le Prigioni di Jaco" ricordano un che dei Tool più psichedelici e la sua progressione include altre influenze della band californiana, in quello che forse è il brano più movimentato (insieme alla splendida e caleidoscopica conclusione affidata a "Dorotea") e anche i miei preferiti del disco. Gli sperimentalismi proseguono nella più angosciante "Conquiste" o nelle parole sconnesse di "La Luce di Rol" che fanno da introduzione ad un pezzo parecchio introspettivo. Un lungo viaggio in grado di estrapolare attraverso la musica, i pensieri angoscianti di Stefano su una società esclusivamente destinata all'estinzione. (Francesco Scarci)

martedì 14 novembre 2023

Closure in Moscow – Soft Hell

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
Devo ammetterlo, questo nuovo album degli australiani Closure in Moscow, mi ha creato molti conflitti, fin dall'uscita dei primi singoli. Premetto che ho adorato le uscite precedenti reputandole geniali e molto sottovalutate, però questo album non me lo aspettavo fatto in questo modo. I nostri hanno fatto una scelta stilistica simile all'ultima fatica dei Coheed and Cambria, oppure l'ultima uscita dei The Mars volta, o al tempo, 'Pitfalls' dei Leprous, dove delle ottime band in odor di hard rock progressivo moderno e ad alto tasso tecnico, si spostano verso ambienti più pop, alla ricerca di notorietà e un più vasto pubblico. In fatto di tecnica, questa band ha già dimostrato di non essere seconda a nessuno e, anche in quanto a produzione, ha sempre avuto standard altissimi. Ricerca dei suoni ed eleganza sono una prassi per la band di Melbourne, però in questo disco i nostri calcano tanto la mano su innesti funk, pop, dance, il tutto a discapito delle fughe nel rock prog che rendevano gli album precedenti pazzeschi. Immaginate gli Incubus ancora più tecnici, ma più goliardici, che giocano con il funky dei migliori FFF (French Funk Federation), si esaltano in assoli ma non entrano mai in un'atmosfera diversa dallo scanzonato rock che ricorda certi gruppi funk metal degli anni '90. Il disco è pieno di idee sullo stile dei progetti di Omar Rodriguez Lopez, ma come nell'ultima opera dei Coheed and Cambria, passo dopo passo, ci si avvicina sempre più ad una deriva elettro/indie/pop rock, con buone intuizioni ed ottime sonorità, al passo con certe cose di Saint Vincent, ma che guasta con il passato dei Closure in Moscow, per come si sono proposti in precedenza e i dischi che hanno fatto fino a questo punto. Certo, cambiare rotta fa parte di un artista e la ricerca, seppur avanzata in generi nuovi ed inusuali, non si è fermata anzi si è espansa, però qui la band ha cambiato registro e cercato una soluzione più appetibile per un pubblico più ampio. Resto tuttavia dell'idea che per la caratura di questi musicisti, inseguire le orme di band come i Red Hot Chili Peppers, che in cambio di un grande successo hanno perso grinta, carisma e freschezza nelle composizioni, non sia la strada giusta, almeno dal punto di vista artistico. Tornando all'album, non posso far altro che dire che è un buon disco, suonato troppo bene per restare nel calderone del pop, carico di buone idee, belle sonorità e tecnica sopraffina ma troppo pop, soul e funk, per emergere tra i seguaci del progressive rock e dell' alternative rock, che potrebbero rimanere delusi da quel velo di leggerezza che pervade l'intera opera. Cosa, comunque, che non intacca minimamente le qualità di composizione e di esecuzione di questi musicisti, che rimangono spettacolari, con un vocalist eccezionale che risponde al nome di Christopher de Cinque. 'Soft Hell' è il titolo di questo loro quarto album, quasi un presagio che avverte i fans di un'imminente sconvolgimento dei piani, con una forma musicale sempre ricercata ma più melodica e meno selvaggia, un disco tutto da interpretare che creerà pareri contrastanti tra i fans dei Closure in Moscow. "Don Juan Triumphant" è la mia preferita perchè porta nella sua composizione molti richiami al loro passato, "Jaeger Bomb" ha un tiro pazzesco, mentre in "Lovelush" vi trovo persino qualcosa degli '80s al suo interno e con la sua vena sognante e romantica, per quanto ricca di curiosità soniche, mi sconcerta più di tutti gli altri brani. Un album che deve essere ascoltato e studiato da mille angolature per capirlo e dargli il giusto apprezzamento, una nuova veste per questa band, che ha sempre e comunque, saputo mettersi in risalto ad ogni uscita. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 70

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/soft-hell

mercoledì 27 settembre 2023

Three Fish - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grunge/Alternative
La balattonza-da-cucchiaino-in-mano "Solitude" in apertura (ma anche la riverbero-crepuscolare "Strangers in My Head" più avanti), senz'altro reminescente di certi intimismi psicotropi collocabili dalle parti dello Staley (stra)rarefatto dei Mad Season (ma là c'era Micino McCready au lieu di GeiGei Ament) prelude a una divagante e jammosa session di grunge funky (il cosiddetto grunk) composta da ben diciotto fottutissime canzoni (più o meno) agilmente reinterpretanti certi stilemi consolidati, perlomeno in quegli anni, perlomeno da quelle parti. Efficaci "vedderate" ("Laced" o la into-the-riverberante "Zagreb"), efferati muretti garden-sonori ("All Messed Up" e "Silence at the Bottom"), qualche strappetto fuzzy-indie d'ordinanza ("Song for a Dead Girl", la dainosour-grattugiosa "Secret Place") sono numerosi esempi di quel suono tanto ampio quanto inquieto che individuate a badilate nel coevo 'No Code' ("Here in the Darkness" o "Build"). Se potete sopportare la fesseria sufi dei tre pesci, orgogliosamente recitata da GeiGei in tre, dico tre, distinti momenti, il (ri)ascolto dell'album a quasi trent'anni dalla sua pubblicazione, vi risulterà strusciante e confortevole più o meno quanto un paio di mutande di flanella. (Alberto Calorosi)

martedì 29 agosto 2023

Judith Parts - Meadowsweet

#PER CHI AMA: Ambient/Dreamwave
L'elemento base qui è il trip hop, in una forma ulteriormente rarefatta, liquefatta in profondi echi sconfinati, governati da una calda voce e da un radicato concetto di musica sospesa che condiziona tutta l'opera. È il caso del brano d'apertura che regala il titolo a questo nuovo album, 'Meadowsweet', delicata ma cupa, soave ma decisamente destabilizzante, in un contesto di sensibile estraneazione dalla realtà. Ed è in questo mondo surreale che Judith Parts, violinista, cantante, music producer e sound designer estone, con base operativa in Danimarca, libera ed elabora le sue visioni musicali. Tra musica eterea ed elettronica minimale e futurista, drone music e tappeti cosmici, Judith ha imparato bene la lezione di certo morbido acid jazz evanescente e i vari segreti del trip hop, raffreddando e smembrando gli acuti ritmici dei Portishead, utilizzandone la veste canora, adattandola alle sue tele musicali, utilizzandone i metodi e raffinandone un sound personale anche se non nuovo, che si impreziosisce di piccole venature rubate alla musica classica. E ancora, atmosfere al rallentatore, come quasi a tessere una trama che funge da colonna sonora di un film astratto e dai colori tenui, al contempo abbaglianti, ipnotici ed emotivamente pericolosi ("November"). La veste soundtrack rincorre spesso e volentieri tra i brani di questo secondo lavoro dell'artista baltica, ma è con la sua tonalità eterea da musa irraggiungibile, che unita ad una diffusa tensione emotiva, che si toccano le vette più alte, ed il romantico brano "Burn Like Witches" ne è la prova più tangibile, una song elevata quasi a forma mentale zen per le orecchie. "Intro 1" sembra un estratto da un documentario sciamanico e introduce "Nettle Field", uno dei brani più ritmati del disco, con un sound al confine con le geniali sonorità world music del compianto Mick Karn, ma debitamente ridotte all'osso e sezionate a dovere. "Apple Tree" si muove tra sussulti rumoristici, elettronica sperimentale e un cantautorato d'intima bellezza che trova un altro picco di massima espressione nella conclusiva "Spells", un brano dallo spaziale gusto organistico, dove possiamo immaginare un organo con visuale sul cosmo e in uno schermo ipertecnologico, un lento scorrere d'immagini tratte dai migliori film di Wim Wenders. Un brano che non avrebbe sfigurato nella magnifica colonna sonora del film "The Million Dollar Hotel". Questo disco segna il percorso che potrebbe dare una svolta credibile per una rinascita, ancora più intensa, sperimentale e ricercata della musica elettronica in chiave trip hop. Un disco da non sottovalutare per la qualità delle sue atmosfere sospese ed irraggiungibili, ideali per gli amanti della musica sognante e futurista. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

giovedì 25 maggio 2023

The Pink Mountaintops - Axis of Evol

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Psichedelia
Strafattanza sydbarrettiana in apertura ("Comas"). "Plastic Man, You're the Devil": blues urbano di quelli tanto cari a Jack White, ma aromaticamente zeppeliniano (per la precisione, aromaticamente Zep-3, e per la maggior precisione, aromaticamente "Hats Off to Roy Harper", la traccia che conclude Zep-3). Il nervosismo velvet-sotterraneo di "Cold Criminals". Lo psych-space della cupa "Slaves", a metà tra certa neo-psichedelia anni '90 (cfr. "Spiritualized") e i Pink Floyd di "Obscured by Clouds", amplissimamente esplorato in seguito con i Black Mountain. Il fuzzy-gospel sincretico "Lord, Let Us Shine". "New Drug Queen": inappuntabile darkwave, forse prossima a certi riusciti, consapevolissimi coxonismi. Saltate pure l'interminabile post-noia di "How We Can Get Free". Sette tracce, meno di trentacinque minuti. Psichedelico negli intenti e non certo nelle sonorità, il side project di Stephen McBeam sembra conferire forma alle emanazioni più inconsce della sua tumultuosa creatività di "una specie" di Mr. Hyde dei Black Mountain, insomma. Non vi pare? (Alberto Calorosi)

mercoledì 24 maggio 2023

Humus - Non è Giusto

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Ritornano in pista dopo qualche anno dalle due precedenti release, i rockers trentini Humus, con un album esplosivo e in forma più che mai. Il loro rock italiano è di facile impatto e sempre sparato a mille, capitanato da una bella voce maschile, sguaiata e piena di voglia di trasgressione. Musicalmente il sound prende il volo e si può dire che il grande salto sia stato fatto, e se i Maneskin, a detta del mainstream, sono la bibbia dei giovani d'oggi, i nostri Humus, hanno decisamente le carte più in regola per surclassare la più famosa band della penisola del gossip. Detto questo, l'album è ben prodotto, il suono è corposo ed anche se la musica del combo trentino non è il massimo in termini di originalità, bisogna ammettere che siano piuttosto bravi ed efficaci, in fatto di orecchiabilità e dinamica, la band perfetta per i moderni teenagers italiani, che se ascoltassero più musica di questa fattura, avrebbero probabilmente le idee più chiare nei confronti di questo mondo. I testi sono rigorosamente rivolti ad un pubblico giovanile e questo dona freschezza all'intero lavoro. La sua carica esplosiva, il modo urlato di gestire le voci, i riff mirati e la ritmica costantemente pulsante di fondo, riempiono composizioni che colpiscono fin dal primo impatto, e al netto del fatto che siano volutamente e ricercatamente orecchiabili, e non è una dote comune, posso dire che 'Non è Giusto', sembra essere l'album perfetto per chi cerca musica cantata in lingua madre, per ricaricarsi d'energia e mandare tutto e tutti a quel paese. La band suona bene, tutti i brani sono potenti e l'impatto è assicurato, e non voglio arenarmi su banali paragoni con altri gruppi conterranei, perchè gli Humus hanno una loro anima e meritano la vostra attenzione. Le vostre orecchie saranno assaltate da echi hard rock, nu metal, residui pop punk e alternative italiano, suonato e costruito in maniera tosta, niente di complicato o progressivo, tutto diretto e sparato in faccia. Nota di lode finale per la timbrica vocale del frontman, veramente imponente. Impossibile restare fermi di fronte a canzoni come "Disastro", "Se ne Riparla Domenica" o "Qui si Decide". Se avete voglia di graffiante, rumoroso e muscoloso rock tricolore questo album è il toccasana giusto per voi, non fatevelo mancare. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

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