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lunedì 2 settembre 2024

Mekigah - To Hold Onto A Heartless Heart

#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Experimental
Ho recensito tutti gli album degli australiani Mekigah, seguendo da vicino l'evoluzione sonora di Vis Ortis, partendo dagli esordi dark gothic di 'The Serpent's Kiss', attraversando la fase death doom, fino ad arrivare alle ultime derive dronico-avanguardistiche dell'ultimo uscito 'Autexousious'. Un percorso assai complesso quello del mastermind di Melbourne, che con questo 'To Hold Onto a Heartless Heart', taglia il traguardo del quinto album. Una miscela sonora quella contenuta nelle sei tracce di questa release, come sempre parecchio ostica da digerire, che si dipana dalle atmosfere sinistre della lunghissima song posta in apertura. "Collapsing Under" dura infatti oltre 14 minuti, costituiti da suoni complessi, infausti e disomogenei, che spaziano con una certa disinvoltura dal drone all'ambient, passando per suoni tribali, noise, funeral e quant'altro di sperimentale possiate immaginare, il tutto accompagnato da un cantato in screaming in sottofondo, che evoca riti sciamanici o litaniche possessioni. Come immaginavo, nulla di quanto ascolterete qui è di facile ascolto, nemmeno la seconda "Broken Rhythm Pressure", che sembra debuttare più teneramente rispetto all'opener, ma presto si immerge in sonorità orrorifiche, affidandosi a suoni stralunati, vocals ingarbugliate, atmosfere tra il rarefatto e il rumoristico, e consegnandoci di fatto, un altro brano assai malato e angosciante, che richiede una grande fermezza d'animo per essere affrontato e non rischiare la pazzia. Se poi siete degli audaci, beh, allora potrete continuare a vivere il delirio musicale servito dal factotum australiano, passando attraverso la sghemba e alienante "Away Drifting From", più easy-listening delle precedenti, ma non per questo, di meno complicato ascolto. Le atmosfere continuano a mantenere contorni agghiaccianti, complice lo stridolio vocale del frontman e un incedere apocalittico che permea il disco nella sua interezza. Un cantico sirenesco sembrerà ammaliarvi nella più breve "An Infinitesimal Difference", ma fate attenzione a lasciarvi sedurre da quei suoi quasi gentili suoni, che lasceranno ben presto il posto alla marziale glacialità della sua coda noisy che sfocerà nelle derive infernali di "It Hisses So", un brano che potrebbe mischiare l'approccio danzereccio degli Hocico con la depravazione sonora degli Aevangelist, ma rallentato e amplificato rispetto alla violenta furia della band finlandese. Chi avrà la forza di arrivare sino in fondo, troverà "Eyes Glazed Over", l'ultima strenua prova di sopravvivenza offerta da quest'album; già vi avverto che non sarà affatto semplice, data la natura ipnotica, stridente e dissonante del brano che potrebbe condurre definitivamente alla follia. Pensavo che l'effetto sorpresa si fosse esaurito, ma mi sbagliavo, il buon Vis Ortis ha ancora molto da offrire. (Francesco Scarci)

mercoledì 18 ottobre 2023

Opera IX - Symphoniae Mysteriorum inn Laudem Tenebrarum

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Occult Black
Registrato agli Underground Studios in Svezia, questo terzo full-length degli italiani Opera IX finalmente potè avvalersi di una buona registrazione, di una buona distribuzione, che purtroppo in passato era mancata. Ora il tutto viene valorizzato ulteriormente. Questo è un concept riguardante il mondo della magia ritualistica e dei segreti dell'occulto. Musicalmente si passa da sfuriate black a passaggi più atmosferici ma sempre con un forte senso di estremismo sonoro, fatto di quella cupa desolazione che li ha sempre contraddistinti negli anni e li ha elevati a uno dei gruppi di punta della scena italiana. Come al solito, grande prova di Cadaveria che riesce qui ad interpretare magistralmente i pezzi proposti con una voce sofferta e straziante oppure più cristallina e suadente. Da notare infine la cover dei Bauhaus "Bela Lugosi's Dead" che viene eseguita in una versione in linea con la musica proposta dagli Opera IX.

(Avantgarde Music - 2000)
Voto: 75

http://www.operaix.it

martedì 25 luglio 2023

Druid Lord - Grotesque Offerings

#PER CHI AMA: Death/Doom
Definitely death/doom of a vibe throughout. They're a killer boon to the metal industry offering something quite unique. I really like how the guitars are with such low distortion alongside eerie tones on top of the low burly licks. They don't speed up too often in the songs. They're mostly just slow thick songs with vocals that are also burly. It all goes with this epic vibe Druid Lord has potentiated. I am totally digging it because there's not a lot of bands that choose these two genres all into one. The sound quality was good as well. This is like something that comes out of a horror movie. It's creepy in a way.

The album is about an hour long and they show the listener some dark and spooky sounds all along the way. These guys don't fool around in terms of the doom that they portray throughout. I wouldn't even say this is death metal that it's more doom metal than anything else.

The guitars are the most noteworthy elements along with the vocals. These tempos don't seem to get fast at all throughout. They are death like and totally underground. I liked the leads too! There were some elements of faster tempos but most of this album is doom metal kind of like in the vibe of older Draconian. But the guitars are thick and chunky. They don't fluctuate throughout they keep from going too fast. The vocals are low and at some instances shriek like. I'd have to say that this whole release was definitely fulfilling. And they keep you in the know with doom metal variability.

The guitars throughout were slow and depressing. I think that there's only a select few instances where they play fast. This is just so down of an album you cannot listen to it if you're in a depressive state. It's totally awesome but the whole thing just puts you in a frail state. I think however that I like this album more than their newer release because it carries with it the utmost sense of morbidity and misery. The guitars are continuing to sound low throughout the album and the riffs are slow for most of the songs. I think the leads are quality. I would just characterize this band as a doom metal band because the death metal portion isn't too prevalent. Be sure to check this out! (Death8699)


giovedì 9 febbraio 2023

Damnation Gallery - Enter the Fog

#FOR FANS OF: Death/Thrash/Horror
Quite a unique release from these guys first time ever hearing them and what their gig is like. They have some darn good riffs and the vocals are an acquired taste. But good! I'm surprised that they haven't been really reviewed before. I'm glad that they found me because they're looking for press. I believe that this one ('Enter the Fog') is their strongest release to date. They're totally dark musically and the sound quality is sub-par but I like the music on here. And do dig the vocals for what they're worth on this recording. It's moderate metal, moderate in the sense of heaviness. But the album is 51 minutes and I really think this band has a bright future.

They have some variations to their riffs some songs really slow or clean as a song called "Erased." What a gem that one is! But for the most part, this album is somewhat brutal musically. Just they change it up but the riffs are pretty slow distortion except for that one (outro track). The vocals were actually pretty clean. Reminds me a little bit of "Planet Caravan" by Pantera only female vocals.

These guys have a whole helluv a lot to offer the metal community. I wasn't convinced the first few songs I heard but this one grew on me. Not a great deal of lead guitar work and that's OK. I think their riffs are catchy and somewhat melodic. They knew how they wanted this to turn out and did a great deal to make it underground. These guys have a good career ahead of them. And again, I'm glad they reached out to me! I only have nothing but good things to say about this release. Loved the guitars and vocals. But I must warn you, it make take time to grow on you as it did to me. I appreciated this much more on repeated listens to.

Some good songs that I've found to be besides the one I mentioned above are "Angomarcia", "Never Say Goodbye" and "Fog." Interesting band and they're going to make one helluv a career in the metal genre! (Death8699)


sabato 17 settembre 2022

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

lunedì 16 maggio 2022

Vaina - ✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Il buon Stu Gregg, mastermind della Aesthetic Death, prosegue con la ricerca di band "particolari" da inserire nel proprio roster. Dopo Goatpsalm e Horthodox recensiti dal sottoscritto, non del tutto felicemente qualche mese addietro, ecco un'altra stramba (giusto per non cadere in aggettivi più disdicevoli) creatura per l'etichetta inglese. Si tratta dei finlandesi Vaina, una band che fa del "non sense" musicale (giusto per citare anche il titolo di un loro vecchio brano) la propria filosofia musicale. Dopo 'Purity' del 2019, un EP ('Futue Te Ipsus' incluso in questo stesso disco) ecco la nuova proposta della one-man band guidata dallo stralunato Santhir the Archmage, uno che a quanto pare, si è svalvolato il cervello durante il suo primo e unico concerto live, decidendo fondamentalmente di non dare più alcun riferimento stilistico alla propria proposta. Pertanto '✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces' segue queste regole, decidendo di partire con "Oppenheimer Moment", una song tra l'ambient e il drone, su cui possiamo tranquillamente sorvolare. Con "I1" le cose si fanno più strane ma al contempo interessanti: si tratta infatti di un pezzo black acido, originale, ritualistico, con una base melodica affidata ai synth davvero evocativa, sommersa poi da vocals urlate ed altre declamate. La pseudo normalità dura però solo tre minuti degli otto abbondanti complessivi della song, visto che poi l'artista finnico imbocca una strada tra l'esoterico, il dungeon synth, l'ambient e per finire una bella dose da cavallo di sperimentazione sonora (con suoni sghembi di scuola Blut Aus Nord) che sembra nascere da un'improvvisazione estemporanea. "HCN" ha le sembianze dell'intermezzo orrorifico, consegnata quasi esclusivamente a synth e tastiere. La tappa successiva è affidata a "Yksikuisuus", un pezzo che cresce musicalmente su basi tastieristiche oggettivamente suonate male, ma comunque dotate di un'aura cosi mistica che sembra addirittura coinvolgermi. Non vorrei cascarci come l'ultimo dei pivelli, ma l'egocentrico musicista finlandese suona quel diavolo che gli pare, passando da delicati momenti di depressive rock/dark/post punk contrappuntato da una rutilante (quanto imbarazzante) drum machine che, inserita in questo contesto, trova comunque il suo filo logico, soprattutto in un epico e maestoso finale symph black. Questo per dire alla fine che Santhir the Archmage è davvero penoso a suonare, eppure tutto quell'entropico marasma sonoro che prova a coniugare in queste tracce, trova stranamente il mio consenso. Se dovessi trovare un termine di paragone con una band, citerei i nostrani Hanormale, con la sola differenza che quest'ultimi hanno fior fiore di musicisti. Il delirio musicale prosegue attraverso l'EBM di "About:Blank" (ecco la classica buccia di banana su cui scivolare) e il black avanguardistico di "Raping Yer Liliith" (assai meglio). "πυραμίς" ha un incipit stile 'Blade Runner' che perdura per qualche minuto prima di lasciare il posto ad una proposta indefinibile tra derive ambient burzumiane, deliri alla Abruptum e rimandi agli esordi malati dei Velvet Cacoon, ecco non propriamente una passeggiata da affrontare visti anche i quasi undici minuti di durata del brano. Esoterismo rap per "--. .-. . . -.", un'altra song davvero particolare che forse era meglio omettere per non toccare la sensibilità degli adepti dei Vaina. "Todestrieb" è un altro intermezzo noise che ci introduce alla conclusiva "Minä + Se", gli ultimi undici deliranti minuti di questo estenuante lavoro (un'ora secca). La song saprà inglobarvi ancora nel mondo disturbato e visionario di Santhir con suoni tra elettronica, black, drone, ambient, liturgico, sperimentale, horror, dark e tanta tanta follia suonata alla cazzo di cane ma sancita da un bell'urlaccio finale volto a Satana. Non ho ben capito se Santhir ci faccia o ci sia, fatto sta che questo lavoro meriterà altri ascolti attenti da parte del sottoscritto. (Francesco Scarci)

sabato 23 aprile 2022

Spettri - 2973 La Nemica dei Ricordi

#PER CHI AMA: Horror Prog Rock
Nell'ambito della reviviscenza coraggiosamente perpetuata negli ultimi anni dall'etichetta di Genova, il recupero della band dalla storia più incredibilie (il nucleo storico della band germina dalla florescenza beat mid-60, transita attraverso l'esperienza horror-prog denominata Spettri, poi il piano bar e la retroguardia culturale nazional-chic marchio Renzo Arbore) tra le incredibilmente numerose band RPI dalla storia incredibile, permette la realizzazione di un album capace di ripercorrere con ossequio e leggerezza stilemi consolidati early-70: sludge-riff sabbatiani ("Il Lamento dei Gabbiani"), scorribande hammond viola carico, rutilianti arrembaggi easy-heep ("La Profezia") unitamente a elementi più marcatamente british-prog, vedi certi momenti di "Onda di Fuoco" e dalle parti di "Apocalypse in 9/8" e le numerose convoluzioni van-der-grafiche ("La Nemica dei Ricordi" vs. "Killer" o ancora "La Nave", aperta da una godibile intro goblin-vecchietta-cattiva-con-la-mela-velenosa, dominata da un riff strutturale da funerale elettrico sabbatiano e magnificamente chiusa da un finale spleen-prog). L'album, un concept straordinariamente vitale e consapevolmente suonato sull'apocalisse interiore in un ipotetico e distopicissimo 2973 intenderebbe essere una sorta di sequel dell'omonimo 'Spettri', ambientato nel 1972. Eppure, nonostante siano trascorsi la bellezza di 1001 anni, i mali del mondo sono davvero molto, troppo simili tra loro. (Alberto Calorosi)

(Black Widow - 2015)
Voto: 69

https://www.facebook.com/spettri.official/

mercoledì 8 luglio 2020

Shadowsreign - Bloodcity

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Thrash, Death SS
Non è mai bello stroncare un album, tanto meno, quando si tratta di una band italiana e soprattutto quando il frontman è stato il fondatore/cantante dei mitici Theatres Des Vampires. Sto parlando di Lord Vampyr, che dopo il debutto solista del 2005 è tornato con una creatura nuova di zecca, gli Shadowsreign. 'Bloodcity' doveva essere il primo capitolo di un progetto, suddiviso in due parti, intitolato 'The Forgotten Memories', Part 1 e Part 2, che aveva come concept di fondo una comunità di vampiri che popolano un’ipotetica città del futuro che versa in gravi condizioni atmosferiche e il cui cibo prediletto sono gli umani. A parte le visioni “succhia sangue” di Lord Vampyr, la musica del quintetto italico, rappresenta l’imperfetto punto di incontro tra il passato di Lord Vampyr nei T.D.V. (e quindi un black/dark melodico) e un sound orientato verso influenze thrash old school. Il tutto finisce però per disorientare l’ascoltatore che rimane stupito di fronte alla eterogeneità di alcuni brani, che spaziano da sonorità gothic a parti thrash, con tanto di riff anni ’80, ma anche con qualche richiamo al thrash/death di matrice svedese, e ancora cenni ai già citati Theatres Des Vampires. Non mi ha poi entusiasmato la performance vocale di Lord Vampyr, che si trova costretto a barcamenarsi tra tanti generi senza, alla fine, incidere più di tanto.'Bloodcity' suona come un album incompiuto, a cui manca quel quid per farlo decollare veramente: un vero peccato, perchè alcuni episodi nel disco sono davvero meritevoli di attenzione. Speravo che Lord Vampyr e soci potessero rifarsi col successivo lavoro, in realtà il progetto è stato abbandonato per dar voce ad altre manifestazioni sonore del mastermind capitolino. (Francesco Scarci)

sabato 15 febbraio 2020

Abigorum - Exaltatus Mechanism

#PER CHI AMA: Black/Doom, primi Samael
Alexey Korolev non è solo il boss della Satanath Records e tastierista dei Taiga, scopro solamente oggi infatti che è anche il fondatore di questi Abigorum e fino al 2019 vero factotum strumentale in quanto one-man-band fino allo scorso anno, quando si sono uniti bassista e chitarrista/voce, lasciando concentrare il buon Alexey alle sole batteria e tastiere. Fatto questo largo preambolo, vi dico anche che 'Exaltatus Mechanism' è il debutto sulla lunga distanza per i nostri dopo uno split datato 2018 in compagnia degli Striborg e uno nel 2016 con i Cryostasium. Finalmente possiamo dare un ascolto anche all'album, un disco che si apre con le infernali vocals di "Grau und Schwarz" e le sue solfuree atmosfere black doom. Il cantato in lingua germanica è dovuto al fatto che i due nuovi ingressi in formazione sono proprio tedeschi. Quello da sottolineare sono le melmose sonorità a rallentatore sciorinate dal terzetto, con una serie di rumori in sottofondo che sembrano quelli prodotti da un fantasma ridotto in catene. La voce di Tino "Fluch" Thiele è davvero arcigna e ben ci sta in un contesto musicale del genere. Con "Maskenball" si prosegue all'insegna di ambientazioni tenebrose e vocals che si muovono tra il grim e lo spettrale in un impasto sonoro che non è propriamente funeral probabilmente nemmeno black, essendo un qualcosa al crocevia di questo marasma sonoro. Pertanto, mi viene da dire che la proposta degli Abigorum sia piuttosto originale, sebbene sia alquanto complicata da digerire. "Jetzt" è una marcia atta a smuovere le anime dei dannati negli inferi con un cantato quasi declamatorio e perentorio in un contesto a tratti oppressivo ed esoterico. Non mi dispiace affatto la proposta del trio per quanto possa rivelarsi stralunata, ma le melodie, soprattutto in questa song, funzionano a meraviglia nel creare atmosfere orrorifiche. Sia chiaro che non abbiamo tra le mani un capolavoro ma un album comunque degno di nota per quel suo spirito sperimentale, questo si. "Für Die Ewigkeit" è un altro bell'esempio di sonorità che per certi versi mi hanno evocato i Gloomy Grim degli esordi, cosi come la successiva "Königreich Dunkelheit", con quella sua aria ampollosa, gli arrangiamenti orchestrali ed una costante aura industrial a completare il quadro sonoro. Il disco prosegue su questi stessi binari, proponendo alcune song più interessanti delle altre e penso alla bombastica (per atmosfere e linee di chitarra riverberate) "Der Ängstliche Mensch" e alla sinistra "Über Dich" che rendono l'ascolto di 'Exaltatus Mechanism' comunque soddisfacente fino alla fine. (Francesco Scarci)

sabato 31 agosto 2019

The Vision Bleak - The Deathship Has a New Captain

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Doom
Accantonate le attività che lo vedevano coinvolto nel progetto di musica folk Empyrium, Theodor Schwadorf fece ritorno alle proprie origini musicali riscoprendo, in compagnia di Mr. Konstanz, la vecchia passione per il metal, fondando i The Vision Bleak. Dispiace dover parlar male di un musicista che nell'ambito folk seppe difendersi egregiamente e dispiace pure constatare l'imbarazzante pochezza d'idee che investì l'artista tedesco in questo album, ma 'The Deathship has a New Captain' si presentava come un lavoro decisamente troppo deludente per poterlo accogliere in maniera più benevola. Non fatevi trarre in inganno dal poderoso lavoro di produzione perché non è uno specchio sincero di ciò che l'album ha da offrire e anche se i primi due brani "A Shadow Arose" e "The Night of the Living Dead" vi sembreranno promettere qualcosa di buono, fate molta attenzione a non farvi incantare, l'ascolto delle tracce successive potrebbe rivelarsi una brutta sorpresa. Intendiamoci, il suono delle chitarre dei The Vision Bleak è ottimo e persino la preparazione tecnica dei due strumentisti è una qualità che sarebbe ingiusto non sottolineare, ma sono le composizioni a non concedere alcuna emozione e ad apparire senz'anima, nonostante il sontuoso contorno nel quale si trovano inserite. Rocciosi riff di chitarra, un vocione alla Sisters of Mercy, grandeur sinfonica con tanto di tenore e mezzo soprano a sostenere i momenti più pomposi: tanta carne al fuoco che, tolte forse le valide "Metropolis" e "The Lone Night Rider", si risolve in una collezione di song terribilmente aride e monotone. Curiosa la partecipazione del doppiatore tedesco di Saruman (da 'Il Signore degli Anelli') per le parti recitate e intrigante anche l'immaginario horror a cui il gruppo si ispira, ma se di sonorità orrorifiche vogliamo parlare, allora preferisco in ogni caso rivolgermi altrove, ascoltando qualcosa dei Notre Dame o rispolverando qualche vecchio album dei Mercyful Fate. Per quanto mi riguarda, un album assolutamente trascurabile. (Roberto Alba)

giovedì 10 gennaio 2019

Madness of Sorrow - Confessions From the Graveyard

#PER CHI AMA: Dark/Gothic/Horror, Type O Negative
Quinto disco in sette anni per i toscani, ormai trapiantati in Piemonte, Madness of Sorrow, una compagine che fino ad oggi non conoscevo minimamente. Complice un sound che sembra non confacersi ai miei gusti, mi sono avvicinato con una certa titubanza a questa band, che considera la propria proposta sonora all'insegna di un gothic/horror. Per tale motivo, ho vinto le mie paure e ho deciso di avvicinare i nostri, in quanto ho trovato affascinante quanto il terzetto volesse esprimere. E cosi, ecco concedermi il mio primo ascolto di 'Confessions from the Graveyard', un lavoro che si apre con le spettrali melodie di "The Exiled Man", una song che miscela il doom con l'heavy metal, in un lento vagabondare tra riffoni di sabbatiana memoria, sporchi vocalizzi puliti (concedetemi l'ossimoro, ve ne prego) e ottime keyboards, responsabili proprio nel creare quelle flebili e orrorifiche ambientazioni che sanno tanto di castello infestato. Il taglio di questa prima traccia è molto classico, mentre la seconda "The Art of Suffering" ha un piglio più arrembante e moderno. Ciò che fatico a digerire è però il cantato del frontman, Muriel Saracino, forse troppo litanico in alcune parti e poco espressivo in altre, ma considerato il nutrito seguito della band, credo sia semplicemente una questione di abitudine alla sua timbrica vocale. Più dritta e secca la ritmica di "Sanity", che tuttavia evidenzia qualche lacuna a livello di produzione nel suono della batteria, non troppo curata, a dire il vero, in tutto il disco. La song sembra risentire di qualche influenza dark/punk che le donano positivamente una certa verve old-school. Più rock'n'roll invece "Reality Scares", che mostra una certa ecletticità dell'act italico, ma che al tempo stesso potrebbe indurre qualcuno (il cui presente ad esempio) a storcere il naso per un'eccessiva diversità con le precedenti tracce; io francamente non l'ho amata troppo. La situazione si risolleva con la gotica "The Path": voci bisbigliate, atmosfere rarefatte, influenza di scuola Type O Negative, in quella che a parer mio, è la miglior traccia del cd. Ritmiche più tirate (ed ecco ancora la scarsa fluidità musicale) per "The Garden of Puppets", un brano che gode di un discreto break centrale, mentre apprezzabile è il chorus di "No Regrets", una traccia che ammicca al Nu Metal e che, anche in questo caso, non trova troppo il mio gradimento. E che diavolo, "No Words Until Midnight" stravolge ancora tutto, e ora sembra di aver a che fare con una band black/death per la veemenza delle ritmiche, non fosse altro che i vocalizzi del frontman ripristinano le cose, essendo il marchio di fabbrica dei Madness of Sorrow. E si continua a picchiare senza soluzione di continuità anche in "The Consciousness of Pain", almeno fino a quando Muriel Saracino non entra con la sua voce: in quei frangenti infatti, l'efferatezza delle chitarre perde di potenza per lasciar posto ad un mid-tempo più controllato. In questa song, appare anche un riffone di "panteriana" memoria, da applausi, mentre un ottimo e tagliente assolo sigilla il pezzo. A chiudere il disco, arriva "Creepy" con i Madness of Sorrow in formato 3.0, a stupirci con un pezzo dal forte sapore dark wave ottantiano, con la classica tonalità ribassata delle chitarre ed un'apprezzabile voce sussurrata (buona pure in versione urlata) che ci consegnano una band che fa dell'eterogeneità il suo punto di forza, ma a mio avviso anche di debolezza. La band, di sicuro rodata e forte di una certa personalità, credo che necessiti tuttavia di sistemare alcune cosine, dal suono della batteria ad una voce che a volte perde di espressività. Buone le chitarre, cosi come le atmosfere, resta solo da chiarire quale genere i nostri vogliano proporre. Chiarito questo, direi che siamo a cavallo. (Francesco Scarci)

domenica 12 agosto 2018

Davide Laugelli - Soundtrack of a Nightmare

#PER CHI AMA: Instrumental Prog, Devil Doll, Goblin
Nelle torbide elucubrazioni bassistiche di "A Night in Stonehenge", la linea melodica pare prog/ressivamente inabissarsi alla ricerca della sensazione più primordiale. La paura. L'horror-prog strumentale di Davide Laugelli vi sembrerà arrischiato ma affatto inedito: nel sogno avrete la sensazione di fluttuare dalle parti di Devil Doll (la suspense), John Carpenter (l'iperuranio sintetico da cui emergono gelidi i suoni), Goblin (la costruzione architettonica del brano). Suoni sinistramente funzionali, fatta eccezione per la batteria, troppo compressa, specie a basse frequenze (sentite il tùp della grancassa). Sensorialmente opposta la conclusiva "Climbing the Wrong Mountain", emotivamente ascensionale e indubitabilmente claudiosimonetti/ana. L'album si apre con una prosaica renderizzazione dell'Opera 49' di Brahms, la ninna nanna di tutti i carillon per bambini di questo mondo e si chiude con il bi-bip della sveglia collocata sul vostro comodino, incorniciando l'album e fornendo una (fin troppo) precisa collocazione all'interno della vostra psiche. (Alberto Calorosi)

venerdì 25 maggio 2018

Metamorphosis - The Secret Art

#PER CHI AMA: Black/Heavy, Celtic Frost, Amorphis, Septic Flesh
Il buon Boris Ascher, factotum dei Metamorphosis non ci crederà, ma io conservo ancora la cassetta 'Life Is Just a Joke' che comprai nel lontano 1994 direttamente da lui per una manciata di dollari. Era la demotape di debutto per la one-man-band bavarese, da allora, con estrema calma, sono usciti sei album, di cui 'The Secret Art' è appunto l'ultima opera, rilasciata lo scorso autunno. Cosa cambia rispetto agli esordi? Il supporto, qui c'è un cd in digipack anzichè un nastro, per il resto lo spirito genuinamente black metal di Boris sembra essere rimasto inalterato lungo questi 24 anni. Il musicista teutonico prosegue sulla sua strada di un black metal atmosferico e melodico, come certificato dalla traccia in apertura del disco, nonché title track, di cui vorrei sottolineare l'eccellente performance corale che rende il tutto assai epico, nonostante un riffing che si pone poi a metà strada tra il death/thrash e il black. Un interludio strumentale è quanto servito in "The Beckoning", poi è la volta di un arpeggio, quello che apre "Night on Bare Mountain", in cui su un riffing quasi techno death, si colloca il growling stridulo del mastermind tedesco, mentre il flusso sonico subisce una serie di rallentamenti, accelerazioni e cambi di tempo, che francamente mi ricordano per spirito i Celtic Frost, mentre per ciò che concerne gli arrangiamenti di stampo sinfonico, ecco che le mie rievocazioni mentali mi guidano verso i greci Septic Flesh, anche per una certa magniloquenza delle atmosfere. "As Legions Rise" parte robusta e arrogante per poi dissipare le tempestose nubi death thrash in azzeccatissime linee di chitarra e ottimi assoli. "God of the Dead" è una song strumentale che vanta una piacevole melodia di fondo che scomoda facili paragoni con i primi Amorphis, con le tastiere che creano successivamente un'ambientazione spettrale. Sembrano infatti le catene di un fantasma imprigionato in un castello, quelle che si avvertono in sottofondo, mentre il buon Boris sciorina un rifferama che vede nel drumming il solo punto debole del pezzo (aggiungerei anche dell'album che avrebbe sicuramente necessitato di una migliore produzione), mancando di una certa potenza che avrebbe reso il tutto assai più maestoso. "A Fateful Night" è un altro esempio di come il musicista originario di Holzkirchen, riesca a coniugare con estrema semplicità death e black, peraltro regalando vertiginosi ma non troppo lunghi, assoli da brivido. Complice una certa brevità dei brani, tutti assestati attorno ai 4-5 minuti, devo ammettere che è ancor più immediato e facile assaporare il feeling emanato dal fluire del cd, come nella settima "Holy Wounds", in cui a guidare è un bel riffone thrash sul quale si staglia il vocione del vocalist, mentre in background sono delle minimaliste quanto funzionali keyboards a creare quell'aura mefistofelica. "Invictus" è un altro mid-tempo thrash/death, il cui break centrale prende le distanze da ogni tipo di sonorità estrema, virando verso un sound decisamente più leggero, quasi hard rock. Se non ci fosse il growling oscuro di Boris e verosimilmente tematiche volte a temi occulti, probabilmente starei parlando di tutt'altra proposta musicale, come quella che incontro nella nona traccia, "The Crypt", che mi ha ricordato un che dei Running Wild meno power. Boris alla fine sorprende per la sua voglia di sperimentare, ma questo mi era già chiaro perfino nel 1994. (Francesco Scarci)

(The Devil's Ground Productions - 2017)
Voto: 75

https://thedevilsground.bandcamp.com/album/the-secret-art

sabato 4 novembre 2017

Lashblood - UnBeing

#PER CHI AMA: Avantgarde Black, Fleurety
Dall'avamposto russo di Stavropol, nel Caucaso settentrionale, ecco arrivare i Lashblood, misterioso quintetto che abbraccia membri di svariate band, tra cui Deathmoor e Goatpsalm. L'ensemble, attivo da una decade ma con soli due album in cascina (quest'ultimo registrato addirittura nel 2012), è qui aiutato da una serie di ospiti che li supportano nell'esecuzione di quest'album non certo semplice da ascoltare. 'UnBeing' contiene otto song sinistre e questo è chiarissimo sin dall'opener "Frenzy" e dai suoni spettrali che popolano la canzone, al pari di fantasmi che infestano un castello abbandonato. Proprio in questa caratteristica orrorifica, risiede il punto di forza dell'act russo, che guida l'ascolto della propria musica grazie a tormentate melodie, un po' sghembe e disarmoniche, in un pattern musicale allucinato, corredato da voci maligne e dall'uso di un evocativo sax che aumenta le ambizioni dei nostri. Il disco si presenta in linea di massima feroce come approccio stilistico, lanciandosi in cavalcate black death ("Slow Snow") che vedono però smussare la propria irruenza con linee di chitarra affidate ad un tremolo picking glaciale, aperture avanguardistiche e rallentamenti doomish assai efficaci. "The Name of My Melancholy" apre con una variazione nello stile vocale, più oscuro e votato al growling, questo perché nelle prime due song c'era lo screaming efferato di tal Silencer, guest star dietro al microfono. La traccia è però più lineare e poco avvincente, fatto salvo per il tenebroso break centrale, affidato al famigerato sax, vero e assoluto protagonista di un album che probabilmente non avrebbe meritato la nostra attenzione se non avesse mostrato l'utilizzo cosi peculiare di quel demoniaco strumento a fiato. E allora largo ai suoni psicotici del sassofono e al delirante sound dei Lashblood. "To the Rest..." è una song più esoterica a livello vocale, con una musicalità psicotica che segue verosimilmente gli umori altalenanti dei vari cantanti che si piazzano al microfono. Ma è ancora una volta l'assolo di sax a rappresentare il leitmotiv del brano e in generale di un disco che ha davvero diversi punti di forza, che per idee ed interpretazione, mi ha ricordato vagamente 'Min Tid Skal Komme' dei folli Fleurety, cosi come pure l'utilizzo dello stesso sax nel mitico esordio discografico dei Pan.thy.monium, 'Dawn of Dreams'. Splendide a tal proposito la strumentale "Kaleidoscope Grey Heaven", la malinconica "13" e l'incipit della title track che suggellano la performance di questi pazzi e selvaggi sperimentatori russi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death/SND Production - 2017)
Voto: 75

https://lashblood.bandcamp.com/album/unbeing

venerdì 3 novembre 2017

Cold Cell - Those

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Schammasch, Celtic Frost
Dopo aver esordito nel 2013 per la Gravity Entertainment, essere passati per la "nostra" Avantgarde Music con il loro secondo lavoro, gli svizzeri Cold Cell tornano a casa, arruolati dalla Czar of Bullets. Escono ora con il terzo album della discografia, intitolato semplicemente 'Those', un titolo enigmatico quasi quanto la cover del digipack, una cornice su un ritratto spettrale ed inquietante che si riflette nella musica oscura del quintetto di Basilea. Otto le canzoni a disposizione per i nostri per conquistare nuovi fan grazie alla bontà della loro proposta musicale. La compagine confederata propone un black atmosferico, che già dalla opener "Growing Girth" convince non poco per i suoi contenuti, grazie ad un sound tenebroso che chiama in causa per assonanza musicale, i connazionali Schammasch (sarà un caso che due dei membri dei Cold Cell suonino anche in questa band?). È un black mid-tempo quello che risuona nelle casse del mio stereo, dal taglio assai melodico e che sporadicamente vive di accelerazioni post black. La voce di S, che ricorda per impostazione vocale quella di Attila Csihar, si conferma davvero buona nel suo intellegibile screaming. "Entity I" è un pezzo decisamente più breve rispetto alla opening track, ritmato ed epico quanto basta, che sfoggia un break centrale orrorifico; non mi è chiaro però per quale ragione la band l'abbia scelto per farne un video, tre minuti li reputo infatti un po' troppo scarsi. Nel frattempo il disco avanza ed esplode la sua funambolica rabbia post black nella terza "Seize the Whole", che identificherei musicalmente come un mix musicale tra i Wolves in the Throne Room e i Celtic Frost, questi ultimi forse la più palese influenza per i nostri. I suoni sono rarefatti ma incisivi quanto basta, soprattutto nella lunghissima "Tainted Thoughts", dove rilevo un'altra influenza importante per l'ensemble svizzero, i Bethlehem e il loro plumbeo dark sound che riempie una song cruda a livello ritmico, in cui a mettersi in luce è invece una batteria sparata a tutta velocità su degli arpeggi compassati di chitarra che assieme alla voce sempre ispiratissima e a rallentamenti carichi di tensione nella seconda metà del brano, rappresentano il punto di forza di questa release. La registrazione è impeccabile, non fosse altro che alla consolle si è seduto Victor Bullok (Triptykon, Farsot e gli stessi Schammasch): lo dimostra anche l'evocativo sound di "Sleep of Reason", gelida e funerea nel suo incedere liturgico che solo verso il finale evolve in un deflagrante suono primordiale in cui tutti gli strumenti nel loro atavico caos, sono in realtà posizionati chirurgicamente nel migliore dei modi. "Entity II" è un altro breve capitolo, che forse funge da collegamento a "Drought in the Heart", una song dall'attitudine mortifera e disperata (almeno a livello vocale) che esalta le capacità tecniche di aW dietro le pelli e che gioca con un riffing in tremolo picking che ne enfatizza il mood decadente. A chiudere ecco gli ultimi nove minuti di "Heritage", una song più tradizionale dal punto di vista ritmico che conferma le qualità indiscusse di una band di cui sentiremo certo parlare in futuro. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://cold-cell.bandcamp.com/

lunedì 27 marzo 2017

Adamennon - Le Nove Ombre del Caos

#PER CHI AMA: Colonne Sonore/Psichedelia, Goblin
Abito a Como ormai da parecchi anni ed ignoravo completamente l'esistenza di questa band, gli Adamennon. Non certo gli ultimi arrivati poi, visto che il "titolare" della band (trattasi di una quasi one man band) è in giro dal 2006 e in questi undici anni ha fatto uscire parecchi lavori, split e quant'altro, frutto di collaborazioni con vari artisti. Eccomi quindi fare la conoscenza con Mr. Adamennon e con il nuovo album 'Le Nove Ombre del Caos', Colonna Sonora Originale di un ipotetico film mai girato. Il titolo, per quanto mi riguarda, ma lo sarà anche la tastiera introduttiva, è un manifesto programmatico dell'artista lariano, un inno ai Goblin, un tributo a Dario Argento e a tutta la filmografia horror italiana degli anni '70. Avrete pertanto intuito che ci troviamo di fronte a malsane atmosfere ambient, paurose come i film dell'allucinato Dario, quelli però più a sfondo psicologico direi, come 'L'Uccello dalle Piume di Cristallo' o 'Il Gatto a Nove Code', per cui c'è anche una simbologia ricorrente nel numero nove con l'album di quest'oggi. E allora immergetevi insieme a me nelle terrificanti ambientazioni di "Un Sospiro nel Profondo Nero", dove il richiamo alla band di Claudio Simonetti è davvero importante. Con la successiva "Il Felino dallo Sguardo che Arde", le orchestrazioni da chiesa si fanno più forti e si accompagnano a voci corali e recitative, mentre la musica viene guidata dall'angosciante incedere di un magniloquente organo. Delicati tocchi di un nostalgico pianoforte aprono "Il Museo delle Anime Perse", una traccia che subisce un'evoluzione quasi inattesa: la song infatti, pur mantenendo intatto il suo pattern tastieristico, dà maggior spazio alla batteria e soprattutto ad uno screaming tipicamente black. Tra il grottesco e il faceto, ecco arrivare "La Giostra del Folle", un carillon maledetto che però suona molto simile ad una traccia contenuta nell'ultimo album dei Thee Maldoror Kollective, ormai datato 2014. Molto più convincente e soprattutto assai più roboante, "Dalle Fauci al Ventre della Bestia Nera", grazie ad un sound grosso, corposo, avvolgente, drammatico, malinconico, ipnotico e lisergico, in quella che forse è la canzone che più mi ha coinvolto dell'intero album. Il lato B del cd (è riportato cosi sul digipack) apre con la litanica "Incontro e Scontro con la Paura", una song che induce fenomeni paranoici a livello cerebrale, forse a causa di una certa ridondanza sonora, a cui si aggiungono voci pulite in background che si mischiano ad urla disumane. Si scivola lentamente verso la fine del disco con un'altra song dal flusso un po' ubriacante, "La Sconfitta al Pozzo di Sangue", fatta di suoni sbilenchi e urla dannate in sottofondo. L'ultimo atto, tralasciando la pianistica "La Caduta nel Perpetuo Oblio", è affidata alla lunghissima e sacrale "Il Risveglio Nella Morte Universale/Le Nove Ombre del Caos", cantata in latino e italiano, in una sorta di celebrazione ritualistica davvero suggestiva e solenne, affidata quasi interamente ai tastieroni del mastermind comasco e alle vocals del compagno di ventura Maximilian Bloch, responsabile dei synth, del pianoforte e delle voci corali del disco. La seconda parte del brano raccoglie poi influenze ed interferenze drone per un finale delirante, una degna conclusione di un disco sperimentale da godere spaventati, nella penombra della propria casa. (Francesco Scarci)

sabato 5 novembre 2016

Banned from Hell - Fall of Humanity

#PER CHI AMA: Melo Death, Children of Bodom, Edenshade
"Buttati fuori dall'Inferno": fortunati questi metallers fiorentini che con 'Fall of Humanity' arrivano finalmente all'album d'esordio, dopo un EP ormai datato 2012. Le dieci canzoni contenute in questo platter, rilasciato dalla Sliptrick Records, hanno un che di affascinante, anche se ci sono ancora diverse cose da sistemare, ma andiamo pure con ordine. Partiamo innanzitutto identificando il genere che propongono i nostri e la cosa non è tra le più semplici da fare. Se si parte infatti da un approccio prettamente death thrash ("You are My Blood") con echi addirittura degli Alligator nel riffing torrenziale e destrutturato delle due asce, ciò che colpisce è il lavoro alle tastiere che provano a rendere il disco decisamente più vario e dinamico, a tratti orchestrale, facendo propendere l'ensemble toscano per una versione death metal dei Cradle of Filth. Le keys tuttavia fanno il buono e il cattivo tempo con una performance altalenante che mi ha lasciato un po' perplesso: mi convincono infatti nella fase di arrangiamento, molto meno quando vogliono prendersi la scena con assoli barocchi, dal suono retrò, quasi in stile pianola Bontempi. Il sound del sestetto toscano va giù bello diretto con ritmiche pesanti o altre più tese ("Hate"), che ovviamente non offrono nulla di originale, fatto salvo in quei frangenti in cui compaiono appunto parti più atmosferiche, quasi vampiresche ("Bleeding Digital") che rendono l'album più fruibile da un pubblico più vasto che non necessariamente deve essere quello estremo. Visto il virtuosismo proposto dalla sezione solistica (su alcune soluzioni però avrei un po' da discutere), aprirei spiragli anche per i defenders o per gli amanti del progressive più open mind. Le vocals ricordano per certi versi quelle dei già citati Alligator, muovendosi tra un growling comprendibilissimo e altre parti più urlate. "Nightmare" suona come dei Children of Bodom in salsa deathcore con pesanti atmosfere goticheggianti che ammiccano nuovamente a Dani Filth e soci, con le consuete tastiere che chiamano in causa anche i nostrani Edenshade, in un calderone non troppo omogeneo di musica pseudo estrema. Altre citazioni le meritano la psicotica "Murder Validation" o la più sperimentale "Amigdala", che garantisce ancor più spazio ai synth. 'Fall of Humanity' alla fine è un album che gode di una certa aura misterica ma che nell'esuberanza dei suoi membri, rischia di uscirne quasi penalizzato. Io fossi in questi ragazzi, dotati di indubbie qualità tecniche, metterei più a fuoco la proposta, evitando di voler strafare, affidandosi a suoni un po' più moderni e meno pirotecnici. La strada comunque è quella giusta. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 65

giovedì 4 agosto 2016

Light of the Morning Star - Cemetery Glow

#PER CHI AMA: Dark/Doom/Heavy
Sono poche le informazioni disponibili sul web a proposito di questa band: si sa che sono londinesi, questo è il loro EP di debutto, trattano tematiche vampiresche e necromantiche e poc'altro. Partiamo allora con l'inquadrare il sound della band inglese visto che la cover cd mi indurrebbe a pensare a suoni funeral, magari sarà utile per capire qualcosa di più di questi misteriosi Light of the Morning Star: la melodia iniziale di "An Empty Hearse" sembra lasciar presagire a sonorità estreme, tuttavia la performance del vocalist tradisce le mie aspettative visto che propone invece un cantato più votato al gothic, un po' come se i Fields of the Nephilim si mettessero a suonare black metal, suonerebbe strano, anche se sicuramente intrigante. E cosi nel sound nero e circolare della opening track, provano ad emergere anche sonorità più classiche, che accompagnano un cantato che di estremo continua ad aver ben poco. Doom, heavy, gothic e dark si abbinano in modo sinistro alla ritmica glaciale che guida il brano. Dicasi lo stesso per la seconda "Black Throne Ascension", più densa di atmosfere cariche di groove. Le linee di chitarra della finale "Wraith" mischiano ancor di più le carte in tavola: si parte da malinconiche melodie stile Rapture, per poi abbandonarsi in oscuri anfratti doom, passando attraverso sonorità occult horror, grazie ad un utilizzo sapiente dei synth. Alla fine 'Cemetery Glow' è un EP che rischia di rivelarsi addirittura coinvolgente, peccato solo duri una manciata di minuti (12), troppo poco per dare una valutazione definitiva alla proposta del combo inglese. Da rivalutare più dettagliatamente sulla lunga distanza. (Francesco Scarci)

giovedì 30 giugno 2016

Wendigo – Anthropophagist

#PER CHI AMA: Black'n Roll/Thrash, Venom
L'antropofagia è la pratica di consumare carne umana, spesso sinonimo principalmente di cannibalismo umano, ma è anche il titolo dell'album d'esordio di questo pazzesco duo norvegese, formatosi solo nel 2014 in quel di Oslo. Ingegnosi nel cavalcare una somma di generi molto popolari e spettacolari, nel rivisitarli con un'estrosità ed una maestria tale da renderli unici. Horror thrash metal con punte rivolte verso i Venom ed i Motorhead, quanto al black metal di Carpathian Forest, God Dethroned e Cobolt 60 ed ai quanto mai perversi Cryfemal, il tutto volto ad un universo malato e sacrilego infinito, correlato di istinto punk lacero ma geniale. Kvalvaag suona tutti gli strumenti, mentre il verbo insano è opera della violentissima e teatrale voce insalubre di Jon Henning, uno stupendo Iggy Pop degli albori, indemoniato e in salsa metal, in preda a convulsioni e tetri spasmi. La loro prima opera è a dir poco esaltante, un mix di vero rock sanguinario e sottogeneri del metal, dal thrash allo speed, passando per il black'n roll, un mix perfetto, originale e squisito per tutti i palati, una gemma imperdibile. Generato come fosse un nuovo nato in casa Venom di tanti anni fa, suonato alla velocità della luce come gli ultimi Children of Bodom (ma poco ha a che fare con la proposta dei finnici), omaggiando il Motorhead sound più violento, quindi senza far superstiti, il tutto condito con un glamour nerissimo da far invidia ai 69 Eyes più gotici ed all'horror punk più underground dei seminali e dimenticati T.S.O.L. Lo ammetto, i Wendigo mi hanno letteralmente folgorato: "The Anthropophagist", che dona il titolo all'album, è incredibile nel suo tiro vetriolico, mentre "Wendigo Psychosis" risulta devastante con il suo progredire in stile punk'n roll dal sapore noir. Una carrellata di brani strappabudella, carica di coscienza e conoscenza rock, stradaiola, putrida e malata, infetta e letale. Impossibile resistere ad un album così completo, curato nel sound e creato con l'intento di dare al metal il suo antico significato, generare trambusto e scompiglio e quando si aggiunge il maligno al rock, si sa, nasce una formula violenta, magica, incontrollabile, anarchica e indomabile, degenerata e dal fascino incredibile. Usciti nel 2015 e distribuiti dalla coreana Fallen Angels Productions, i Wendigo non possono passare inosservati. L'artwork di copertina è poi scarno e sotterraneo, ma soprattutto sbandiera apertamente la pericolosità di un disco del genere. Black'n roll e thrash all'ennesima potenza, un disco di carattere e personalità, tanto umore nero, niente di nuovo sia chiaro, ma sicuramente un disco dall'impatto paragonabile ad una pistola puntata dritta alla tempia della moralità. Album da ascoltare a tutti i costi. (Bob Stoner)

(Fallen-Angels Productions - 2015)
Voto: 85

https://wendigonorway.bandcamp.com/releases

giovedì 14 aprile 2016

Ashen Horde - Nine Plagues

#PER CHI AMA: Death/Black, Akercocke, Mithras
La seconda fatica per gli Ashen Horde, one man band californiana del polistrumentista Trevor Portz, è un concept album horror incentrato su nove piaghe che affliggono gli abitanti di un piccolo villaggio isolato. L'opera, oscura ma di brioso ascolto, non è di facile descrizione a causa delle sue numerose sfumature che ricoprono le composizioni, ma sin dall'inizio chiara e forte è l'impronta progressive in gran parte dei suoni che richiamano nomi del calibro di Morbid Angel, Immortal, Behemoth e Strapping Young Lad. “Desecration Of The Sanctuary” introduce epicamente l'opera e, subito dopo terminato l'accomodamento con le sonorità create dal nostro musicante hollywoodiano, non lascia scampo complici le sfuriate death/black e le ritmiche sincopate che con l'avanzare della traccia diventano sempre più serrate, innalzando malvagi muri di blast-beats. L'opener, insieme all'ultima song, “A Reversal Of Misfortune”, sono le composizioni più prolisse del disco con l'evidente compito di accompagnare l'ascoltatore dentro e fuori da questo concept e a mio parere sono anche le tracce meglio riuscite del disco grazie a questa loro funzione pedagogica capace di coinvolgere ulteriormente l'ascoltatore. Le piaghe invece centrali viaggiano su distanze più brevi e colpiscono dirette e precise, alternandosi tra furiose accelerazioni e rallentamenti marziali, trovando nel binomio creato da “Feral” e “Famine's Feast”, un accostamento a dir poco letale. Altri brani, come “Atra Mors” e “Dissension”, trovano invece la loro forza nel riffing sinistro che rende l'atmosfera fredda, gelida, notturna e soprattutto angosciante. Nonostante tutta la malignità che trasuda, il disco abbonda di melodia la quale, seppur mascherata da toni cupi e macabre pennate, esce palesemente negli assoli e pare essere il marchio che contraddistingue complessivamente il sound degli Ashen Horde (mi sovviene un'analogia con l'ossessiva passione per la scala minore armonica nei Death). Alla fine 'Nine Plagues' è fonte di linfa fresca per il metal estremo figlio delle classiche band death e black, che a livello puramente sonoro rimane ancorato al passato senza cercare particolarità come fatto da altri act quali StarGazer, Mithocondrion o Portal. Questo non significa che il disco suoni banale o semplicemente già sentito, anzi sono certo che gli amanti del classicismo apprezzeranno particolarmente le scelte di Mr. Portz. A livello più personale, una pecca che trovo in quest'opera, seppur riconosca la preparazione tecnica e l'alchimia ricercata dal mastermind statunitense, è la mancanza di una certa espressività nelle composizioni, in quanto il disco si muove costantemente a livelli massimi di rabbia e potenza. Non c'è alcun riff particolare o qualche passaggio che mi coinvolga realmente o mi rimanga in mente, ma sono conscio che 'Nine Plagues' sia certamente un lavoro complesso, pieno di elementi, che necessiti di numerosi ascolti per essere assimilato a pieno. Sono sicuro che con pochi accorgimenti, gli Ashen Horde potrebbero sorprenderci ancor di più in un (speriamo breve) futuro. (Kent)

(Mandol Records - 2015)
Voto: 70