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lunedì 25 novembre 2024

Maverick Persona – In the Name of

#PER CHI AMA: Post Rock/Experimental Sounds
In quante occasioni ci siamo persi nel vasto mondo della musica pop internazionale, cercando qualcosa di interessante da ascoltare, senza mai guardare ai confini nazionali? Ecco, con il nuovo album dei Maverick Persona, vi renderete conto che l'album della "porta accanto" esiste e può avere un respiro internazionale, risultare intrigante e destare la vostra curiosità senza nemmeno passare per il mainstream, preconfezionato e molto spesso vuoto di spessore e idee (vedi ultimi Blur o simili). Il progetto dei due musicisti italiani, Amerigo Verardi e Matteo "Deje" D'Astore, esprime tra le sue note proprio questo, la volontà di essere liberi di creare musica per come la si intende, senza confini o condizionamenti. Infatti, in una intervista uscita al tempo del loro primo album, 'What Tomorrow?', dichiaravano quanto segue: "Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro". La magia di questo nuovo disco si misura proprio in questa libertà, e se ci si associamo i testi, cantati in lingua inglese, volti alla critica di una società al limite tra ipocrisia e decadimento culturale e sociale, il gioco è fatto. Il duo cita i generi electronic, experimental, psychedelic, pop, rock, spoken word, new jazz, world music e gli ingredienti ci sono tutti, e si srotolano con un enorme piacere di ascolto. "Somewhere We Have Landed" e "Underword Conspiracy" sorprendono per la maturità del suono, musica ad elevato impatto psichedelico ed emotivo ad ampio respiro internazionale, un elettro-ambient sofisticato, ma non solo; l'impazzito jazz di "Sirshka" e i sussulti new/acid jazz di "Where Are You", confondono ed ampliano gli orizzonti musicali. L'insieme dei brani mi ricorda le teorie ricostruttive di Bugge Wesseltoft in 'New Conception of Jazz' del 1996, aggiornate con rianimata verve e suoni di nuova provenienza, ma l'album nasconde anche tante stanze segrete tra le sue note, sentori di acido trip hop per "Try to Get the Sun", mentre per "Dreaming Laurel Canyon", come dice tra le righe anche il titolo, dream pop e drone, si fondono per donarci una vera e propria sensazione di volo. 'In the Name of' è un disco di palpabile spessore artistico, carico di sorprese, adatto ad un pubblico moderno, che ama il sound variegato, curato e dalla trama intelligente. Un disco che allieterà i vostri ascolti, portandovi anche alla riflessione in più momenti, perché la rivoluzione nel mondo passa anche da suoni che sembrano innocui e pieni di luce ma che in realtà esprimono tanta ribellione. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

venerdì 11 ottobre 2024

Doortri - Eeeeels

#PER CHI AMA: Noise Rock Sperimentale
Un album complicato, un album difficile, figlio di una visione ampia e trasversale, disomogeneo, un disco differente. Il secondo disco dei Doortri, cambia le coordinate musicali che li avevano contraddistinti nell'album di debutto (opera sonora di denuncia contro l'inquinamento dei PFAS nella regione Veneto), optando qui per una veste più sperimentale, senza regole, un suono sfuggente a tutte le categorie, fatto di rumori, urla, jazz sperimentale, noise, sussulti punk e hip hop atipico. 'Eeeeels' è una specie di concept diviso in varie tappe, che contengono brani molto diversi tra loro, i quali portano ancora i segni del disco precedente, con tracce della no wave nel segno di James Chance and the Contortions, ma di cui perdono l'urgenza sonora per approdare a un sound ricercato nei meandri del mondo noise più ortodosso, sacrificando parte del sax e di quella batteria così sanguigna, in favore di voci, cantati distorti e non, e tanti rumori sparsi qua e là, come tanti fiori in un prato. Il suono è in generale astratto, in cui vive un'aggressività sofisticata, e spesso, gli esperimenti diventano cerebrali, a volte schegge impazzite, al limite della follia. La batteria spesso suona effettata, come in certi esperimenti solisti di Big Paul Ferguson, in taluni casi si sentono eterei profumi kraut rock, ipnotici richiami tribali ("Filasteen Hurra", con ospite alla voce Ghufran Alkhalili), persino echi etnici e di certo crudo e pesante acid jazz anni '90 ("Jelly Belly"). "Untilted (Untitled)" suona folle e rumorosa (anche senza chitarre distorte), tanto che non sfigurerebbe a un'edizione dell' Obscene Festival; "Monkey Christ" sembra un retaggio dei punk inglesi Crass, con jingle stile carica delle giacche azzurre nei film di Rin Tin Tin, mentre la lunghissima "Sleeeee", funge da portabandiera del cambiamento sonoro attuale della band, dove l'effetto Zorn è calpestato da una batteria pressante e da una sequenza di rumori, synth, interferenze e distorsioni, che impediscono al sax di emergere, riportando alla memoria le oblique teorie musicali dei God nel brano "Love". I Doortri sono una band formata dal percussionista Gianpaolo Mattiello, fiati e programming di Tiziano Pellizzari, e dai rumori vari ottenuti anche dalle frequenze di una vecchia radio portatile usata praticamente come synth non convenzionale da Geoffrey Copplestone, che si occupa anche alle parti vocali, utilizzate sempre ad effetto, ma in quantità contenuta. Inoltre, in questo album la band ha voluto fortemente ampliare la rosa sonora introducendo i già citati synth e parti campionate pre-registrate, rumori d'ambiente, voci e quanto altro gli girava per la testa, utilizzando tanti arnesi che provocano rumori e fruscii. Mixati dalla leggenda Elliot Sharp, che ha suonato anche la chitarra sul brano finale "Sleeeee", l'album è uscito sotto le ali della Zoar Records, l'etichetta newyorkese, appunto di Mr. Sharp. Un disco che ha molte facce e si diversifica continuamente, dove molti brani oscillano tra poco più di uno-due minuti fino a un massimo di ventidue (!), sottolineando così la sua veste surreale. A volte si ha l'impressione di essere di fronte a un disco di elettronica stile Autechre, ma subito si viene smentiti, mentre a un ascolto approfondito, ci si accorge che tutto è suonato veramente da musicisti sperimentatori che rumoreggiano con arnesi di fortuna, coperchi di latta, campanelli e molto altro, uniti a strumenti musicali acustici ed "Eeeeels" è la prova concreta, e forse il brano che più di tutti, richiama nel suo sound, quel pizzico di mondo alternativo proveniente dalla Grande Mela, intrinseco da sempre nella musica del trio vicentino. La conclusiva "Greyhound Bus", è un jingle dal ritmo country folk per un carosello dal finale ambient, suonato in piena regola. Questo disco è un gran bel traguardo, qualcosa che guarda oltre, qualcosa di processato, pensato e distillato in studio nota dopo nota, rumore dopo rumore, ritmo dopo ritmo. Jazz non jazz, sense non sense music, rumoristica, no wave, uno Zorn scarnificato fino all'osso, pillole di musica alternativa per intellettuali amanti dei suoni inusuali e multi direzionali. Ecco, il nuovo mondo dei Doortri è servito. (Bob Stoner)

mercoledì 28 agosto 2024

Eventide - Waterline

#PER CHI AMA: Experimental Sounds
Gli Eventide sono una costola che si è staccata del gruppo francese degli Epitaphe, o come da loro stessa ammissione, un'evoluzione sonora verso altri lidi musicali, territori che con la band madre non potevano essere evidentemente raggiunti, visto il genere prog, doom, atmospheric black metal trattato. Qui siamo di fronte a una naturale svolta verso l'ambient, il drone, con aperture al dark/jazz e una palese attitudine compositiva che ama le lunghe distanze, come se i brani fossero piccole colonne sonore. Si toglie spazio al ritmo, le chitarre diventano eteree, lisergiche, in funzione della ricerca atmosferica, in un'esplorazione che si avvale anche dell'aspetto sperimentale del jazz, e del suono del sax, che si mette sempre in buona luce in contesti simili. I 15 minuti di "Eventide", si aprono con aria mistico/ipnotica di casa Brendan Perry, con un cantato ancestrale (che è peraltro l'unico presente nell'album), per diventare in seguito un omaggio alle soundtrack degli Ulver, e alle lunghe sperimentazioni e libere improvvisazioni d'insieme. Si muove come una lunga intro dal suono d'ambiente, misteriosa e intensa. Il brano successivo, la titletrack "Waterline", l'unica a esser stata registrata in studio (il resto è tutto live), spiazza un po' l'ascoltatore con il suo mood virato a certe forme, almeno nella sua prima parte, lounge/ambient/jazz (ma prendete con le pinze questa definizione), e un ingresso di batteria che ricorda alcune cose più orecchiabili, e a mio modesto parere discutibili, sempre degli ultimi Ulver. Un brano che non spinge in realtà così tanto verso la sperimentazione, e che non aggiunge molto al già sentito in questi ambienti, e che sembra altresì adagiato su standard usuali, anche se mostra una buona coda finale. L'arrivo di "Adrift", è la cosa più disattesa, per quello che fin qui la band di Grenoble ci aveva fatto sentire. Si tratta infatti di un pezzo breve, di circa due minuti e mezzo, che si sorregge su note pizzicate di piano e acquisisce, per certi aspetti ipnotici, atmosfere eteree di matrice celtica, create dall'arpa splendida di Alan Stivell, che lo renderanno alla fine magico e assai intrigante, simbolo di una piena e raggiunta maturità compositiva. L'opera si chiude con la lunghissima "Sphere", che parte tra rumori in sordina e un sax in sottofondo, che mi ricorda le cose fatte dai Londinesi Lowering (non gli omonimi newyorkesi) in una versione più noise e underground, affidati però a una veste più ansiogena, strumentale e minimale del Dale Cooper Quartet and the Dictaphones. In definitiva, 'Waterline' si configura come un bel disco, sicuramente di transizione, che apre a un nuovo futuro per questi musicisti, un evidente distacco totale dalle belle cose fatte in passato con gli Epitaphe. Un nuovo tassello che va ad ampliare ulteriormente il già prolifico roster del multi artistico collettivo Eptagon di Grenoble. (Bob Stoner)

martedì 6 febbraio 2024

NI - Fol Naïs

#PER CHI AMA: Prog Rock
Per capire una band come i francesi NI, bisogna semplicemente fingere di non capirli e assimilarli così come sono e per quello che ci fanno sentire. Mi spiego meglio. Ho letto in rete recensioni che li mettevano in parallelo col mathcore e le opere diversificate di Mike Patton, e il paragone in minima parte ci può anche stare, ma secondo me l'aria che si respira dalle parti della band transalpina è da ricercare altrove, e trova radici molto più indietro nel passato della musica. Se vi capitasse di ascoltare l'evoluzione de "L'Elefante Bianco" degli Area, nell'album "Crac!" del '75, troverete infatti grosse analogie con alcune delle costruzioni sonore dei NI, poiché questa band ha un legame particolare fin dalle sue prime opere con il progressive rock più folle e libero dagli schemi, e qui non posso non citare un loro precedente geniale lavoro qual era 'Les Insurgés de Romilly', e poco importa se in questo nuovo album, fino al brano "Berdic", sembrano aver ascoltato una volta di troppo i The Dillinger Escape Plan o i Psyopus, per cercare di far presa su di un pubblico più vasto con un suono più carico. Il fatto è che la frenesia, la follia, e alcuni stilemi del rock in opposition, erano già nel DNA di questo gruppo ed è bastata una produzione più scura e pesante, dove si riesce a carpire l'essenza buia di lavori come '777 - the Desanctification' dei Blut Aus Nord (anche se qui non stiamo parlando di black metal), per aprire un nuovo fronte per questo combo di gran valore, composto da musicisti di qualità, che sanno esaltare il potere dei suoni dell'avanguardia, restandone caparbiamente e intelligentemente lontani, per cullarsi una loro completa e intoccabile originalità. Vi si trovano anche tracce di free jazz contorto e schizoide ("Chicot", "Rigoletto"), sulla scia di certe composizioni sentite su 'Blixt' del trio Bill Laswell, Raoul Bjorkenheim e Morgan Agren, e per non farsi mancare nulla, anche una tensione sonora tangibile di band come gli oramai dimenticati ma mitici Jesus Lizard. Nella triade di "Triboulet part 1, 2 e 3" si sente tutto il legame con gli album precedenti con le loro evoluzioni sofisticate ma aperti anche a momenti di atmosfera, che poco si lasciano apparentare con il mathcore o il metal, ritornando a parlare di vero e proprio prog d'avanguardia di casa Zorn. Pur trattandosi di musica rumorosa e distorta, vi trovo anche una bella attitudine nel plasmare la materia prog alla maniera degli Universe Zero, ovviamente con le dovute distanze dal gruppo belga. Mi permetto di dire anche che i NI possono avere un retaggio futurista alla Meshuggah, come citato dal press kit di presentazione del disco, ma a mio avviso non li percepisco assolutamente freddi e chirurgici come i colleghi svedesi anzi, per essere prevalentemente strumentali, suonano caldi, avvolgenti ed espressivi, e mostrano un'aggressività più devota all'arte dell'immaginario astratto che alla rabbia o alla tecnica in sè. Penso si sia capito che questa loro nuova opera è uno dei migliori album del 2023 per il sottoscritto, copertina superba come sempre d'altronde, una grande produzione, musicisti in splendida forma esecutiva e compositiva, un'ottima uscita per la instancabile Dur et Doux, un disco immancabile nella vostra bacheca dell'avanguardia. (Bob Stoner)
 
(Dur et Doux - 2023)
Voto: 80
 

sabato 25 novembre 2023

Aether - S/t

#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock
Non è stato certo cosi facile recensire l'album dei milanesi Aether. Nati solo sul finire del 2021, i quattro esperti musicisti sono riusciti ad attirare l'attenzione dell'Overdub Recordings che subito gli ha concesso l'opportunità, con questo album autointitolato, di mettersi in mostra attraverso una non scontata proposta musicale. Forti di pregresse esperienze in ambito jazz - la tesi di laurea del bassista su questo genere ne è la prova, ma vi basti anche ascoltare "Radiance" per carpire immediatamente le forti influenze del genere afro-americano - la band sciorina undici pezzi strumentali che poggiano la propria architettura proprio sul concetto di base di questo sound, ossia l'improvvisazione, la progressione armonica e l'elasticità ritmica proposta in maniera ineguale, scandita da fughe di basso e chitarra e rallentamenti più tenui e sofisticati ("Thin Air") che palesano ulteriori influenze musicale provenienti dal post rock e dal progressive, il tutto permeato di un tocco cinematico che sicuramente non ne guasta l'ascolto, anzi lo integra abilmente. E proprio quello delle colonne sonore potrebbe sembrare il mood offerto da un brano delicato e sensuale (al limite dell'ambient) come può essere "Grey Halo". Decisamente più jazzy la successiva "Pressure" (e più avanti sarà lo stesso anche con la bluesy "Moving Away"), che mette in mostra l'eccellente perizia esecutiva dei nostri, che tuttavia a me scalda meno il cuore perchè finisco quasi per viverla come un puro esercizio di stile. Più convincente, e per questo più vicina alle mie corde, "A Gasp of Wind" offre le luci del palcoscenico dapprima alla chitarra, per poi spostare i riflettori all'insieme degli strumenti che, pur muovendosi in ambienti oscuri, quasi tetri, ne escono forieri di speranza. Sonorità aliene emergono invece dalla più stralunata e dronica "A Yellow Tear in a Blue-Dyed Sky", in cui la scena sembra prendersela esclusivamente il basso di Mr. Grumelli. Ancora sofismi noise drone con "The Shores Of Solinas", mentre con "Crimson Fondant", il quartetto lombardo sembra abbracciare caleidoscopiche sonorità settantiane blues prog rock (il che stride peraltro con la copertina monocromatica del disco), senza tralasciare comunque quella matrice di fondo jazz su cui poggia l'intero disco. Un viaggio sonoro che si chiude con la musicalità catartica di "This Bubble I’m Floating In": questa sigilla un lavoro ambizioso, complesso e affascinante, che necessita tuttavia di una grande predisposizione di testa e animo per poterla ascoltare ma soprattutto capire. Se voi però vi sentirete pronti ad affrontarla, allora gli Aether potranno fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://aether5.bandcamp.com/album/aether

sabato 12 agosto 2023

Doortri – PFAS OFF

#PER CHI AMA: Noise Rock/Jazz
I dischi che inglobano tematiche di rilevanza sociale dovrebbero essere presi in considerazione con un punto di vista più esteso e ad ampio spettro. È il caso del primo full length dei vicentini Doortri, rivolto al dramma dell'esposizione ai PFAS di una fetta di popolazione veneta che conta circa 400.000 persone, e all'area avvelenata dalla Miteni (Mitsubishi/ENI), che ha inquinato le falde acquifere di un territorio che tocca ben tre province venete, e che si può considerare ad oggi, il più grande avvelenamento da materiale di scarto da processi di lavorazione d'Europa, uno scandalo rimasto senza colpevoli e con reati ad oggi impuniti, nonostante anni di processi sulla questione e valanghe di prove di colpevolezza. I Doortri sono un trio guidato dai fiati di Tiziano Pellizzari (sax, clarinetto ed elettronica), un musicista che si contraddistingue per un vellutato tocco jazz, raffinato e cupo, mai troppo ritmico, ne troppo invadente, ma sempre protagonista in modo originale e personale, dotato di quel tipico sound newyorkese, da mettere a braccetto con l'Elliot Sharp del progetto Aggregat Trio, che ingabbia il suono vivace e malinconico delle strade notturne della Grande Mela. Supportato dalle percussioni di Giampaolo Mattiello, il suono che ne emerge è un parto multiforme che assume aspetti più dilatati brano dopo brano. Una vena No wave, da rileggersi in retrospettiva come No New York, s'incontra e scontra con alcune deviazioni rock in opposition, senza nascondere influenze hip hop della prima era, con rap e parlato che ne rimandano il ricordo alle sue forme più scarne. Questo grazie alla presenza di Geoffrey Copplestone, in qualità di vocalist, synth e rumoristica varia, prodotta peraltro da una vecchia radio portatile amplificata, alla perenne ricerca della banda radiofonica perduta. Il lato rumoristico si sposa bene con la verve jazz punk della batteria, più rivolta a tecniche percussive che ad una ritmica reale in senso stretto. Un intruglio di Rip Rig and Panic e le velleità anarchiche di Adam and the Ants, uno che tra punk e mille altre influenze ritmiche, di miscugli se ne intende. E ancora, pensando al mondo rumoroso dell'opera 'Marco Polo' dello stesso Sharp, e aggiungendo la parola avanguardia, il quadro si definisce, con i Doortri che ce la mettono tutta per depistare l'ascoltatore, nota dopo nota. Il brano "Caesar" è un singolo di ottima presentazione, mentre la title track incarna un po' tutte le anime della band. Gli spettri però sono molteplici nella musica dei Doortri e li possiamo sentire e toccare in "Haiku", ipnotica e cupa, o nella rumorosa "Mark E. Beefheart", dove presumo che il riferimento nel titolo ai due noti musicisti, non sia una semplice casualità, bensì una forma di ammirazione. "Deviazione" che fa da ponte tra la prima parte dell'opera e la seconda, mostra pesanti inserti noise su di un lento tappeto ritmico molto cadenzato, una sorta di barcollante jazz ubriaco, in stile marcia funebre. Da questo punto in poi ci si evolve in un'ottica più ricercata ed elaborata, una forma che concilia un volto schizoide con un certo tocco sperimentale che si libera in forme più progressive e sperimentali, come in "No Logo(s)". La conclusiva e lunga suite "Johatsu" riporta un'immagine della band che si allontana ancora di più dal sound standard della band, spostandosi più su vie industrial noise dei primi storici sussulti rumorosi dei Throbbing Gristle, con atmosfere ai confini dell'ambient sperimentale e rumorista. Questo disco, registrato interamente dal vivo e mixato e masterizzato dal guru Elliot Sharp, rientra nella cerchia della Zoar Records, e dimostra la qualità raggiunta dal trio di Orgiano, sebbene, per puro sfizio personale, l'avrei voluto sentire con una produzione più da studio e meno live, soprattutto nelle parti vocali. Una vera repulsione nei confronti delle gabbie musicali, e un sano principio di 'musica libera tutti', spinge quest'opera verso la ricerca più astratta e surreale, rinvigorendo quel parco di band che spendono le loro capacità compositive in forme sonore poco catalogabili e in continua evoluzione. Un disco interessante tra improvvisazione, sperimentazione e ricerca che si eleva dal precedente demo 'Deviazione', incentrato a sua volta sulla devastazione pandemica, ampliandone qui i confini compositivi e la qualità sonora. Un album questo che appassionerà i più curiosi avventurieri del mondo jazz sperimentale, magari sensibilizzando più persone possibili sul grave problema dei PFAS presenti da decenni nelle falde acquifere del Veneto. Attraverso la musica, informare su larga scala per ottenere giustizia per la comunità. Anche questo impegno è parte espressiva della forma d'arte di un musicista. PFAS OFF! (Bob Stoner)

venerdì 11 agosto 2023

Sleepwalker – Skopofoboexoskelett

#PER CHI AMA: Black/Avantgarde
Osaka, Tver e New York: in queste tre città vivono rintanati gli Sleepwalker, elaborando suoni sordidi, sperimentali e malati, attraverso una miscela esplosiva di musica black, post rock, avantgarde e noise, che avevo amato follemente ai tempi di ‘Noč Na Krayu Sveta’. La band torna con quattro nuovi pezzi che in questo ‘Skopofoboexoskelett’ si concentrano sulla nozione di autoriflessione, intuizione e le manifestazioni esteriori e interiori della fobia, mentre si relazionano all'interno di quel loro mondo singolare. In un contesto lirico cosi complesso, c’è da attendersi anche che la band si lanci in folli escursioni in bilico tra black, avantgarde e jazz (complice l’utilizzo del sax), già udibile nella caotica traccia in apertura, “Mirrors Turned Inward”. Con i nostri non si può rimanere mai sereni, c’è da aspettarsi che accada di tutto nell’evolversi impetuoso dei loro suoni, quindi non stupitevi se si passa dal grind/black al free jazz/noise, laddove il confine talvolta può essere estremamente labile. Psicotici non c’è che dire, li adoro per questo, nonostante la loro musica sia qualcosa di davvero complicatissimo da digerire. “Silesian Fur Coat” sembra virare verso suoni più ritualistici, ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio e quindi ecco che dopo 90 secondi, la band imbocca strade deviate, dove a mettersi in luce saranno un basso mirabolante, synth estatici, una chitarra prog e un’atmosfera etnica che avvolge tutto il tessuto musicale della band, mentre il vocalist prosegue con il suo screaming evocativo. “The Eagle Flies” è una scheggia impazzita di due minuti e mezzo aperta dal suono di un didgeridoo che evolverà velocemente verso sonorità tribali e ci prepara mentalmente all’ultimo delirio sonico della band, “The Bad Luck That Saved You From Worse Luck”. Un pezzo che si apre con atmosfere di pink floydiana memoria e attraverso un avanguardistico black mid-tempo (interrotto da una breve grandinata grind) sarà in grado di accompagnarci fino alla conclusione di questo splendido lavoro che farà la gioia di chi come me, ama le band in grado di prendersi più di qualche rischio e se ne strafotte altamente di mode o trend musicali. Bravi, non aggiungo altro. (Francesco Scarci)

(Sentient Ruin Laboratories – 2023)
Voto: 80

https://sentientruin.bandcamp.com/album/skopofoboexoskelett

giovedì 10 agosto 2023

Tangled Thoughts of Leaving - Oscillating Forest

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Ecco, l’hanno rifatto. Sto parlando degli australiani Tangled Thoughts of Leaving che hanno rilasciato un altro album di folle, imprevedibile post metal strumentale, venato di sonorità jazz. Chi pensa che questo genere inizi a stancare, beh si sbaglia di grosso perchè ancora una volta, la band di Perth supera se stessa e ci delizia con un doppio lavoro dal titolo suggestivo, ‘Oscillating Forest’, e da contenuti di altissimo livello che spazziano tranquillamente anche nel versante post rock, nell’ambient, nel prog, nella pura improvvisazione e addirittura nel noise. “Sudden Peril” apre le danze del lavoro e in poco meno di quattro minuti ci mostra il livello di ispirazione odierno della band, ma è con la più claustrofobica e decisamente più lunga (8:28 min) “Ghost Albatross”, che il quartetto australiano inizia col mettersi a nudo tra atmosfere post rock, spaventosi chiaroscuri orrorifici, cambi di tempo improvvisi e (in)frazioni rumoristiche destabilizzanti, che ci fanno capire il genio di questa band davvero multisfaccettata che sa esattamente come scrivere musica di un certo livello, dotata peraltro di un certo impatto emotivo. La cosa si mantiente anche nei quasi 10 minuti della terza “Twin Snakes in the Curvature”, un pezzo che si presenta con un impianto cinematico-sperimentale davvero inquietante a cavallo fra ambient e noise, in grado di annebbiare il cervello come la peggiore delle sostanze psicotrope. Superato questo trip da funghi allucinogeni, la band pensa bene di infarcire il tutto con il pianoforte e a destabilizzarci ancor di più con partiture jazzistiche davvero funamboliche. Non sarà semplice venir fuori interi da questa jam session, un po' come se ci fossimo fatti un tuffo in un frullatore gigante e avessimo lottato contro kiwi, fragole e banane giganti. Abbandonata questa parentesi vegana, vengo risucchiato dai due minuti rumoristici di “Seep Into” che ci accompagna a “Lake Orb Altar” e alle sue derive soniche desolanti, quasi uno scatto del deserto che è emerso dal prosciugamento del lago d’Aral, una visione apocalittica figlia del mondo in cui stiamo vivendo, un mondo che brucia da un lato mentre l'altro viene innondato da acque tumultuose. E questa song brucia, genera emozioni contrastanti, turbamenti interiori, un malessere da cui sarà difficile sfuggire, sebbene la melodia nella sua seconda metà, provi a stemperare l’apocalisse incombente. Ma poi, la ritmica avanza veloce, il basso pulsa come quando il cuore mi esplode nel petto dopo una scalata di una montagna, i giochi di synth diventano ipnotici e le chitarre frastornanti. Ci pensa “Trinket Forest” a ripristinare l’equilibrio con suoni da tempio buddista (o forse giardino zen). Il rumorismo torna sovrano in “Lamprey Strings” e si va mescolare con un’improvvisazione sperimentale davvero da capogiro in grado di rovesciare pensieri, parole ed emozioni. Se avessi scalato l’Everest sarebbe stato decisamente più semplice e invece farsi inghiottire dalle chitarre caustiche di “Bush Wallaby”, con quei suoi giochi di piano e batteria, diventa quasi una delle cose più complicate da affrontare, visto che davanti ci sono altri tre brani per oltre 20 minuti di musica: dal pianoforte impazzito della spettrale “Folded Into”, suonato da un fantasma in un castello maledetto, alle atmosfere da incubo di “The Mantle”, per terminare con la lunghissima (oltre 11 minuti) title track, in grado di darci il definitivo colpo del ko, tra suoni morbosi, deviati e schizofrenici che non pensavate potessero esistere su questa Terra. Semplicemente pericolosi. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records/Dunk! Records – 2023)
Voto: 77

https://ttol.bandcamp.com/album/oscillating-forest

lunedì 10 luglio 2023

The Sun or the Moon - Andromeda

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Era l'agosto del 2021 quando recensivo 'Cosmic' dei tedeschi The Sun or the Moon. A distanza di due estati, eccomi con il comeback discografico dei nostri in mano, 'Andromeda'. I nostri ci ripropongono, ancora attraverso un tema di tipo cosmico, il loro ispiratissimo connubio tra kraut rock e psichedelia, spingendoci indietro nel tempo di quasi 50 anni. Si perchè anche questo lavoro, come il precedente, affonda le proprie radici musicali, in band baluardo di quelle sonorità, Pink Floyd, Tangerine Dream, Ozric Tentacles e Hakwind, giusto per fare qualche nome qua e là a casaccio. E "Operation Mindfuck", che sembra fare il verso a 'Operation Mindcrime' dei Queensryche, in realtà si muove su fluttuanti sonorità oniriche, con tanto di sensuali percussioni che ne guidano l'ascolto interstellare, verso galassie lontane, e la voce del frontman a deliziarsi con vocalizzi puliti e delicati. Con "Psychedelik Kosmonaut", le cose cambiano drasticamente (ma sarà la sola traccia del disco a scostarsi cosi violentemente dalle altre) con una proposta più incalzante, come se i Rammstein suonassero cose dei Kraftwerk in versione più danzereccia, e con le voci in lingua madre, a sancire il senso di appartenenza a questo genere. "Planet 9" nuovamente imbocca la strada dell'opening track, tra lisergiche atmosfere rilassate, pulsioni cosmiche, suggestioni prog e aperture jazzy, con flauto e pianoforte veri punti di forza di un brano che sembra frutto di pura improvvisazione. Anche "Andromedan Speed Freaks" prosegue su binari affini, anche se a metà brano irrompe un robustissimo riff di chitarra, per poi successivamente rientrare nei ranghi di un sound cosmico, composto ed illuminato, pronto ad accompagnarci nelle esotiche contaminazioni di "The Art of Microdosing". Una song quest'ultima, che riassume nella sua interezza la proposta dei teutonici, che vede chiamare in causa anche i Cosmic Letdown in quelle parti più orientaleggianti, e che peraltro, nelle sue fosche melodie, concede il palesarsi di una ugola femminile e di un ispiratissimo sax, vera ciliegina sulla torta di questo inebriante pezzo. Si prosegue sui tocchi di piano di "Into Smithereens" ed una voce che, inequivocabilmente, chiama in causa i Pink Floyd, per un brano dotato peraltro di un'animosità splenica davvero emozionante. "Surfin' Around Saturn" (splendido questo titolo per cui è stato anche girato un video) ci fa fluttuare nel vuoto spaziale tra sonorità di doorsiana memoria e una forte vena pinkfloydiana che rappresenta probabilmente la principale influenza per i nostri. Analogamente, per la chiusura affidata all'ancor più eterea "40 Days", un pezzo che, seppur strumentale, rappresenta con il suo lungo assolo prog, il vero pamphlet dei The Sun or the Moon. Siete pronti anche voi quindi per un nuovo viaggio interalattico? (Francesco Scarci)

martedì 20 giugno 2023

Leagus - Flora Eallin

#PER CHI AMA: Jazz Rock Sperimentale
Prosegue la scoperta nel sottosuolo norvegese di realtà fuori dal comune. Abbiamo da poco recensito i Seven Impala o la bizzarra creatura di Lars Fredrik Frøislie, e ora ci ritroviamo fra le mani 'Flora Eallin' del duo dei Leagus. Che aspettarci quindi da questa release? Intanto direi l'eleganza di un pianoforte che apre timidamente "Kime", la traccia che inaugura l'ascolto di un disco che sembra nascere come un lavoro di improvvisazione rock jazz, che sembra andare tanto di moda negli ultimi tempi. È una specie di intro ambient quindi quello che dà il via a questo lavoro. Con "Flor" infatti ci immergiamo nelle dinamiche strumental-sperimentali dei due musicisiti e dei molteplici ospiti che ne popolano l'album, sospese tra percussioni da lounge club (suggestivo il contrabbasso di Marianne Halmrast), effluvi elettro-noise, ritmiche oniriche, assoli di sax (a cura di Ola Asdahl Rokkones, Sondre A. Kleven e Fred Glesnes), il tutto avvolto in un sound che dire minimalista, potrebbe risultare quasi eufemistico. Mettiamo comunque in chiaro che nemmeno 'Flora Eallin', al pari di tantissimi lavori usciti in questo genere ultimamente, sia un lavoro cosi facile a cui accostarsi. Lo dimostrano anche i pezzi successivi che, come anticipavo, suonano più come una jam session tra professoroni della musica atti ad assemblare musica tanto coraggiosa quanto estremamente sperimentale. "Vann" è un ensemble di suoni scomposti e voci surreali. "Tendril", dotata di una forma canzone, è semplicemente vellutata, soprattutto merito di una coppia di strepitose interpreti vocali (che cantano in norvegese). Che il disco sia stato commissionato dalla North Norwegian Jazz Ensemble, appare più chiaro man mano che si avanza nell'ascolto di 'Flora Eallin'. Analogamente a questa traccia, anche "Nihkui" (e poi ancora "Mykorrhyza") sembra seguire una logica comune, fatta di timide melodie sorrette da eteree voci femminili e fughe di sax. "Vind" si fa notare invece per una sorta di solo di contrabbasso, mentre "Pripyat" (in compagnia di "Hyperion") sembra la traccia più dinamica e sorprendente del lotto, tra giochi al pianoforte, uno splendido percussionismo, squarci di "zorniana" memoria, una certa dissonanza ritmica, voci hip-hop, atmosfere cupe e un'andatura che alla fine sarà baldanzosa e altalenante, che probabilmente la rendono la traccia più indovinata in questo lotto di imprevedibili song degli stravaganti Leagus. Una band complicatamente folle. (Francesco Scarci)

(Is it Jazz? Records - 2023)
Voto: 75

https://leagus.bandcamp.com/album/flora-eallin

domenica 11 giugno 2023

Klidas - No Harmony

#PER CHI AMA: Progressive Jazz Rock
Una band italiana alla corte della Bird's Robe Records? Da non crederci. Eppure i marchigiani Klidas (parola ceca che sta per gigante di silenzio) ci sono riusciti ed eccoli quindi approdare alla label australiana con questo 'No Harmony', album che combina un rock sperimentale con stilettate progressive e fughe jazz, il tutto inebriato da fragranze avanguardistiche. Questo almeno si evince dalle note iniziali di "Shores", un pezzo di un certo spessore strumentale che mi fa storcere il naso per la sola mancanza di un vocalist che avrebbe deliziato i palati dei più pretenziosi,  incluso il sottoscritto. E poco importa se musicalmente il sestetto nostrano ci diletta con splendidi tunnel sonori dove sax, chitarre, synth e percussioni sembrano avvolgerci in un delicato abbraccio, qui avrei desiderato una voce a solleticare i miei sensi e a rimpinguare quelle sonorità oniriche che si palesano sul finire del pezzo. "Shine" giunge però in mio aiuto con la comparsa finalmente di un vocalist, mentre la musica continua su sonorità similari alla traccia d'apertura, evidenziando peraltro qualche similitudine con gli In Tormentata Quiete più sperimentali e progressivi. Ai nostri piace comunque dare largo spazio alla strumentalità, spesso raffinata, che si concede anche il lusso di qualche porzione atmosferica che fa da contraltare a momenti più tosti, in cui la pesantezza delle chitarre, forse in taluni casi troppo caotiche, viene stemperata dall'azione del sax. Si prosegue con "Not to Dissect", e un incipit ubriacante che mostra come ingredienti di base ancora jazz e rock, con quest'ultimo a continuare in quell'opera di tirarci schiaffoni ben assestati in pieno volto, peraltro sempre ben assistito da un sax dai tratti invasati. "Arrival" sembra essere la quiete prima della tempesta: un percussionismo garbato che lentamente prova ad accelerare i ritmi, senza mai prendere realmente il volo, anzi declinato verso atmosfere più rarefatte laddove le vocals s'infiltrato nella matrice musicale. Poi largo spazio ai virtuosismi, agli assoli di sax, al manifestarsi di una spoken word di una gentil donzella giapponese che parla di un percorso d'ascensione ad una dimensione superiore. Questo almeno quello che mi ha decifrato il buon vecchio e utilissimo google translator. Con "Circular", si pesta duro sull'acceleratore grazie ad un caleidoscopico jazz rock che per certi versi mi ha evocato i The Mars Volta, ma i nostri sono abili musicisti, in grado quindi di alterare con una certa disinvoltura il flusso sonoro, spezzettandolo ora con break atmosferici o con accelerazioni progressive e ancora con dirompenti scariche elettriche. A chiudere l'opera arriva la psichedelica "The Trees are in Misery", con i suoi caustici giri di chitarra, repentini cambi di tempo, un ottimo lavoro alle tastiere e molto molto altro, per cui vi lascio il compito di esplorarne ulteriori contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 74

https://klidas.bandcamp.com/album/no-harmony

lunedì 5 giugno 2023

Seven Impale - Summit

#PER CHI AMA: Prog/Jazz Rock
Dopo sette anni tornano i Seven Impale, ensemble norvegese che conta tra le proprie fila, tra gli altri, il tastierista Håkon Vinje degli Enslaved. La band di Bergen, guidata da Stian Økland (uno che si è laureato alla Grieg Academy come cantante lirico), sforna questo 'Summit', un lavoro di sole quattro lunghissime tracce che ci mostrano la galassia multisensoriale dei nostri incredibili musicisti. Si parte dalle suggestioni jazz prog rock rumoristiche dell'iniziale "Hunter", song che oltre a stabilire l'altissimo livello della barra tecnico-compositiva del sestetto, mostra il grado di sperimentazione a cui dovremo sottoporci durante l'ascolto di questo complicatissimo lavoro, che di certo non vincerà il premio come album più semplice da ascoltare, ma che comunque mostra come sia ancora possibile trovare gente in grado di proporre musica, per quanto ostica, assai originale. E i nostri non si tirano certo indietro, proponendo un sound comunque robusto, sfumato dal sax impazzito di Benjamin Mekki Widerøe (Potmos Hetoimos), da tocchi di pianoforte e da una dose di insana follia che troverà il suo acme per intensità, in un finale sconcertante. La seconda "Hydra" sembra già più morbida, ma non lasciatevi confondere, vista l'abilità dei Seven Impale nel combinare cinematiche porzioni prog con il jazz, con tanto di voci spaziali, e divagazioni space rock che potrebbero evocare i Van Der Graaf Generator o i King Crimson, in una versione decisamente più al passo con i tempi. Ancora straordinaria è l'efficacia del sax nel ideare atmosfere non di questo mondo, cosi come pure la fuga solistica finale a rendere il tutto ancor più ubriacante. Ecco arrivare poi "Ikaros", e i nostri cambiano ancora le carte in tavola con un sound più vicino all'hard rock scuola Motorpsycho, per una cavalcata roboante che vedrà poi una serie di fughe jazzistiche prender forma nel corso dei suoi nove minuti e mezzo, con la voce del frontman sempre magnetica e carismatica a districarsi tra suoni che diverranno via via più cupi e psichedelici. In chiusura "Sisyphus", un pezzo che probabilmente vede convergere tutte le intricatissime idee degli scandinavi verso mondi lontani. Eleganti ma stravaganti vocalizzi, turbolenze sonore, giochi ipnotici delle tastiere, atmosfere epiche e soffuse, vorticosi sbandamenti jazz e dirompenti ritmiche ne fanno la traccia più stralunata e complessa del lotto, che sottolinea alla fine, quanto sia reale la follia che permea questo esuberante ed elaborato 'Summit', un album come minimo da ascoltare, per non dire da comprare a scatola chiusa. (Francesco Scarci)

(Karisma Records - 2023)
Voto: 80

https://sevenimpale.bandcamp.com/album/summit

mercoledì 24 maggio 2023

The Tangent - Not as Good as the Book

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock
Se pensate che il progressive rock stia al totalitarismo neo-prog dei Tangent più o meno come l'internazionale socialista ai ventisei tagli da uomo autorizzati dal regime di Kim Jong-Un, allora potete pensare di avvalorare la vostra tesi esplorando il più prolisso e sfrontato tra tutti gli album prolissi e sfrontati del collettivo in questione. Nelle segrete di questo quarto (doppio) disco troverete di tutto: piano-jazz, Canterbury, i Porcupine Tree, il negazionismo neo-prog (Pink Floyd chi?), il flauto di Ian Anderson, la truzzaggine di E-L-P, il van-der-sax di Theo Travis, il capitano Kirk, i Toto e tutti gli accordi reperibili nei manuali di musica. Tutto questo, diluito in una sorta di stream-of-consciousness sonoro per definire il quale, l'aggettivo torrenziale sarebbe meno adatto dell'aggettivo oceanografico. Cose tipo una Carouselambra zeppeliniana eseguita dai Mike and the Mechanics nella plancia dell'Enterprise (l'incipit di "A Crisis in Midlife" per esempio), per intenderci. L'edizione deluxe di questo album, di cui vi prego di rileggervi il titolo (involontariamente?) iperrealista, contiene una pregevole graphic-novel di 100 pagine che narra la distruzione della Terra da parte di una razza di ferocissimi alieni al suono di "Relayer" degli Yes. Esattamente. (Alberto Calorosi)

(Inside Out Music - 2008)
Voto: 60

https://www.thetangent.org/

lunedì 22 maggio 2023

Ashinoa - L'Or​é​e

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock strumentale
Non ho ben capito la reale data di uscita di questa release dei francesi Ashinoa. Il sito bandcamp riporta infatti marzo 2022 come release date, mentre il flyer informativo in mio possesso, recita Maggio 2023. Mah, fatto sta che il quartetto di Lione ha rilasciato questo vinile per la Fuzz Club Records, cercando di coniugare le molteplici anime della band nei 12 brani inclusi in questo 'L'Orée', un disco fatto di suoni cinematico-elettronici, che mi ha fatto immediatamente balzare nella testa gli inglesi Archive (ascoltatevi l'iniziale "Vermillion" con quella sua chitarra southern per dirmi se anche voi non avete avuto la medesima sensazione). A differenza dei più blasonati colleghi di oltremanica però, i quattro galletti ci sorprendono con un approccio strumentale, ma quella valanga di campionamenti che si possono ascoltare lungo questo minimalistico percorso post industriale, suppliscono alla grande la malefica assenza di un vocalist. E cosi, si rivela meraviglioso farsi inglobare dalle sperimentazioni psych/kraut rock/trip hop dei nostri, manco ci trovassimo di fronte ad una versione strumentale dei Portishead fatti di acidi che decidono di lanciarsi in ritualistiche porzioni di "massive attackiana" memoria ("Koalibi"). Ci sono anche sonorità più fredde o tribali ("Space Cow", "Fuel of Sweet" e l'etnica "Disguised in Orbit"), spoken words interlocutorie ("Falling Forever"). Ma nelle note di questo lavoro, troverete ben altro: dall'elettronica orchestral-jazzistica della roboante (splendide le distorsioni chitarristiche a tal proposito) e psicotica "Feu de Joie", alla più cibernetico-pachidermica (per quei suoi suoni vicini al barrito di un elefante) "Yzmenet", che vi permetterano di apprezzare ulteriormente le alterazioni visionarie di questi pazzi Ashinoa, di cui non posso far altro che incentivarne l'ascolto. Esploratori coraggiosi. (Francesco Scarci)

(Fuzz Club Records - 2022)
Voto: 75

https://ashinoa.bandcamp.com/album/lor-e

domenica 7 maggio 2023

Edredon Sensible - Montagne Explosion

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde/Kraut Rock
Due anni fa presentavamo la band di Tolosa come un tossico mix di Seefeel, Ottone Pesante e Naked City. Oggi siamo qui a riproporveli con la stessa esilarante verve ma con caratteristiche più evolute: detto che squadra che vince non si cambia, l'accoppiata di due percussionisti e due fiati si dimostra tutt'altro che logora di idee e punta dritta al salto di qualità. In effetti il nuovo disco, intitolato 'Montagne Explosion', parte subito a mille all'ora con un brano, "Poulet Gondolé (Chasuble)", accelerato ritmicamente e molto vicino allo Zorn più scanzonato e divertente passando per "Une Bonne Soupe Au Lard" che, tra strampalate grida euforiche, ci espone un tema ipnotico e paranoico. Krautrock per forma e sostanza, un sound compulsivo, sull'orlo di una crisi di nervi, suonato da sax impazziti e una ritmica cara ai Tambours du Bronx (in un numero ristretto di percussionisti) quanto ai giochi percussivi di Byrne in 'Rei Momo'. Il tutto vale anche per "GQ" e "Where Is un Alcool Japonais Qui Aime Se Baigner En Restant à La Même Temperature" . Canoni sonori che si ripercuotono in tutto il disco e lo caratterizzano fortemente. Lungi però dal pensare che gli Edredon Sensible siano ripetitivi anzi, dimostrano infatti in questo secondo full length, di aver raggiunto un consolidamento stitlistico di tutto rispetto ed una fantasia compositiva sopra la media. Di certo usare i concetti compositivi che sono più identificabili con la musica elettronica pulsante ed ossessiva, tanto per fare un nome alla Miss Kittin and the Hacker, in forma sempre progressiva, psichedelica e jazz fuori dagli schemi, non è proprio da tutti, e anche il suo ascolto non è proprio per un vasto pubblico. Il quartetto francese è senza freni e viaggia sulle onde del free jazz più libero permettendosi di mandare più di una volta in orbita l'ascoltatore, come un vero e proprio progetto di musica trance, mantenendo sempre un fortissimo legame con le fondamenta del jazz più d'avanguardia ma anche quel tocco frizzante di certo acid e free rock, come se gli Us3 riprendessero una song per riproporla in chiave psichedelica, dallo sterminato catalogo del maestro Zorn. Titoli di canzoni strani per una musica complessa e carismatica, fatta per essere compresa da una piccola nicchia di veri ascoltatori e adoratori di sperimentazione intelligente, suonata da musicisti con la M maiuscola. Quando "Lo Pastour Bai Amouda" stravolge e silenzia il tutto, passando ad un canto appena sussurrato e folk, rurale e ancestrale, con sperimentazioni vocali nel ricordo delle divine scuole di Meredith Monk, Joan la Barbara e l'ancestrale mistico di Sharron Krauss, rivela un brano assai suggestivo composto in compagnia delle belle voci di Lola Calvet, Lisa Langlois, Noëllie Nioulou, Marthe Tourret, in una traccia molto diversa e inaspettata per lo stile della band, ma davvero intrigante. Come già accennato, l'efficacia percussiva della band, si apprezza alla grande in "Where Is un Alcool Japonais...", che potrebbe rientrare nel catalogo dei Banco de Gaia (stupendi peraltro i momenti in cui la musica sembra incepparsi), mentre nei brani a seguire ci si gioca la carta dell'atmosfera e dell'esotico, ampliando ulteriormente la rosa di sonorità toccate dal quartetto. "Danke Schoen Paul" è il brano più d'impatto e disturbato del lotto, con degli stop musicali interrotti da cori stile festa di capodanno e urla forsennate tra sax impazziti e ritmi trascinanti, mentre "Gros Pinçon" è una spettacolare, straziante e lunghissima marcetta progressiva, in stile no wave, coinvolgente e stralunata, che mi ricorda lo stile dissonante di 'Eine Geschichte' dei Palais Schaumburg, unito a certe atmosfere impossibili di Terry Riley, per una melodia insana, intensa e malata. Questo è un vero disco per appassionati ascoltatori, indifferenti alle etichette di ogni sorta, questa è vera avanguardia sonora. Fatevi avanti gente, qui ce né per tutti i gusti! (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2023)
Voto: 84

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/montagne-explosion

mercoledì 26 aprile 2023

Fiesta Alba - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Se cercate qualcosa che possa alterare i vostri sensi con sonorità stravaganti, oggi potreste essere nel posto giusto. Si perché questi Fiesta Alba provano a ridare un po’ di vitalità ad una miscela di suoni stralunati che sembrano pescare qua e là indistintamente da funk (alla Primus), post punk, math rock, alternative e sperimentazioni varie. Tutto chiaro no? Per me francamente non è stato proprio così semplice, visto che ho dovuto ascoltare e riascoltare l'ipnotico trip iniziale affidato a “Laundry” diverse volte. Eppure, ho vinto le mie paure e mi sono lasciato sedurre da quel sound sperimentale, contaminato da un certo percussionismo etnico, dall’elettronica, dal funk e appunto dal post punk (prettamente a livello vocale, ove segnalerei la comparsata del primo ospite dell’album, Nicholas Welle Angeletti). Più si avanza nell’ascolto e più diventa complicato per uno come me abituato a pane e black/death metal. In “Juicy Lips” vengo addirittura inglobato in una spirale dub, in cui i suoni si ripetono in un inquietante moto circolare con un cantato, ad opera della guest The Brooklyn Guy, che sbanda pericolosamente nel rap, mentre quel che rimane delle chitarre (qui sommerse da un massivo lavoro elettronico), vaga per cazzi propri in caleidoscopici universi paralleli, di cui ignoravo l’esistenza. Un turbinio sonoro che evolve in un chitarrismo dissonante nella successiva “Dem Say”, che sembra consengnarci un'altra band, in grado qui di condurci nel cuore dell’Africa nera, grazie ad un’effettistica mai ingombrante, ma che comunque ci distrae da tutto quello di folle che va comunque palesandosi nel corso di questo brano, con una voce (il featuring è qui del nigeriano Kylo Osprey) che narra di favole sulla madre di tutte le terre mentre un virtuosismo chitarristico da paura (in tremolo picking) gioca con le note in sottofondo. “Burkina Phase” combina splendide e ariose chitarre all’elettronica, in un incastro di suoni ricercati, mentre una flebile voce (Thomas Sankara) estratta dal “Summit Panafricano, 1987”, sembra gridare il suo desiderio di libertà verso il neocolonialismo. Il movimento funky richiama anche in questo caso l’estetica freak e zappiana dei Primus, l’elettronica evoca il kraut rock germanico, ma quel sax in bella mostra emana vorticose emozioni jazz. La chiusura del disco è affidata a “Octagon”, un pezzo elettronico, un battito del cuore, un ossessivo agglomerato di suoni che sancisce la genialità di questo misterioso ensemble formato da quattro lottatori mascherati, Octagon, Pyerroth, Fishman e Dos Caras, che sapranno assoldarvi nella loro lotta contro il conformismo della società contemporanea. Io sono pronto ad unirmi alla sommossa popolare dei Fiesta Alba e voi? (Francesco Scarci)

(Neontoaster Multimedia Dept – 2023)
Voto: 75

https://fiestaalba.bandcamp.com/album/fiesta-alba

giovedì 20 aprile 2023

Mogwli - Gueule De Boa

#PER CHI AMA: Jazz/Rock
Jazz, elettro jazz, acid jazz, classic jazz, improvvisazione, c'è proprio di tutto nel nuovo album del trio francese Mogwli, un exploit di colori e musica per un disco strumentale, sofisticato e dinamico, pieno di virtuosismi e congetture ritmiche singolari, alla maniera intricata dei Battles. Supportati da batteria, fiati e tastiere (le chitarre non sono ammesse in questo gioco di suoni), i Mogwli si sbizzarriscono nel ripercorrere e deformare teorie e strade di tanti generi e stili musicali diversi tra loro. Il sound è moderno, carico, con quel tocco cool alla The Smile, ed anche se qui, il jazz la fa sempre da padrone, sebbene possiamo parlare tranquillamente di trame ed intermezzi che guardano al progressive rock più eclettico ed istrionico, senza però perdere quel sound alternativo, che per tutto il disco ti rimanda, a volte nel mondo elettronico, sintetico e cosmico delle produzioni della Ultimae Records, a volte tra le follie compositive degli Art Zoyd, in altre occasioni si crede di aver a che fare con un presunto nipote di Edgar Varese, schizofrenico, volgarmente innamorato delle bizzarrie dei sopracitati Battles, con il gusto compositivo che distingueva i Medeski, Martin e Wood negli anni '90/2000. Quindi, momenti frenetici s'intrecciano a forme più contratte e sperimentali, oppure melodiche e armoniche, a volte il lato percussivo prende il sopravvento, per poi lasciar spazio ad un classicismo che è lontanissimo dal sound precedente, che improvvisamente cambia direzione verso una techno elettronica imitata perfettamente dai tre, senza campionatori o aggeggi simili. Insomma, stiamo cercando il bandolo della matassa, ma non lo troveremo, e i cambi di tempo spettacolari di "Lèviathan" non ci aiuteranno proprio ad identificare questa creatura sonora. In realtà il disco ha un sound veramente originale ed è ben costruito e ben prodotto, non ha una singola direzione sicura, tutto può accadere, nota dopo nota, canzone dopo canzone, un continuo esternare teorie sonore e ritmiche, messe in atto da tre superbi musicisti (basti guardare il video live - Mowgli, Murkiness. Festival JAZZ360 2019 - che trovate in rete per capire di che pasta sono fatti). Potremmo cercare di definirlo etichettandolo fusion/jazz/rock, ma ancora ci sarebbe da obiettare, perchè, in effetti, 'Gueule De Boa', letteralmente testa di serpente, che nasconde un po' anche il significato di postumo di una sbornia, ha l'onore di essere una vera e propria jungla sonora, che farà molto piacere agli amanti dell'avanguardia e del jazz meno ortodosso. Brani come "Dario", "Bicouic Orbidède" e "Sauge d'une Nuit d'ètè", dettano legge, ma tutto il disco risulta imprevedibile e godibilissimo, da ascoltare e riascoltare in continuazione, per coglierne l'enorme lavoro compositivo ed esecutivo che si nasconde dietro le geniali composizioni di questo trio transalpino. Ascolto doveroso per tutti gli amanti del prog e dell'avantgarde jazz contemporaneo. (Bob Stoner)

(Budapest Music Center Records - 2023)
Voto: 83

https://soundcloud.com/mowgli-official

martedì 14 marzo 2023

The Lovecraft Sextet - Black†White

#PER CHI AMA: Jazz/Black
Pronti alla follia? Lo siete davvero? Ad accompagnarci in un turbinio sonoro ci pensa il polistrumentista olandese Jason Köhnen, supportato nuovamente dalla Debemur Morti Productions dopo lo straripante lavoro dello scorso anno, intitolato 'Miserere'. Per chi non conoscesse l'artista tulipano, si tratta di un ex membro dei The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, e come si evince dal moniker della band, il musicista non cela di certo il proprio amore per il jazz. In questi The Lovecraft Sextet, Jason non si tira certo indietro continuando ad esplorare i meandri del jazz, qui abilmente miscelato a black e avantgarde. Quello che vi dò in pasto oggi è solo un assaggio delle potenzialità dei nostri, trattandosi di un 7" di un paio di pezzi, "Black" e "White" appunto. Si inizia con il classico sax in sottofondo, quello di Colin Webster, che ci mette a proprio agio su un drappeggio tipicamente jazzy, per poi scaricarci addosso una brevissima colata di liberatorio black metal, prima di nascondersi nuovamente in deliranti sperimentazioni dark avanguardistiche. Peccato solo che manchi qualche voce oscura, in sottofondo avrebbe reso tutto ancora più interessante e contrastato. Giriamo lato al dischetto ed ecco "White": le atmosfere ipnotiche e surreali del duo dei Paesi Bassi proseguono nei primi 120 secondi del pezzo per poi dar nuovamente sfogo ad una cacofonica forma musicale che potrebbe rievocare i Naked City del buon John Zorn, per un buon giro d'orologio a dir poco sconvolgente che vi lascerà inermi e senza parole fino alla fine. Potenzialmente i The Lovecraft Sextet sono assai pericolosi, un peccato solo che il 7" duri cosi poco. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2023)
Voto: 75

https://thelovecraftsextet.bandcamp.com/album/black-white

venerdì 17 febbraio 2023

Il Wedding Kollektiv & Andrea Frittella - 2084

#PER CHI AMA: No-wave/Alternative/Electro/Avantgarde
La collaborazione tra Il Wedding Kollektiv e Andrea Frittella, giovane fumettista romano, porta alla realizzazione di questo nuovo lavoro della band di Alessandro Denni, di cui abbiamo già recensito i precedenti due ottimi lavori. Questa volta l'opera si adorna, sia nella versione cd che in quella in vinile, di un booklet illustrato da Mr. Frittella, con otto tavole originali a tema, per ogni brano del disco, cosa che contribuirà certamente a rendere l'album, una preda ambita dagli amanti di materiale sonoro, unico e originale da puro collezionismo. A livello di sound poi, la band italiana traslocata da tempo a Berlino, si destreggia con le sue solite carte vincenti. Scarna new wave teutonica, new jazz, elettronica e avanguardia, sono delle armi affilate che Il Wedding Kollektiv sa usare perfettamente. Inoltre, troviamo un'attenzione particolare verso i testi e la bella voce di Tiziana Lo Conte, la quale, rende tutto così attraente, con un fascino retrò sempre proiettato in un futuro surreale. Si parte con "Quando i Residents si Tolsero le Maschere", e già il titolo si fregia di una fitta rete di avanguardia, poiché i Residents, vengono citati a parole ma anche nell'atmosfera del brano, con degli splendidi fiati sintetici e una vena di moderna musica neoclassica, che richiama davvero l'astrattismo di certe opere della mitica band statunitense. "Noi che abbiamo visto il volto dei Residents, crediamo solo negli anfibi ai nostri piedi..." recita il testo alla fine del brano, sottolineando quanto questo progetto sia concettualmente proiettato in avanti, anche nella forma compositiva dei testi. "Tentacoli" è un brano più no-wave che mette insieme molte anime come fosse una rivisitazione delle intuizioni del Forward Music Quintet nei lontani anni '80, e anche qui, compare verso la conclusione del brano, in un contesto quasi alla 'The Catherine Wheel' di David Byrne, ovviamente reinventati in chiave attuale, una frase che recita: "L'architettura sociale disegnava i nostri comportamenti, i sorveglianti sono sempre impuniti..." e credetemi, è una frase che fa molto effetto. Parlare di musica intelligente e non nominare il brano intitolato "Il Modello di Sviluppo", che con il suo incedere da ballata elettro/space/ambient, dal testo veramente riflessivo ed impegnato, con uno sguardo a ciò che la civiltà sta diventando, sarebbe una carenza imperdonabile. La chiusura di questo disco è affidata a "Tra il Futuro e l'Incendio", che all'inizio si avvale di un vago richiamo a "L'Astronomo", brano presente nel precedente lavoro 'Brodo', con un cantato soffocato in uno stralunato e velocissimo intro jazz, per poi lasciare la scena ad un'elettronica più sofisticata, vicina ai Portishead ma con un'ottica rivolta al minimalismo elettronico d'avanguardia, colto e mirato nei particolari. Ottimo l' artwork di copertina e il parallelo del titolo, '2084', con il libro di Orwell, '1984'. Come dissi per il loro debutto, se questa fosse la musica che primeggia nelle classifiche pop italiane, l'Italia sarebbe un paese assai diverso. Gran bel disco. (Bob Stoner)

mercoledì 1 febbraio 2023

Poly-Math - Zenith

#PER CHI AMA: Jazz/Prog/Math
Un bel basso ipnotico apre la title track degli inglesi Poly-Math (un moniker, un manifesto programmatico direi) e del loro disco 'Zenith', un incredibile viaggio (ahimè strumentale) nei meandri più stravaganti del progressive/jazz/math rock. Tutto questo lo si evince dall'iniziale "Zenith", a prescindere dai flyer informativi allegati a questo lavoro. I nostri ci prendono per mano e ci fanno assistere alla loro improvvisatissima jam session, dove i vari strumenti si muovono in modo imprevedibilmente elegante, tra riffoni belli tosti, bruschi cambi di tempo, assoli di sax e una ricerca raffinata di suoni, vorticosamente arrangiati uno sopra l'altro. E questa sensazione di essere inghiottiti nel mondo imponderabile dei Poly-Math, prosegue anche nell'ubriacante "Velociter" che ci regala un corposo rifferama interrotto da porzioni di delirante jazz e da un assolo conclusivo da urlo. Molto più meditabondo l'incipit di "Charger", atmosferico e in grado di farci rilassare dopo il duro attacco iniziale. C'è tempo quindi per riflettere nelle note (parzialmente) suadenti della song (occhio infatti alle sfuriate ritmiche), che ha modo di mettere in luce ancora una volta il carattere stralunato del sax che riempie con audacia la proposta sonica della band originaria di Brighton. Con "Canticum II" si riprende a correre sui binari dell'improvvisazione sonora, tra partiture prog, esplosioni jazz, divagazioni psichedeliche e chi più ne ha, più ne metta. Non c'è nulla di scontato nell'ascolto di questo disco, mi duole solo ammettere che forse una voce o un urlaccio qua e là, probabilmente l'avrebbero reso ancor più interessante, ma d'altro canto si sa, "de gustibus non disputandum est". Lasciamoci sopraffare ancora dalle sonorità malinconiche, oserei dire anche mediterranee, di "Canticum I", quasi un tributo al folk italico. Il tutto ovviamente prima che riesploda in un avvicendamento di suoni math rock che sembrano rievocare il pezzo precedente. Ancora una manciata di pezzi che ci portano sulla più sghemba e laterale "Provaus", forte di un break centrale decisamente stravagante. E poi "Mora", una sorta di mix tra jazz, prog e spaghetti western. E a chiudere, ecco "Metam", per la classica ciliegina sulla torta che chiuderà il viaggio interspaziale a bordo dell'astronave Poly-Math. Cosmici. (Francesco Scarci)

(Nice Weather For Aistrikes - 2022)
Voto: 76

https://wearepolymath.bandcamp.com/album/zenith