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sabato 31 agosto 2019

Ultar - Pantheon MMXIX

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Ho detto più volte che il post-black è giunto di fronte ad un vicolo cieco, cosi incartato su se stesso e con sonorità ormai troppo abusate. Eppure c'è ancora chi ha il coraggio di dire qualcosa di diverso in un ambito cosi chiuso. È il caso dei siberiani Ultar che se ne escono con questo meraviglioso 'Pantheon MMXIX', album ahimè disponibile solo in digitale e vinile (e per gli ultimi amanti del cd? ciccia). Tralasciando sterili polemiche, devo ammettere che la band russa, evocando peraltro col proprio moniker e il titolo dei brani il buon H.P. Lovecraft, mi ha sorpreso non poco con questo lavoro contenente sette pezzi ispiratissimi, che partendo da un background post-black appunto, trovano nuovi eccitanti spiragli per il genere. E poco importa se l'opener "Father Dagon" si trova in un qualche modo a citare da un punto di vista vocale anche i Cradle of Filth, a me musicalmente i cinque musicisti di Krasnoyarsk mi hanno semplicemente esaltato, nonostante il loro debut album omonimo non mi avesse proprio fatto impazzire. Partendo da un'ottima produzione, i nostri ci regalano uno dopo l'altro, dei pezzi convincenti a tutti i livelli, dalla musica, alle vocals e ad un sound pregno di contenuti, non solo black, ma pure shoegaze/post rock, come nella parte arpeggiata dell'opener, oppure nelle partiture etniche della seconda "Shub-Niggurath" (altro omaggio al grande scrittore), o nell'oscura quanto assai lunga "Yog-Sothoth", che parte da paranoiche linee di basso per poi affinarsi in splendide melodie dotate di una certa vena sinfonica che arricchiscono ulteriormente la proposta dei nostri. "Worms" è un brano più malinconico mentre che nel finale trova un'altra zampata vincente quando lascia ampio spazio alle partiture semi-acustiche del brano o a delle vocals femminili in background. C'è ancora tempo per la più orrorifica e strumentale "Au Seuil", cosi come per le conclusive "Beyond the Wall Of Sleep" vera tempesta black con lo screaming però troppo vicino a quello di Dani Filth e il gran finale lasciato alla tumultuosa (quasi post-punk) "Swarm" che sottolinea anche una certa ecletticità di fondo della band russa. Bravi, però ora gradirei una copia in cd! (Francesco Scarci)

(Temple of Torturous - 2019)
Voto: 78

https://ultar.bandcamp.com/album/pantheon-mmxix 

Ulver - 1993-2003: 1st Decade in the Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental/Electro
Nel 2003 gli Ulver pensarono bene di far uscire l'ennesima uscita discografica! Non si trattava di un nuovo full-length, bensì ad una raccolta di quattordici remix che attingevano sia dalla produzione più recente del gruppo, sia dal materiale composto prima della svolta elettronica, coprendo l'intero periodo di vita della band norvegese. Alla raccolta partecipano tredici artisti più o meno noti della scena elettronica internazionale: Alexander Rishaug, Information, The Third Eye Foundation, Upland, Bogdan Raczynski, Martin Horntveth, Neotropic, A.Wiltzie vs. Stars of the Lid, Fennesz, Pita, Jazzkammer, V/Vm e Merzbow. Anche gli stessi Ulver prendono parte alla tracklist dell'album con il brano d'apertura "Cruck Bug", dove Kristoffer Rygg decide di rispolverare addirittura "Nattens Madrigal" dal demo 'Vargnatt' del 1993. Sebbene i remix presenti coinvolgano buona parte della vecchia produzione black metal del gruppo, non aspettatevi dei brani troppo movimentati ma "rassegnatevi" ad un ascolto paziente di quasi ottanta minuti di onanismi elettronici e di qualche divagazione rumorista che ogni tanto saprà destarvi dal sonno. Con questo non voglio affermare che il lavoro sia di scarso interesse, più semplicemente penso sia doveroso avvertire chi fosse intenzionato all'acquisto, che quanto si può ascoltare sul cd rimane un po' troppo in linea con le sperimentazioni minimali a cui Mr. Rygg ci ha abituato anche con le ultime pubblicazioni. Trattandosi di una raccolta di remix, pensavo fosse lecito aspettarsi perlomeno una maggior varietà di stile! L'acquisto è consigliato perciò ai soli collezionisti; agli altri suggerisco di rispolverare i più recenti album della band. (Roberto Alba)

(Jester Records - 2003)
Voto: 63

https://www.facebook.com/ulverofficial/

The Vision Bleak - The Deathship Has a New Captain

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Doom
Accantonate le attività che lo vedevano coinvolto nel progetto di musica folk Empyrium, Theodor Schwadorf fece ritorno alle proprie origini musicali riscoprendo, in compagnia di Mr. Konstanz, la vecchia passione per il metal, fondando i The Vision Bleak. Dispiace dover parlar male di un musicista che nell'ambito folk seppe difendersi egregiamente e dispiace pure constatare l'imbarazzante pochezza d'idee che investì l'artista tedesco in questo album, ma 'The Deathship has a New Captain' si presentava come un lavoro decisamente troppo deludente per poterlo accogliere in maniera più benevola. Non fatevi trarre in inganno dal poderoso lavoro di produzione perché non è uno specchio sincero di ciò che l'album ha da offrire e anche se i primi due brani "A Shadow Arose" e "The Night of the Living Dead" vi sembreranno promettere qualcosa di buono, fate molta attenzione a non farvi incantare, l'ascolto delle tracce successive potrebbe rivelarsi una brutta sorpresa. Intendiamoci, il suono delle chitarre dei The Vision Bleak è ottimo e persino la preparazione tecnica dei due strumentisti è una qualità che sarebbe ingiusto non sottolineare, ma sono le composizioni a non concedere alcuna emozione e ad apparire senz'anima, nonostante il sontuoso contorno nel quale si trovano inserite. Rocciosi riff di chitarra, un vocione alla Sisters of Mercy, grandeur sinfonica con tanto di tenore e mezzo soprano a sostenere i momenti più pomposi: tanta carne al fuoco che, tolte forse le valide "Metropolis" e "The Lone Night Rider", si risolve in una collezione di song terribilmente aride e monotone. Curiosa la partecipazione del doppiatore tedesco di Saruman (da 'Il Signore degli Anelli') per le parti recitate e intrigante anche l'immaginario horror a cui il gruppo si ispira, ma se di sonorità orrorifiche vogliamo parlare, allora preferisco in ogni caso rivolgermi altrove, ascoltando qualcosa dei Notre Dame o rispolverando qualche vecchio album dei Mercyful Fate. Per quanto mi riguarda, un album assolutamente trascurabile. (Roberto Alba)

mercoledì 28 agosto 2019

Under Eden - The Savage Circle

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Deathcore, Hatebreed
La Black Lotus deve aver puntato molto a suo tempo su questo quartetto proveniente dal Minnesota (USA), visto che venne indicato come nuova speranza del death-metalcore americano. Il sound proposto è molto vicino alle produzioni di Darkest Hour ed Hatebreed. Ahimè, come spesso accade però con la label greca, la produzione non è mai delle migliori e ciò che ne risente alla fine è la qualità del suono, sporco e assai grezzo. 'The Savage Circle' rappresenta l’album di debutto della band statunitense, che ha mosso i primi passi sul finire degli anni ’90 grazie a Ryan McAtee, chitarrista e bassista, a cui si sono poi aggiunti il fratello Christian (chitarrista), Eric Thon (vocals) e Josh Fetzeck (batterista). L’album è un concentrato dinamitardo di death metal in stile americano che si combina con lo swedish sound e ovviamente con il metalcore. Insomma di recensioni di questo tipo, credo di averne scritte un centinaio ed oramai, il più delle volte rappresentano la fotocopia delle fotocopie. Non esulano da questa situazione nemmeno gli Under Eden: dieci brani che trattano la creazione del genere umano, il suo declino e la sua fine, su un tessuto musicale complesso, con interessanti inserti melodici e soprattutto carico di molta aggressività. La traccia numero cinque, “Veil of Twilight”, la migliore del disco, ingloba un po’ tutte queste caratteristiche. Gli Under Eden sono ancora un po’ acerbi, ma la classe fa’ sicuramente parte del loro bagaglio tecnico-musicale: ottimi, infatti, gli assoli e la sezione ritmica, con una prova davvero superba del batterista. Ciò che mi convince meno è la prova del cantante in versione growl, mentre ottime sono le clean vocals. Peccato per la produzione scadente, un “bombastic sound” avrebbe reso questo disco un vero gioiellino. New sensation americana? È presto per dirlo, ma le basi ci sono tutte. (Francesco Scarci)

(Napalm Rec - 2005)
Voto: 60

Törzburg - Dracula's Castle

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Ci vuole proprio della gran fantasia chiamare un album 'Dracula's Castle'. Ovviamente il mio è un tono eufemistico, visto che i finlandesi Törzburg hanno banalmente pensato di affidarsi a simile moniker per il loro demo di debutto, edito in cassetta, dalla Iron Bonehead Productions. Il sound proposto è un marcescente black metal, banale per ciò che concerne i contenuti, low profile per quanto riguarda la qualità audio. E la title track in apertura ci conferma quanto poco attento sia stato il buon Strigoi, artefice di questo progetto. La song che dà il titolo al demo infatti è un concentrato casinaro di black thrash punk, registrato male, suonato peggio e cantato in modo obbrobrioso. Per non parlare della successiva "Triumph of Blood": un titolo del genere poteva andare di moda a metà anni '80, cosi come pure la musica era quello che si sentiva nella sala prove delle prime band dedite a questo sound deficitario sotto tutti i punti di vista. Anche con l'ascolto delle restanti due tracce, faccio francamente fatica trovare qualcosa da salvare in questa banalissima release che poco o nulla ha da apportare al genere fatto salvo per un bel po' di frustazione, ossia quella derivante dalla necessità di recensire simili amenità. Bocciatissimi. (Francesco Scarci)

sabato 24 agosto 2019

Nuitville - When The Darkness Falls

#PER CHI AMA: Blackgaze, Alcest
Dalla regione di Donetsk, ecco arrivare Tristan Nuit, polistrumentista ucraino, mente ed esecutore dei Nuitville. La band debutta per la Ashen Dominion con un breve EP di tre pezzi, 'When The Darkness Falls', proponendo un interessante concentrato di blackgaze e black atmosferico. Il risultato dell'opening nonchè title-track, ci fa ben sperare, visto che le melodie malinconiche ben si amalgamano con delle voci che si manifestano sia nella classica forma scream che pulita, mostrando più o meno vistosamente, una serie di punti di contatto con i maestri Alcest. Ottime melodie quindi con un imponente tremolo picking a supporto del drumming, con fortissimi sentori shoegaze che ci riconducono appunto alla band di Neige e soci. Se la seconda "Cold Water" si presenta un po' meno fluida a livello vocale, è sempre la componente melodica a farla da padrona e a convincermi della bontà di questo progetto. L'amore viscerale per Neige si manifesta poi con la conclusiva "Recueillement", una cover degli Amesoeurs, una delle band in cui l'artista francese ha militato nella sua carriera. Il brano? Un tributo dovuto al blackgaze dell'ensemble francese, ben eseguito ma non proprio indispensabile. Bene, capito ora di che pasta è fatto Mr. Nuit, gradiremo una prova più consistente per certificare i buoni sentori di questa opera prima. (Francesco Scarci)

Violet Cold - kOsmik

#PER CHI AMA: Blackgaze, Ghost Bath, Show me a Dinosaur
In un'estate in cui mi sono trovato improvvisamente apatico nei confronti del mio genere preferito, il metal, c'è ancora qualcosa che riesce a stuzzicare i miei sensi e a farmi amare questa musica. Ci ha pensato il buon Emin Guliyev, mente creativa dei Violet Cold, che torna con un nuovo lavoro, l'ottavo full length in quattro anni, intitolato 'kOsmik', uscito peraltro per la nostrana Avantgarde Music. Il cd del mastermind azero riprende dalle note post rock della precedente trilogia 'Sommermorgen', le unisce con le note esotiche del magnifico 'Anomie', infarcendo poi il tutto con stilose trovate post black e shoegaze dal forte impatto melodico. E quindi spettacolare in tal senso "Black Sun", song dal piglio feroce, ma altamente atmosferica e malinconica, caratterizzata dal dualismo vocale tra lo screaming di Emin e quello di una gentil donzella, con le melodie in sottofondo che si riempiono anche di influenze etniche e soprattutto classiche che esaltano la buona riuscita del brano. E io godo. Si perchè il flusso dinamico-musicale costruito dal factotum di Baku lo trovo estremamente piacevole e di buon gusto, in un momento in cui il post-black mi ha francamente frantumato i cosiddetti. E invece i Violet Cold continuano a produrre pezzi coinvolgenti, mai banali che mi fanno dire che c'è ancora spazio per la sperimentazione (la già citata "Black Sun"), per i suoni originali (fantastica l'ultra riverberata "Mamihlapinatapai"), per le emozioni oscure ("Space Funeral" e "Ultraviolet"), per gli echi di windiriana memoria (la title track) o i fortissimi richiami alla musica classica ("Ai(R)" evidente tributo a Johann Sebastian Bach e alla bellissima "Aria sulla Quarta Corda"). Che dire di più, se non invogliarvi ad avvicinarvi a questo brillante artista se ancora non lo conoscete ed ascoltare le sue splendide uscite su lunga distanza, tralasciando invece i fin troppo sperimentali EP. Ben fatto Emin! (Francesco Scarci)

(Avantgarde Music - 2019)
Voto: 78

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/kosmik

venerdì 23 agosto 2019

MetalBack - Illusions

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Mesarthim
Ho appena elaborato una nuova teoria che probabilmente non troverà molti riscontri, però dopo aver perlustrato il sottobosco quest'oggi, ho potuto constatare che nel 90% dei lavori esclusivamente digitali, la qualità sia della registrazione che dei contenuti musicali sia parecchio bassa, quasi a voler dire "che cosa pretendi, lo trovi quasi a costo zero su bandcamp". Finite le mie elucubrazioni mentali, mi sono soffermato sul nuovo EP 'Illusions' della one-man-band russa MetalBack che non ho trovato proprio da buttare, anzi. Un 3-track che pesca a piene mani dal black atmosferico di gente tipo Mesarthim, proponendo quelle melodie cosmiche che s'infilano nella testa e poi da li fanno fatica ad uscire. È il caso dell'opener "Rays of Darkness" ma ancor di più della seconda "I Hail The Winter", due brani che privilegiano la componente tastieristica del lavoro su tutto. Certo, con le registrazioni siamo ancora in fase quasi casalinga, però apprezzo quel sound a cavallo tra il cosmico e il medieval black metal che trova qualche punto di contatto anche con i più classici Summoning. Devo ammettere che il black stia vivendo una fase di stanca fisiologica, con poche band davvero interessanti, però ascoltando questi prodotti dell'underground, riesco ancora ad essere fiducioso nel poter ascoltare un qualcosa che a suo modo abbia qualcosa da dire. E questi MetalBack, vedendo anche la mole di uscite dal 2014 a oggi (mi sembra 18 lavori), possono meritare senza dubbio la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Verwoed - De Val
Mephorash - Shem Ha Mephorash
Will Dissolve - The Heavens Are Not On Fire..

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Shadowsofthesun

Torche - Admission
Sonic Youth - Confusion is Sex
Rammstein - Rammstein

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Alain González Artola

Idle Hands - Mana
Bròn - Decay
Malfet - The Way to Avalon

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Five_Nails

Mefitis - Emberdawn
Insomnium - Winter's Gate
Feradur - Legion

Cryptae - Vestigial

#PER CHI AMA: Death/Doom sperimentale, Aevangelist
Siamo sul finire dell'estate e non mi aspettavo di dover accogliere una marea di lavori cosi autunnali e maledettamente claustrofobici. Dopo i Mahr, ecco nel mio lettore girare anche l'EP di debutto degli olandesi Cryptae intitolato 'Vestigial'. Una sola traccia per 19 minuti scarsi di musica opprimente, furente e terribilmente deviata, in quello che dovrebbe essere un lavoro sperimentale di due loschi individui supportati dalla Sentient Ruin Laboratories. Un maelstrom dal quale sarà difficile sfuggire, una sorta di gorgo o buco nero in grado di inghiottire ogni cosa, compresa la vostra mente e le vostre anime. La proposta dei Cryptae abbraccia infatti un death doom surreale, malato e allucinato, una specie di mostro con mezzo corpo dei Morbid Angel e l'altra metà degli Aevangelist, tra ritmiche sconnesse, voci dall'oltretomba, sonorità sghembissime e brutali che vi lasceranno senza fiato in un vortice di paura annichilente e disorientante che riserva la proposta dei nostri a pochi adepti dallo stomaco forte. (Francesco Scarci)

(Sentient Ruin Laboratories - 2019)
Voto: 65

https://sentientruin.bandcamp.com/album/vestigial

Mahr - Soulmare I

#PER CHI AMA: Black Depressive, Darkspace
Originari della terra di nessuno e formati da un numero indeterminato di membri, gli enigmatici Mahr tornano a distanza di un anno dal debut 'Antelux' con un doppio EP, 'Soulmare I' e 'Soulmare II'. Detto che per oggi mi limiterò all'analisi del primo capitolo, vorrei ricordare come la band si fosse già messa in mostra con il primo album grazie ad un sound gelido e atmosferico che chiamava inequivocabilmente in causa i Darkspace. Avevo amato l'esordio dei nostri, e per questo l'attesa di una nuova release montava alte aspettative. Ed ecco 'Soulmare I', un dischetto che contiene una sola traccia, omonima, della durata di 21 minuti che sembra inasprire quella componente black desolante dell'ensemble, la cui origine permane sconosciuta (verosimilmente la Russia). I primi tre minuti includono una sorta di intro ambientale, poi ecco il classico black metal freddo, lento (molto doomeggiante), a tratti evocativo (non male il cantato quasi liturgico), ma per lo più lugubre grazie a quella voce arcigna e malefica che s'innalza dal sottofondo in quel mood altamente riverberato fatto di voci lontane, chitarre lisergiche e melodie stranianti, quasi si trattasse di un messaggio alieno proveniente da un'altra galassia. Un lavoro sicuramente affascinante ma di certo non alla portata di tutti. Dannatamente claustrofobici e malati. (Francesco Scarci)

(Amor Fati Productions - 2019)
Voto: 72

https://mahr-pk.bandcamp.com/album/soulmare-i

mercoledì 21 agosto 2019

Atomic Witch - Void Curse

#PER CHI AMA: Hardcore/Math/Death
Dagli States è in arrivo una colata di hardcore schizoide con gli Atomic Witch e il loro EP di debutto, il qui presente 'Void Curse'. Il quintetto di Cleveland ci spara in faccia una manciata di pezzi (quattro per l'esattezza) dal mood alquanto incendiario. Si parte con la sbilenca "Severed Communion", in cui a farla da padrona sono le vocals urlate di Gorg, per poi passare alla più oscura title track, dove accanto a melodie alquanto dissonanti, la voce del frontman di dimena tra uno screaming arcigno e urlacci in stile power metal, in un'assurda cavalcata mathcore, fatta di ritmiche lanciate a tutta velocità su cui si stagliano i vocalizzi del buon Gorg, in un calderone che alla fine sembra inglobare anche thrash, black e death metal. Si continua con "Rude" con la medesima vena assassina, fatta di ritmiche secche e nevrotiche, qualche assolo old style e botte da orbi che ricordano un certo thrash metal di fine anni '80 evocante un che dei Sepultura di 'Schizophrenia'. Si chiude con le furenti mazzate di "Funeral Rust" ed un chorus che sembra avvicinarsi ad una versione più isterica dei primi Testament. 'Void Curse' è un lavoro particolare a cui forse dare una chance. (Francesco Scarci)

The Glorious Dead - The Glorious Dead Imperator of the Desiccated

#PER CHI AMA: Brutal Death
Un po' di insano marciume dagli States con questo 7" targato Glorious Dead: due i brani per quello che sembra essere un side project del quartetto formato tra gli altri da J. Humlinski (Feast Eternal) e M. Rytkonen (Prosthesis, Slaunchwise, Charnel Valley, Bindrune Recordings), che ci propinano due marcescenti pezzi di death metal che affondano le proprie radici nei gloriosi anni '80-90. "Mangled Cerebration" apre le danze con la sua inaudita ferocia che però assai poco ha da chiedere e soprattutto da dare. "Celebrate the Corpse" invece chiude le danze dopo soli nove minuti con un mid-tempo (peraltro mal registrato in sede live) che guarda al doom nella sua prima metà, per poi divampare in un brutal death piatto e senza mordente. Solo per amanti di simili sonorità. (Francesco Scarci)

Voto: 55

A two track demo of downright dirty death metal released on seven inch vinyl as well as in a digital format, 'Imperator of the Dessicated' hearkens to the early improvisational days of the subgenre where viscous imposing guitar tones overrode harsh and disparate harmonies, production was awash with reverb, decaying melody always found itself forced through a blender of atonality, and trading demos as basic and sparse as this kept the medium alive. From such a clearly crafted first impression, it's no wonder that The Glorious Dead hopes to evoke that raw early death metal sound and shapes it with flying tremolos, bassy production, and squealing guitar solos that make “Mangled Celebration” as seemingly chaotic as it is emulating the style from a retrospective perspective. The second single on this EP, “Celebrate the Corpse” starts at a crawl that sounds more like it was recorded at a backyard party than at a proper venue. Through audible crowd noise that even the blast beats can't drown out, The Glorious Dead holds its sound down well in a live setting with merely production is holding the band back, but what the outfit needs now is to elaborate on its start and show some authentic and one-of-a-kind personality in its music. As redundant as these two track titles are, the clear breadth between both gives this short EP some semblance of personality to this bare bones release. Though The Glorious Dead makes little of a name for itself on this short seven inch, the band gives some insight into a foundation from which it could build if the band wanted to attempt something elaborate. (Five_Nails)

(Bindrune Recordings - 2019)
Score: 50

When Love Finishes - Destruction Technique of an Established Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore, Soulfly, Hatebreed
Domanda: ma le band, le case discografiche o chi per loro, riascoltano ciò che hanno prodotto? Risposta: dall’ascolto di questo disco (unico della discografia della band ormai sciolta di Reggio Emilia) ho il sospetto che ciò non avvenga, perchè questo album non è stato registrato con i piedi, neppure con un aratro, forse con una zappa a giudicare dalla qualità scadente del sound. Mi auguro che si tratti ancora di una versione da remixare anche se ne dubito fortemente. E dire che la musica di questa band italiana non sarebbe neppure malaccio, con quel suo metalcore così ricco di sorprese: momenti di brutalità si alternano infatti ad attimi di insolita quiete, e poi samplers disturbanti quasi destabilizzanti, suoni tribali, piacevoli inserti melodici, vocals roche e killer solos completano il quadro di questo 'Destruction Technique of an Established Order'. I When Love Finishes si dimostrano creativi, con quel loro suonare fortemente influenzato da act quali Soulfly, Sepultura e Hatebreed e ancora Cataract e Unearth. Il problema di fondo rimane tuttavia l’indecente registrazione, i volumi po’ sballati delle vocals, il cui modo di cantare alla fine stanca. I punti di forza invece sono rappresentati dall’ispirazione di questi ragazzi capaci di tirar fuori in ogni momento una qualsiasi forma di improvvisazione: voci fuori posto, samplers industriali, ritmiche dissonanti, break imprevedibili ed una discreta preparazione tecnica. Peccato, perchè magari con un sound più pulito, questo lavoro avrebbe reso 10 volte di più. Interessante la nona traccia “Hasta Siempre Comandante “Che” Guevara” con la registrazione originale della voce del “Che”, il cantato spagnolo di Mirko Sacchetti ed un caldissimo break acustico. Io avrei tentato la strada del cantato in italiano. Solo se siete alla ricerca di qualcosa di anormale. (Francesco Scarci)

(Vacation House Recordings - 2005)
Voto: 62

https://myspace.com/whenlovefinishes

Mordant - Momento Mori

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Old School, Venom, primi Bathory
Mezz’ora di musica per questo cd dei Mordant, band svedese proveniente dalla sconosciuta cittadina di Dals Långed. Il quintetto scandinavo (le cui ridicole foto appaiono all’interno del booklet), dopo due demo all’attivo ha esordito con un black old-school, sulla scia di quanto prodotto dai Nifelheim, Pagan Rites e Bestial Mockery. Questo album di debutto, intitolato 'Momento Mori', ci dimostra la volontà della band di riesumare il sound dei primi Venom/Bathory e miscelarlo col rozzo metal dei Motorhead. Il risultato che ne viene fuori è però abbastanza scadente. La produzione grezza non aiuta poi ad apprezzare un sound che, alla lunga, si rivela scarno di idee e alquanto povero di contenuti. A tratti sembra di cogliere il fantasma di Quorthon (quello del debutto però) aleggiare sull’intero lavoro però quelli erano altri tempi. Quello che ho fra le mani è un cd che non saprei come utilizzare, se adoperarlo come bersaglio nel lancio al piattello o come spessore sotto qualche tavolo. La musica dei Mordant non è proprio pessima, in quanto il combo scandinavo si sforza di frapporre alle classiche sfuriate black, momenti di più pacata atmosfera, ricercando poi un minimo di melodia, o abbozzando qualche assolo, tuttavia alla fine è il senso di vuoto che pervade le mie orecchie a prevalere e inizio così a provare un senso di nostalgia per i bei tempi andati. Pessima inoltre la cover con quel teschio bianco su sfondo nero. Concludendo con una battuta quanto mai scontata, direi che ai Mordant manca un bel po’ di “mordent”. (Francesco Scarci)

(Agonia Records - 2008)
Voto: 45

https://www.facebook.com/mordantblackmetal

martedì 20 agosto 2019

Rings of Saturn - Lugal Ki En

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Slam/Deathcore
Diarroici schizofrenismi batteristici stocasticamente alternanti trrrrrr e tktktktktk, schizofrenici diarroismi chitarristici stocasticamente alternanti gdgdgdgdgd, gnaaaaaaugn e semibiscromatici pilipilipilipili iper-metal-decerebro-progressive, un basso impercettibile, probabilmente inesistente, immaginifici vocalismi cloaca-gorgoglianti, per cui si favoleggia che Ian Bearer sia in grado di imitare con la voce il vomito di qualunque specie vivente del regno animale, con tanto di virate bronto-gorgoglianti (almeno in "Infused"). Contrastano, una produzione assurdamente limpida, sintetica, extrasensoriale, al cui confronto gli ultimi Dream Theater vi sembreranno il primo demo-tape dei Mummies: una sensazione che individuerete con maggior facilità nei rari momenti infra-slam ("Godless Times", una specie di versione RoS del concetto di new age) è nelle iperspaziali code clean di "Beckon", "Senseless Massacre" o nei pre-finali di "Eviscerate" e "Unsympathetic Intellect", per esempio. Ciò che vi farà ragionevolmente pensare che, in fondo in fondo, il sedicente aliencore ultraterreno espresso dai RoS altro non sia che una specie di banalissimo synth-metal anni duezero punto dieci. Una specie di Milli Vanilli, ecco. (Alberto Calorosi)

(Unique Leader Records - 2014)
Voto: 58

https://uniqueleaderrecords.bandcamp.com/album/lugal-ki-en

Clouds Taste Satanic – Evil Eye

#PER CHI AMA: Instrumental Stoner/Space Rock, Sleep
Ho sempre parlato bene, in occasione delle precedenti uscite, delle opere attraenti e alquanto visionarie di questa band americana. Nonostante tutto, vorrei insistere col dire che per cercare di comprenderli al meglio, bisognerebbe entrare nelle loro teste distorte ed esaminare dall'interno il concept di questo nuovo album dal titolo così buio e occulto. Il fatto è che in 'Evil Eye', il combo di New York riesce a fare l'ennesimo passo avanti, soppesando al meglio i tanti modi di comporre, suonare e abbinare il doom con uno stoner/space rock desertico, infernale, cosmico ed introspettivo, appropriandosene nel migliore dei modi, per proporre un sound che odora dei padri fondatori Black Sabbath, cosi come dei loro ostinati seguaci Sleep, il tutto unito alla visione interstellare di album poco apprezzati ma geniali e allucinogeni, come ad esempio l'EP 'Supercoven' degli Electric Wizard. Il suono dei Cloud Taste Satanic è monolitico, pieno di sfaccettature e di chitarre tutte da scoprire (è consigliato l'ascolto ad alto volume o in cuffia!), un suono pesante ma definito e assai godibile, aiutato da una produzione validissima che esalta il fascino di questa musica a cavallo tra il vintage anni '70 e la qualità sonora dell'heavy psichedelia moderna, una versione acidissima e rallentata dei The Sword (epoca 'Warp Rider') senza cantato. L'album è costituito da due lunghissime song, che superano i venti minuti l'una: la prima, che dona il nome al disco, è forse la più affascinante dove la proposta della band si esalta nella parte finale, sfiorando meandri quasi progressive e affascinanti melodie in salsa sci-fi per un'apertura tossica e pesante ma estremamente ariosa, che proietta i CTS in un universo sonoro tutto da scoprire, che si presta molto alla figura ultraterrena della band. La pausa in stile "ci hanno staccato la corrente", al minuto 1:19 ed il suono spettacolare della batteria nella rullata al decimo minuto circa del secondo brano ("Pagan Worship"), prima dello splendido ponte psichedelico in vena sabbathiana, valgono l'ascolto di tutto il brano, dimostrando quanto sia importante per questi musicisti dare sempre un qualcosa in più agli ascoltatori ed ai fans di una musica bistrattata, dove molti artisti si improvvisano difensori del genere a suon di copiature ed emulazioni. Per concludere, posso affermare che 'Evil Eye', il quinto album dei CTS, riconferma le doti straordinarie e l'ottima forma della band statunitense, da sempre propensa alle composizioni strumentali mastodontiche con liquide evoluzioni lisergiche sempre molto ricercate. Le qualità e la conoscenza in materia poi sono altissime, con le note sempre in bilico tra Karma to Burn e i doomsters Shrinebuilder, per un colosso sonoro che può essere innalzato a potenziale punto di riferimento per il genere in questione. Si aggiunga poi un design grafico sempre estremamente curato e riconoscibilissimo, proprio come il loro stile musicale, unico ed inconfondibile, forte di anni di esperienza e di una discografia ormai invidiabile. Uno spettacolare e gradito ritorno per un album da non perdere! (Bob Stoner)

Moonsorrow - V: Hävitetty

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk, Bathory
Chiudete gli occhi e respirate il gelo dell’aria rarefatta invernale: è il momento di immergerci nelle lande desolate della Finlandia, camminare nei boschi ghiacciati della terra dei mille laghi e iniziare a sognare. Queste sono in breve, le indicazioni e le emozioni che è riuscito a trasmettermi il quinto capitolo dei Moonsorrow. Già a partire dall’intro sognante in pieno stile Agalloch, “Hävitetty” apre alla grande le danze di 'V: Hävitetty'. Due lunghe suite, divise in sei capitoli, per un totale di 56 minuti, mi avvolgono la mente con le loro atmosfere epiche che non possono non richiamare alla memoria 'Hammerheart' o 'Twilight of the Gods' dei mai dimenticati Bathory. Al quintetto lappone mancherà ancora quel pizzico di epicità che contraddistinse, e rese immortali, i due meravigliosi lavori della band di Quorthon, ma ne sono certo, la strada imboccata, già da tempo, è quella giusta. I Moonsorrow sono ormai maestri nel creare suggestive atmosfere epiche, magniloquenti momenti dove ad echeggiare è il fragore delle armi e il suono di battaglie lontane. Ora come ora, credo che siano poche le band in circolazione in questo genere in grado di emozionarci quanto il quintetto finnico che, abile come sempre, impreziosisce ulteriormente il proprio sound, con frangenti malinconici ed estratti del tipico folklore nordico, non disdegnando pure feroci accelerazioni black metal. La musica dei nostri potrebbe essere l’improbabile fusione di Finntroll, Bathory e degli In the Woods degli esordi. Da segnalare infine le ottime orchestrazioni e gli arrangiamenti che suggellano i Moonsorrow come numeri uno in questo campo. (Francesco Scarci)

Jesus Franco and the Drogas – No(w) Future

#PER CHI AMA: Garage/Punk, Queens of the Stone Age, Iggy Pop
Se pensavate che al mondo i seguaci degli ultimi QOTSA fossero solo dei cloni inespressivi, allora dovrete ricredervi ascoltando questo disco dei Jesus Franco and the Drogas (uscito per la Bloody Sound Fucktory). 'No(w) Future' è divertente e ben fatto, intossicato dall'irriverente verve degli Eagles of Death Metal ed in perfetta sintonia con la follia degli ultimi dischi della band di Josh Homme ("Acufene"), carico di emozioni psych di tutto rispetto tra the Dukes of Stratosphere, Hey Satan e Nudity, con una voce gogliardica in puro stile Captain Beefheart ("No Talent Show") per cui non rimarrete delusi. La cosa che più convince in questo quinto disco della band di Ancona è la ricerca e la volontà assidua di sperimentare in campo psichedelico, sempre ai confini della realtà, tra orecchiabilità rock'n roll ("Right Or Wrong") e pupille dilatate, con una capacità esagerata di riuscire a rendere accessibili anche divagazioni allucinogene complicate ed indigeste. Tutti i brani sono un pugno allo stomaco altamente tossico, adrenalinici e deviati, a volte dai toni in salsa psych estrema ("Some People") o sparati come se il mondo non dovesse mai fermarsi e, cosa che risulta assai gradevole, è che oltre ad essere ben suonati e prodotti con un suono tipicamente garage, non risparmiano l'ascoltatore, cercando di stupirlo in continuazione, sfornando uno dopo l'altro, pezzi pieni di vita e mai banali, devastanti ed incendiari, la perfetta colonna sonora per un sequel di 'Paura e Delirio a Las Vegas'. Questi abili musicisti giocano con il garage punk ed esplodono nella psichedelia claustrofobica, il garage rock'n roll è una base solida e mai nome di una band è stato più azzeccato, per una musica figlia del più vizioso ed anfetaminico Iggy Pop ("Blast-o-Rama"). Si ritorna sui toni storti e sperimentali del divino capitano in "Brain Cage", mischiandolo ad un tono vagamente più heavy e pesante alla stregua di certi pezzi degli Amen, anche se suonati in chiave più ipnotica e meno hardcore. Nel concludere, la band anconetana inserisce il brano più soft della raccolta, "Wake Up" che aspira ad una forma di alienazione e prende le distanze dalle precedenti composizioni proponendo un volo psichedelico assai avvolgente con una voce che ricorda molto da vicino il mito sotterraneo di Mark Stewart and the Mafia. In sostanza, 'No(w) Future' è un album prezioso nel panorama sotterraneo italiano, pieno di colori e divagazioni lisergiche di varia forma e tipologia, un caleidoscopio esaltante, un disco ben fatto! (Bob Stoner)

(Bloody Sound Fucktory - 2019)
Voto: 73

https://www.facebook.com/jesusfrancoandthedrogas/

lunedì 19 agosto 2019

Bokor - Anomia 1

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative, Opeth, Tool, Cult of Luna
Era il 2007 quando venni sopraffatto da questa entusiasmante creatura proveniente dalla Svezia. Si trattava dei Bokor, nome non certo brillantissimo (nelle pratiche voodoo è il sacerdote che pratica magia malvagia, per scopi personali), però la musica, wow. Cinque musicisti dai più disparati background musicali che si sono incontrati e hanno deciso di fondere le loro influenze in questa band. E la Scarlet Records ci vide lontano mettendo sotto contratto questo nuovo act scandinavo. La musica? Una miscela di un po’ di tutto: avete presente la vena goliardica dei System of a Down? Bene, unitela al sound oscuro dei Tool, con un pizzico di sludge alla Cult of Luna, inserito in un contesto progressive alla Opeth, con riferimenti agli Anathema e ai Porcupine Tree e al death rock dei Mastodon. Tutto chiaro no? 'Anomia 1' colpisce chiunque per la freschezza della sua proposta ancora oggi nonostante gli oltre dieci anni d'eta, soprattutto per la tonnellata di riferimenti che vi si possono ritrovare: la musica progressive si fonde ad elementi sinfonici e ad un certo hard rock anni '70, amalgamandosi magistralmente con il death, il black, il thrash, la psichedelia, con suoni industriali, con il blues, e ancora con il gore, il punk e qualsiasi altra cosa vi venga in mente, perchè qui c’è davvero di tutto. I musicisti mostrano un talento sconfinato in grado di ipnotizzarci con la loro carica emozionale ed interpretativa. Sei brani, per un totale di 44 minuti (splendidi i 14 minuti di “Migrating”, vera summa di questo piccolo gioiello), in cui i nostri ci prendono per mano e ci accompagnano nel loro mondo, tramortendoci con il loro sound imprevedibile, estremamente creativo e sempre in bilico tra il reale e il surreale. Esaltante la prova dell’istrionico vocals, tale Lars Carlberg, capace di spaziare da vocalizzi alla Tool o alla System of a Down (ascoltate i primi due brani per credere), passando attraverso screaming e growling vocals. Testi profondi ed ispirati completano un album da avere assolutamente, anche se datato. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2007)
Voto: 86

https://myspace.com/bokorband

Carnal Grief - Nine Shades of Pain

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death, Carcass
Data la provenienza del combo, la Svezia, era lecito aspettarsi dai solchi di questo 'Nine Shades of Pain', il classico ed “usurato” swedish sound, invece no; con mia grande sorpresa, ecco respirare nuovamente l’aria putrida e rarefatta dei grandissimi Carcass, quelli del periodo di mezzo però, era 'Heartwork'. Già dall’iniziale “Information Feed” e dalla successiva “Epitaph”, introdotta da una voce molto simile a quella udita negli intermezzi di 'Necroticism', trovo conferma che quanto partorito dalla mente di questi cinque ragazzi, trae spunto, in modo quasi nostalgico, dalla musica del quartetto di Liverpool, guidato dal duo Steer-Owen. Che bei tempi erano quelli e ora, le note di quest’album mi riportano indietro di oltre 20 anni: la voce del cantante, cosi ruvida e malata, richiama subito quella di Jeff Walker, così pure la sezione ritmica, con quelle chitarre graffianti e ronzanti al tempo stesso, non può che restituirmi il ricordo della classe sopraffina del duo Steer-Amott. Il disco è un susseguirsi di bei pezzi, certo non originali, ma l’abilità della band sta comunque nel ricalcare un sound senza per forza risultare dei banali plagiatori, arricchendolo magari con un tocco più moderno e con qualche brevissima escursione in territori death/thrash di matrice svedese. Di assoluta classe sono poi gli assoli racchiusi nei vari pezzi, brevi ricami di sano heavy metal. Complimenti alla GMR music, che ai tempi mise sotto contratto la band scandinava, da allora piombata ahimè in un assordante silenzio. Cosa dire di più: se siete degli estimatori dei Carcass andate a recuperare questo cd! (Francesco Scarci)

(GMR Music - 2006)
Voto: 74

https://www.facebook.com/carnalgrief

venerdì 9 agosto 2019

Trail of Tears - Existentia

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Symphonic, Tristania
Era il 2007 quando a distanza di due anni dal sorprendente 'Free Fall into Fear', i Trail of Tears, con il solo membro fondatore, Ronny Thorsen, tornavano sul mercato con la registrazione di 'Existentia'. Il sound della band norvegese non sembrava discostarsi più di tanto dai precedenti lavori, mantenendo quel feeling oscuro di fondo, costituito da riffoni di chitarra di chiara estrazione black sinfonica e da maestose tastiere di ispirazione Therion. Il dualismo tra le growling vocals di Ronny e le sempre brillanti e melodiche clean vocals di Kjetil (singer dei Green Carnation), completavano il quadro, contribuendo a fare da collante tra queste caratteristiche. Una dolce voce femminile, quella di Emmanuelle Zoldan, dava poi il suo contributo aggiuntivo, per un esito finale dell’album davvero convincente. 'Existentia', cosi come il suo predecessore, andava ascoltato e riascoltato per essere apprezzato fino in fondo; non fu un album così diretto, semplice da percepire, perchè parecchie erano le sfumature che si palesavano nella musica del combo scandinavo: si ritrovano infatti certe influenze provenienti da una corrente avantgarde che approdano come essenziale novità nel sound dei nostri. Echi riconducibili ai The Provenance, o ancora, ai Green Carnation, erano udibili nei solchi di questo notevole 'Existentia', un capitolo che ha preceduto una vera e propria rivoluzione in seno alla band. Si trovano peraltro anche reminiscenze power ed una bella dose di death goticheggiante che confluivano nel sound compatto dei nostri. Dal punto di vista strumentale poi, la band si presentava come sempre ineccepibile: ottima la prova dei singoli, anche se devo sottolineare la performance del tastierista, davvero bravo, cosi come l’inimitabile ugola di Kjetil, vero e proprio strumento musicale dall’enorme talento. Una produzione bombastica chiudeva un disco e forse un’era in casa Trail of Tears, visti gli scarsi successi ottenuti con i successivi due album che hanno condotto la band allo scioglimento nel 2013. Un peccato. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 2007)
Voto: 76

https://www.facebook.com/trailoftearsofficial/

Íon - Madre, Protégenos

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Acustico, Antimatter
"Madre, proteggici...” Così apre il disco di Duncan Patterson, famoso per essere stato, in passato, il bassista degli Anathema e degli Antimatter, da cui fuoriuscì nel 2004, per dar vita a questo progetto denominato Íon. Dopo aver assoldato in giro per il mondo (Irlanda, Russia e Australia tanto per citarne alcune) un’innumerevole serie di musicisti dall’assoluto valore, il buon Duncan ha dato alla luce un album dalle variegate sfumature. 'Madre, Protégenos' potrebbe essere accostabile, cosi di primo acchito, a 'Planetary Confinement' degli Antimatter: atmosferico, introspettivo, direi quasi mistico, ma qui c’è dell’altro, in quanto Patterson, date le sue origini irlandesi, è stato palesemente influenzato dalla tradizione celtica, dall’ambient e dalla musica classica. Sfruttando inoltre, le performance di diverse vocalist originarie dalla Grecia, Italia e Messico, si possono respirare in questo lavoro, dall’approccio forse un po’ troppo minimalista, colori, culture e profumi di ognuna di queste nazioni. Altri elementi folkloristici, il flauto e il clarinetto, la viola e il mandolino, l’arpa e le percussioni, contribuiscono poi ad accompagnarci malinconicamente e poeticamente, in paesi lontani dove gustare le esotiche fragranze mediterranee. Il compositore irlandese ha concepito un qualcosa, lontano anni luce dai suoni degli Anathema: gli Íon (parole gaelica per indicare “purezza”) percorrono un viaggio spirituale all’interno delle proprie radici, che ha la sua summa in “Goodbye Johnny Dear”, canto degli emigranti irlandesi, scritto nel XIX secolo dal bisnonno di Duncan, Johnny Patterson. 'Madre, Protégenos' è sicuramente un disco d’indubbio valore, intimista e profondo in grado di spingerci, grazie alla sua magia, alla ricerca della nostra identità, il problema semmai è che il lavoro non sia alla portata di tutti. Se avete già raggiunto la della pace dei sensi, avvicinatevi tranquillamente a quest'album (che ricordo essere completamente acustico), altrimenti lasciate perdere, perchè le atmosfere pregne di tristezza e desolazione che si sentono lungo tutto il cd, potrebbero portarvi alla disperazione. (Francesco Scarci) 
 

giovedì 8 agosto 2019

Abhor / Abysmal Grief - Legione Occulta​/​Ministerium Diaboli

#PER CHI AMA: Black/Psych/Horror
Due nomi storici del metal nazionale hanno pensato bene di unire le proprie forze in questo split EP di soli tre pezzi, in cui i 13 minuti iniziali sono affidati a due song degli Abhor ed i rimanenti 13 minuti ad una sola song degli Abysmal Grief. L'esorcismo inizia con "Legione Occulta" che vede i padovani Abhor proporre il loro classico occult black maligno fatto di ritmi cadenzati, grim vocals ed in sottofondo, quella che sembrerebbe essere una reale registrazione di un esorcismo (palesato anche da un'inequivocabile cover cd). Non è da meno “Possession/Obsession” che prosegue sulla falsariga dell'opener sia in fatto di tematiche trattate che musicalmente, con quel rifferama un po' retro su cui va ad installarsi il mefistofelico organo di Leonardo Lonnerbach, che a mio avviso rappresenta il punto di forza del sound deviato e sghembo della band veneta che da oltre 20 anni calca il sottosuolo italico, il tutto senza dimenticarci ovviamente dello screaming ferale del buon vecchio Ulfhedhnir e dell'innata capacità della band nel creare splendide atmosfere da incubo (ascoltatevi a tal proposito il finale della traccia). È poi il turno dei genovesi Abysmal Grief, un altro in gruppo in giro da una ventina d'anni con un bel po' di esperienza in cascina ed una grande abilità di spiazzare l'ascoltatore con le loro insane trovate: in questo caso i 13 minuti di "​Ministerium Diaboli" altro non sono che un lungo e minimalistico rituale che dopo ben otto minuti muta in forma canzone, con una sezione ritmica vera e propria dai fortissimi connotati psichedelici su cui poggiano delle grida in sottofondo. Insomma alla fine un buon riempitivo, in attesa delle nuove release delle due band fiore all'occhiello del metal italiano. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 agosto 2019

The Rite - The Brocken Fires

#PER CHI AMA/FOR FANS OF: Black/Doom, Celtic Frost, Cathedral
I The Rite altro non sono che un nuovo side project internazionale che vede la partecipazione di P. Guts dei nostrani Krossburst, in compagnia di A.th dei Black Oath, altra band italica, ed infine Ustumallagam dei blacksters danesi Denial of God. Il risultato di simile incontro non può portare inevitabilmente a nulla di buono, non tanto in termini qualitativi, ma in fatto di sonorità. Preparatevi pertanto ad affrontare un concentrato offensivo di black doomeggiante, che non vede grossi stravolgimenti al genere, se non una certa vena rituale in alcuni esoterici fraseggi dell'EP, che sembrano per certi versi richiamare Mercyful Fate o Death SS, anche se qui le voci si palesano arcigne e malvagie. Se le prime due tracce sono un intro a cui segue una sferzante tempesta black, è con la title track che si vedono le cose migliori della band, proprio per quel suo incedere lento e magico, fatto però di una magia nera pulsante oscuri malefici e quant'altro, che chiama addirittura in causa un che dei Cathedral più tenebrosi, uniti a Celtic Frost e Samael, per un risultato complessivo che riserva qualche buono spunto. Soprattutto quando i nostri affidano alla cover "Acid Orgy" (originaria dei Goatlord) la chiusura del disco per un melmoso finale che già mi aveva pienamente convinto anche con la quarta "Heed the Devil's Call". Come si dice, chi ben inizia è a metà dell'opera. (Francesco Scarci)

Voto: 66

The Rite is a rather new international band founded in 2017 by musicians located both in Italy and in Denmark. It’s increasingly becoming more common to see bands with members whose locations are quite far, thanks to internet and the new recording equipments, which make possible to compose and record music even if the members don´t spend a single second together. I don´t know if this is the case, but it´s clear that the current technologies made easier for P.Guts, who plays the drums, A.th who plays the guitars, bass and keys, and Ustumallagam, who is the vocalist, to create The Rite. It didn´t take too much time until they could release their first effort entitled 'The Brocken Fires', with the ex-member Gabriel on guitars, as all the members were already experienced musicians with several previous projects. Almost all of them were closely related to extreme metal subgenres as black metal or doom metal. Unsurprisingly, The Rite is a band which mixes black and doom metal and whose main influences are classic bands like Celtic Frost, Samael or Goatlord, among the others. As previously mentioned, The Rite released 'The Brocken Fires' only one year after the band´s inception and though initially it was only released as a cassette, this debut EP has caught Iron Bonehead Productions attention which has decided to re-release it on CD and vinyl. Thanks to this 'The Brocken Fires' is gaining a bigger attention through the underground scene. This initial effort consists in a short intro called "Prayer to Satan", three new tracks and a Goatlord cover entitled "Acid Orgy". All the tracks deliver a solid mix of black metal with heavy doom metal influences, especially in the somber tone of the compositions and the generally slower pace in comparison to an archetypal black metal song. This gives a greater room to the band to create truly heavyweight riffs that are the indisputable strongest point of this EP. The first track entitled "A Pact With Hell" is a fine example of this description, delivering powerful riffs which remind me in a few moments Celtic Frost and accompanied by solidly executed vocals by Ustumallagam. His vicious and strong voice is the perfect companion to the black/doom esque riffs, which at times can sound slightly more melodic, this is in my opinion, a nice point which enriches the composition and adds variety to this song. Another strong point is that the band tries to escape from creating songs with a monotonous pace and at times introduces fast sections, which are an interesting add. The aforementioned song and the last song created by the band, "Heed The Devil´s Call" have a quite similar structure and though both are solid efforts, is the second song, the homonymous "The Brocken Fires", which is in my humble opinion the highlight of this EP. Structurally, it’s the most varied one with slow, mid and also fast sections, the riffs are excellently composed and delivered with powerful notes, but not exempt from inspired melodies. Apart from that the band introduces some organs, which enhance the bleak atmosphere of the track giving the extra point that makes the song even better. In conclusion, 'The Brocken Fires' is a pretty solid debut by The Rite. Though it doesn´t hit the ground with something especially original, the ideas behind these compositions are pretty well executed and make this EP a work which deserves to a listen. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Records - 2019)

Scythe Lore - Through the Mausoleums of Man

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, Vomitory, Aevangelist
In attesa di capire cosa ne sarà degli Aevangelist e delle loro dispute intestine cosi come quali novità attenderci dai nuovi Entombed AD, perchè non dare una chance al debut EP dei teutonici Scythe Lore. La proposta della misteriosa band germanica racchiude infatti le oblique e sinistre sonorità dell'estremismo odierno e penso appunto a Aevangelist e Portal, miscelate con il death old school di anni '90, Entombed e affini. Tutto è racchiuso all'interno di questo folle 'Through the Mausoleums of Man' e certificato attraverso le sei schegge impazzite che ci aggrediscono con la veemente "Eschatology Speaks All Tongues", ci demoliscono con la brevissima "Jhator", ci annichiliscono con la mortifera e più doomish "Behind 7 Walls and 7 Gates". Gli ingredienti sono i classici del passato con le ferali ritmiche del death metal made in Stockholm, le splendide rasoiate inferte dalle chitarre soliste (molto in stile 'Left Hand Path'), le growling vocals catacombali, il tutto riproposto con lo sghembo ardore del death sperimentale di oggi. Se proprio devo trovare un difetto alla proposta dei nostri, è una batteria plastificata che proprio non si può sentire e mortifica un po' il risultato finale di questo 'Through the Mausoleums of Man'. Per il resto lascio a voi il piacere di addentrarvi nelle paludose sabbie mobili delle restanti song, che non promettono assolutamente nulla di buono. (Francesco Scarci)

Daniele Maggioli - La Casa di Carla

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
La diroccata "Architetture" in apertura non è che un elegant-pop cantautoriale architettato, progettato e costruito attorno ad una semplice melodia di piano, contrappuntato da un esile substrato elettronico, vagamente reminescente il Battiato dei secondinovanta ("L'imboscata", "Gommalacca", "Ferro Battuto") e, nei contenuti, della figura biblica del patriarca Lot. Specularmente, l'arpeggio di piano nella conclusiva "Madame" tenderà a dissolversi, nel finale, in una lunga e catartica celebrazione del senso medesimo dell'assenza (pensate a Umberto Maria Giardini, a Dente, a quella gente lì, insomma). Sono apparentemente (e volubilmente) leggeri gli episodi intermedi: l'apocalyp/swing scanzonato e, persino in misura maggiore, lo psych/stomp in levare di Nosei/ana memoria ne "Il Cannibale". Giusto per vostra informazione, le cinque canzoni contenute ne 'La Casa di Carla', sono state pensate dall'autore nel 2014 per lo spettacolo teatrale "Approssimazioni", prodotto e ideato da un certo Alex Gabellini. (Alberto Calorosi)

Allone - S/t

#PER CHI AMA: Death/Doom/Black/Viking, Bathory
Gli Allone sono una band inglese almeno sulla carta, perchè poi vai a sfrucugliare sul web e scopri che uno dei due membri, Andrzej Komarek, altri non è che il bassista e chitarrista dei polacchi Praesepe ed ex-chitarrista dei Diachronia, una band di cui non sentivo parlare da oltre un decennio. Gli Allone, che includono nelle proprie fila anche l'inglese P.K. ed una infinita serie di guest star polacche tra cui l'ex chitarrista dei Vader, il chitarrista dei Macabre Omen ed un altro ex questa volta dei Themgoroth, hanno avuto la buona sorte di firmare per la Aesthetic Death, che li supporta in questo loro debut album omonimo. Che non siano degli sprovveduti e che il loro background affondi nel death doom, lo si evince dall'opener "Alone with Everybody I", una traccia monolitica di otto minuti, dotata di un riffing solenne su cui si stagliano le vocals pulite e disperate di P.K., in pieno stile Quorthon, in una song che richiama incredibilmente e in più occasioni, 'Twilight of the Gods' dei compianti Bathory. Epici, non c'è che dire soprattutto per aver risvegliato in me sentori che avevo completamente perso dai tempi di 'Nordland I e II'. E allora abbandoniamoci agli arpeggi del duo anglo-polacco, alle suggestive ambientazioni al limite del viking, ma non solo, visto che l'incipit della lunga ed ispirata "A Challenge to the Dark", strizza l'occhiolino anche agli Shining (quelli svedesi mi raccomando) cosi come pure ad una versione più edulcorata dei Praesepe stessi. Un lungo entusiasmante prologo acustico che ci prepara all'arrivo di grim vocals che ci mostrano una versione degli Allone decisamente più virata al black metal, ma niente paura, la band sa come mantenere salda l'attenzione sulla propria proposta e lo fa propinando una serie di eccellenti cambi di tempo, ottime melodie e litanici chorus di sottofondo che rendono il tutto ancor più interessante, aggiungendo peraltro alle proprie influenze un che dell'avanguardismo degli ultimi Obtained Enslavement, un pizzico di insania alla God Seed ed una vena progressiva alla Enslaved. Niente male davvero, anche se con "Alone with Everybody II" si va a pestare il pedale di un ibrido black death assai melodico, ma che poche migliorie apporta al suono fin qui goduto; forse la song meno riuscita delle quattro, ma che si eleva tranqullamente oltre la sufficienza, soprattutto grazie ad un finale più avvincente. Si arriva alla fine con la strumentale "Ruins", oltre 11 minuti di melodie raffinate (e spoken words) che suppliscono all'assenza della voce che fino a qui aveva fatto bene, in ogni sua forma espressiva. Ottimo debutto, band assolutamente da tenere nei radar. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 76

https://allone2018.bandcamp.com/album/allone

lunedì 5 agosto 2019

Deathcrush – Megazone

#PER CHI AMA: Noise/Crust/D-Beat/Digicore
Interessante debutto sulla lunga distanza (fuori per Apollon Records) di questa giovane band norvegese che riesce nell'intento di proporre qualcosa che sia fuori dalle righe e non inquadrato negli schemi. Quindi, l'accostamento di generi come il noise, il digitalcore, il crust punk, con il sound laccato ed oscuro degli anni d'oro dell'epoca Batcave, riesce a generare quel suono genuino, moderno, trasversale e ricco di pulsioni alternative che incuriosisce ed appassiona non poco ogni amante di novità soniche. La musicadei Deathcrush è prevalentemente una sorta di catarsi ritmica che ricorda una via di mezzo tra gli Amen e gli Atari Teenage Riot, lasciati in ammollo negli acidi del noise ribelle dei primi, seeminali, The Curve, con una voce femminile in quasi tutte le canzoni (in "Push,Push,Push" emerge anche la parte vocale maschile), che emula il proibito dei Garbage, il rock dei The Primitives e il controcorrente di Kim Gordon. Se poi ci versiamo sopra una buona dose di nero alla Alien Sex Fiend o Cabaret Voltaire, con quel gusto macabro, robotico e noir che, nonostante la forte voglia di spaccare, si trascina appresso un'orecchiabilità fenomenale, arriviamo alla giusta conclusione che questo 'Megazone' è un gran bel disco, adrenalinico e tagliente, sensuale, aggressivo, devastante come possono esserlo solamente i sussulti giovanili di anime sotto effetto di urgenza creativa. L'artwork, a mio avviso poi, è ben fatto ma non così interessante (dal taglio punk di primi anni '80) e meriterebbe di più, visto il valore della musica al suo interno e la capacità di risvegliare seriamente nell'ascoltatore, il concetto di piacere verso un suono il cui battito è da vera e credibile rockstar alternativa. Le tracce sono tutte sparate in faccia, di corta durata o al massimo superano di poco i quattro minuti, rendendo l'ascolto velocissimo, immediato e senza lasciar prigionieri. Desta un po' di sospetto la conclusiva traccia nove, "State of the Union" (uscita peraltro come singolo), con i suoi finti 24 minuti dichiarati: dopo i primi consueti quattro minuti inizia infatti un interminabile silenzio (modello traccia fantasma) fino ad un minuto dalla fine del disco dove riemerge uno spezzone di brano al rovescio, cosa riciclata che poteva andar bene al vecchio Marilyn Manson o ai Nofx d'annata. Ad ogni modo, l'album resta un grande disco (bello anche il video di "Dumb") per il trio di Oslo, dinamico, giovane e piacevolmente rumoroso nel suo aspetto acido e trasgressivo, scritto da giovani che cercano di non farsi sommergere dalla deformazione imposta dalla grande metropoli. Bello in tutte le sue tracce che potrebbero essere tutte delle potenziali hits, un disco da ascoltare in pompa magna e pieni di voglia di ribellione. Ottima prova al fulmicotone! (Bob Stoner)

(Apollon Records - 2019)
Voto: 74

https://deathcrush.bandcamp.com/album/megazone