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venerdì 11 luglio 2025

Aasar - I, the Hell

#PER CHI AMA: Blackened Deathcore
Secondo EP in due anni per i trentini Aasar, che con questo 'I, the Hell', propongono un nuovo colpo di scena nel panorama delle sonorità blackcore, seguendo il percorso tracciato dal precedente 'From Nothing to Nowhere'. Cinque i pezzi a disposizione per il quartetto nordico, con la rumba che prende il via con il rifferama sincopato della title track, un pezzo complesso e potente dotato di un'architettura musicale prettamente djent, arricchita però da blast-beat infernali, breakdown deathcore, vocals super caustiche, e un discreto senso della melodia, nonostante il corrosivo sound messo in piazza dai nostri, il che dimostra una certa versatilità nello stile della band. "Exiled" segue subito a ruota, caratterizzata da un bilanciamento più solido tra melodia e brutalità, complice una chitarra dal groove marcato in sottofondo, qualche orpello cibernetico qua e là, un'introduzione più atmosferica, e spruzzate di melodia che provano a smorzarne comunque la veemenza. Tuttavia la brutalità non tarda a farsi sentire, con accelerazioni implacabili, vocals al vetriolo e quel senso di vertigine apocalittico tipico dei breakdown. Che sia la top hit del disco? La risposta definitiva si avrà con il fade-out che introduce a "Crypt of Agony", che vede la collaborazione di Jake D. Sin (voce dei veneziani Unethical Dogma), la cui ugola s'intreccia con quella del frontman Simone Giacopuzzi, in un brano che fa del djent/deathcore, il proprio dogma, tra chitarrone super ribassate e tonfi ritmici che palesano nuovamente la potenza della band. "LiTh" tenta inizialmente di offrire una pausa con un'apertura più atmosferica ma ben presto, a prendere il sopravvento, sono ritmiche complesse e sinistre, accompagnate da urla graffianti e un predominante elemento deathcore, nonostante alcune spruzzate black metal siano riscontrabili durante l'ascolto. Ottima comunque la linea melodica di chitarra che guida l'ascolto, il basso pulsante di Daniele Nicolussi, senza dimenticare le funamboliche percussioni del mostruoso Denis Giacomuzzi che aggiungono ulteriore profondità al sound, riempiendoci i padiglioni auricolari di un sound mid-tempo ricco di intensità. Infine, "Spineless" chiude l'opera enfatizzando ulteriormente la spettacolare pulizia dei suoni, e la sua straordinaria e abrasiva densità ritmica. Pur non essendo un pezzo veloce, l'arrangiamento si dimostra incredibilmente energico, con una struttura che sarà capace di farvi colare il sangue dalle orecchie. Alla fine, non posso far altro che invitarvi alla cautela nel maneggiare questo pericoloso dischetto, rimanendo in attesa di un debutto su lunga distanza, che sembra già promettere grandi cose. E allora allacciate pure le cinture di sicurezza. (Francesco Scarci)

(Seek & Strike - 2025)
Voto: 74

giovedì 3 luglio 2025

Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Non sono sicuro se il nuovo album degli Helheim rappresenti realmente un passo avanti nella carriera della band norvegese. Da anni si distinguono nella scena musicale estrema grazie alla loro riconoscibile fusione di black metal preponderante e qualche accenno di viking folk, ma 'HrbnaR / Ad Vesa' non riesce a convincermi del tutto. Pur essendo attivi dal lontano 1992, e mantenendo un ruolo significativo nell'underground grazie alla loro capacità di innovare rimanendo fedeli alle radici del genere, questo nuovo lavoro sembra avere qualcosa che non quadra pienamente. Non so se la mia perplessità derivi dalla decisione di dividere l'album in due sezioni, la prima compiuta da H’grimnir e la seconda da V’gandr, o dalle voci pulite che, a mio avviso, non reggono il confronto con gli altri lavori. Oppure, potrebbe essere la musicalità, che in alcuni momenti appare appesantita da eccessive dissonanze sonore. Fatto sta che rimango incerto nell’esprimere un giudizio definitivo. Non fraintendetemi, non stiamo parlando di un disco mal riuscito, ma semplicemente io, dagli Helheim, tendo ad aspettarmi sempre livelli qualitativi elevati. Analizzando la prima metà del disco, emerge un black metal capace di conquistare, con momenti significativi come le malinconiche note di "Sorg er Dødens Spade" o l'impetuosa brutalità di "Livsblot", un brano che non lesina in ferocia e si muove abilmente attraverso chitarre affilate arricchite da linee melodiche ben calibrate. I testi, radicati nella mitologia norrena, aggiungono spessore a una sezione che regala ulteriori colpi ben assestati. Tra questi spicca "Mennesket er Dyret i Tale", che bilancia con intelligenza, furia e mid-tempo, culminando in un assolo di grande impatto emotivo. Tuttavia, quando si arriva alla seconda metà del disco, il distacco con la prima metà si fa più evidente. Si nota una maggiore enfasi sulle sezioni ritmate che, in alcuni casi, sforano nella ridondanza ciclica. La ruvidità di "Fylgja", o le suggestioni cupe e opprimenti di "Hamingja", mantengono in parte il tipico stile norvegese grazie alle distintive linee di chitarra, ma alla fine, resta quel non so che di incompiuto e poco convincente. A spezzare la monotonia interviene "Hugr", un pezzo ipnotico dal basso che richiama vagamente atmosfere pink floydiane. Tuttavia, anche qui l’eccessiva ripetitività di fondo unita a una più forte componente thrash, riscontrabile anche nella conclusiva "Hamr", finisce per risultare quasi fastidiosa. Per chi segue gli Helheim da tempo, questo disco offrirà comunque materiale interessante e momenti godibili. Se però siete nuovi nel loro universo musicale, consiglierei di iniziare con lavori per me più rappresentativi, come 'Heiðindómr Ok Mótgangr' o 'Yersinia Pestis'. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records - 2025)
Voto: 70

https://helheim.bandcamp.com/album/hrabnar-ad-vesa

martedì 24 giugno 2025

Khôra - Ananke

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Credo che ormai non ci sia band estrema che Les Acteurs de l'Ombre Productions non possa raggiungere. Oggi è il caso della creatura internazionale che risponde al nome di Khôra e del loro nuovo secondo album, intitolato 'Ananke', che si rifà alla divinità greca del fato. Nati come progetto solista di Oleg, la band oggi si è evoluta in una formazione completa che include Frédéric Gervais (Orakle, Cor Serpentii) alla voce, Göran Setitus (ex-Setherial, Svartghast) al basso e Kjetil Ytterhus (Profane Burial, Haimad) alle orchestrazioni. Dopo il debutto del 2020, 'Timaeus', ecco tornare la band nel tentativo di consolidare il proprio sound, in quella sua stravagante mistura di black atmosferico e progressivo, in grado di evocare nomi altisonanti quali Dimmu Borgir, Emperor e Arcturus. Io francamente non li conoscevo e devo ammettere che già dai primi pezzi sono rimasto piacevolmente colpito dalla proposta del gruppo. "Empyreal Spindle" e "Legion of the Moirai" mostrano infatti di che pasta sia fatto il quartetto, capace di bilanciare la ferocia del black/death metal con una certa raffinatezza delle orchestrazioni. Le chitarre offrono riff taglienti e acidi, spesso arricchiti da assoli dissonanti (in stile Ved Buens Ende e Virus, oserei dire) che aggiungono una dimensione psichedelica alla proposta. Il basso di Göran fornisce una solida spina dorsale, così come il forsennato drumming di Ole che alterna blast beat furiosi (spaventoso in tal senso in "In the Throes of Ascension") a sezioni più atmosferiche. Le orchestrazioni di Kjetil costituiscono poi quell'elemento distintivo, con archi, tastiere e suoni sintetici che evocano un'atmosfera cosmica e inquietante, completata dalle voci di Frédéric, che si muovono tra uno stile "arcturiano" e il tipico screaming black, anche se le varie collaborazioni del disco, probabilmente mi hanno un filo disorientato nel capire dove realmente il frontman offre la propria performance vocale. Comunque, tra le guest star, troviamo Blasphemer (ex-Mayhem, Vltimas) a cimentarsi nell'assolo dell'opening track, Kristian Niemann (ex-Therion, Sorcerer) in quello di "Wrestling with the Gods", mentre Wolfgang Rothbauer (Thirdmoon, In Slumber) si esibisce dietro al microfono in "On a Starpath", con la sua alternanza tra pulito e growling. Queste comparsate aggiungono ovviamente ulteriori strati di complessità a un lavoro già di per sé complesso, considerando che anche "Legion of the Moirai" vede la presenza di Arnhwald R. (Deathcode Society) alla voce mentre "In the Throes of Ascension" la performance vocale è condivisa con Bill Kranos (Savaoth). Alla fine, quello che conta è il risultato, e qui non ci sono dubbi che 'Ananke' si pone come un'opera decisamente ambiziosa che conferma i Khôra come una delle realtà più intriganti del metal estremo contemporaneo. La produzione impeccabile, gli arrangiamenti orchestrali e la profondità lirica creano un'esperienza immersiva che bilancia furia, emozione e sperimentazione di quello che si candida a essere una delle sorprese dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/ananke

domenica 15 giugno 2025

Neldoreth - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Metal
Il debutto dei lombardi Neldoreth si presentò come un fulgido esempio di black metal dalle forti tinte norvegesi, con l’influenza scandinava che appariva fin troppo evidente in alcune porzioni di questo EP. Il dischetto propone infatti quattro brani minimalisti e genuini, caratterizzati da una batteria velocissima e riff gelidi, elementi che danno vita a un lavoro sicuramente semplice ma gradevole. Le linee vocali, in puro stile grim, risultano piuttosto convincenti e ben inserite nel contesto estremo proposto. Due delle quattro canzoni sono chiaramente ispirate all’universo tolkieniano, e tra queste spicca "Moria" (l'altra è "Ered Gorgorth"), che sembra anche la traccia più convincente di questo demo cd, che vide giusto un seguito l'anno successivo, prima di veder affievolire la fiamma nera di questo trio valtellinese. (Francesco Scarci)

venerdì 13 giugno 2025

Darkenhöld - Le Fléau du Rocher

#PER CHI AMA: Medieval Black
Con un nuovo album (il sesto), i francesi Darkenhöld tornano a percorrere i sentieri del melodic black dalle tinte medievali, terreno che conoscono davvero bene, dopo 17 anni di militanza nella scena metal estrema. 'Le Fléau du Rocher' si presenta quindi come un lavoro tecnicamente maturo e concettualmente coerente con il passato, ma che fatica a liberarsi completamente dai vincoli di una formula ormai consolidata. Il trio nizzardo, se da un lato, conferma la propria capacità di costruire atmosfere evocative e coinvolgenti, dal l'altro sembra non aver fatto passi in avanti rispetto al precedente 'Arcanes & Sortilèges', che il sottoscritto aveva recensito nel 2020. "Codex De La Chevalerie" e "Gardienne Des Dryades" mostrano come il trio abbia affinato negli anni l'arte narrativo-sonora, mescolando melodie oscure con superba narrazione. La produzione è equilibrata e permette a ogni strumento di trovare il proprio spazio nell'architettura complessiva dell'opera. L'aspetto più riuscito dell'album risiede forse nella capacità dei nostri di mantenere una tensione narrativa costante attraverso tutti i brani con brevi passaggi strumentali, quali "Temps Enfouis" e "Sortilège Ancestral", a dare un certo respiro contemplativo a un black talvolta tirato, mentre tracce come "L'Ascension du Mage Noir" e la title track, dimostrano come la band sappia ancora scrivere episodi di black melodico efficace e coinvolgente. Tuttavia, è proprio qui che emergono i limiti più evidenti del lavoro. La musica infatti, porta insieme composizioni intricate che soffrono di una certa mancanza di innovazione. Il problema di 'Le Fléau du Rocher' non è tanto nella qualità dell'esecuzione, quanto nella prevedibilità dell'approccio compositivo. Dopo diciassette anni di carriera, sembra che i Darkenhold abbiano raggiunto la propria zona di comfort che, pur mantenendo risultati solidi, ne limiti la capacità di sorprendere. Le atmosfere medievaleggianti, i temi cavallereschi e la struttura generale delle composizioni sembrano ricalcare troppo fedelmente pattern già esplorati in passato e quindi la sensazione, almeno per l'ascoltatore esperto, è quella di un déjà-vu che alla fine smorza gli entusiasmi. Pur non denigrando valide intuizioni melodiche, il mio personale verdetto finale si configura come un album che può soddisfare pienamente le aspettative dei fan o di chi cerca un melodic black metal di qualità, senza però riuscire a trascenderle. 'Le Fléau du Rocher' è un lavoro che conferma la competenza tecnica e l'identità artistica dei Darkenhöld, ma che al tempo stesso, evidenzia come la band fatichi a rinnovare una formula che inizia a evidenziare le rughe di un tempo passato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2025)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/le-fl-au-du-rocher

Vultur - Cultores de Perdas e Linna

#FOR FANS OF: Black Metal
What a killer and uncompromising record, it reminds me a little of older Marduk and Mayhem. The music doesn't seem to let up except an instrumental acoustic track entitled "Arestis", which airs for about two and a half minutes. The vocals are tolerable as well, it seems as though everything on here fits. However, it's not something to listen to in a somber mood, as it tends to be entirely dark and dreary in terms of the overall vibe here.

I can't just pick out 1–2 songs because really there aren't of them that I dislike. I'm not big on black metal really, it's hard for me to hear because the aura to these releases is exceedingly grim. There are exceptions, of course, just most of the time with these bands I'm in violent opposition to the lyrics they spout out. Vultur is no exception, I'd rather stay blind to the words and just enjoy the music.

The band did reach out a few months back as I was very impressed with what I heard on YouTube past and present. I did decide to pre-order it in light of what I heard and man, I heard the entirety of this approximate 36 minute LP and was blown away. The music is pretty much a conglomeration of tremolo picking rhythms and chords alongside the blasphemous vocals plus fierce drums, which is entirely immaculate. The recording was precise, and it captured the heart and soul of this band, their LP is one of the best black metal albums I've heard in quite some time.

If your desire is something grim, yet fast, uncompromising and straightforward, this album is for you! (Death8699)


Nyktmyst - Nyktmyst

#FOR FANS OF: Black/Death
The Dutch duo Nyktmyst is another promising project hailing from a healthy scene that has produced some interesting projects in recent times, such as the excellent band Walg. In contrast to this project, Nyktmyst hasn’t been very active since it was formed in 2019. In fact, the duo has taken its time to carefully create its first opus. Given that they have signed with the prestigious label Iron Bonehead Productions to release it, we can assume that their first effort, a self-titled EP, must have something truly worthwhile to explore.

Nyktmyst’s sound is firmly rooted in the black metal scene, serving as a devoted portrait of the genre’s golden times. Yes, as you may think, the 90s approach to the genre fuels Nyktmyst's musical vision. This fact is clearly stated as soon as the first track, "O Viandante," begins. The production is a bit murky but clean enough to appreciate the instruments and vocals, as they both have room to shine. The impetuous pace of the drums is accompanied by the trademark tremolo picking guitar style, featuring the well-known sharp riffs that define black metal. The pace is generally fast but varies enough between remarkably fast and head-banging-inducing sections. The use of acoustic guitars also reminds me of some of the classic albums released in the 90s. Considering the elements used, it is undeniable that this track definitely breathes the very essence of the genre. The third track, "Noctivagant," displays another dose of top-notch riffs in an equally intense track that, as done in the EP opener, introduces variations in the pace, trying to garnish the compositions with ingredients that add diversity to their structure. The melodies are a bit darker and more dissonant here, and the vocals have a similar approach, although they introduce greater variation. The final track, "Portal Tomb," follows similar patterns, featuring great riffing that leads a generally fast track, but it never misses the chance to include some ups and downs in the pace, where mid-tempo and even slow sections are tastefully introduced. This variety helps to create a piece that will please listeners who want more than just endless blast beats and unconstrained fury.

This self-titled debut by Nyktmyst is definitely an interesting one. The ideas are solid, and the execution is excellent. It's a shame that it's just an EP, as it leaves me wondering if the duo can maintain this quality and interest in a longer effort. The remarkable result makes me think that it could be possible and leaves me reasonably excited about what Nyktmyst could offer in the hopefully near future. (Alain González Artola)


sabato 24 maggio 2025

Infernal Goat - Promo 999/The Longest Day Of Pain

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Raw Black
Gli Infernal Goat sono una band proveniente dalla Sardegna, fautrice di un black grezzo e minimale, dove i riff di chitarra provano a dare la giusta atmosfera, instillando angoscia. I tempi di batteria sono tutti molto lanciati. In alcune parti il richiamo agli Impaled Nazarene è molto forte. Le vocals sono delle vere e proprie urla lancinanti e sordide. Purtroppo, la registrazione del vecchio promo non è stata ben concepita, sbagliando nell’equalizzazione e nei volumi. Da segnalare qui la cover di “The Horney And The Horned”, tratta da 'Ugra Karma' degli stessi Impaled Nazarene. L'EP di quattro tracce è invece caratterizzato da un forte impatto sonoro. Il punto di riferimento per questa furia sarda rimane sempre il black metal, ma la registrazione risulta migliorata, essendo tutto ben più bilanciato e comprensibile. Le canzoni mantengono un’andatura decisamente sostenuta, ma inserendo preziosi e azzeccati stacchi di chitarra. Sicuramente un buon passo avanti rispetto al 'Promo 999'.
 
(Self - 1999/2000)
Voto: 62
 

giovedì 22 maggio 2025

Erotic Temple - Erotic Mass

#PER CHI AMA: Raw Black/Grind
Pronti per il caos sovrano? Si, perché 'Erotic Mass' dei giapponesi Erotic Temple, sembra più un esperimento mal riuscito piuttosto che un progetto ben definito, lasciando l'ascoltatore con una sensazione di disorientamento sin dalle prime note. Tralasciando intro e outro, forse i migliori pezzi del lotto (la registrazione di due amplessi), la successiva "Analmancy", registrata probabilmente in cantina con un aratro, è puro raw black/grind con riff similari più a una sega elettrica che a una chitarra, con le vocals demoniache che sembrano sgorgare direttamente dall'inferno. Chissà se sia un atto provocatorio o cosa, ma il risultato non è certamente dei migliori. Che dire poi dei sette secondi di "Immortal Penis" o la sudicia e caustica "Blasphemous Bloody Vulva", tra chitarre zanzarose, voci che sembrano uscire da un tombino e un assolo che avrebbe potuto anche essere interessante, ma che questa registrazione affossa malamente. Ecco, il disco procede su questa farsa con altri quattro "brani" che, messi insieme, raggiungono forse i sei minuti scarsi di putrida cacofonia, per un lavoro che, definire deludente, potrebbe risultare addirittura essere eufemistico. (Francesco Scarci)

giovedì 15 maggio 2025

Fog - The Endless War

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Raw Black
Dopo la solennne intro di tastiere ed effetti vari da battaglia, questa one-man-band italica inizia a suonare brani più articolati, grezzi ma ottimamente realizzati in ogni loro passaggio, completando e rilasciando un’atmosfera cupa e triste. Di stile sicuramente minimale, i nostri alternano sfuriate secche a rallentamenti pervasi da melodie oscure come quelle della prima canzone, "The Eye", poi seguita da una song più lenta ("The Army of the Dead") alla maniera dei Darkthrone più ragionati e Carpathian Forest. Queste sono anche le influenze che ritroviamo nel loro demo, con ritmi pure più sciolti, e con attacchi di chitarra più enfatici. A metà brano subentra addirittura un intermezzo gregoriano, tetro e a tono; una voce gracchiata compassata, come tutto il resto old style, scorre lungo il nastro concluso dall’ottima “Carpathian Forest”, cover del gruppo omonimo.
 
(Self - 2000)
Voto: 70