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lunedì 8 aprile 2024

Tank and Tears - Timewave

#PER CHI AMA: Gothic/Dark Wave
Tornano in pista i Tank and Tears, che dal 2017 si erano messi in pausa di ogni produzione musicale. Tornano in pista e mai definizione fu più appropriata, poiché dal precedente album, 'Aware', dove sfoderavano un post punk dalle forme ansiolitiche e dalle chitarre aggressive, si passa al dancefloor delle discoteche new wave/goth, con le chitarre che si rendono meno roboanti e più d'atmosfera, contornate e dirette da synth di stampo New Order e la forma compositiva tipica della band numero uno in questo ambito, i Clan of Xymox. Rincorrere ed emulare i sacri crismi e gli stilemi di tale genere, porta sicuramente a buoni frutti, e le nove tracce di 'Timewave' lo dimostrano, sebbene allo stesso tempo si denoti quanto il suono sia un vero e proprio derivato di quello che a suo tempo marcava le sperimentazioni degli Ultravox e dei The Dance Society, rendendolo unico, magico e indimenticabile, in un periodo storico a cavallo degli anni '80. L'album è quanto mai fedele nella ricostruzione storica e, avvalendosi di un'ottima produzione e un'ottima scorta di suoni vintage, riesce nell'intento di far ballare chi ancora oggi, adora quelle sonorità fredde e sintetiche. Prendete un goth club e fate ballare le sue oscure figure al suono di 'Timewave'; traccia dopo traccia avrete reso indimenticabile la loro serata. Canzoni mirate a colmare la nostalgia di un suono che in realtà non è mai caduto in disuso, che da decenni si rinvigorisce e rinasce dalle sue stesse ceneri, inglobando elettronica, dreamwave e visioni gotiche, in un incedere ritmico ipnotico, costantemente permeato da cupe atmosfere. Trovo superficiale dire quale sia il brano migliore, partendo dal fatto che i toscani Tank and Tears hanno creato un disco praticamente perfetto, per soli nostalgici del genere però, sebbene alla fine suoni moderno e studiato nei minimi particolari, per ricalcare maniacalmente i passi dei padri fondatori, con effetti e dinamiche del suono estremamente curate. "Galaxies" mi ha colpito particolarmente per la parentela eccelsa dei synth verso gli Ultravox più colti, circondati da chitarre che ricordano i The Cure più freddi, mentre "Vampire Bite" ha un sussulto più gotico e orientato anche all'universo esteso dei The Sisters of Mercy. Tuttavia, i paragoni non possono essere presi alla lettera in un genere dove le regole compositive rimangono comunque ferree e quanto proposto finisce per rimandare volutamente a un tutto già sentito. Rimane comunque stupefacente il grado di qualità, fluida e coinvolgente, sprigionata da quest'album che ha una omogeneità ammaliante che non mostra alcun segno di cedimento durante il suo ascolto. Ascolto che consiglio a tutti quelli che vogliono inoltrarsi nel mondo dell'elettrowave a tinte gotiche, o nella new wave di stampo ottantiano, per rendersi conto quanto la linea di suono della new wave sia poi proseguita dai monumentali 'Movement', 'Subsequent Pleasures' e 'Vienna' fino ai giorni nostri. (Bob Stoner)

(Swiss Dark Night - 2024)
Voto: 75

https://tanksandtears.bandcamp.com/album/timewave 

giovedì 12 ottobre 2023

Collapse Under the Empire - Recurring

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
Eravamo in pieno periodo Covid quando ci siamo soffermati a recensire 'Everything We Will Leave Beyond Us', ottava fatica dei teutonici Collapse Under the Empire (CUTE). Chissà se finalmente quel tutto, menzionato nel titolo ce lo siamo finalmente lasciato alle spalle? Nel mentre ognuno di noi sta pensando alla propria risposta, ecco arrivarci fra le mani il nuovo 'Recurring' e nove nuove tracce che portano i nostri a proseguire nella loro esplorazione musicale di un post rock sofisticato, svolazzante, onirico, data la sua capacità di muoversi su molteplici binari, cosi come già materializzato nell'opener "Genesis", che dal classico post rock strumentale si muove sinuoso in territori più progressive o synthpop, grazie a quelle importanti porzioni orchestrali che tendono ad occupare tutto il suono dei nostri e a palesare i punti di forza e debolezza di un disco che vuole narrare il perpetuo ciclo di vita e morte del nostro pianeta, tema tra i più ricorrenti nelle più recenti release. E cosi, a narrare questa costante ripetizione di distruzione, purificazione, pace e redenzione, i nostri giocano con i molteplici umori, narrazioni strumentali, chiariscuri, saliscendi emozionali che si manifesteranno via via anche nelle successive song, dall'umorale ed estremamente atmosferica (ma soprattutto malinconica) "Revelation", che la indicherò alla fine come uno dei miei pezzi preferiti, alla più ipnotica e cerebrale "Mercy", grazie alle sue doti cinematiche e all'espandersi di delicate atmosfere shoegaze da metà brano in poi. "Absolution" sembra addirittura enfatizzarne i toni attraverso quell'uso (abuso?) di synth che si affiancano alle chitarre riverberate e che sembrano donare al disco evocativi tratti cosmici che mi hanno portato a pensare a band quali God is an Astronaut o Exxasens. Il duo di Amburgo si prende un momento di pausa in "Requiem", una sorta di bridge ambient evocante le vibrazioni cosmiche del film 'Gravity', che ci introduce a "Forgiveness", il più post rock dei brani inclusi in 'Recurring', ma anche quello più dinamico, con quel suo rincorrersi delle chitarre e la quasi soverchiante stratificazione di piano/tastiere in anfratti nebulosi di un cosmo oscuro e gelido. Ma le chitarre tornano fragorose nel finale di un brano turbinoso e affascinante. "Salvation" è invece più spinta verso territori sintetici, con le chitarre qui relegate in secondo piano che tuttavia non perdono la loro forza motrice. A seguire, "Apocalypse" si muove su analoghe linee elettroniche che nella loro iniziale ridondanza, non incontrano appieno il mio gusto, e in realtà, questo sarà anche il brano che ho trovato meno convincente nella proposta dei CUTE, sebbene un finale imponente, figlio di un'ariosa emozionalità cinematica, e all'utilizzo di delicati archi in sottofondo. La conclusiva "Creation" si muove su suadenti note di sintetizzatore a cui faranno da contraltare in più di un'occasione, esaltanti partiture di chitarra che esaltano finalmente il risultato complessivo, per il gradito ritorno di una band davvero competente nel proprio genere. (Francesco Scarci)

mercoledì 4 maggio 2022

Einseinseins - Zwei

#PER CHI AMA: Post Punk/Kraut Rock
Prendete un contesto strettamente post punk/elettronico/new wave dotato di un fascino retrò, come può essere la musica della band californiana Nass//Zuruck, munitelo di un equipaggiamento da combattimento che varia tra il glam di stampo Bowie, epoca 'Yassassin', (magari nell'ottima versione reinterpretata nel lontano 1984 dai Litfiba), e ritmiche di basso e batteria al vetriolo, molto familiari ai New Model Army della prima era ('Vengeance'), alleggeritene la verve underground, aumentatene la parte progressiva, ed incollate ad una vena compositiva brillante ed efficace; forse in questo modo vi farete un'idea, anche se solo parziale, di quest'ottima band tedesca. Cosi ho trovato i berlinesi Einsenseins, annoverati tra le fila di progarchives tra riferimenti al krautrock e ai Vangelis, con cui mi trovo peraltro d'accordo, decisamente mi trovo di dissentire sugli Hawkind o i Can. A mio avviso l'accento new wave che compare in questo terzo album intitolato 'Zwei', aumenta una certa distanza nei confronti delle uscite precedenti, inanzitutto bisogna dire che è squisitamente orecchiabile fin dall'iniziale "Graf Zahl", che sembra evocare lo spettro del Bowie di "Heroes". Come seconda traccia, con un riff alla Placebo ed un'ossessiva voglia di vocals robotiche di casa "Galactica" dei Rockets, si presenta "Plastikliebe", bella e piena di fascino tecnologico vintage (compreso il suono dei vecchi modem per l'ingresso in rete). La formula più orecchiabile che supporta questo ottimo album è alquanto funzionale e presente in maniera continua su tutte le composizioni, e dona una continuità d'ascolto notevole per l'intero album. "Regit Etarak" s'insinua in quel labile confine che separa appunto le intuizioni di Vangelis e Kraftwerk e la synthwave/new wave, che agli inizi degli '80 portò molte band al successo, notevole quanto inaspettato il rimando ai The Cure del suo riff principale ed il finale ancorato nel post punk più duro. Ecco il momento del mio pezzo preferito, "Gasetagenheizung", con una splendida sezione ritmica ossessiva, pulsante e decisamente coinvolgente che potrebbe essere stata, proprio come detto prima, patrimonio dei New Model Army. Inoltre il brano è condito da rasoiate di chitarra in puro stile The Sound, con voci sparse qua e là provenienti da un lontano cosmo oscuro che riempiono di mistero e tenebrosità quest'ipnotica traccia. "Nachtigall" insieme a "Nur Fuchs" sono le due tracce più lunghe del trio berlinese. La prima più atmosferica e magnetica, basata sul suono dei synth e dotata di una certa vena più progressiva, la seconda, che risulta essere l'altra mia traccia preferita di questo disco, costruita con i suoni tipici dei primi New Order, quelli di "ICB", o tra le note stonate e malinconiche del capolavoro 'Always Now', dei Section 25. Tirando le somme, 'Zwei', è un gran bel disco, sicuramente con dei canoni stilistici preimpostati ma sempre e comunque, in tutte le sue parti, ben confezionato e carico di stile che eleva il trio tedesco ad uno standard creativo e qualitativo molto più alto se paragonato alle loro precedenti uscite. Un'opera assai interessante per un album composto con l'urgenza creativa di un tempo, note che devono uscire a tutti i costi ed essere ascoltate da qualcuno per forza. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 80

https://einseinseins.bandcamp.com/

sabato 12 febbraio 2022

Oz Projekt - Life Before Your Eyes

#PER CHI AMA: Electro/Dark
'Life Before Your Eyes' è una bella maratona di circa un'ora di suoni intensi, delicati e sensuali a cura dei portoghesi Oz Project, che vede peraltro la partecipazione di membri di Secrecy, Dark Wings Syndrome e Usoutros. Con questo secondo album (che arriva dieci anni dopo il loro debut 'Voyages'), un concept album legato ad una tribolata storia d'amore, il collettivo lusitano ci porta indietro nel tempo di quasi 40 anni, a quei favolosi anni '80 dove dark, new wave e synth pop regalavano splendidi gioielli musicali. La band originaria di Porto francamente non la conoscevo, ma l'impressione è piuttosto positiva, pur non trattandosi del mio genere di elezione. Il disco si apre con le raffinate e soffuse melodie di "Spread Your Love", che vedono The Sister of Mercy, Bahuaus e Cocteau Twins come alcune delle influenze alquanto ingombranti dei nostri, ovviamente il tutto riletto in chiave decisamente più moderna e con una produzione da favola alle spalle. "Silhouettes and Shadows" segue a ruota con quel suo ritmo tipico della synth wave, con delle vocals gotiche quanto basta per donare un tocco di maggior oscurità all'intero lavoro. Colpisce poi anche il coro che ne rende ancor più orecchiabile l'ascolto. "Fire" è decisamente più robusta ma solo in apertura, con la voce affidata questa volta ad una gentil fanciulla (Sofia Portugal) che comparirà anche nella successiva e malinconica "Shooting Star" (a duettare con uno degli svariati vocalist della band - ne conto ben cinque) e nella delicata "Something Wrong", quasi una sorta di tributo a Dolores O'Riordan e ai The Cranberries di 'No Need to Argue'. "Fire" comunque è assai catchy soprattutto nella parte corale che dà il titolo al brano. "Our Wishes are Still the Same" ha un mood che conferma la verve decadente degli Oz Project e che ammicca a certe cose più cupe dei Depeche Mode. Il disco contiene comunque ben 14 tracce, pertanto mi soffermerei su quelle song che più mi hanno colpito a partire da "Together for All" e a quel cantato inserito in un contesto sonoro psych rock che emula per certi versi i Pink Floyd, questo a sottolineare comunque l'eterogeneità dell'ensemble portoghese che qui mostra l'ispirata chitarra di Rui Salvador (Usoutros). Alquanto intriganti le melodie di "Our Love is Close in a Window", in cui a cantare questa volta troviamo un'altra delle vocalist della band, e dove nelle cui note si percepisce quel disagio di un amore destinato a finire a breve. Ultima menzione per "Walking on the Line", che sembra riaffermare quanto proposto dalla band nella prima manciata di pezzi, con una elettronica più spinta in primo piano. Insomma, se avete voglia di farvi investire da un bel po' di emozioni, ritrovabili anche a livello lirico, date una chance a questo 'Life Before Your Eyes'. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2021)
Voto: 75

https://www.facebook.com/ozprojekt/

venerdì 29 ottobre 2021

Piet Mondrian - #Di Che Stiamo Parlando

#PER CHI AMA: Indie Rock/Synthwave
Di che stiamo parlando quando parliamo di tecnopop? Il neoplasticismo musicale ostentato dai Piet Mondrian compie un percorso sonoro indubbiamente identitario. Synth/etismi rettangolari e quel caratteristico vocione nuovoromantico estetizzante in bocca a chiunque (tranne Battiato) trovasse il coraggio di collocarsi davanti a un microfono nei primiottanta. Battiato, già. Quello di 'Passaggi a Livello', più precisamente quello della sequenza di quadrisillabi in chiusura, ritrovato nei finali strampalati di "Canetti", "Rumore Bianco", ma anche e soprattutto "Tu Sei il Paradiso" (fate un confronto con "Listening Wind" dei Talking Heads). Quello più alchemico di 'Gommalacca' e 'Ferro Battuto' per via della profondità quasi ambient conferita ai suoni. Quello delle citazioni, disseminate in giro come origano sulla pizza ("Canetti", "Rai 5", "Fosteruollas" o i monologhi di "Derrida"). Battiato soprattutto, ma anche Garbo, i Talking Heads, gli Ultravox, i Bauhaus. I CSI. (il singolo "Un Dio Ovunque"). Qualcuno ha individuato il barrito di "Immigrant Song" (Led Zeppelin) in "Tu Sei il Paradiso"? No? (Alberto Calorosi)

(Borgo Allegro - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/pietmondrianband/

venerdì 16 luglio 2021

One Arm - Mysore Pak

#PER CHI AMA: Alternative/Dark/Post Punk, Joy Division, Primus
Una trio tutto al femminile nasceva a Parigi nel 1992 con il moniker One Arm. Un sound all'insegna del post punk e concerti senza sosta in giro per l'Europa, prima dello scioglimento del 1997. In realtà, la band da li a un anno, si riforma integrando la defezionaria chitarrista con due giovani virgulti, uno al basso, l'altro alla batteria, per una stravagante formazione a due bassi e due batterie. Altre peripezie travolgeranno la band portandola allo scioglimento per altri 15 anni. Finalmente i nostri ritornano sulle scene questa volta sotto l'egida della Atypeek Music che propone alla band di riproporre i vecchi demo in una versione finalmente professionale. Ecco come nasce 'Mysore Pak' e i 12 pezzi in esso contenuti che ci faranno da Cicerone e narrarci la storia dei nostri, partendo dalle psichedeliche melodie di "Real", in cui si sentono i due bassi duellare tra loro, manco fossero i Sonic Youth miscelati ai Primus, in una versione dark/post punk che chiama in causa Bahuaus e Joy Division, cantati dalla paranoica voce di Laure. Interessante no? Non scontato direi semmai io, grazie alla forte originalità che caratterizza l'intero lavoro. La successiva "Esg" è un funk pop punk, in cui il suono dei bassi entra nella testa e sembra sinaptare con i pochi neuroni rimasti nel cervello. Le atmosfere sono oscure ma estremamente orecchiabili, tra il synth pop dei Talk Talk e il post rock. Man mano che si va avanti con l'ascolto mi sembra di sprofondare nei turbamenti di questi quattro atipici musicisti e "Space is the Place" sembra essere un tributo alla scena trip hop di Bristol. Peraltro il brano vede la partecipazione di una serie di ospiti: la poetessa cantautrice new yorkese Little Annie con le sue vocals cosmiche, Pierre Alex Sigmoon al basso (il terzo?) e DEF alle tastiere (e tornerà anche in "Change"). Ancora stravaganze musicali, ma aspettatevene a iosa in tutto il disco, con la ondivaga traccia omonima che mi dà quasi l'impressione di trovarmi in un club londinese, pieno di fumo, bevuto e fatto di acidi fino al midollo, con suoni dilatati, siderali, inserti di sample, e poi quelli che mi sembrano addirittura essere degli archi e tutto un apparato elettronico che mi fa letteralmente perdere i sensi e non capire più nulla. Ma l'approccio lisergico è uno dei cavalli di battaglia dei One Arm, lo dimostrano i vocalizzi e le melodie visionarie di "Fiddle". Un po' di post punk settantiano con "City", una song maledetta che sembra nuovamente evocare quei Primus che apprezzai particolarmente nel folle 'Frizzle Fry'. Che i nostri non siano una band ordinaria lo si deduce anche dalle sensuali ma apocalittiche melodie di "B.O.", un pezzo strumentale ove le voci sono affidate solo a dei sample; qui l'ospite di turno è il tastierista Realaskvague. Stesso concept musicale per "Change" altra song strumentale carica di una certa inquietudine, in cui occhi e orecchie non possono che focalizzarsi sui giochi di basso. Sonorità psych/noise/dub per "Hitch-Raping" per un altro viaggio a base di peperoncini allucinogeni. Siamo quasi al finale, con le ultime tre tracce del cd: "Top Tone" è coinvolgente con quel riffing ritmato di bassi, voce strafatta, influenze indiane per una bella dose (quasi otto minuti) di insana follia. "Step 3" ci regala altri tre minuti di musica inqualificabile, non nel senso che sia indecente, ma che si faccia davvero fatica ad apporre un'etichetta specifica di un genere. A chiudere, la liquida e strumentale "Virgule", che sancisce con la sua synthwave, lo spessore artistico di una band che non ha avuto grossa fortuna in passato, ma a cui mi sento di augurare un enorme in bocca al lupo per un luminoso futuro. (Francesco Scarci)

mercoledì 30 giugno 2021

Mesarthim - Vacuum Solution

#PER CHI AMA: Electro/Cosmic Black
Il misterioso duo australiano dei Mesarthim torna con una nuova release che va a renderne più cospicua la discografia. Sempre sotto la guida esperta della nostrana Avantgarde Records e con un concept perennemente ispirato alla cosmologia, la band ci propone un sound ancora una volta intrigante, in grado di miscelare cosmic black con elettronica e space rock, in un favoloso mix di melodie che si esplicano alla grande lungo le cinque tracce qui incluse. Quello che più ho apprezzato di 'Vacuum Solution' è sicuramente l'utilizzo dei synth nella memorabile title track posta in apertura, che è impossibile non memorizzare e arrivare quasi a fischiettare. Non me ne vogliano i due musicisti australiani, ma questa rischia di essere una delle canzoni più melodiche della loro discografia, sebbene le screaming vocals provino a mantenere un ancoraggio con le produzioni precedenti. Certo che quel finale quasi EBM rischia di stravolgere (positivamente sia chiaro) il pensiero che mi lega da sempre ai Mesarthim. Con "Matter and Energy" le cose sembrano complicarsi ulteriormente, lasciandosi penetrare sempre più dal beat techno elettronico, con il solo cantato black a mantenere un ponte di connessione con la musica estrema. Con "Heliocentric Orbit" ci manteniamo in territori affini, con i due che provano a unire quel sound techno dei Samael di metà carriera con la musica trance e le ultime invenzioni vocali (quasi anime giapponesi) degli azeri Violet Cold. Audaci. Impavidi soprattutto in "A Manipuliation Of Numbers", un pezzo che prende in prestito le tastierine del dungeon synth e le mette a servizio di un sound più etereo che comunque riflette il trademark dei nostri. A chiudere, ecco "Absence" con il suo ambient nudo e crudo, una sorta di colonna sonora di film stile "Interstellar" o "Gravity", che chiude l'ennesimo viaggio nello spazio di questi due sognatori australiani. Ah, una piccola curiosità: l'artwork di copertina è realmente una foto della Nasa. (Francesco Scarci)

lunedì 12 aprile 2021

Mur - Truth

#PER CHI AMA: Post Black/Post Hardcore/Experimental
Recensiti proprio dal sottoscritto un paio d'anni fa in occasione del debut 'Brutalism', i parigini Mur tornano con un EP nuovo di zecca intitolato 'Truth'. Cinque brani, di cui una cover dei Talk Talk, per una mezz'ora abbondante di suoni che combinano post-black con il post-hardcore, ma non solo. L'eccelso stato di forma del sestetto francese è confermato dal roboante pezzo d'apertura, "Inner Hole", che ci stritola con suoni davvero corrosivi, che hanno il pregio di sfoderare un break elettronico che rompe quella furia primigenia, comunque pregna di melodia, che contraddistingue il brano. Un pezzo pervaso da un senso di impotenza e forte malinconia tipici del post-hardcore, proposti con l'irruenza di un black dai tratti sperimentali, ormai marchio di fabbrica delle produzioni Les Acteur de l'Ombre Productions. Il finale è a dir poco devastante, miscelando suoni estremi dai più svariati ambiti musicali, a confermare le ottime doti dei sei musicisti. Che i suoni non siano troppo scontati ce lo conferma anche la successiva "Suicide Summer" con la sua ritmica psicotica e irrefrenabile, un rullo compressore impazzito in grado di asfaltare ogni cosa si ponga sulla sua strada. Il black schizoide dei Mur trova la sua massina espressioni in balzani synth che coniugano estremismi black con il mathcore, scatenati suoni elettronici, screaming efferati, cavalcate poderose, break inaspettati e deflagrazioni caotiche altrettanto imprevedibili, quasi geniali. Al pari quasi dell'inizio di "Epiphany", che sfodera chitarre assai strambe, percussioni tribali, harsh vocals, suoni contaminati da un'alternative rock e altre sonorità più o meno stravaganti per una proposta di questo tipo, che comunque ha un suo filo logico che ci conduce alla cover "Such a Shame", un brano che francamente amo. Ecco, la riproposizione della song dei Talk Talk è quasi irriconoscibile, fatto salvo nel coro dove compare chiara l'ndimenticata melodia del brano. Altrove regna il caos sovrano, un caos calmo, un caos controllato, ma comunque un caos nell'accezione figurata della sua definizione, disordine o disorientamento tumultuoso, una confusione senza uguali, soprattutto laddove credo ci sia una sorta di assolo conclusivo controverso e delirante. In chiusura di 'Truth', ecco gli ultimi dieci minuti strumentali della title track. Intro affidato ad un lungo giro di synth che ci porta direttamente al krautrock teutonico degli anni '70. Break ambient di 90 secondi tra il terzo e il quarto minuto e poi una seconda parte assurda di sonorità synthwave, prog, sperimentali, che ci confermano quanto i Mur siano davvero pazzi, stralunati ma tremendamente fighi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/truth

venerdì 20 novembre 2020

Bergeton – Miami Murder

#PER CHI AMA: Synth-Wave/IDM/Electro
Devo ammettere che la copertina di questo album mi ha incuriosito molto e scoprire chi si cela dietro al progetto Bergeton, è stata una cosa proprio inaspettata. Siamo al cospetto di una figura di culto del mondo black metal, che ha suonato con Gorgoroth, Godseed, 1349 e che dal 2011 è parte integrante dei Mayhem. Sto parlando di Morten Bergeton Iversen, artista norvegese conosciuto da tempo nella musica estrema con lo pseudonimo Teloch. In questo nuovo solo project, il musicista di Oslo si cimenta con l'arte della musica elettronica, lontanissimo dalle sue abituali ritmiche violente, fredde e oscure. Qui Mr. Iversen si mostra padrone della scena e capace costruttore di architetture elettroniche che subiscono l'influenza di vari mostri sacri del genere ma non soccombono al plagio anzi, con un pizzico di glamour e humor noir, l'artista norvegese riesce efficacemente a mescolare le sue carte fino a realizzare una manciata di brani fruibili e godibili, frutto di un certo gusto e coinvolgimento nel genere in questione. Dicevamo dell'artwork di copertina, che si mostra come la locandina di un anime thriller, ambientato in una Miami del futuro il che rende molto l'idea della musica contenuta in questo disco di debutto. Una musica ispirata, che non abbassa mai i toni, sostenuta, che incrocia il suono dei Front Line Assembly con quello dei videogiochi anni '80, che rimastica i Model 500 con i Kraftwerk, i suoni dei primi Depeche Mode con il mood della celebre sigla della serie X-files. Musica costantemente pulsante, con belle atmosfere, a volte più morbide ed immediate, a volte più sinistre, intelligentemente danzanti (IDM) con inserti e arrangiamenti intriganti, a volte persino tese e nevrotiche senza mai perdere la vocazione per l'orecchiabilità. Si parte con "Arabian Nights" ed il suono scivola immediatamente tra la synth wave e la dance cosmica di fine anni '70, con un perfetto riff etnico che certamente farà presa su ogni tipo di ascoltatore. Si prosegue con un brano che si presenta da solo, dal titolo inequivocabile "Depeche Load", che si schianta tra la band di Dave Gahan e le prime intuizioni sintetiche e dark dei VNV Nation. In "Fort Apache Marina", il suono si snoda tra ritmi elettro/funk di gusto retrò e innesti chitarristici inaspettati, di chiara ispirazione metal. Il disco continua con influenze kraut e persino techno-trance, con il brano "Lambo", ma è con la new wave di "Miami Murder" che dà anche il titolo all'album che si tocca la vetta, con analogie che l'accomunano alla sigla del film Miami Vice, filtrata dalla decadenza espressa in "Vienna" dai mitici Ultravox. " Natasha K.G.B." è un buon esempio di come una musica fatta con intelligenza, possa farti immaginare un film di spionaggio che non hai ancora visto, mentre "The Demon", a differenza degli altri brani, esplora un ambiente sonoro più duro, e distorto più vicino all'EBM, agli ultimi Project Pitchfork con l'ingresso della presenza vocale, che si manifesta in forma di inquietante parlato. Il finale è lasciato a "Valley of Death" che chiude l'album con un beat ossessivo, curve e altalene elettroniche rubate direttamente dalla console Atari e dai videogames di un tempo assai lontano. 'Miami Murder' è sicuramente un disco molto dinamico ed energico, che non avanza pretese di originalità ma che gode di ottima fantasia e gusto, qualità che bastano a rendere il tutto piuttosto personale. Sarebbe proprio un peccato dire in giro di non averlo mai ascoltarlo. (Bob Stoner)

(Meus Records - 2020)
Voto: 70

https://bergeton.bandcamp.com/