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lunedì 16 dicembre 2024

Misanthrope - Immortal Misanthrope

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Symph Death
Questo gruppo esiste dal lontano 1988 e io, al tempo di questa recensione, non ne avevo mai sentito parlare! Francesi, i nostri, sono fautori di un buon heavy-death metal, molto tecnico (ascoltare per credere), dove un tappeto tastieristico sempre presente e direi quasi virtuoso, si fonde in tutta la sua melodia con le ottime e potentissime chitarre, con una batteria martellante e tecnica e infine, con la voce grandiosa del leader Philippe "S.A.S de l'Argilière" Courtois. La giusta definizione per il loro suono, a mio parere, potrebbe essere: sympho orchestral music mescolata con i classici riffs heavy-death metal. Questo album è un buon pasto per tutti coloro che ascoltano Children of Bodom, primi Nightwish, Dimmu Borgir, Samael e, aggiungerei anche, i melodicissimi Stratovarious. Da non dimenticare la produzione killer di Nordstrom e J-J Moreac. I Misanthrope sono comunque un gruppo da ascoltare dal vivo (non per niente sono stati partecipi di concerti in compagnia di Angra, Cradle of Filth, Dimmu Borgir e Gamma Ray). Quindi, aspettate il prossimo tour europeo e non mancate!
 
(Holy Records - 2000)
Voto: 70
 

lunedì 9 dicembre 2024

Deamonolith - The Monolithic Cult of Death

#PER CHI AMA: Prog Death
E della serie dove c'è Godz ov War Productions c'è morte e distruzione, ecco a voi i Deamonolith, nuovi alfieri della politica musicale estrema dell'etichetta polacca. Il quintetto, originario di Varsavia, arriva sulla scena con il loro debutto ufficiale, 'The Monolithic Cult of Death', ma l'esperienza dei vari musicisti affonda le proprie radici in altre storiche band come Pandemonium, Lost Soul e Sacriversum. Con un moniker del genere poi e un titolo di questo tipo, che affida a una sola traccia, suddivisa in sei capitoli incentrati sul tema dell'Apocalisse, che volete aspettarvi? Presto detto, death metal, ma non proprio nella sua concezione più purista. Dalle note iniziali di "The Afterfall", si potrebbe desumere una certa assonanza musicale con i primi Opeth, anche se nelle sue accelerazioni, ci troviamo al cospetto di un bel death old fashion super tirato con tutti gli orpelli (growling vocals e blast beat in testa) al posto giusto. Tuttavia, nei momenti più ragionati della seconda "The Ultimate Solution", la componente melodica si fa più presente sia a livello di matrice ritmica che nelle parti più atmosferiche ("The Fall, the Reek & Forlornness"), ma anche in quelle solistiche, che arrivano a evocare addirittura i Nocturnus. Certo, che quando i nostri abbracciano la strada dell'intransigenza (ad esempio nel thrash death di "The Acknowledgment") non ce n'è per nessuno e il rischio più evidente, è quello di cadere nel già sentito. Ciò che deve essere chiaro qui è che invece nulla deve essere dato per ovvio in quello che salta fuori dalle note di questi artisti, visto l'utilizzo di sax in alcune parti solistiche (chi ha detto Pan.thy.monium?) che vanno a contrastare la veemenza di una ritmica che mi ha evocato in più parti anche un che dei primi Vader. E proprio forse quest'alternanza di reminiscenze storiche unite a una più che discreta dose di personalità, rendono l'ascolto di questo concept album decisamente più attento. Prendete ad esempio i dodici minuti e passa di "Conquerors of the Void", che aprono con accattivanti atmosfere orientaleggianti e a cui fanno seguito delle ubriacanti linee di chitarra, ecco, queste rendono la proposta dei Deamonolith sicuramente meno scontata, anche nel voler cercare di trovare a tutti i costi un'etichetta a una proposta qui davvero interessante, tra parti al limite dell'avantgarde, linee vocali pulite, atmosfere orrorifiche e un ottimo compromesso melodico. Insomma, alla fine quello che credevo fosse il classico album death metal, si è tramutato in una inattesa sorpresa che potrebbe entusiasmare sia gli amanti di sonorità ricercate che dei intransigenti puristi del genere. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions/Ancient Dead Productions - 2024)
Voto: 75

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/the-monolithic-cult-of-death

lunedì 17 giugno 2024

Giant Fragments - Reborn

#PER CHI AMA: Djent/Metalcore
Della serie non tutte le polo escono con il buco, ci soffermiamo oggi su una band francese che secondo me non ce l'ha fatta, almeno non per ora. Si perché il sound proposto dai parigini Giant Fragments prova a coniugare, in questo 'Reborn', EP di quattro pezzi, un po' di metalcore, djient, swedish death, progressive metal e chi più ne ha, più ne metta. E alla fine il risultato è una poltiglia di suoni che non convincono più di tanto il sottoscritto. "Visions" ha la matrice ritmica tipica del djent con chitarroni iper ritmati e polifonici, a cui aggiungere poi voci growl, pulite e femminili, tra schitarrate melodiche, fraseggi progressivi e gorgoglii al limite del brutal death, il che sembra anche tutto molto figo, ma francamente non ha molta presa sul qui presente. Molto più pacata la successiva "The Grey Light" anche se, a tratti, il drumming si lascia andare a funamboliche rullate, mentre le asce fanno il loro onesto lavoro e poco altro. Mi sarei aspettato degli assoli più coraggiosi, ma non è certo questo il caso, cosi come pure opaca è la prova della cantante. "I'll Build A Bridge" mostra un ipnotico fronte di chitarre, poi largo a ritmiche sparatissime e vocals ancora in bilico tra growl e pulito/ruffiano, e un quantitativo esorbitante di cambi di tempo che alla fine non mi fa entrare nella testa i super articolati giri di chitarra dei nostri. E alla fine quello che magari volevano fosse uno dei punti di forza del disco, finisce quasi per ostacolarne la buona riuscita. In chiusura la title track parte inizialmente timida, per poi lentamente aumentare il numero di giri tra parti atmosferiche, in cui ancora una volta a mettersi in cattiva luce è la porzione pulita delle vocals, e altre un filo più tirate. Per ora è un mero sei politico. Vedremo in futuro che combinano. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2023)
Voto: 60
 

giovedì 22 febbraio 2024

Cattle Decapitation - Terrasite

#FOR FANS OF: Progressive Death Metal
Loud, blasphemous, and never letting up, Cattle Decapitation's 'Terrasite' is in my opinion one of the best metal releases of last year. Let me explain. The vocals take on one aspect of the album, one screaming and one hoarse throat. The music, the drums, and the production quality is immaculate. You find the vocals always fluctuating, the music brutal, and this whole release from start to finish is never-ending death metal. The only thing that took me a little bit of time accepting were the screaming voice. But I like how they take it back and forth. The tempos are ever-changing, the intense drums and the original sounding guitar riffs are enticingly invigorating.

This is the first album that I've heard from the band, and they have quite a discography. I couldn't pick a better way to find them being listed in MetalInjection.net's best of 2023. I felt that way as previously mentioned. And well, actually this release has vocals in three different types: screaming, hoarse, and clean. Hence, the progressive death metal diagnoses. They cover it all in almost an hour in length.

For most of this release, it is intense. The closing song entitled "Just Another Body" is where the progressive sound in the vocals/music takes on. Most of this album does fluctuate. But most of it in retrospect is death metal. I mean fast and ferocious death metal.

The intro gets you pumped in what you're about to hear: ferocious riffs/music. I mean, ear-piercing. Every part of this album is filled with intensity, and where they want to slow it up in the outro song is fine because most of it never lets up. The lead guitar, rhythm, and every aspect of vocals that you can imagine is well received. But get ready for some extreme intensity. One of my outstanding monuments, you can imagine. Coming from death metal, turning into progressive death metal. But most of this release is blistering and uncompromising. These guys do well on the songwriting aspect. What an original and talented act of whom knows how to blare in your eardrums with this unimaginable and ferocious extreme metal! (Death8699)


giovedì 8 febbraio 2024

Eternal Storm - A Giant Bound to Fall

#FOR FANS OF: Prog/Melo Death
Three years ago, I was lucky enough to review Eternal Storm’s debut effort entitled 'Come the Tide', a genre refreshing first album which impressed me a lot. Created in Madrid back in 2009, although the band relocated to Scotland some time ago, Eternal Storm needed a few years to release a full-length album, but the wait was worth of the time. Firmly rooted in the melodic death metal genre, the Spaniards reached a great balance between aggression, atmosphere, and tasteful melodies. For this reason, I was reasonably hyped with the fact that the band is set to release its sophomore album 'A Giant Bound to Fall' this February, with the always reliable label Transcending Obscurity Records.

Surpassing a great debut always puts some pressure on the band and this new album needed to be something especial, at least, to continue carving a position in the scene for Eternal Storm. I can safely say that this new opus won’t disappoint the fans, even though I consider that it requires time to properly judge if it is better or not. The first impression is that the band has pushed the boundaries of the mixture they created in 'Come the Tide'. Its melodic death metal tinged with atmospheric and pure aggressive parts is still there, with renewed enthusiasm I would say. I can feel some stronger progressive touches through the album. This is immediately noticed in the lengthy album opener "An Abyss of Unreason". The complex structures, the ups and downs in the intensity, the variety in the riffing work, plus the great combination of clean and aggressive vocals make this initial song an outstanding piece of music. "Last Refuge" is another highlight of the album, although it is quite complicated to choose the best tracks as the whole work is wonderful. I choose this one as its melodies and initial furious part make it remarkably catchy and a good candidate to be played in the concerts quite often. I would like to praise the top-notch work with the guitars, the riffs are excellent and melodies absolutely tasteful and captivating. This is what one can expect from a melodic death metal band, but Eternal Storm undoubtedly reaches a level of excellence in this aspect. Another key aspect is that the aforementioned complexity and progressive influences don’t deprive of soul and emotion to the music of this album. This is something I truly appreciate, as I always expected some emotional moments regardless of the work behind the songs the bands create. "Lone Tree Domain" is another superb track which I would like to highlight. The contrast between the heaviest parts and the most atmospheric ones is masterfully built, and it shows the amount of work the band has done creating this album. I love when bands go back from the calmest to the most furious ones with a progression that doesn’t lack of emotion and beauty, and this track is an absolutely fine example of it. Last but not least, the production of 'A Giant Bound to Fall' also deserves some praise, and it is absolutely well-done. It’s clean but not overproduced, and it sounds heavy and crushing when needed. The balance between the instruments and vocals is perfect and permits the listener to fully enjoy the music.

In conclusion, Eternal Storm’s third opus 'A Giant Bound to Fall' breaths grandeur in its entirety. Albums like this are the perfect example of how a stagnated genre like melodic death metal can find a path to sound fresh and exciting again. Well-done guys.(Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 87

https://eternalstorm.bandcamp.com/album/a-giant-bound-to-fall-2

sabato 16 settembre 2023

Anomaly - On the Cursed Wings of Stolas

#PER CHI AMA: Melo Death
Un po’ di aria fresca dagli States in compagnia degli Anomaly e del loro death progressivo parecchio ispirato. Il quintetto di Milwaukee ci propone il loro nuovo ‘On the Cursed Wings of Stolas’ a distanza di poco meno di un anno da quel ‘Somewhere Within the Pines’ che ben aveva impressionato la critica. Il dischetto si apre con i fraseggi della title track, tiratissima nella sua intelaiatura metallica, interessante nella sua porzione melodica e soprattutto nelle parti atmosferiche che interrompono quelle cavalcate sparate ai mille all’ora da parte del quintetto del Wisconsin. Accattivante anche l’uso di una voce cibernetica che fa da contraltare al growling del frontman Neil Tidquist, cosi come pure notevole è la performance a livello solistico, che per certi versi mi ha evocato gli svedesi Scar Symmetry cosi come pure l’utilizzo dell’elettronica che conferisce un certo senso cinematico alla song. Più rocciosa “Beyond the Kardashev Scale” nelle dinamitarde ritmiche e in un refrain chitarristico ubriacante grondante tonnellate di groove, anche laddove rallenta i giri del motore per alcuni secondi. Tutto infatti è lanciato a velocità supersoniche senza comunque mai perdere di vista la melodia, elemento imprescindibile dell’act nord americano, quasi quanto il lavoro eccelso a livello delle chitarre, in grado di regalarci spesso splendidi assoli interrotti da break atmosferici. “Architect” mantiene il ritmo infernale inalterato, sciorinando un rifferama graffiante ma melodico, cercando di ipnotizzarci al contempo, con il lavoro alle keys e fustigandoci con un drumming incessante e fantasioso, in grado di confermare le ottime sensazioni avute sin qui, durante l’ascolto di questo brillante lavoro di melo death. (Francesco Scarci)

giovedì 3 agosto 2023

Aeffect – Theory of Mind

#PER CHI AMA: Techno Death
Dopo una demo di soli due pezzi rilasciata nel 2022, tornano i britannici Aeffect con il loro album d’esordio che ingloba anche gli stessi due brani che li aveva visti debuttare. La proposta del duo inglese (che vede peraltro come precedenti band i Sarpanitum e gli Xerath) è un qualcosa che va vicino alle proposte delle vecchie band, ossia un death metal super ritmato che vede un utilizzo di super tonanti chitarra fin dall’iniziale “Patronage”, song che lascia intravedere anche i Meshuggah come principale fonte di ispirazione per i due musicisti, Mark Broster (basso, chitarra e voce) e Mike Pitman (il possente batterista ex Xerath appunto). Il sound è davvero pesante e distorto, mai veloce e costantemente supportato da un growling profondo. Impressionante sicuramente il lavoro dietro le pelli (Mike è mostruoso, ma questo già lo sapevo), e notevole è anche il lavoro un po’ sbalestrato delle linee di chitarra. Mi piacciono, hanno le palle, per quanto siano un po’ ostici da digerire, almeno al primo ascolto. Ci provano infatti a gestire la difficoltà di assimilazione, infarcendo il tutto con continui cambi di tempo e qualche melodia, ma in generale la musica inclusa in questo ‘Theory of Mind’ è davvero spigolosa. Forse ancor di più man mano che l’ascolto procede attraverso pezzi claustrofobici, a livello ritmico, come possono essere “Retraction”, spaventosa in quel suo ridondante ma ipnotico muro ritmico. Cosi come pure la successiva “Emergent Behaviour” che mostra una certa asperità nella sue sghemba intelaiatura metallica, in un sound in cui a mettersi in luce sono le sinistre parti atmosferiche che provano ad attenuare quel vigore metallico di cui è comunque intessuto il brano. Quello che emerge dopo aver ascoltato i primi tre pezzi, è sicuramente una notevole compattezza ritmica unita ad tecnica musicale sopraffina che si dipana attraverso una ridda di riffoni matematici come accade in “Leading to Decay”, un altro esempio di metallo ribollente che ha probabilmente il difetto di peccare in un’eccessiva ricerca di ritmiche scardinanti, quasi cervellotiche, sfumate qui da un semplice arpeggio che allenta quella tensione che fino a qui ha annichilito brutalmente i nostri sensi. La title track prosegue in quest’opera di stritolamento ritmico, guidato da un caustico moto sonoro, in cui emerge forte l’energico lavoro di basso, batteria e chitarra a creare un’architettura sonora, il cui effetto conclusivo sarà di privarci del tutto del respiro, quasi come se qualcuno ci avesse tirato un pugno sullo sterno che si riflettesse in una totale mancanza di fiato. “Manifest” è il pezzo forse più facile a cui accostarsi, complice una maggiore dose di melodia e una più ricercata costruzione delle atmosfere, anche se qui non mancano delle accelerazioni più furibonde che da altre parti, e la band non rinuncia a quel rifferama marcatamente obliquo e ai vocalizzi gutturali del frontman. Uno stridulo riffing iniziale apre invece “Acceptance”, un altro pezzo sghembo nel suo incedere ma soprattutto violento nelle raffiche di mitragliatrice sferragliate dalla batteria, che quasi va ad offuscare il cantato di Mark. Poi un bel po’ di atmosfera e via per l’ultimo giro affidato a “Dematerialise” e ad un incedere slow-motion orrorifico che non ha più niente da chiedere e niente da dare. Quella degli Aeffect è alla fine una buona prova, da masticare e digerire in più riprese, ma che lascia intravedere grandi potenzialità per il futuro, se la band sarà in grado di vedere al di là dei propri schemi precostituiti. (Francesco Scarci)

domenica 7 maggio 2023

Mortali Irae - Promo cd 2000

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Prog Death, Opeth
Il genere proposto in questo promo cd è di chiara matrice death-prog svedese. L’aria che si respira all’interno è decadente e melanconica. Per i Mortali Irae (oggi M.Ire per definire un cambio stilistico volto all'heavy rock/ndr), il paragone con i maestri Opeth (quelli degli esordi) è d’obbligo, ritrovando perciò caratteristiche stilistiche e di timbrica vocale molto vicine ai succitati. Il livello tecnico è molto buono e lo si nota anche dalla facilità con cui i nostri riescono a gestire pezzi della durata media di 6-7 minuti senza stancare l’ascoltatore, dandogli modo di essere attento ad ogni cambiamento d’atmosfera effettuato all’interno delle canzoni. Dopo aver ascoltato questo promo cd, si è tuttavia pervasi da un senso di amarezza, dovuta ad una eccessiva somiglianza alle sonorità che hanno reso grandi gli Opeth, sebbene si tratti comunqui di un ottimo prodotto.

lunedì 1 maggio 2023

Stormhaven - Blindsight

#PER CHI AMA: Prog Death
Per i fedelissimi del Pozzo dei Dannati, il nome Stormhaven dovrebbe richiamare qualcosa nella vostra memoria. Recensii infatti nel 2019 il precedente lavoro della band francese, 'Liquid Imagery'. Il quartetto di Tolosa torna ora con questo nuovo 'Blindsight', una mazzata in pieno stomaco e una carezza in pieno volto, attraverso sei sole tracce (per oltre un'ora di musica). Il disco si apre con la dirompente "Fracture", e le sue fragorose ritmiche che chiamano in causa ancora una volta i vecchi Opeth in quelle cascate di riff e bordate alla batteria. Lo stesso dicasi del buon Zachary Nadal alla voce, bravo a districarsi tra un growling purulento e clean vocals che evocano anche qui il frontman degli svedesi, Mikael Åkerfeldt. Se ad una prima lettura, quello degli Stormhaven sembra più un "copia-incolla" degli Opeth, beh vorrei dirvi che la struttura dei brani, i cambi di tempo, la tecnica sopraffina, gli assoli, le parti acustiche, le trovate geniali, i cori e molto altro, sparigliano invece le carte, mettendoci in mano un lavoro solidissimo e assai figo. Questo per dire, che alla fine non me ne frega un cazzo se i nostri possono ammiccare più e più volte a quelli che per me un tempo (prima della famigerata sterzata stilistica) erano i maestri del prog death, quanto contenuto in 'Blindsight' infatti sembra raccogliere definitivamente il testimone dai master scandinavi, aggiungerci un tocco dei Ne Obliviscaris, a cui poi aggiungere una buona dose di personalità. Certo, al pari dei colleghi più famosi, anche in questo album troveremo lunghe partiture dissonanti di chitarra (quasi un tributo a 'My Arms, Your Hearse') come potreste ascoltare per lunghi tratti nella più sghemba "Vision", ma poi i nostri sembrano raccappezzarsi in lunghi e splendidi assoli melodici (scuola classic metal) e ottimi cori che rendono il tutto più fruibile anche in quegli spaventosi attacchi al fulmicotone; si ascolti il finale della stessa "Vision" per credere. Più lineare e ritmata "Shadow Walker", che per almeno i primi 120 secondi sembra rispettare i paradigmi del genere, per poi prendere la tangente e dar sfogo alla propria visione di death progressivo che noi non possiamo far altro che apprezzare, ascoltandolo in rigoroso silenzio, fino al nuovo inebriante assolo da urlo che chiude il brano (ma che lavoro stratosferico è stato fatto qui alle sei corde?). In successione arrivano poi "Hellion" e "Salvation", per altri 17 minuti di sonorità in cui gli Stormhaven si muovono in bilico tra prog, death, suoni sperimentali, classic rock, parti acustiche, e che vedono la band dare il meglio di sè, per un'esibizione davvero coinvolgente e avvolgente. Rimane ancora il classico mostro finale da affrontare, ossia gli oltre 24 interminabili minuti di "Dominion", ma chi glielo ha fatto fare a mettere in piedi un tessuto cosi complesso, mi domando? Comunque mi dò in pasto all'ultimo brano (ora capite anche perchè il disco dura 64 minuti), che sin dall'apertura si dimostra ubriacante a livello ritmico con cambi ritmici vertiginosi, sorretti da uno splendida, quanto inatteso, arpeggio di chitarra, mentre un saliscendi chitarristico ci porta diretti sulle montagne russe, con il vocalist che peraltro assume qui contorni più blackish, e i synth sembrano dare un taglio più sinfonico al tutto. Ma il brano è in continua evoluzione, dal black al prog death, a raffinate sonorità più dark rock oriented. Insomma, la tipica ciliegina sulla torta, che porta con sè nuovi suoni, nuove idee, granitici muri sonori, break atmosferici, un'alternanza vocale da paura e molto molto altro, segno dell'enorme maturità tecnico-compositiva raggiunta da questi straordinari musicisti francesi, di cui l'invito a dargli una chance, è ben qualcosa di più che un semplice consiglio. (Francesco Scarci)

giovedì 23 marzo 2023

Opeth - Watershed

#FOR FANS OF: Prog Death
This is one HEAVY Opeth release. There's more aggression here alongside some bolstering riff-dynamics which are intriguing. Mikael said that he's "also a genius when it comes to music" and I'd have to agree up until they changed from progressive metal to progressive rock. They should've not sold out because my contention is that they lost some true fans. But anyway, 'Watershed' some call "disjointed" but I say on here highly experimental. When they belt out heavy riff, that's something to admire and bang your head to. Although I like older Opeth more meaning 'Blackwater Park' and 'Still Life', 'Watershed' still has it's moments of precision.

Mikael's vocals are way aggressive on here. It's way on the progressive scale, but I find more brilliance the more that I listen to it. It's not as catchy as the two albums I mentioned, but I still think that its diversity and ingenuity is still there. They are just changing a little bit of styles here on the guitars and vocals. Some things sound a little backwards, but that's because I think that this is one of their more experimental efforts to date. And because of this, I took some points off, not because of the direction, but because of the sounds from the guitar aren't as creative as past works in any respect. One that I haven't mentioned that's my favorite of all-time is 'My Arms, Your Hearse'.

A lot of the tracks are all over the place, but the sound quality is still top notch. I enjoyed the clean guitars and the solemn vocals. But they needed a little bit more grit to the songs to bring the ideas together. Mikael falls a little short of his "genius" here probably because he wants to tend the band into a different direction. This being one of the albums that remains to be maintained before their fall from the metal community. They just show that they were heading this direction. I've found sort of just a select few songs that I can follow and some of the progressive rock sound meshed into this release. It doesn't help that Mikael doesn't like to sing brutal vocals.

In summary, this is a decent effort by the band. But for me, it's just a "70" rating. The songwriting on here was a bit "off" and hard to swallow. I'm not saying that it's their worst release, I'm just saying that it needed some work. Songs don't seem to flow in tandem like they did on their older releases. Well, this is it, hello to the progressive rock that follows a band that had some great talent to just throw it away. I guess Mikael just lost the fire and turned to another direction with the band just to sell records. He could've put more energy into this release and showed us that Opeth's metal days would go on till the end. (Death8699)


(Roadrunner - 2008)
Score: 70

http://www.opeth.com/

giovedì 2 marzo 2023

Enslaved - Ruun

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Progressive
Devo ammettere di non essere mai stato un grandissimo fan della band norvegese, ma dopo la svolta di 'Monumension', iniziai ad apprezzare enormemente il sound di Grutle e soci, aspettando ogni anno l’uscita dell’ennesimo piccolo gioiellino. In attesa dell'imminentissima uscita di 'Heimdal' (domani) andiamo a riscoprire un’altra prestazione maiuscola per la band norvegese, 'Ruun'. A differenza del precedente 'Isa', i nostri sfoderano un album leggermente più accessibile, grazie ad un ammorbidimento dei suoni e ad una ricerca ancora più raffinata di atmosfere progressive e sperimentali. "Path to Vanir" potrebbe tranquillamente essere l’emblema di questo nuovo capitolo firmato Enslaved: ritmiche rockeggianti su cui s’inseriscono i cori da brivido di Grutle, l’hammond dal deciso sapore seventies, atmosferici inserti che non possono non ricordare i Pink Floyd, evocativo. "Fusion of Sense and Earth" è già una song molto più aggressiva: ruvide chitarre sorrette da una ritmica incisiva e dalla vetriolica voce di Mr. Kjellson, mostrano di che pasta sono fatti i nostri, per poi abbandonarsi ad un finale travolgente grazie ad un bellissimo assolo. Da un bel po' si dice che il combo nordico non è più assimilabile al black metal, quella forma di viking che inventarono quasi 30 anni fa con quel capolavoro intitolato 'Vikingligr Veldi'. Gli Enslaved da un bel po' sono più vicini a sonorità progressive sia per genere proposto che per la eccellente perizia tecnica. Ogni song è un viaggio in un mondo parallelo, una caleidoscopica cavalcata attraverso giochi di luci e ombre che portano ad abbandonarmi alla mercè di questo meraviglioso album. 'Ruun' rappresenta la giusta consacrazione di una band che fin dagli esordi ha mostrato una propria personalità ben definita ed originale. La title track, richiamando i suoni di 'Isa', conferma il fatto che comunque l’act nordico non abbia tralasciato i suoni del passato: sette minuti di musica dai contorni epici, miscelati alla perfezione con il sound ispirato e psichedelico che abbiamo avuto modo di ascoltare in questi ultimi anni. "Tides of Chaos" ha un sapore più doom oriented con le sue pesanti e lente chitarre, le clean vocals corali contrapposte allo screaming tagliente di Grutle, ma ciò che comunque gioca un ruolo determinante in tutto il disco è il lavoro egregio fatto alle tastiere, mai in primissimo piano, ma fondamentali per la totale riuscita dell’album. Il disco si chiude con tre pezzi entusiasmanti: la malinconica "Essence", un eloquente dipinto del magnifico paesaggio nordico; "Api-vat", la song più metal dell’intero lavoro e "Heir to the Cosmic Seed" altro esempio di come si possa fare musica intelligente mantenendo invariata l’aggressività di fondo. Ottime melodie su dissonanti riff glaciali, atmosfere progressive, eccellenti vocals e brillanti assoli, rendono 'Ruun' un grande album da far vostro ad ogni costo. Consigliato a tutti gli amanti del metal, dal prog al death, passando per il black, il thrash o l’epic. Il più classico "Buy or Die"! (Francesco Scarci)

(Tabu Recordings - 2006)
Voto: 85

https://enslaved.no/

Burned In Effigy - Rex Mortem

#FOR FANS OF: Melo Death
What a fantastic release musically! These guys might've changed their genre(s), but they're still belting out some magnificent music! The riffs are amazingly technical and the vocals compliment the music wholeheartedly. The album is pretty brutal and melodic at the same time! Their melodies and intensity are all there. These guys know what the heck they're doing in the songwriting aspect. They totally slay. I'm surprised not a lot of people have heard about this band. They're totally technical and full of intensity. The whole album is like this. Some melodies sound like early Arch Enemy. But not duplicated, just a resemblance.

This whole album deserves praise from listeners. They're really fast in the picking department (guitars) and heavy rhythms. Definitely one fine album that was released last year! I hope that their CD will be out and available, I have yet to find it but I will!

There's a trade-off with the vocals, some screaming and some deep throat. It accompanies the music quite well. I'm rating this as an "79" because there are so many good things about this album. The music is tops with me!

I liked the production quality the music went fantastic alongside everything else. The riffs are so catchy and noteworthy! That's my favorite aspect of the album. But I dug the vocals as well and the drums go well alongside the insane music. These guys do great keeping up their pace. It's amazingly crafted. There are some clean guitars, but not a lot. They're melodic as all hell on here. They deserve credit for making a release that's as dynamite as this one is! The guitars are the most catchy and admirable than anything else on here. Everything fit into place on here and let's hope that they have quite a career here in metal! (Death8699)


mercoledì 25 gennaio 2023

Skyfire - Timeless Departure

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Melo Death
A suo tempo fu una grande sorpresa: dalle lande svedesi un giovane gruppo formatosi nel ’95 che ci sorprese con un debut album originale e fresco d’idee. Il sound era maestoso e vario, passando dal black/death melodico alla Dark Tranquillity di 'The Gallery' a passaggi in puro stile prog nelle tastiere. Nelle chitarre si può apprezzare il sound melodico ed incisivo che caratterizza le produzioni prettamente scandinave, con l’aggiunta di riff power/speed. Ma veniamo alle tastiere, strumento fondamentale del gruppo: è incredibile con quanta cura e precisione vengano inserite parti sinfoniche ed emotivamente stimolanti, sia nelle intro dei brani che nel loro interno. Nella bio gli Skyfire erano dipinti come un mix tra Dark Tranquillity, Rhapsody e Children of Bodom, ebbene sì, era completamente vero. Un insieme letale e convincente sotto ogni punto di vista, tecnicamente elevato rispetto alla stragrande maggioranza delle band circolanti, grazie a degli arrangiamenti stupendamente congeniati privi di sbavature o imperfezioni, il tutto coronato dalla registrazione effettuata agli Abyss Studios, perfetta. Sicuramente un must ancora oggi per chi ascolta e apprezza i gruppi succitati e quanti adorano sonorità pompose, ricche di melodie tristi, e con giusta dose di aggressività presente anche nelle vocals.

(Hammerheart Records - 2001)
Voto: 75

https://www.facebook.com/skyfiremusic

mercoledì 7 dicembre 2022

Estrangement - Disfigurementality

#PER CHI AMA: Experimental Death Doom
Ci hanno messo ben otto anni gli australiani Estrangement a far uscire il loro album di debutto su lunga distanza dopo un demo e uno split album usciti rispettivamente nel 2013 e 2014. Lo stravagante quartetto di Sydney capitanato da JS, esce quindi con questo 'Disfigurementality', un concentrato di stralunato death doom che esordisce con "Destitution Stench", una breve intro che ci prepara all'originale forma musicale espressa dalla successiva "Detritivore". Citavo il death doom, ma potremmo aggiungere anche il funeral in alcune linee pesantissime di chitarra (e nelle durate estenuanti dei brani) o ancora nelle profondissime growling vocals, ma quello che colpisce nella proposta dei nostri è l'inserimento di alcune partiture neoclassiche, ma anche jazzy o addirittura scorribande black come accade nella seconda parte del brano. Tutto questo oltre a regalare una grande dinamicità al disco, prospetta grandi speranze per un genere che ultimamente avevo avvertito come spento o con ben poco da dire. E invece la band australiana si gioca molteplici carte di improvvisazione che rendono anche le successive tracce molto più palatabili. Passando da un breve intermezzo acustico, si arriva a "The Light Unshown", una song che sembra votata a quel mood struggente di My Dying Bride o dei primissimi Paradise Lost e non posso far altro che applaudire, per quanto il sound possa risultare obsoleto. Ma l'uso di contrabbasso, flauto e violino, che già avevo apprezzato in "Detritivore", cosi come un favoloso break acustico dal sapore spagnoleggiante, corredato poi da una cascata di note di chitarra e atmosfere epiche e struggenti, regalano una proposta che in termini di freschezza, sembra non aver uguali. Dopo un iniziale cerimoniale esoterico, prende piede "Fire Voice", con una sorta di assolo di flauto a cui fa seguito un'altra chitarra flamencata a testimoniare, se ancora ce ne fosse bisogno, l'originalità dei nostri. "Clusters" è puro caos sonoro che trova comunque il suo perchè in un lavoro unico e complicato come questo. " Womb of Worlds" è un altro tassello di follia di questi quattro musicisti tra sonorità doomish catacombali e altre derive psicotiche, con un violino nel finale a rimembrare i fantastici esordi dei My Dying Bride. "Asleep in the Vineyard" è un altro interludio atmosferico che ci conduce a quello che è il brano più lungo del lotto, i tredici soffocanti minuti della schizoide "Doppelganger", la summa di tutto il male, la genialità, la malinconia e la follia di questi Estrangement. Bel debutto, complimenti! (Francesco Scarci)

lunedì 28 novembre 2022

Carcass - Necroticism - Descanting the Insalubrious

#FOR FANS OF: Techno Death
Carcass puts forward possibly the best LP in their career here. With an all-star lineup featuring Michael Amott (Arch Enemy) and Bill Steer (ex-Napalm Death). The melodies are phenomenal and noteworthy. The production was better than their last LP before this one ('Symphonies of Sickness') and 'Reek of Putrefaction' of course. The guitars are probably the best part of this album! Between Amott and Steer trading off leads, Walker's unique vocals (with trade-offs) and Owen on drums, this here might be one of the best albums in the whole history of the band (as stated just prior to this).

The guitars sound like (to other guitarists) to be tuned to B which makes them heavy and thick. There are faster tempos on here but not too fast. Not like the grindcore days. But still, the tempos are all over the place. This makes the album more diverse. Nothing about this album do I dislike. It's totally "dead on balls accurate." It was another great performance by Ken Owen on drums which his fate gone awry. It's rumored that he still did pay homage to Carcass in the later years by attending celebrations on live performances but not actually performing in gigs ever since he had a brain hemorrhage which landed him in the hospital for 10 months and sadly he can't play any longer.

The riffs on here are totally unique and melodic, but I'd still say they're within the death metal category though it does sound a lot like melodic death metal because of the unique riffs that are in a way blues-based. I've always liked Walker's vocals I think he has a lot to offer in the band. He still pretty much sounds the same till this day. Maybe a little more aggressive in the earlier age but this was 30 years ago. So he might've lost a little bit of fire on vocals ('Surgical Steel') but still he's belting out unique throat despite the getting up there in age. He's probably been known to have one of the most unique and likeable vocals in death metal. That is my honest opinion.

It's definitely a close call between this one and 'Heartwork', though they letup on some of the heaviness on that album but it's more melodic based. Those two are my absolute favorites from the band. If you don't have then, then you should. Let's hope Carcass has more to offer now that they're older and only two of the original members remain (Jeff Walker and Bill Steer). In any event, these old ones are still precious to play and for me own. I don't think there's a Carcass album that I dislike, I even liked 'Swansong', which was quite different and less heavy then all of their albums. Of course missing Michael Amott as well. Check this one out! (Death8699)


giovedì 17 novembre 2022

Esicastic - Atman

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
Tre pezzi per poco più di sedici minuti di quasi-death metal estremamente tecnico, influenzato palesemente dai Cynic, ma con una propensione moderna che in alcuni punti sfiora lo stile dei Meshuggah più acidi. Quanto basta agli Esicastic per fare una gran bella figura e ricordarci come questo genere in Italia goda da sempre di una considerazione forse superiore che in ogni altro paese. Non tutto funziona in modo impeccabile e probabilmente il gruppo avrebbe avuto ancora bisogno di lavorare per raggiungere una personalità più spiccata e una superiore scorrevolezza delle proprie composizioni. Le doti messe in mostra erano però quelle di una band al di sopra della media; doti che se fossero state ben sviluppate avrebbero potuto consegnarci una realtà interessante della scena underground indigena. Purtroppo, a tutto questo non ha fatto eco un numero sufficiente di copie vendute, e band di questo genere sono troppo spesso costrette all’autoproduzione o a una vita ai margini di un mercato governato da ben altre regole. Inutile sottolineare come gli Esicastic si siano poi sciolti, un vero peccato.

domenica 9 ottobre 2022

Orob - Aube Noir

#PER CHI AMA: Prog Black Sperimentale
Passati completamente inosservati al nostro paese (follia pura), i francesi Orob hanno gettato il guanto ai mostri sacri Deathspell Omega e Blut Aus Nord nel maligno mondo del black dissonante e sperimentale. Il quintetto originario dell'Occitania, ha rilasciato infatti a fine 2021 questo 'Aube Noir', album di debutto sulla lunga distanza, a distanza di ben otto e dieci anni dai precedenti EP, 'Into the Room of Perpetual Echoes' e 'Departure', rispettivamente. C'è da dire però che le song qui incluse sono state scritte tra il 2014 e il 2016. Comunque l'ensemble transalpino ci propone quasi un'ora di musica, attraverso un percorso di nove mefistofeliche tracce che si aprono con il black doom di "Spektraal", una song che, emulando il proprio titolo, si manifesta spettrale e compassata nella sua prima metà, per poi esplodere in un post black dalle tinte sperimentali, soprattutto a livello vocale, con le performance di Thomas Garcia e Andrea Tanzi-Albi a muoversi tra screaming, growl e pulito. È nella seconda "Astral" però che le sperimentazioni dei nostri si fanno più palesi, con chiari rimandi ai norvegesi Ved Buens Ende a livello atmosferico e scomodando anche facili paragoni con gli ultimi Enslaved o i Solefald. La sostanza è poi quella di dissonanti parti arpeggiate che si alternano a ritmiche costantemente sghembe con le vocals che, non mantenendo praticamente mai una coerenza di fondo, rendono il lavoro decisamente più affascinante e avvincente. E ancora, a livello solistico (si ci sono degli assoli) emergono le influenze più classiche dei nostri, quasi a mostrare tutto il ventaglio tecnico compositivo di cui sono dotati. E io approvo appieno, nonostante le sbavature riscontrabili durante l'ascolto, perchè ci sono anche quelle ed è giusto dirlo. Ma vorrei dare il beneficio del dubbio ad una band che è rimasta ferma quasi una decade ma che con la propria musica riesce a dare un tocco di eleganza e originalità al mondo musicale, e che vede nella terza "Breaking of the Bonds" un altro piccolo gioiellino. Qui poi la voce del frontman è per lo più pulita e assai espressiva. Ma il pezzo è in costante movimento, tra una marcetta estemporanea, un break acustico di malinconica melodia (top!) che chiama in causa Opeth e ultimi Katatonia. E io continuo ad approvare, non posso fare altro. Anche quando "Betula" trasforma la proposta degli Orob in un selvaggio black iniziale per poi mutare ancora verso territori controversi (leggasi l'ambient esoterico nel finale), con cambi di tempo, di genere e molto molto altro che potrebbero addirittura avere un effetto disorientante per chi ascolta, ma che per il sottoscritto rivela invece la grande voglia di osare da parte dell'act di Tolosa. Bene, bene anche nelle spettrali melodie di una traccia come "The Wanderer", lenta e sinuosa nel suo incedere che, attraverso l'elettronica strumentale e minimalista di "Noir", ci conduce fino a "Aube", un violento pugno nello stomaco che mi ha catapultato in altri mondi che ormai si erano persi nella mia memoria, e penso ad un ipotetico ibrido tra Voivod, gli australiani Alchemist e gli inglesi Akercocke. C'è tanto nelle note di questo 'Aube Noir', forse non sarò stato nemmeno in grado di cogliere tutte le influenze che convogliano in questo disco, ma vi garantisco che di carne al fuoco ne troverete parecchia, soprattutto nella lunghissima coda affidata alla sinistra "Ethereal", che di etereo ha ben poco (fatto salvo quella che sembra essere una voce femminile in sottofondo) e alla conclusiva "The Great Fall", oltre dieci minuti di sonorità che miscelano depressive black, progressive, thrash, gothic doom (con tanto di soavi vocalizzi di una gentil donzella) e perchè no, anche una vena di post rock, quasi a sancire l'ordinaria follia di cui sono dotati questi interessantissimi francesi. Una sfida ai mostri del black sperimentale? Non direi, questo è un duello sferrato al mondo intero. E se questi erano i suoni di sette anni fa, ora mi aspetterò grandi cose dagli Orob. (Francesco Scarci)