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mercoledì 24 aprile 2019

Il Re Tarantola - Scopri come ha fatto Il Re Tarantola a fare 50000 Euro in una settimana

#PER CHI AMA: Indie/Alternative
Un argomento dettagliatamente eviscerato nella sterminata letteratura musicale pop-punk italiana degli ultimi trent'anni (cfr. Senzabenza, Voina, Four Flying Dick et tantissimi al.): la fenomenologia comportamentale intergenerazionale della sfiga, ("Boero", "Agguati") anche sentimentale ("La Maglietta di Joe Cocker"), perché, amici, nella vita quello che conta ("Sono un Campione a Ballare da Seduto") alla fine è soltanto fanculo riderci sopra (nella copertina il re Tarantola taglia la strada a un gatto nero seduto alla guida della propria auto). Ma anche dada/msoniane epopee turistiche intergalattiche ("Suono per Pagarmi le Multe che Prendo Quando Vado in Giro a Suonare" - sì, è il titolo della canzone), metodi alternativi di fisioterapia applicata ("La Nostra Evoluzione Artistica Deriva Solo dalle Sigarette") e, vedi tu, un'arguta riflessione sulla incolmabile distanza interposta tra noi e certi portaceneri ("Mi Odio"). La vivace, a tratti irresistibile ironia esistenzial/social/scatologica del peloso monarca a otto zampe (a.k. anagraficamente Manuel Bonzi) pesca davvero ovunque, con una predilezione per certi paradossali ribaltamenti di sensibilità freak/antoniana, evidente per esempio nel singolo "Sono un Campione a Ballare da Seduto" ("A guardarmi così non mi dareste una lira / ma se mi conosceste un po' probabilmente dovrei pure pagarvi"). I suoni, a volte un po' artigianali, ("La Maglietta di Joe Cocker") attingono con disinvoltura anche a Blink 182, Green Day, Tre Allegri Ragazzi Morti ecc. ecc. (Alberto Calorosi)

Trevor and the Wolves - Road to Nowhere

#PER CHI AMA: Hard Rock, AC/DC
Nel primo album solista pubblicato dalla catarrosissima voce solista dei genovesi Sadist, rileverete fin da subito un'attitudine elettivamente e ostentatamente wild, pronta a riflettersi innanzitutto nella copertina, qualcosa a metà tra il vicino scorbutico di Dinamite Bla e un Rufus Ruffcut post Wacky Race e, subito dopo, nella ruvidità lignea e immediata dei suoni (chitarra, batteria, riuscite forse a non battere il piede per terra? Sì? Sul serio?) in modi non dissimili da cert'altri celeberrimi boscaioli a corrente alternata/diretta e provenienti dai famigerati antipodi. Riff asciutti, batteria metronomica: l'AB/CD del sound AC/DC omaggiato nella iniziale "From Hell to Heaven Ice" si propaga in realtà per tutto l'album, soltanto saltuariamente (e timidamente) virante verso sensazioni vagamente spacy (il blue-oyster chitarrismo percepibile in "Burn at Sunshine"), o NWOBHorrorM (una fuggevole capatina nel confortevole death metal sound della casa, è gentilmente offerto in "Bath Number 666"), oppure "motörheadeliche" (in "Wings of Fire" e "Lake Sleeping Dragon" ad esempio) o infine hardfolk/ancorapiùhardblues (nel violino scorticato di "Red Beer" o nella kilmister-sadness-blues "Roadside Motel"). Devozione, professionalità e un songwriting indubitabilmente ebanistico. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2018)
Voto: 65

https://www.facebook.com/brutaltrevor%20/

The Shadow Lizzards - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Groove Rock, Led Zeppelin
Un chitarrismo apertamente 1969/hendrixiano ("Power On" e tante al.) o jimmypage/esco ("Overhaul" e le restanti al.), a tratti eminentemente strumentale (cfr. la lunga coda psych di "Breathtaker", le divagazioni bluesy stile Gov't Mule di "Sea of Curls" e "Go Down"), una voce (non sufficientemente) rauca d'ordinanza, una batteria non sempre mixata a dovere ("Rip Me Off"), qualche timida testardaggine stoner (la paranoid-sabbatiana e successivamente iper-spacey "Warzone") e, splat, giù tonnellate di quella specie di gelatina hammond ("Go Down", "Power", "Rarity" e tutte le al.) color profondo purple utilizzata da qualche anno a questa parte dagli ingegneri del sound più astuti come principio attivo antichizzante: il frondosissimo album d'esordio delle Luccertole (sic) ombreggiate di Norimberga si colloca con monolitica intenzionalità nella prima periferia del popolosissimo empireo zeppelin-centrico, notoriamente pullulante di reggiseni sventolanti e ipertricotici beati in stato sempiterna rock-fattanza, ad osare là dove osano (si fa per dire) autori del calibro di Mountain ("Top of the Mountain", ovviamente), "Rival Sons" e soprattutto "Graveyard". Una manna sonora alla psilocibina per il vostro unico, rugginoso ganglio uditivo rimasto. (Alberto Calorosi)

(Tonzonen Records - 2018)
Voto: 75

https://theshadowlizzards.bandcamp.com/

Ritchie Blackmore's Rainbow - Memories in Rock II

#PER CHI AMA: Hard/Heavy, RJ Dio
Volonterosamente determinato a riempirvi gli scaffali e al contempo vuotarvi le tasche con quella nota logica di marketing cara alla politica italiana denominata annusa-le-mie-scorregge-puzzolenti, il Becchino Permamentato formerly-known-as-guitarist, sbatte fuori il terzo live-fotocopia in meno di due anni. Duemila16: 'Memories in Rock', di cui avrete senz'altro ammirato la copertina raffinata grosso modo come un bootleg filippino degli anni novanta. Duemila17: 'Live in Birmingham 2016', in cui avrete indubbiamente gradito la scaletta clonata (fuori "16th Century Greensleeves", dentro "Burn" e "Soldier of Fortune") come una pecora cinese canterina. Duemila18: 'Memories in Rock II', di cui avrete sicuramente apprezzato la clonazione al quadrato, nella copertina, uguale nientemeno che a 'Rainbow Rising', e nella scaletta (dentro tutti i summenzionati, più "All Night Long", "Temple of the King" e crepi l'avarizia, pure un fottuto inedito). Già, l'inedito. Il primo da ventitré anni a questa parte. Si parla di almeno diecimila metallari nel mondo ricoverati per complicazioni cardiache. Quasi la metà sarebbero reggiani. Un franoso mezzotempo 101% AOR aperto da un truffaldino (ma decente) riff Dio-era e nevrilmente percorso dai consueti clichet chitarristici di Mr. Becchino P. che potrebbe stare giusto sul lato B di 'Bent Out of Shape' o nelle bonus track di una qualunque release della Frontiers. Oppure qui. Si intitola "Waiting for a Sign". Un titolo, se ci pensate, straordinariamente comico. (Alberto Calorosi)

(Minstrel Hall Music - 2018)
Voto: 45

http://www.ritchieblackmore.info/

Swans - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Punk/No Wave
Già nell'EP d'esordio, i suoni vi risulteranno circolari come tangenziali cittadine e ossessivi come bollette, ciò che forgia a fuoco, è arcinoto, l'intera discografia della band, oltreché la vostra pazienza. Le dissonanze siderurgiche generate dalla chitarra sconquassata di Bob Pezzola, quando non intersecano scelleratamente il sax lancinante, ma soprattutto lancinato, di Daniel Galli-Duanis, individuano quella traiettoria urgentemente e furiosamente percorsa nei dischi successivi e, al contempo, una ancora identificabile prossimità con certi scenari coevi etichettati fantasiosamente almeno quanto certi copricapi floreali britannici del periodo. Post-punk, noise-rock, no wave. Joy Division, Bauhaus, Birthday Party ("Take Advantage"), persino i Talking Heads di 'Fear of Music' ("Sensitive Skin"). Il songwriting di Michael Gira è scorticante, sì, ma solo se contestualizzato, altrimenti vi risulterà comicamente orwelliano e un cicinino acerbo. “Play with a pig, and you become a pig / play in the mud, and you sink in the mud / fall in a hole, and you stay in a hole / you'll be there to look at”, "Take Advantage". Niente da obiettare. Ma tutto qua? (Alberto Calorosi)

Julie's Haircut - The Wildlife Variations

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Kraut-rock
Un motorik insistentemente cosmico (scuola krautrock, Faust, Neu!) che sfreccia supersonico attraverso scintillanti nebulose costituite da dietilamide di acido lisergico. "Dark Leopards of the Moon". Una bucolica ballata sydbarrettiana autodissolventesi, arricchita di elettronica analogica, come potrebbe escogitarla un Beck Campbell di ritorno da un concerto dei Notwist. "Johannes". Tinte notturne e incombenti (Tindersticks, Chris Isaak, Apollo 440), una specie di trip-hop inverno-solstiziale. "Bonfire". Un calypso automatico eppure evolutivo, un elementare giro di basso e percussioni, e poi altro ancora. Forse un matrimonio chimico di suoni. "The Marriage of Sun and the Moon". Le quattro composizioni dell'EP 'The Wildlife Variations' risultano ancora una volta ecletticamente aromatiche ma per questo non meno intriganti, in totale continuità con la rivoluzione psych-prog già intrapresa con 'After Dark, My Sweet" nel 2006 e ultimata nel 2009 col magniloquente 'Our Secret Ceremony'. A centro pure stavolta, in estrema sintesi. (Alberto Calorosi)

(Woodworm/Trovarobato - 2012)
Voto: 78

http://www.julieshaircut.com/

Blackfield - Blackfield IV

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock
Si porta malauguratamente a compimento il processo di de-Stefanerd-izzazione (di questo 'B-IV', S-W non firma nessuna canzone, né la produzione) e, parallelamente, si schiudono ancora un po' gli orizzonti musicali di questo 'Blackfield IV'. Sentite per esempio, con alternate fortune, le blande dissonanze liofilizzate che chiudono la più che discreta "Pills", oppure gli inopportuni campanelli natalizi di "X-ray" o, nelle melodie, una maggiore attenzione early-psych-beatlesiana ("Kissed by the Devil" e "Firefly"). Oppure ascoltate la giuliva crapuloneria pseudo-celtica della terribile ma divertente "Sense of Insanity", con uno svogliato S-W alla seconda voce, contemporaneamente riflettendo sul fatto che utilizzare Steven Wilson come seconda voce è un po' come usare Pelé come raccatapalle, oppure Glen Hughes come bassista. L'elemento di maggiore freschezza e novità sarebbe rappresentato dalle importanti ospitate (in "X-Ray" Vincent Cavanaugh degli Anathema, vi ricorderà un Paul Carrack disidratato in "The Sky With Diamonds"; in "The Only Fool is Me" – ma, accidenti, perché non in "Kissed by the Devil" – Jonathan Donahue dei Mercury Rev, vi sembrerà l'ex-giardiniere di John Lennon eccezionalmente di buonumore in una rara giornata di sole londinese; in "Firefly", Brett Anderson dei Suede, vi farà venire alla mente un attempato Gene Pitney che canta "Something's Gotten Hold of My Nose" alla prese con una insidiosa caccola recalcitrante) se soltanto fossero state integrate un po' più convintamente nella scialba (e cortissima) scaletta di questo quarto decadente album. (Alberto Calorosi)

(Kscope - 2013)
Voto: 58

https://www.blackfield.org/

martedì 23 aprile 2019

The Pit Tips

Francesco Scarci

Shokran - Ethereal
Suldusk - Lunar Falls
In the Woods - Cease the Day

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Matteo Baldi

Julinko - Nektar
LEDA - Memorie dal Futuro
Black/Lava - Lady Genocide

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Alain González Artola

Mesarthim - Ghost Condensate
Schattenfall - Melancholie des Seins
None - Damp Chill of Life

Chalice of Suffering - Lost Eternally

#FOR FANS OF: Funeral Death Doom
Chalice of Suffering is a band coming from Minnesota, USA. The ensemble is certainly new as it was created in 2015 maintaining a quite stable line-up consisting of six different musicians. The only change was the departure of Robert Pollard in 2018. Almost all the members have a rich experience in other current or past projects, especially the guitarists Will Maravelas and Nikolay Velev, who play or have played in more than different 10 bands. Taking into account this, it’s not a surprise that the band managed to release its debut only one year after its foundation. The first release was called 'For You I Die', whose eye catching album cover was indicative of the subgenre the band was playing. Chalice of Suffering navigates between the thin borders of funeral doom and atmospheric doom/death metal. Though generally speaking, the pace is influenced by the former style, the music includes some aspects which inevitably remind some atmospheric doom/death metal bands.

Three years after the releasing of the debut, these guys come back with their sophomore work entitled 'Lost Eternally'. Although the album artwork could led us think that the band has gone to a more atmospheric black metal style, the core sound of Chalice of Suffering is still dominant. In fact, the band continues to mix the aforementioned styles, though the funeral doom influences are undeniably strong. Once again the songs are quite long, reaching in the whole album a full hour of duration. 'Lost Eternally' has 7 different pieces whose style is strongly atmospheric, something which I really appreciate in bands with such a slow pace. I wouldn’t say that keys play a main role, though their presence is noticeable and important through the whole record, being a nice example the third track “Forever Winter”, which has an evocating atmosphere. Vocally, the band tries to escape from the monotone vocals as the use of clean and narrated vocals add a welcoming variety. The narrated and whispered vocals, when they are used correctly, add a dramatic touch and the idea of an ongoing history. As it happens with the keys, the third track is able to show also how the band successfully used this resource, creating a typically doom metal song, but with some interesting characteristics and a healthy variety. The guitars are quite good, being as heavy as expected and playing with a very slow tempo. Thankfully, and though they have in many moments the characteristic monorithmic tone, they retain a melodic touch which enhances the cold yet dramatic atmosphere of the band´s compositions. In songs like the title track, the guitars play a major role accompanied by melancholic and sorrowful keys. This song is a fine example of how Chalice of Suffering is a purely funeral doom metal band, but still adding a slightly more melodic tone. Probably, the most intense track is “Miss me, But Let Me Go”, which includes some double bass sections and very interesting tempo changes, which make this song stylistically one of the most different and captivating of this album. The band has some Celtic influences considering that a band member who plays bagpipes. Strange enough, I can only recall the use of this instrument in the opening track “In The Mist of Once Was”, which I must say it’s my favourite track, thanks to the initial hypnotic and mysterious atmospheric introduction and the inclusion of the bagpipes themselves. This instrument fits surprisingly well with this genre, reminding me the positive debut of Downfall of Nur.

If I had to complain about this album, this would be the issue. The bagpipes should be used more frequently as they would give a higher touch of originality to the music by Chalice of Suffering. Apart from that, 'Lost Eternally' looks a very competent album able to satisfy every single doom maniac out there. (Alain González Artola)

lunedì 22 aprile 2019

Ellende - Lebensnehmer

#FOR FANS OF: Post Black
The black metal scene in the German speaking countries has traditionally been focused on a certain type of black metal where relentless songs were the norm, always intensive but retaining some sense of melody, which I have always found interesting. In recent times bands like the Germans Der Weg Einer Freiheit or the Austrian Ellende, without leaving aside this traditional approach, have increased this sense of melody creating albums where the atmosphere is particularly intense. Now it’s time to turn out our attention to the Austrian project Ellende. This one-man band was created by Lukas Gosch in Graz back in 2011 and this project is exclusively his property though he uses live members to play gigs.

Ellende plays a rather interesting mixture of black metal with atmospheric and post metal influences. From the very beginning, the quality of the stuff composed by Lukas was very good, though this project gained a bigger recognition in the scene thanks to the album 'Todbringer' which caught the attention of many fans. Thanks to this success, Lukas signed a new deal with the always recommendable label Art of Propaganda, which has made possible the release of the third and newest opus 'Lebensnehmer'. From the very first moment that you take a look the its macabre and war related artwork, you realise that this stuff is an ode to darkness and a melancholic approach to existentialism. Ellende’s stuff is primarily black metal with a strong atmospheric and mournful touch, where the guitars play a major role. This instrument´s tone varies from the most furious moments, mixing the most intense black metal with some post influences, and other sections where the riffs have a more tranquil and hypnotic touch. Those parts are the best ones in my humble opinion as they show the intense work Ellende has done composing these tracks. Like the guitars, the rest of instruments vary their tone and pace according to the approach of each song. This makes the compositions to flow very naturally from some fast and furious sections to the most mid-paced and even slow ones, where melodies are more prominent. A nice example of this could be the song “Der Blick Wird Leer”, which contains very contrasted parts. The keys play a secondary role in Ellende, though they have certain moments to shine during very short though inspired sections like in “Augenblick”, for example. Lukas likes to introduce some guitars with a more acoustic touch, as it happens in “Der Wege” or the excellent closing track “Atemzung”. The use of purely acoustic or, like this time, acousticesque electric guitar chords helps to reinforce the atmospheric and gloomy characteristics of Ellende’s music.

Ellende’s third instalment confirms the progression and quality of this Austrian project. 'Lebensnehmer' is an excellent work where the project reinforces its strengths and sounds more confident than ever. This album should help the band to increase its niche of fans, not only in the German speaking lands, but also in every country where people can appreciate this excellently done black metal. (Alain González Artola)

(Art of Propaganda - 2019)
Score: 85

https://ellende.bandcamp.com/album/lebensnehmer

mercoledì 17 aprile 2019

PoiL - Sus

#PER CHI AMA: Math/Jazz/Prog, Mr. Bungle
In arrivo dalla Francia il nuovo lavoro dei folli PoiL intitolato 'Sus', fuori per la sempre più delirante etichetta transalpina Dur et Doux. Cinque i pezzi a disposizione per il terzetto originario di Lione, in giro ormai dal 2006 con il loro concentrato irriverente di prog, jazz ed elettronica. Il nuovo lavoro, come se ce ne fosse stato bisogno, riprende là dove aveva chiuso con 'Brossaklitt', richiedendo forse un'apertura mentale ancor più spiccata per approcciarvisi. Fatto sta che iniziando con l'ascolto di "Sus la Peìra", la sensazione è quella classica di assistere ad una jam session d'improvvisazione tout court, quindi sia a livello musicale che lirico, visto che il linguaggio utilizzato nei testi sembra totalmente inventati, cosi come accaduto già in passato. Quindi diventa anche complicato star dietro a questi musicisti che in dodici minuti riescono a suonare tutto e il suo contrario, in un vortice sonoro che vaga tra suggestioni che pescano appunto da qualsiasi dei generi già menzionati, a cui aggiungerei anche math, avantgarde e bossanova. Le contorsioni stilistico-strumentali dei nostri sono, come potrete immaginare, da Cirque du Soleil, quindi sicuramente non troppo facili da seguire, anche se alla fine davvero affascinanti. Ma l'ascolto dei PoiL credo sia un esercizio per pochi eletti. "Lo Potz" è una breve nenia di poco più di un minuto che introduce a "Luses Fadas", song dall'incipit rumoristico, con voci (a tratti quasi rappate) messe in primo piano su di una ritmica totalmente scomposta, spezzata, sghemba, chiaro il concetto? Questo per ribadire che 'Sus' non è un disco cosi facile a cui accostarsi, servirà una certa preparazione psicologica per poterlo apprezzare, altrimenti il rischio è di rimanere totalmente disorientati dalla proposta dei tre pazzoidi, anche laddove la musica sembra fluire in modo lineare per almeno quattro secondi. Per il resto i tre cabarettisti lionnesi si lanciano in suoni completamente imprevedibili dove il mantra rimane #totalelibertadespressione. Ascoltatevi a tal proposito "Grèu Martire" per intuire solo lontanamente di cosa stia parlando: free jazz, passaggi nonsense quasi al limite del noise, chorus illogici, tempi completamente sghembi e va beh, cumuli di sperimentazione a non finire. E a rapporto mancano ancora gli ultimi "semplici" 14 minuti di "Chin Fòu" per decretare la definitiva psicolabilità dei nostri. Da un inizio di prog rock esoterico, ecco veder ancora una volta evolvere il sound dei nostri attraverso territori math, funk, jazz e qui anche attraverso sprazzi tribalistico-arabeggianti che eleggono l'ultima song del lotto quale mio pezzo preferito, forse perchè nella sua complessità contorta, rimane anche il brano più facile da ascoltare, se cosi si può dire. Insomma se ancora non conoscete i PoiL, e siete di larghe vedute, vi piacciono le cose stralunate alla Mr Bungle/Fantomas, unite al prog di scuola King Crimson miscelate con le allucinazioni dei Pink Floyd, allora potreste anche provare ad avvicinarvi a questi suoni, se poi lo fate sotto l'effetto di allucinogeni, beh preparatevi anche a vedere serpenti fosforescenti volanti o farfalle giganti dotate di pattini, perchè alla fine quella messa in scena dai PoiL è musica dell'assurdo, per cui sarà lecito immaginare tutto quello che volete, non preoccupatevi, non sarete additati come persone anormali. (Francesco Scarci)

(Dur et Dux - 2019)
Voto: 77

https://poil.bandcamp.com/album/sus

Ghost Ship Octavius - Delirium

#FOR FANS OF: Prog Metal, Dream Theater
Through deceptively sweet melodies combined with the theatrics of Dream Theater, Ghost Ship Octavius shows off a sophomore album that is high in concept and lending more opera and progressive digression to its melodic metal template. Light sappy arpeggios fly unfettered through an airy atmosphere, impressively intricate guitar passages are buffeted by robust percussive artillery. Ripping in some sparse places and wailing through many other passages, this Seattle power trio's music is sure to go far enough out on limbs and take the risks necessary to propel its vision seaward but also has to deal with the reality that such exposure and vulnerability in its music can conjure some serious cringe. Still, the drama aboard this vessel throughout this near hour of creativity and instrumental expertise shows the talents of a band able to find a fitting balance between aggression and astonishment.

Released independently in September of 2018 and again in February of 2019 with the backing of Mighty Music, 'Delirium' is surely an ambitious and advanced album from an adept outfit. The opening to “Ocean of Memories” sounds like it was made in tandem with Luster with its lilting bucolic innocence, yet the affectation in the vocals have me expecting a parody in the vein of Ylvis to echo across this tepid protected port rather than this forthright fairy land that Ghost Ship Octavius finds its sails slipping away from. Taking a dramatic turn, the song finds itself embroiled in short-lived conflict with its heftier guitar change churning the waters, but this microburst is only a foreshadowing of the high notes on which the ripping “Saturnine” (with its harsh Gothenburg opening and splashy stomp) leaves the ship solid as it sloshes through stormy seas and swirls around a whirlpool of crying choruses, vibrant harmonies, and plunging percussion.

Sappy openings like that of “Edge of Time” keep the album on a whimsical and light journey as harmonic vocals and opulent movements allude to the bewilderment of the album's namesake and foreshadow every encompassing ensnarement of electrifying energy lingering around every corner. Dancing through an airy atmosphere that becomes a theatrical romp, reveling in its pomp with its expansive riff joined by a classical style chorus that rings as true to the stage as it does to the heart, “Far Below” is magic to the ears with a snare double tap in the opening rhythm allowing the glory of such a catchy moment to erupt from below the profligate arpeggios. In contrast, the descent of “Bleeding on the Horns” gracefully drops with the impact of a head hitting a pillow yet this lovely track's exquisite construction, flourishing instrumentation, and ambitiously marching start show that this album, while balanced towards the eccentricities in each melody, can still bring its hammer to crack against the anvil and shatter the illusion in pinches of peril.

At its essence, Ghost Ship Octavius is what Charred Walls of the Damned could have been if the music wasn't so inundated with ego. While the latter group packed up a bus full of recognizable names and their necessary equipage in order to drive it all off a cliff into a chasm of disappointment, this fresh fellowship features folks from farther reaches of the metal sphere showing off a great balance and stellar songwriting sensibilities. The symmetry of the music's structure keeps the band rising and falling like the frothing of a sea beset by storm and returning to calm throughout this near hour. Yet also 'Delirium' also finds itself enveloped in the oddities of a transcendent scope of sound, one as alluring as spying elaborate coral cities beneath its calmest shimmering shallows and as staggering as attempting to overcome mammoth surf with only hope and timbers separating you from certain death. (Five_Nails)

(Mighty Music - 2019)
Score: 86

https://www.facebook.com/GhostShipOctavius

martedì 16 aprile 2019

Sick Sad World - Imago Clipeata

#PER CHI AMA: Post-hardcore/Post-metal
A cinque anni di distanza dal precedente 'Murmuration', tornano i Sick Sad World, il moniker scelto dalla band francese, perfetto ad indicare questo nostro mondo triste e malato e testimoniare quanto il paese dei nostri cugini, sia attivo egregiamente un po' in tutti i generi musicali. Si perchè la compagine di quest'oggi ci porta nel mondo del post-hardcore, quello esistenziale ed emotivo. L'ensemble, originario di Nantes, ci offre sei tracce, che nascono dalle cupe tonalità di "The Family" e calano il sipario con "The Rope". L'opener mette comunque in mostra le eccelse qualità del quintetto sfoggiando appunto un tono dimesso, un suono compassato che si muove tra il post-metal e il post-hardcore appunto, con un rifferama compatto che trova in un paio di rallentamenti acustici e nelle sue improvvise accelerazioni, i propri punti di forza. A sottolineare la prova dei nostri aggiungerei anche l'ottima e caustica performance dietro al microfono di Julien, ma in generale, è tutta la proposta dei Sick Sad World a fare breccia nelle mie corde. Anche con la seconda e lunga "Battlefield" infatti, mi lascio travolgere da quelle vorticose ritmiche che prendono spunto dal post-black e si dilatano successivamente in partiture post-rock con tanto di voce pulita e sofferente che esalta ulteriormente la riuscita di questo brillante 'Imago Clipeata'. Devastante l'attacco di "Destroy" ma c'era da intuirlo, visto il titolo. La musica parafrasa alla perfezione la distruzione, probabilmente per quei suoi chitarroni ultra ribassati e quei vocalizzi acidi che li accompagnano. Quello che poi mi sorprende, sebbene non sia proprio una novità, è la capacità di questi musicisti di variare alla grande il tema principale e passare con estrema disinvoltura da scorribande post-core a melliflui rallentamenti o melmose atmosfere sludge. E vi dico che "Destroy" ci riesce alla grande, guadagnandosi il titolo di mia song preferita del disco. Non che la successiva "Echoes" sia da meno, grazie a quel suo magico incipit affidato a basso, piatti e voce in sottofondo, una perla che ammicca, tra gli altri, anche ad un certo dark/post-punk che completa alla grande il quadro di influenze dell'act transalpino. Ah dimenticavo, le melodie incluse in 'Imago Clipeata' sono davvero buone ancora una volta a testimoniare quale e quanta sia la maturità raggiunta dai Sick Sad World giunti ormai alla loro terza release ufficiale. Ancora suoni soffusi in apertura con "Market", voci sussurrate, tocchi di chitarra arpeggiata in quella che forse è la song più malinconica del lotto, anche quando nella seconda metà sembra incattivirsi e pestare maggiormente sull'acceleratore. "The Rope" dicevamo come ultimo atto del cd: un modo di calare il sipario con i controfiocchi grazie ad una song controversa, feroce, seducente, emotivamente instabile, depressa, insomma la summa del triste e malato mondo dei Sick Sad World. (Francesco Scarci)

Ævangelist - Matricide in the Temple of Omega

#FOR FANS OF: Black/Death, Portal
Often it is an enriching experience to go into something totally blind and without apprehensions, opening a mind to new viewpoints and exploring a fresh style in an album. 'Matricide in the Temple of Omega' by Ævangelist is not one of those experiences. Imagine listening to Soundgarden's “Drawing Flies” for over an hour, except the obnoxious saxophone section breaking the song to pieces is the entire draw to an album replete with ten minute forays into a brash and biting bedlam as inert in justification for its existence as it is annoying in its every aspect. Where at first this chaos may be a challenge to the ear, an occasion to which one may feel he is rising in order to test his personal mettle when encountering the noisy theater of an uncompromising band, Ævangelist's attempts to hypnotize and discomfort an audience end up falling flat in its nihilistic avoidance of the Norwegian norm of obfuscating artistry with cacophonous distortion.

This is easy to notice as “The Sonance of Eternal Discord” falls to a disharmonic change from its curling initial structure that had actually captured the imagination for a slight moment. Instead, the shrill maelstrom melts its many moving parts into a derelict churn that fails to lift the hairs on a neck or curl into an ambiance as satisfying as the likes of Deathspell Omega. The lacking riffing platform from which such high-flying aggravation launches these egregiously long songs grates on you without any eventual endorphin ecstasy. Obnoxious shrieks fill the front with horns that create a wailing resonance like Arabian swells that become noise imbued into the hammering center of “Æeon Death Knell” while a distorted black metal saxophone that no one was asking for does its best to throw a listener out of this twosome's sound despite having little in the way of compelling combinations within to make the agony worth the while. Somehow that notion was lost between the likes of Bathory, Mayhem, and Emperor coming into this new breed of garish pandemonium that prefers to make meaningless meandering electronica over maleficent metal, having no inner aspect to unearth in order to reward the listener for his diligence in finding the gem shimmering beneath the compounding layers of noise.

Though the splash of blasting into the roiling soup of “Omen of the Barren Womb” is a slight section of satisfaction before denying that enjoyment its elaboration, a constant state of decay in these diminishing wails of Arabian antagonism (in spite of its staunch unbending construction) results in sterile and ineffectual musical tantrums with nary a structure worth deconstruction due to its refusal to depart from its dry driven tracks. Granted, Ævangelist's footprint bears the characteristics of avant-garde black metal, its inlaid treble helix swirling in the tempestuous storms of such a style built by deluges of destruction, but its art is simply no contender with the likes of Benighted in Sodom or any of the other profligate analogues to Matron Thorn's ambition. This example in Ævangelist is a show of how stale a single mind may become, especially in a band beginning its own internal meltdown and advertising it as publicly as possible. Yet somehow this project has had the longevity of a seven year long career consisting of six full-length albums, two splits, a live album, and a compilation. Considering how many awful ideas are incorporated into only 'Matricide in the Temple of Omega', it is clear that Ævangelist is only so prolific due to its nightmarish self-importance, recording every terrible idea that pops into its head as though it can become the next Troma Entertainment if only it can ship out as much inane content as possible. Yet like such contemporaries as Zarach 'Baal' Tharagh (thankfully silent for the past few years) and Sloth (a daily deluge of worthless garbage), this attempt to show one's brilliance by flooding an uninterested market means merely one's personal humiliation.

Where the likes of Njiqahdda's daunting discography enjoyed its noise through rushing waves that gracefully ebbed and flowed, incorporating its brashest bits between breaths of atmosphere, intelligently building and structuring its savagery, Ævangelist employs the textbook 'scare the children' technique of sharp screeches stabbing simple sounds, as though its haunting visions of Hell have been singularly cultivated from pop out scares in low budget horror flicks. This works in the raw forms of more bassy production and allowing shadows to overcome flowery treble, but in this open and sharp production such a notion stands to unravel what could be a worthwhile direction. Best saved for a generic Hollywood trailer that slows down an '80s pop song in order to make ominous the trials of the beautiful interacting with a green screen, Matron Thorn and Ascaris' attempts to shock a listener fall flat.

As the music has few personal touches and even less personality, the band seems set on making its mark in the press over concentrating on its craft. With Matron Thorn under the scrutiny of Facebook accusations and Ascaris supposedly ousted from the band, this duo seems to be as unstable as its art is uneven and disjointed. Through music that will never live up to the caliber of its scandal, 'Matricide in the Temple of Omega' seems to be the death knell of a terrible tangent in the careers of Matron Thorn and Ascaris. As public as this meltdown gets, it surely won't even get its own episode of S. V. U. to tag the joke. If this band is as good at sex as it is at making music there are sure to be many unhappy court dates to come. (Five_Nails)

lunedì 15 aprile 2019

A Thousand Sufferings - Bleakness

#PER CHI AMA: Black Doom, Primordial
Dalle Fiandre ecco giungere nelle nostre case il suono oscuro e malvagio degli A Thousand Sufferings e del loro secondo capitolo discografico, 'Bleakness', uscito per la Symbol of Domination. La proposta del quartetto belga vede in un black doom il loro focus principale che si palesa, dopo l'intro affidata alla title track, con la seconda "Antagonist". Si tratta di un pezzo che mette in luce pregi e difetti del combo fiammingo: ne ho apprezzato sicuramente il riffing stratificato, cosi come la voce non convenzionale (nè in growl nè in scream, ma un urlo emozionale sulla scia dei Primordial), cosi come pure le malinconiche parti arpeggiate che danno un certo respiro all'ascolto del brano. Insomma, pare tutto perfetto eppure c'è un ma che non riesco ancora a definire, e che mi lascia un po' titubante di fronte alla proposta dei nostri per cui auspico di poter essere in grado di delineare almeno al termine di questa recensione. Forse, in primis non mi ha convinto troppo il suono delle chitarre, oppure la registrazione che appare troppo secca. Anche perchè ribadisco, le qualità ci sono e si sentono in un finale tonante di sofferenza ai limiti del post-metal, che sembra venir fuori più preponderante nella successiva "Clouds", in cui avverto un certo fastidio nella proposta vocale del pur bravo Pj, quasi come se mi mancasse un grugnito o un urlaccio ferino. Forse è un mio problema, un'abitudine che andrebbe debellata, però pur apprezzando l'offerta dei nostri, si percepisce che ci sia qualcosa da migliorare, un po' come quando vai in macchina, senti un rumore anomalo ma non riesci ad afferrarne l'origine. Eppure nelle note ritualistiche di questa song, avverto un che degli Urfaust quasi a darmi un input di influenze verso il quale volgere un paragone sin qui difficile da trovare per i nostri. Ancora un altro lungo pezzo con gli oltre otto minuti di "Temple", un pezzo doomish ma comunque dotato di una forte connotazione black, che mi fa accostare ancora una volta i nostri agli irlandesi Primordial, grazie e soprattutto a quei chitarroni ultra ribassati e ad un'atmosfera magica nella seconda metà del brano che me ne fa rivalutare enormemente il valore. Ve l'ho detto che sono io un po' dal carattere ondivago. Certo quando parte "Ghostriders" mi sembra di sentire i Bathory più epici e dire che si tratta di una cover di Johnny Cash! A chiudere ci pensa l'epic doom di "Faces", un altro gran prezzo che lascia le mie titubanze iniziali ad un mero ricordo e ci consegna una band davvero dal grande potenziale, che limate alcune cosine, potrebbe davvero regalare ottimi sviluppi futuri. Cerchiatevi assolutamente questo nome. (Francesco Scarci)

venerdì 12 aprile 2019

Astral Silence - Sagittarius A*

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Mesarthim, Darkspace
I Darkspace devono rappresentare un grande punto di riferimento nell'ambito cosmic black a tal punto che nel loro stesso paese le band crescono come funghi. L'ultima con cui sono venuto fortuitamente a contatto, è rappresentata dagli Astral Silence, una one-man-band a dire il vero, capitanata dal misterioso Quaoar (qui supportato però da altri sei musicisti) che è stato in passato il bassista live dei conterranei Borgne per sei anni. Insomma, il nostro mastermind di quest'oggi è uno che di gavetta ne deve aver fatta parecchia e lo testimoniano anche lo split album e i tre full length che ha alle spalle con gli Astral Silence, di cui quest'ultimo 'Sagittarius A*'. Questo terzo lavoro, uscito in 333 copie per la Transcendance, arriva a cinque anni di distanza dal precedente 'Open Cold Dark Matter' che avevo avuto modo di apprezzare a quel tempo, al pari del debut 'Astral Journey' (che ho recensito su queste stesse pagine). Partendo da quelle premesse, 'Sagittarius A*' (nome peraltro ultimamente passato alla cronaca per identificare una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa, situata nel centro della Via Lattea che ospita quel buco nero supermassiccio di cui abbiamo visto recentissimamente le immagini) propone quattro lunghi pezzi che iniziano con le dilatate sonorità di "achernaR", quasi dieci minuti dove convogliano suoni black che arrivano da un spazio intergalattico freddo e distante, buio come solo il nostro sistema solare potrebbe apparire dall'ultimo pianeta nano, Plutone. E forse per questo che il black collide con una forma sonora che potrebbe essere inizialmente accostabile al funeral doom, con una ritmica asfittica e angosciante, e il growling profondo del polistrumentista elvetico a prendersi la scena al fianco delle spettrali melodie di tastiera. In "canopuS" (dimenticavo che i quattro brani hanno il nome di quattro stelle alfa delle loro rispettive costellazioni, Eridano, Canopo, Canis Major e Pavone) la componente atmosferica va acuendosi, riuscendo a trasmettere tutto quel senso di desolazione e vuoto che solo lo spazio infinito sembra offrire. Il cosmic black dei nostri si prende definitivamente la scena e non solo a livello grafico (vedasi l'artwork di copertina) o a livello lirico, con le classiche tematiche spaziali-astronomiche. I riff si presentano glaciali, con la drum machine di supporto e i synth a creare quel tappeto di sottofondo che rappresenta ormai la peculiarità del genere. A completamento del tutto, intermezzi ambient e rumori che sembrano provenire da un'astronave alla deriva nello spazio profondo. Più etereo l'inizio di "siriuS", una sorta di risveglio con la luce lontana di una stella ad innondare il nostro viso che la contempla dal piccolo oblò della cabina della nostra navicella spaziale. Poi è un suono marziale che prende il sopravvento, corredato da altri suoni elettronici e voci raggelanti di sottofondo, e da una melodia che permea il lento incedere di una traccia dai tratti marcatamente doomish che prosegue anche nell'ultima "alphA pavoniS", gli ultimi dieci desolanti minuti di questo inquietante lavoro, che potrebbe segnare un importante passo nella carriera degli Astral Silence per acquisire una maggior visibilità. Per ora, tutti gli amanti di simili sonorità si facciano avanti, in 'Sagittarius A*' troverete certamente un sound sufficientemente lento e freddo con il quale cibarvi negli angoli più reconditi della galassia. (Francesco Scarci)

(Transcendance - 2019)

Edremerion - Ambre Gris

#PER CHI AMA: Black/Death
Sebbene la label li etichetti come avantgarde black metal, francamente non ci ho trovato troppa genialità avanguardistica in questo 'Ambre Gris', full length d'esordio degli Edremerion. Fuori per la Symbol of Domination Prod (ed in collaborazione con la Anesthetize Productions), i cinque musicisti di Lille sembrano più portatori di un black metal sghembo e controverso, tipico della scena transalpina. L'album include cinque brani che da "Deûle" alla conclusiva "...Mais Les Étoiles Ne Sont Pas Pour l'Homme" provano ad offrire un qualcosa di originale che tuttavia stenta a decollare. Dicevamo dell'opening track, una traccia dai suoni disarmonici (una costante del disco direi), ma assai freddi e che poco mi hanno coinvolto durante l'ascolto di 'Ambre Gris'. Anche la seconda "Lèpre" si pone con quel black melodico che sta a metà strada tra black e death e cha alla fine non suona nè carne nè pesce. Ci provano con un intermezzo acustico e con un uomo bolso (mah!) per farmi cambiare idea, cosi come pure con un parlato in francese (forse in questo dovrebbe risiedere l'avanguardismo), ma purtroppo credo che la genialità avantgarde risieda in band del calibro dei Pensees Nocturnes, mentre per gli Edremerion la strada sia ancora lunga e in salita. Nella lunga title track, i nostri si lanciano in una lunga cavalcata, subito spezzata da un arpeggio melodico e poi rilanciata alla velocità della luce in un black lunatico e malato, ma comunque dotato di sprazzi melodici grazie a quelle chitarre in tremolo picking che tempestano un brano che vede qualche rallentamento nel suo proseguio. Più piatta "Déchets Nés", un pezzo black thrash che nel finale propone invece ottimi spiragli di influenze heavy classiche in un notevole assolo sfociando addirittura in un rallentamento doom nei 90 secondi finali. L'ultima traccia ci regala ancora una buona dose di melodia e cupa malinconia, interrotta da acuminate scorribande post-black ma anche death, vocals demoniache e qualche altra trovata che dovrebbe far uscire gli Edremerion dal gigantesco calderone black in cui sono intrappolati. Mi sa che serve qualcosina in più per riuscire in questa complicata ascesa. (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination Prod/Anesthetize Productions - 2018)
Voto: 62

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp112-edremerion-ambre-gris-2018

Sinister Downfall - Eremozoic

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Come se non ne avessi avuto abbastanza da Solitude Productions e Endless Winter, anche la Satanath Productions, in compagnia della Funere e della Weird Truth Productions, si sono messe a rilasciare album funeral doom. E allora quest'oggi rechiamoci in Germania, per questo progetto in solitaria di Eugen Kohl, uno che ha tipo un milione di band (Crypt Witch, Death Carrier, Donarhall, Hexengrab, Nihilisticon, Delens Humanitas, Leichenfrost, Nihil Eternal, Urschmer) e che con questi Sinister Downfall ha deciso di dare il meglio di sè in un ambito ostico e un po' chiuso come quello del funeral. E infatti, facendo scorrere "Dark Veil" non trovo modo di esaltarmi più di tanto, non scorgendo infatti alcuna novità di rilievo se non il classico suono a rallentatore condito da ritmiche pesantissime, tocchi di pianoforte atti a smussarne le spigolosità e una voce growl ad annerire il risultato finale. Il problema è che, a parte regalare qualche melodia qua e là, o la decadente malinconia della lunga "Way to Nothingness", ahimè faccio fatica a trovare momenti da evidenziare, perchè trovo che il genere si sia un po' involuto su se stesso. E la breve (si fa per dire) " Ashes of Time" si lascia apprezzare per lo più, per i suoi cambi di tempo, le atmosfere nere come la notte, la melodia delle chitarre e poco altro. Ci pensano i dodici minuti della conclusiva "Where Solitude Prevails" a offrirci gli ultimi emozionanti e drammatici momenti di questo 'Eremozoic', con quel suo magmatico flusso sonoro pronto a condurci negli abissi della disperazione. Funerei nell'accezione più pura del genere. (Francesco Scarci)

(Satanath Productions/Funere/Weird Truth Productions - 2018)
Voto: 62

https://sinisterdownfall.bandcamp.com/

giovedì 11 aprile 2019

Antre - Void

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Da Nottingham, il nuovo furore che avanza. In periodi di Brexit, speriamo che gli Antre possano abbattere quelle barriere che incredibilmente il Regno Unito ha deciso di alzare, quasi un salto indietro nei secoli bui della nostra storia, ma andiamo oltre queste beghe politiche e focalizziamoci sulla musica del quintetto britannico. 'Void' è il primo full length per i nostri, dopo un EP uscito nel 2017 ed uno split album lo scorso anno. Lp include nove tracce di focoso black che inizia a darci calci sugli stinchi a partire già dall'opener "Suffer the Light", una song che evidenzia il carattere irrequieto di una band formatasi solo nel 2017. La proposta, non troppo pulita da un punto di vista produttivo, mette in mostra la sua efferatezza con un riffing tipicamente post black, su cui si installerà lo screaming caustico di Patrick MacDonald. Poi è il turno di "Fear the Old Blood" una traccia dal carattere ancora più inquieto anche se inizialmente si palesa più rallentato; poi il nefasto riffing che puzza ancora di hardcore, probabile retaggio dell'ensemble, inizia a pigiare ancor di più sull'acceleratore e son dolori, anche se qui la voce di Patrick passa dallo screaming ad un urlato polemico, mentre il sound si muove a cavallo tra punk, black, hardcore, grind, doom e death in un impetuoso ed entropico sound, che si prende una pausa nell'acustica di "Denisovan", un breve intermezzo strumentale. Poi tocca ad "Into Oblivion" riprendere il filo del discorso qui interrotto ed ecco nuovamente una colata di suoni funambolici e discordanti, come se i Deathspell Omega jammassero con Defheaven e Napalm Death, mentre il vocalist passa con grande disinvoltura da urla bestiali ad altre un po' più teatrali, che sembrano richiamare gli A Forest of Stars. Più old school invece "Tyrant", una classica song black di poco meno di tre minuti. "Guided by Nightmares" esplode ancor più tonante nella sua isterica rincorsa black/death, rallentata solamente nella seconda parte, decisamente più compassata. Un altro break acustico, "The Frozen Deep", ed è tempo della veemeza esacerbante di "Infinite Abyss", dove nei suoi suoni sembra convogliare uno psicotico death sound che evoca gli Aevangelist in un gorgo ritmico (o forse meglio in un buco nero) da cui è impossibile far ritorno. Alquanto inatteso invece il finale affidato a "Beyond these Skies", inatteso perchè l'inizio si presenta assai morbido, in una strategia disorientativa per subire ancor di più l'attacco che da li a pochi secondi ci calerà sulla testa, in un finale che sembra omaggiare questa volta i conterranei Akercocke in un ammorbante assalto pestilenziale che segna il risucchio totale nel maelstrom creato dagli Antre dal quale sarà impossibile uscire. (Francesco Scarci)

(Withered Hand Records - 2019)
Voto: 70

https://antre.bandcamp.com/album/void

Perished - Through the Black Mist

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black, Emperor
Tra le band storiche del sottosuolo black norvegese ce ne fu una un po' più sfortunata delle altre: sto parlando dei Perished. Originari di Hommelvik, si resero famosi per l'uscita di due album, 'Kark', forse il più famoso e riuscito, e 'Seid'. Erano rispettivamente gli anni 1998 e 2003. Prima di queste release, i nostri rilasciarono un paio di demo, tra cui 'Through the Black Mist' fu quello ad avere maggiore successo nei circuiti underground nello scambio di demotape. Era il 1994, tenetelo a mente, perchè per tale motivo, il quintetto nordico (che consta di ex-membri dei Bloodthorn) potrebbe essere annoverato tra i padri fondatori del symph black. Erano infatti i tempi in cui si affacciavano alla ribalta gli Emperor con 'In the Nightside Eclipse' e i Dimmu Borgir con 'For All Tid'. Fatta questa lunga premessa, i Perished potevano e possono pertanto stare al fianco di questi due mostri sacri ed un grazie va alla The Sinister Flame per rinverdire i fasti di quella cassetta, dandoci modo di assaporare un black old school dalle venature sinfoniche che dall'iniziale "My King's Empire" all'ultima "The Perfect Face of Death" (la versione alternativa della stessa traccia inclusa nel cd) ci concede di respirare nuovamente il meglio del black mondiale. Certo, dovete mettere in conto che ascoltandolo oggi vi sembrerà scontato o retrogrado, ma provate ad inserirlo in un contesto in cui le band che suonavano questo genere si potevano contare sulle dita di una mano. I Perished erano appunto tra questi. E sentire i synth duellare con le chitarre non era cosa cosi frequente a quei tempi o il black convergere verso un death doom, come accade in "My Darkest Embrace", non era proprio roba da tutti i giorni. Poi inevitabilmente, tutti gli ingredienti del black li potrete ritrovare nei 36 minuti di questo 'Through the Black Mist', dalle screaming vocals al vetriolo (e non solo), alle scorribande puramente black di "Serpent's Ring of Hate" o la suggestiva apertura sinfonica della rude "The Perfect Face of Death", saranno tutti elementi per cui apprezzare questa fatica ormai vecchia di 25 anni, si avete letto bene. Se non fosse per la registrazione un po' troppo casalinga e non ci fossero qua e là delle sbavature che all'epoca nemmeno ci facevamo caso, potreste considerare questo lavoro molto attuale. Quindi il miglior consiglio che posso darvi è di abbandonarvi alle atmosfere black doom di "The Autumn Misery" o al fervore di "A Landscape of Flames", un vero salto indietro nel tempo di un paio di decenni. Chiudo con un solo dubbio che mi assale: chissà cosa sarebbero i Perished oggi viste le ottime premesse di allora? (Francesco Scarci)

(The Sinister Flame - 1994/2019)
Voto: 76

https://perished.bandcamp.com/album/through-the-black-mist

lunedì 8 aprile 2019

Humanity Zero - Proseliytism

#PER CHI AMA: Death Doom
Nati nel 2003 come death one-man-band dalla mente di Dimon's Night, i greci Humanity Zero hanno trovato solo nel 2018 nelle vocals di Kydoimos, l'ideale sparring partner del primigenio mastermind per offrire un concentrato di death doom, in quello che è addirittura il quinto album della band ateniese, il cui presente 'Proseliytism'. Quello che balza subito all'orecchio, oltre alla proposta tipicamente death doom, è forse il cantato del frontman, che sembra eruttare il proprio growling attraverso un tubo, per un risultato alla fine un po' ostico da accettare. Ascoltando l'opener, "Celebrating the Opener of the Way", quello che sembra emergere è il carattere cerimoniale delle keys che suonano pompose in una sorta di orgia ecclesiastica, mentre le chitarre, proveniendo dal territorio ellenico, risentono in un qualche modo della loro origine, relegando le influenze di My Dying Bride e soci in secondo piano, anche se l'influsso di quest'ultimi emergerà subito nella ritmica in apertura di "Ruler of the Ultimate Void of Chaos", per un risultato un po' troppo statico e privo di colpi di scena. Francamente non amo apparire come la Santa Inquisizione ma devo ammettere che la proposta del duo greco non mi scalda proprio l'anima come dovrebbe invece fare questo genere. Faticano e non poco infatti  i nostri ad uscire dalla visione stantia, cupa e desolata di simili sonorità. Vi dirò che la scarsa armonia di fondo poi mi fa sbadigliare non poco durante l'ascolto del disco, auspico che ci sia qualcosa che possa risollevare le sorti di un lavoro ahimè già destinato al plotone di esecuzione. "The Slumbering One", la militaresca "The God of the Bloody Tongue" (che vanta un break molto ma molto simile ai My Dying Bride, manca solo la voce sofferente di Aaron) fino a giungere alla conclusiva e drammatica "Dark Angel of the Four Wings", sono onesti pezzi di death doom che risentono parecchio, nella loro scarsa fluidità musicale, del retaggio tipicamente death di Dimon's Night (il che si evince anche da un artwork decisamente votato ad elementi del death metal). Non sono sufficienti quelle onnipresenti tastierone ad alleggerire un risultato che fatica ad aver presa o risultare in qualche modo originale. Sembra di rituffarsi indietro nel tempo di quasi trent'anni, unire il vecchio umore di 'As the Flower Withers' con la pesantezza di 'Serenades' degli Anathema, per un risultato a dir poco obsoleto e che ahimè non riscuote in alcun modo i miei favori. Spiace sempre segare un album, ma in questo caso vuole essere uno sprono a fare meglio in futuro, alla ricerca di una maggiore identità sonora, per regalare davvero qualcosa di più a chi si ciba di simili suoni, sottoscritto compreso. (Francesco Scarci)

Finis Omnivm - Cercle

#PER CHI AMA: Crust Black, Nux Vomica
I Finis Omnivm hanno un retaggio grind crust e si avverte in 'Cercle', EP ed opera prima della band francese. Si chiamavano infatti Faxe poco meno di una decina di anni fa quando quella era la loro proposta. Quel bagaglio musicale, sebbene i molteplici cambi di line-up, è rimasto intatto e crudo nel loro DNA e ancora ammanta il loro sound, sebbene l'iniziale "The Womb" ci conduca in anfratti oscuri di un tenebroso post-hardcore dalle forti tinte malinconiche. Non fatevi fuorviare perchè da li a poco, la musica dei nostri incendierà l'aria con paurose accelerazioni crust-black e rallentamenti dal sapore quasi doom. Quello che meglio tocca le mie corde è la bravura del quartetto parigino negli avamposti musical-emozionali con dei frangenti che trasudano veramente un senso di disagio. Lo stesso che irrompe nella ritmicità marziale di "The Great Destroyer", la song che più delle altre, nella parte centrale, evidenzia proprio le passate influenze dei Finis Omnivm, con le classiche cavalcate crust-grind-black-punk e le urla sguaiate figlie di un genere che non ha mai mollato nonostante le mille mode che sono succedute. E allora che ne dite di abbandonarvi anche voi alle furiose accelerazioni dei quattro musicisti transalpini, sudare quel tanto necessario, prima di arrendervi alle suggestioni sludge che si palesano nel finale della seconda traccia, che peraltro mi ha evocato un che degli ultimi Entombed A.D. Che i nostri non siano dei pivellini è chiaro dalla loro padronanza strumentale, che si palesa fin dall'opening track, di grande livello. La terza è ultima song, "The Empty Gem", completa con i suoi quasi 15 minuti, il quadro musicale dei nostri con un approccio tribale, in cui le grim vocals, accompagnate da basso, batteria e chitarra, ci avvolgono in una spirale sonora stritolante, prima di irrompere nuovamente in un abrasivo crust-punk dal sapore novantiano, pregno di paurose accelerazioni black e di rarefatti momenti fangosi, due caratteristiche che chiamano in causa i Downfall of Gaia, giusto per darvi un ulteriore punto di riferimento, se volete capire qualcosa di più dei Finis Omnivm e di questo 'Cercle', un corrosivo manifesto sonico degno delle migliori realtà crust degli anni '90, là dove ebbe origine il tutto. (Francesco Scarci)

Harmdaud - Skärvor

#PER CHI AMA: Epic Black/Viking/Death, Windir
Dalla piccola cittadina di Skellefteå, ecco arrivare il progetto di Andreas Stenlund, gli Harmdaud, di cui lui è mente ed esecutore unico. 'Skärvor' è il secondo album (dopo 'Blinda Dödens Barn' del 2017) per il factotum svedese, uno che tanto per dire, è stato il chitarrista live di Vintersorg, elemento questo da tenere a mente. Ma andiamo con ordine e prima cosa, lasciamoci sopraffare dall'opener "Kraft", una traccia spettacolare di black epico dai tratti sinfonici che ha da regalare splendide melodie e dirompenti inni, omaggio ai guerrieri vichinghi. Il riffing prosegue compatto in "Stöpt", mantenendo intatta la matrice viking che alla fine ammanterà l'intero lavoro. Ciò che verosimilmente cambia tra una traccia e l'altra è l'approccio chitarristico, a metà strada tra black e death. In questa seconda song ci sento un che dei Windir, anche se le chitarre sono qui meno taglienti rispetto ai colleghi norvegesi. La voce poi è più votata al growling tipico del death metal piuttosto che allo screaming efferato del black, questo per dire che la proposta del mastermind viaggia in bilico tra i due generi, senza che uno prevalga alla fine sull'altro. In "Bränt Till Grund", un'infuocata traccia nera come la notte, ecco affiancarsi al cantato ringhiato di Andreas il buon Vintersorg alla voce (che ritornerà anche nella movimentata "Sprickorna I Verkligheten"), con la sua inconfondibile timbrica epica e pulita, con la song che vive di continui cambi di ritmo in un incedere a tratti selvaggio. La title track ha un intro che esula da death o black, sembra quasi di derivazione sperimentale, alla Devin Townsend per intenderci. Però quando le vocals demoniache di Andreas fanno la loro comparsa, il riffing si fa più serrato, anche se non è proprio da ascrivere al metal estremo, ha un'origine più classica e comunque fuori dall'ordinario, a sottolineare la maturità artistica del factotum svedese. "Koloss" è un pezzo thrash death, sembra quasi che il cantato di Andreas poggi sulla ritmica degli Over Kill, giusto per spiegarvi la mia incredulità nell'ascoltare un brano che ha tempo anche di ammiccare agli Old Man's Child e di rallentare vertiginosamente in un break dal forte sapore doom. Ancora una volta, il risultato è positivissimo, al di sopra della media, per cui non ci resta che godere appieno della bravura del musicista nordico. Ancora viking sound questa volta vicino agli Amon Amarth (ma con un tocco alla Rotting Christ), in "Natten Oss Genomströmmar", ove Andreas tenta, ma non vi riesce appieno, di proporre un cantato vicino a quello del suo illustre ospite Vintersorg. "Näven Kring Min Hals" parte decisamente più tranquilla, prima di esplodere nell'ultimo giro di chitarre e growling possenti, in cui la melodia la fa comunque da padrona anche nel break centrale che prepara allo scoppiettante finale, dove alla voce di Andreas, si affianca il ruggito delle chitarre. Per quanto mi riguarda, 'Skärvor' necessita solo di un paio di consigli finali: aggiungere un batterista in carne e ossa e migliorare la grafica della artwork di copertina. Per il resto, una sorpresa totalmente inaspettata: ottimamente prodotto (anche qui grazie allo zampino del buon Vintersorg), ben pensato ma soprattutto ben suonato, gli Harmdaud hanno tutte le carte in regola per far ancora meglio in un immediato futuro. (Francesco Scarci)

(Art Gates Records - 2019)
Voto: 78

https://harmdaud.bandcamp.com/releases

sabato 6 aprile 2019

Sundead - Ashes

#PER CHI AMA: Symph Death, primi Dismal Euphony
Credo che la scena tedesca sia, al pari di quella francese, quella che ha da offrire, in termini di quantità, ma non ancora di qualità, più band in Europa. Gli ultimi giunti sulla mia scrivania sono i Sundead, quartetto proveniente dalla cittadina di Ludwigsburg che con 'Ashes' giungono al loro debutto, dopo che la band si era formata nel 2014. Un lungo periodo di gestazione per produrre questo lavoro interessante che mette in luce le importanti qualità dei nostri in ambito black death melodico. Nove pezzi, ma in realtà abbiamo un'intro e un'outro, per spiegarci la loro visione del metal estremo, e devo ammettere che non è affatto male. Si perchè quando "Reduced to Ashes" irrompe nel mio stereo, la stanza viene invasa dal suono imponente dei quattro musicisti teutonici, che offrono un po' gli ingredienti tipici del genere con feroci sgaloppate melodiche, inserti progressive, growling (e di rado qualche screaming) vocals e parti atmosferiche che mi hanno rievocato un po' i tempi d'oro del genere in Scandinavia, con band del calibro di Siebenburgen o Dismal Euphony, due realtà con i quali i Sundead potrebbero tranquillamente condividere il palco. La vena sinfonica dei nostri emerge anche nell'incipit devastante di "Unwatered", song iper tirata, ma al contempo che include un po' tutti gli elementi del black sinfonico, voci femminili comprese, in una spettrale (brava la tastierista Ashima) cavalcata davvero da applausi. "Into Black Horizons" è un altro bel pezzo che combina in modo armonico, graffianti riff di matrice classica con un tocco sinfonico, qui a tratti anche malinconico, grazie all'uso del tremolo picking che in taluni momenti si sostituisce all'arrembante ritmica creata dall'ensemble. Il risultato è davvero avvincente ed esplosivo, anche laddove il clima si preannuncia più tranquillo (ma solo nella prima e nell'ultima parte) come accade in "The Vault", un'altra piccola perla in grado di combinare estremismi sonori di scuola svedese con una componente solistica da urlo che invece apre le porte ai classici dell'heavy metal. "Solar Winter" suona molto fresca, sebbene le chitarre in tremolo picking, disegnino panorami sonici contraddistinti da un delicato mood malinconico in cui ho come la sensazione di scorgere in sottofondo il suono di un violino che aumenta l'efficacia della proposta della band germanica. Ci si avvia verso il finale, ma un paio di interessante guizzi i Sundead hanno ancora modo di regalarli: "Kali Yuga" è un mid-tempo emotivamente assai potente tra saliscendi ritmici notevoli (un plauso complessivo va al batterista Tomasz "Nefastus" Helberg, uno che ha suonato con Debauchery e Belphegor, tanto per citarne un paio). In "Patient Zero" i nostri confermano la loro verve autunnale, sostenuti sempre da una produzione cristallina che enfatizza la potenza strumentale dell'act tedesco soprattutto nella cavalcata conclusiva che chiude il brano, prima dell'ipnotica chiusura ambient di "Remember the Future". Insomma 'Ashes' è un buon biglietto da visita per i Sundead, per cui auspico fortemente un ascolto della loro proposta. Sono quasi certo che potranno far parte delle nuove leve future nel riscoperto ambito del death sinfonico. (Francesco Scarci)

venerdì 5 aprile 2019

Agos - Aonian Invocation

#PER CHI AMA: Death/Black, Bolt Thrower
Dalla Grecia è in arrivo la one-man-band degli Agos, una compagine che vede come suo unico interprete il leader dei Virus of Koch, Van Gimot peraltro ex membro di un'altra manciata di gruppi tra cui gli Acherontas. Direi subito che la precedente appartenenza di Van Gimot nelle succitate band si sente nelle note di questo 'Aonian Invocation', un lavoro di occult black metal che evidenzia l'adesione degli Agos alla scena ellenica. Quindi potrete facilmente immaginare come si traduca in musica la proposta del nostro factotum, che già dall'apertura affidata a "Through the Strait of Messina" (interessante la componente mitologica a livello lirico), si lancia in un black/death mid-tempo dalle tinte oscure ma cariche di quel groove tipico del suono ellenico che unisce aperture melodiche con una solida epicità di fondo, vero trademark della scena. Facile pertanto farsi conquistare dal suono potente, a tratti tribale (la parte centrale di "Mardyakhor" è davvero coinvolgente, cosi come pure la spettrale intro della musa incantantrice di "Trojan Desolation", ove si narra il conflitto tra achei e troiani, in una robusta traccia che mostra tuttavia qualche contorno musicale legato alla matrice mediorientale), rituale ("Devourer of Men" la mia traccia preferita, anche la più lunga del disco con i suoi quasi nove minuti, in cui sottolinerei ancora la potenza del musicista ellenico, con tanto di blast beat e killer riff, messa a servizio nella melodia in una traccia che potrebbe stare su un qualsiasi disco dei Nile) ed etnica ("Glorious Return" ne è l'emblema assoluto con i suoi strumenti tipicamente arabeggianti e la comparsa alla voce di una gentil donzella) offerto dal mastermind ateniese. Insomma 'Aonian Invocation', pur non inventando nulla di originale, regala quasi tre quarti d'ora di musica potente, melodica e coinvolgente che farà la gioia di tutti gli amanti di sonorità estreme, permeate comunque da una buona dose di melodia. (Francesco Scarci)

(Satanath/Deathhammer Records/Heathen Tribes - 2018)
Voto: 74

https://virusofkoch.bandcamp.com/album/aonian-invocation

Norvhar - Kaunas

#PER CHI AMA: Epic/Folk, Ensiferum
Attivi solamente dal 2018, la formazione degli svizzeri Norvhar ci porta in realtà indietro nel tempo al 2005, quando si sono formati col nome di Harmoniks. Le solite beghe interne, lo scioglimento, il silenzio, la reunion e il cambio di moniker, ci hanno condotto fino all'uscita di questo 'Kaunas', avvenuta a febbraio di quest'anno con il rilascio di un bel digipack che include sette tracce di folk metal. Il disco apre con "From Fire..." ed una voce cinematografica che dà il benvenuto con "Good evening, traveller... Come here, come. Don't be afraid. Sit, share my fire, drink my beer... I have a story to share, it must be passed on before I leave. So, sit my friend, and listen..." Ad aprire le danze vere e proprie entrano in gioco i due singoli che avevano anticipato l'uscita di questo cd, "Fest in Midgard" a inizio di quest'anno e "Of Stone, Gold and Blood" uscita a novembre 2018. Un tripudio di suoni folk, a trascinarci nella grande festa pagana dei Norvhar, con epici cori, belle melodie di scuola finnica (penso a Ensiferum e Finntroll in primis) e grandi bevute di birra. Il folk del sestetto di Losanna scivola via che è un piacere anche nella terza song tra melodie folkloriche della tradizione nordica e racconti di un tempo andato, narrati dalle growling vocals del bravo Matt Favrr (responsabile peraltro anche del flauto) e tutta una serie di strumenti alternativi, come lo scacciapensieri e le cornamusa. Il riffing in tutto questo è bello corposo, sorretto da una produzione scintillante, poi spazio ad ottime porzioni solistiche e tanto tanto divertimento. Come quello che introduce "Mystic Forest", una melodia che sembra evocare la Pantera Rosa e ci racconta invece di luoghi mistici ove albergano pace e gioia, pura utopia per i nostri giorni. E allora meglio immergersi nella musica senza tempo dei Norvhar e cantare con loro a squarciagola "Drink, sleep, pray! This is your daily work" nel santuario fatto di magia e antiche leggende, in cui serpeggia il suono di un flauto a rendere il tutto più magico. È musica che trasmette energia, spensieratezza, allegria, il che non guasta affatto, anche nella più cupa "Goblins' Outpost" che descrive appunto come in un mondo pieno di guerra e odio, vivesse in una foresta una potente tribù di goblin. Quante analogie mostra il nostro oggi col mondo fantastico descritto dai Norvhar, ma soprattutto quante storie narrate dai sei svizzeri che trovano punto di contatto con la narrativa di J.R.R. Tolkien. Se devo segnalarvi il mio brano preferito, vi direi "Fields of Fate", la song più lunga (oltre 10 minuti) ma anche la più selvaggia del disco con punte di epico black sinfonico, sgaloppate iper veloci in stile Children of Bodom, un growling davvero furioso, parti arpeggiate, cambi di tempo da urlo, una discreta vena prog di scuola Opeth e una più preponderante matrice folk, e i giochi sono fatti per garantire la top song del cd che ha ancora tempo per chiudere con quella stessa voce narrante che aveva introdotto il disco, nella conclusiva "...to Ashes", e darci l'arrivederci alle prossime avventure targate Norvhar. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 76

https://norvhar.bandcamp.com/