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venerdì 6 dicembre 2024

Motorpsycho - Neigh!!

#PER CHI AMA: Psych Rock
Non sarà l'incompiutezza suggerita (e ascoltate il bridge strumentale della sfilacciata ma gradevole e slightly CrosbyS & Ney "Return of Sanity") o conclamata (nella sinistra e invero insignificante "Edgar's Bathtub") a sorprendere in questo (estrapoliamo direttamente dalle note nel sito ufficiale) "non-concept di tutti i concept (...), rifugio per tutte quelle parti che non sono state invitate al party - OK, funziona meglio in inglese - ma che si rifiutano di tornarsene a casa". E nemmeno il (peraltro divertente) giochino "indovina la frattaglia" (mettete "This is Your Captain" da qualche parte dentro a 'Gullible's Travails' e nessuno la prenderà mai più sul serio). Provate semmai a costruire una proporzione che metta nel giusto rapporto "Elysium, Soon", "The Crucible" (la canzone), questo 'Neigh!!' nella sua interezza, "Ozone Baby" dei Led Zeppelin, e gli stessi nel loro 'In Through the Out Door' senza scordarsi l'infedele ma fideistica "All My Life (I Love You)", misconosciuto singolo di un certo Skip Pence, anche primo batterista dei Jefferson Airplane. Sarà invece, forse, quel sound a metà strada tra i Kinks sotto anfetamina e l'electropunk dolente dei Morphine a cui hanno appena ammazzato il sassofonista, tutto così squisitamente graham-coxon-iano, e stiamo parlando del primo doveroso singolo "Psycholab" abbellito da una insospettabile tastierina manzarecchiana ("It's a party tune, ask Caligula", sono le parole di presentazione sempre dal sito ufficiale) ma soprattutto della nebulosa, eccellente "Crownee Says", così fangosamente glam eppure quintessenziale nel penetrare sotto la scorza di questo scorbutica e poco fascinoso 'Neigh!!'. Altrettanto eccellente ma clamorosamente fuori contesto la avvedutamente conclusiva "Condor", insinuante, riders-of-the-stormey e, a tratti, attitudinalmente Lynch-iana. (Alberto Calorosi)

(Det Nordenfjeldske Grammofonselskab - 2024)
Voto: 72

https://motorpsycho.bandcamp.com/album/neigh

giovedì 5 dicembre 2024

Misha Chylkova – Dancing the Same Dance

#PER CHI AMA: Electro/Shoegaze/Folk
Dopo una manciata di singoli, esce finalmente il full length di Misha Chylkova, compositrice sofisticata dalla voce vellutata e intensa. Il disco si muove a ripetizione tra cantautorato dalle sonorità attuali e un'elettronica minimale e cinematica. Loop ripetitivi e circolari fanno da veri e propri tappeti volanti, visto che l'artista londinese di origine ceca, sa costruire brani sognanti e intimi, con quel pizzico di malinconia che non scade mai nel banale, mostrando un lato intimo che non si cosparge di miele ma che, al contrario, incita alla dilatazione delle pupille in una costante ricerca di qualcosa che va oltre il definito, fin dal primo ipnotico brano strumentale, "Coffee". Difficile accostare Misha ad altri artisti; la sua musica, per quanto minimale, è ricercata e certosina, dalla pulizia del suono al bilanciamento dei bassi, la produzione è infatti assai buona e gioca un ruolo importante per poter assaporare l'intero lavoro. Sonorità moderne per un incrocio di stili difficili da focalizzare, forse la Chelsea Wolfe di 'Apokalypsis' e 'Birth of Violence', in una veste meno dark e più dreampop, un folk cristallino dalla vena grigia, per ascoltatori sognanti che non rimarranno impassibili di fronte ad un brano brillante come "Sparrows", che per certi aspetti mi ha ricordato la magia del suono dei Cigarettes After Sex dell'omonimo album, ma anche le ipnotiche sperimentazioni di Anna Von Hausswolff, in chiave meno apocalittica. La bella voce della Chylkova ha venature molto velate e dolci, che ricordano molto le qualità vocali di Tracey Thorn degli Everything but the Girl, mostrando una versatile capacità d'interpretazione, con cui sposta facilmente l'ago della bilancia tra folk ed elettronica, senza cadute di stile, con piccole toccanti ed ingegnose variazioni vocali sparse tra i brani, che ne aumentano il valore e la qualità ad ogni ascolto. "Dead Plants" è un brano killer che si muove sullo stile ritmico di anthems del calibro di "Atmosphere" dei Joy Division, anche se il brano non è così oscuro ma la sua progressione mette in risalto il fatto che tra le note di 'Dancing the Same Dance', esista anche un legame sonoro con certa new wave che ha fatto giustamente la storia. Questo disco nel suo sembrare, al primo ascolto, fragile e dispersivo, nasconde invece un carattere inquieto e variegato, con punte di sperimentazione non impetuose ma peculiari, pacate e curate, tra sonorità vicine ad un moderno post rock ed un fine tocco di musica elettronica d'ambiente. Un album che non si assimila con un solo ascolto, sarà necessario ascoltarlo più volte per carpirne la giusta essenza, magari di notte guidando in solitudine. Un album comunque, che merita e che conquisterà la vostra attenzione. (Bob Stoner)

lunedì 25 novembre 2024

Maverick Persona – In the Name of

#PER CHI AMA: Post Rock/Experimental Sounds
In quante occasioni ci siamo persi nel vasto mondo della musica pop internazionale, cercando qualcosa di interessante da ascoltare, senza mai guardare ai confini nazionali? Ecco, con il nuovo album dei Maverick Persona, vi renderete conto che l'album della "porta accanto" esiste e può avere un respiro internazionale, risultare intrigante e destare la vostra curiosità senza nemmeno passare per il mainstream, preconfezionato e molto spesso vuoto di spessore e idee (vedi ultimi Blur o simili). Il progetto dei due musicisti italiani, Amerigo Verardi e Matteo "Deje" D'Astore, esprime tra le sue note proprio questo, la volontà di essere liberi di creare musica per come la si intende, senza confini o condizionamenti. Infatti, in una intervista uscita al tempo del loro primo album, 'What Tomorrow?', dichiaravano quanto segue: "Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro". La magia di questo nuovo disco si misura proprio in questa libertà, e se ci si associamo i testi, cantati in lingua inglese, volti alla critica di una società al limite tra ipocrisia e decadimento culturale e sociale, il gioco è fatto. Il duo cita i generi electronic, experimental, psychedelic, pop, rock, spoken word, new jazz, world music e gli ingredienti ci sono tutti, e si srotolano con un enorme piacere di ascolto. "Somewhere We Have Landed" e "Underword Conspiracy" sorprendono per la maturità del suono, musica ad elevato impatto psichedelico ed emotivo ad ampio respiro internazionale, un elettro-ambient sofisticato, ma non solo; l'impazzito jazz di "Sirshka" e i sussulti new/acid jazz di "Where Are You", confondono ed ampliano gli orizzonti musicali. L'insieme dei brani mi ricorda le teorie ricostruttive di Bugge Wesseltoft in 'New Conception of Jazz' del 1996, aggiornate con rianimata verve e suoni di nuova provenienza, ma l'album nasconde anche tante stanze segrete tra le sue note, sentori di acido trip hop per "Try to Get the Sun", mentre per "Dreaming Laurel Canyon", come dice tra le righe anche il titolo, dream pop e drone, si fondono per donarci una vera e propria sensazione di volo. 'In the Name of' è un disco di palpabile spessore artistico, carico di sorprese, adatto ad un pubblico moderno, che ama il sound variegato, curato e dalla trama intelligente. Un disco che allieterà i vostri ascolti, portandovi anche alla riflessione in più momenti, perché la rivoluzione nel mondo passa anche da suoni che sembrano innocui e pieni di luce ma che in realtà esprimono tanta ribellione. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

giovedì 21 novembre 2024

Traum - S/t

#PER CHI AMA: Psych Rock
Il motorik esotermico "Kali Yuga" in apertura, possibilmente la traccia più atmosfericamente sludge dell'album, tinteggia scenari assolati e materici, immanenti e maestosi, roba da nu-scemenze stile Mad Max, forse per via della chitarra fuzz/osamente cosmica, o della batteria magmatica e incendiaria. Suggeriscono continuità, con un landscape, se possibile, di proporzioni ulteriori, la successiva "Vimana" e, a modo suo, anche la contrazione siderale di "Katabais", a generare un compendio sonoro psych-free ("Ummagumma/Zabriskie/iano") da gola secca e, in chiusura, il secondo motorik che introduce il retro del disco (come se i Kraftwerk di 'Karl Barthos' ascoltassero "Remain in Light" dei Talking Heads, annuendo in piedi davanti al PC, senza tralasciare i momenti psych-trance dei Motorpsycho anni '20 in "Inner Space") a comporre una sorta di cosmicissima suite frattale e decostruita. Da qui in avanti, gli indizi si fanno più radi e il percorso più ardimentoso. Tra le sonorità marcatamente ambient (il Vangelis di 'Spiral' o certo Jarre mid-ottantiano) ecco "Antartic Dawn" e "Erwachen" (che evoca anche i primi Sigur Ros e il Robert Fripp ante-Thrak, quindi in sostanza quasi tutto Robert Fripp), il dub elettrogeno e spavaldo di "Infraterrestrial Dub" e la conclusione onirica e fuzz/orchestrale affidata a "Eterno Ritorno", con tanto di campionamento pasoliniano sugli orrori del consumismo. D'altro canto, "Inner Space" è il nome che Holger Czukay diede allo studio di registrazione realizzato da lui medesimo. Traum, in tedesco, significa sogno. Alla fine tutto torna. (Alberto Calorosi)

(Subsound Records - 2024)
Voto: 75

https://traumofficial.bandcamp.com/album/traum

giovedì 3 ottobre 2024

O.N.O.B. - Viva! Underground (retrospettiva sotterranea)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
È successo di nuovo. Lo stravagante collettivo veronese dell'associazione culturale Teuta Gwened, è tornato sotto nuove spoglie. Un po' alla stregua dei Thee Maldoror Kollective, che a ogni album modificavano il proprio moniker, anche i nostri, che includono peraltro il buon Bob Stoner, si presentano sulla scena con differenti sembianze: Cardiac, Agatha, De La Croix, giusto per fare alcuni nomi delle varie incarnazioni, e oggi sotto questo intrigante acronimo, O​.​N​.​O​.​B. (Onirica Notturna Ostentazione di Bellezza), pronti a sfornare un nuovo lavoro, 'Viva! Underground'. Il disco consta di otto tracce che nascono ai tempi dello scioglimento dei Cardiac, e da lì ripartono sfoggiando suoni sperimentali, che si palesano sin dall'iniziale "Torture", song dotata di un riffing impastato su cui poggia un parlato quasi indecifrabile. Tutto assai normale direi, almeno fino a quando il ritmo viene alterato dal diafano poetico cantato di Betty che mi ipnotizza con le sue parole "...il tempo fa tic tac..." che si imprime nella mia testa e da lì non è più voluto uscire. La ritmica non è certo delle più raffinate, buono il lavoro di basso in sottofondo, ma ecco nulla di memorabile, perchè tutta la mia attenzione si focalizza sulla seducente ma al contempo sgangherata, voce della frontwoman, una sorta di italica Julie Christmas, forse meno rabbiosa della vocalist americana, ma sicuramente dotata di una buona dose di personalità. Con "La Madre, l'Inaspettato e l'Apocalisse, il sound dei nostri sterza verso sonorità più garage rock punk, coadiuvate peraltro da una porzione vocale decisamente più accessibile, un peccato, visto che ho adorato la prova della cantante nell'opening track. Il brano è dotato di una buona carica di groove, la voce di Betty è si qui calda ma le mie aspettative forse si erano troppo elevate. Con "Contessa" ci imbattiamo nella prima cover del disco, che ci riporta al 1980, quando quei Decibel, guidati da Enrico Ruggeri, la proposero al Festival di Sanremo. Il pezzo, riletto in chiave più moderna (e molto meno beat nel comparto tastieristico), mostra quella ripetitività marziale tipica della musica italiana di fine anni '70, dando sempre comunque rilievo alla vocalità della brava cantante e a un brano che vede una brusca accelerazione nel finale. Con "Destino" si torna a esplorare territori oscuri di punk sperimentale: buona la ritmica (ma tenete presente che la produzione Lo-Fi ne penalizza notevolmente l'acustica) che esalta costantemente la pulsione del basso, a discapito delle chitarre; eccellente ancora una volta la prova vocale, che sembra tenere a galla le velleità artistico-sperimentali degli O.N.O.B. "Anima Sbagliata" è un mattone di oltre 10 minuti che ci trascina in ambientazioni da film horror, che per certi versi mi hanno evocato alcune cose proprio di quei Thee Maldoror Kollective che avevamo citato inizialmente e del loro ultimo 'Knownothingism', complice la voce irrazionalmente espressiva della frontwoman, che ci accompagna fino a un certo punto, prima di abbandonarci in sonorità lisergico-catartiche davvero ispirate, che sfoceranno addirittura in un assolo dalle tinte psych rock. Il disco ha ancora modo di offrirci altre piccole chicche: dal noise rock di "Agli Occhi degli Uomini" alla più sghemba "Ombre", che chiuderà il disco, passando attraverso la seconda cover del disco, la più normale e rockeggiante "Diversa", a firma The Underground Frogs. Un disco quello degli O.N.O.B., in grado di esaltare la filosofia del DIY e farci potenzialmente ampliare nuovi confini della nostra mente. (Francesco Scarci)

giovedì 2 maggio 2024

Bloody Sound – Sound Bloody Sound

#PER CHI AMA: Alternative Rock
La marchigiana Bloody Sound Record, per festeggiare i sui vent'anni di attività discografica in nome del più arcigno concetto "do it yourself", ha collezionato una raccolta di 14 tracce inedite estratte dai lavori dei tanti artisti del proprio rooster, passati nei corridoi sonori fin dal 2004, e inglobandoli in una raccolta molto interessante e intelligentemente confezionata, che porta il titolo mirato di 'Sound Bloody Sound', ovvero lo stesso della prima compilation fatta uscire appunto nel 2004, quando l'etichetta era ancora una fanzine. Calcolando il vasto territorio del suo patrimonio sonico, l'ambiente musicale trattato è alquanto variegato, e spazia dal punk alternativo dei Lleroy, per arrivare alle sperimentazioni dei Saturday Night Dengue. Da questa etichetta che conta uscite di artisti assai quotati, tra cui OvO, Fuzz Orchestra e Jesus Franco and the Drogas, salta fuori una compilation che si fa ascoltare con tanto interesse dal primo all'ultimo brano, passando per punk, alternative, afro jazz, hip hop contaminato, elettronica, ambient e avanguardia. Si parte con "Cilicio", brano esplosivo degli ottimi Lleroy, per continuare con un'altra bomba che scuoterà le folle, il brano "Borgobio" di Zolle, a cavallo tra l'alternative e quel modo di intendere il rock potente, in aggiunta al glam dei Turbonegro. Di seguito i già citati Saturday Night Dengue, sperimentali, quanto l'interessante canzone di Esseforte, tribali ed etnici i primi, hip hop dal suono singolare con influenze elettro jazz il secondo. Māyā ci parla con morbida verve psichedelica; psych più elettronica invece per la coppia Mattia Coletti/Marco Bernacchia in "Night Monk", più rumorosa a tratti la proposta dei Kaouenn, mentre più luminosa quella di Terenzio Tacchini in "Plein Air". Scansionando il tutto a settori musicali e non nell'ordine di scaletta del disco, si passa poi al lato più sperimentale d'ambiente, sulla falsa riga di soundtrack ispirate e visionarie, come quella di Loris Cericola ("Tutto Tondo" sarà uno dei miei brani preferiti) o l'inconfondibile stile chitarristico del noto musicista/produttore, Bruno Dorella con la sua strumentale, cupa e desertica interpretazione del brano "Ghost Wolf". Tonto presenta una canzone dal taglio elettrodub, peraltro bella coinvolgente ma la mia attenzione cade sulla bella traccia dei Sapore, che trovo deliziosa, dal canto stregato e dalla sua sonorità astratta, acida e ipnotica. Gli Heat Fandango ci regalano una bella performance, con la loro "Giro di Giostra", al limite tra '60s garage e rock italiano, assai godibile, che riporta l'ago della bilancia verso il rock più sanguigno e nervoso che si va a incanalare perfettamente a "Sea of Darkness" dei CUT, cult band bolognese in corsa nel circuito rock da parecchio tempo. Un elenco esteso ma dovuto per cercare di darvi un motivo valido per addentrarsi in una compilation di questo tipo, compito che molti ascoltatori stupidamente, saltano volentieri a piè pari. Il bello di questa collana di titoli, è proprio il gusto musicale che fa da filo conduttore, e si muove in perfetta sintonia tra brani molto diversi tra loro, riuscendo a tessere una trama credibile e di qualità, che aiuta l'ascoltatore ad appassionarsi al disco, traccia dopo traccia. La Bloody Sound ci ha fatto proprio un bel regalo per festeggiare i suoi primi vent'anni di musica alternativa, con la release peraltro disponibile in cassetta, cd deluxe handmade a tiratura limitata, e ovviamente in formato digitale. L'ascolto, a questo punto, direi che è doveroso. (Bob Stoner)

mercoledì 3 aprile 2024

Lato - Karisma

#PER CHI AMA: Indie Psych Rock
Onde d’acqua circostanziale. È "Soul of Blood". Un suono che si trasforma in concentrici cerchi vitali. Ed è improvviso quanto imperante l’incipit dell’album, con quel graffio di elettricità strumentale a breve trasformata in una risacca cantata. Se amate l’acqua pura e i suoi abissi incantati, addentratevi in questo mare apparentemente calmo. Questa prima song dei milanesi Lato parte con la sinuosità dell’acqua che preda sia l’ascolto che l’empatia distorsionale del cantato. Muoviamoci poi verso "Certainty and Disenchantment", secondo pezzo incluso in questo 'Karisma' (che dovrebbe essere anche il secondo disco per la band italica). Stride l’esordio del brano. Picchia forte. Graffia gole arse. E poi inizia quel cantato che scalda improvvisamente. Direi una versione futurista di Jonny Cash, ma senza le tipiche inflessioni country. Il pop si mescola in una disillusione dell’attesa. Funziona bene. Anzi molto bene. E mi ritrovo trepidante. La terza traccia sarà diffratta dalle precedenti? A voi "Millions of Us", che non risparmia l’usura delle corde metalliche in un riff piuttosto accattivante, reiterato, ricco di mordente. Il fondo del brano è sempre mosso, come sballato sistematicamente da sonorità etnico percussionali, morbide. Entra il pop della voce, ma anche quello che credo sia uno stralunato sax. Non posso fare a meno di sentire rimembranze anni '90. Per una attimo sono tornata agli U2 e alla loro "Achtung Baby", ma ne siamo comunque lontani. Approvato il presente nel passato. Ma veniamo al momento oscuro del disco con "Stars Spangling". Un treno d’altri tempi sbuffa ritmicamente. E poi arriva alla stazione dolcemente. Il brano dondola in una bolla di zucchero. La voce accarezza lasciando piccole ferite tra pelle e anima. Il ritornello vorrebbe spaziare, ma accompagna. In quattro parole. Una song piacevolmente sospirante. Spezziamo la malinconica dolcezza con "Triangular". Si, perché questa song è distratta, ipnotica, e dal taglio alternativo. Posso farvela immaginare come una danza sinuosa, a tratti spinta, ma mossa da abbandono e utopia. Una traccia per dimenticarsi di se stessi, ascoltandola e riascoltandola. Elettronica, strusciante, digitale. Parte la robotica "Hole in My Head". Solo il cantato ci fa aggrappare alla realtà, mentre la base ritmica potrebbe collegarci a un gioco della Playstation. Ascoltiamo poi la robusta "Diamonds". Torna un indie pop, spaccato a metà strada tra gli Oasis e quel post punk da pub underground londinese, ove ballare e isolarsi dalla realtà, e null'altro. Arriviamo al penultimo pezzo con "Deep". La traccia parte da lontano con una lunga e tiepida carezza, e prosegue in pallide nuvole senza pioggia. È cupa, eppure non porta pioggia. È vento, eppure le foglie sono immobili. È malinconicamente emozionante eppure invisibile in un sospiro in cui la si può solo sentire, ma non vedere. Un climax emozionale in cui è la voce a guidarci nel buio. Chiudiamo l’ascolto di 'Karisma' con "Dancing with Decadence". Armonica e la voce suadente del frontman. Nostalgia e consapevolezza. Stile e coraggio. Avvolgente e caratterizzante questo album. Un incontro di suoni e voci che spezzano, accarezzano, avvolgono, sfiorano, giocano con noi. (Silvia Comencini)

martedì 19 marzo 2024

Above The Tree & Drum Ensemble Du Beat - Afrolulu

#PER CHI AMA: Psych/Noise/Indie
Quanto di nuovo ci sia in questo secondo album degli Above The Tree & Drum Ensemble Du Beat, album che arriva esattamente dieci anni dopo al loro debutto, lo lascio al libero arbitrio degli ascoltatori. Il fatto che sia un buon disco non lo metto nemmeno in dubbio, d'altra parte la band è composta da musicisti navigati ed esperti, ma trovo che gli manchi qualcosa per aprire una breccia nei cuori del pubblico contemporaneo, non per sua mancanza propria, ma perché penso che questo tipo di sound sia tanto nostalgico e di rimando ai concetti sonori che animavano a suo tempo, i Banco de Gaia, che oggi per i più, potrebbe risultare purtroppo poco attraente. L'intuizione di un suono analogico con il sodalizio tra vibrazioni retrò e psych, che ricordano alcune pagine scritte ai tempi d'oro della musica afrobeat degli anni '70, saranno apprezzate solo da persone esperte in quest'ambito musicale, e da chi come me, ama riscoprire questo tipo di sonorità. Analizzandone il lato più sperimentale dei brani, ci rendiamo conto che 'Afrolulu' gode e soffre delle stesse virtù del suo suono, lasciandoci stupiti per quei suoi ritmi e canti rituali tipici del continente sub-sahariano, condito da percussioni e riverberi che possono ancora destare qualche sorta di effetto sulla nostra conoscenza musicale, dopo la scomparsa della prima ondata della musica trance, quella più ipnotica e cerebrale, quella che mostrava ancora segni di intelligenza. Quindi i brani "Bufalo" e "Lagos", giocano facilmente la carta etnica e nostalgica, mentre "Talker X" si abbandona al flusso d'ispirazione lavorando sulla falsariga di cose apparse sullo splendido album 'Deceit' dei This Heat, mentre "Fc Lampedusa", e infine "Sabbie", si espongono a un suono più sperimentale, che se godesse del potere di certo Hi-Fi, potrebbe gareggiare con le uscite "high-tech" della Ultimae Records. Un disco quindi cerebrale che al primo ascolto risulta ostico, ma che a un ascolto più approfondito, mostra una saggezza psichedelica fuori dal comune e anche aspetti krautrock in più occasioni. Un album liturgico nel segno di 'Freeform Flutes & Fading Tibetans' dei già citati Banco de Gaia, per un bagno ipnotico, suoni familiari, e costruzioni che si dissetano nel mare del già conosciuto e sentito, ma che sprigionano nell'ascoltatore un cosmo di allucinogene fughe dalla realtà, un allargamento sonico della propria percezione temporale. Un viaggio sonoro in un mondo primordiale immaginario, a cui vale la pena partecipare, costellato di mille rimandi, dai campionamenti vocali delle voci di Malcom X e Martin Luther King, fino ad arrivare ai canti tradizionali africani. Musica fatta con un cuore d'altri tempi. (Bob Stoner)

venerdì 8 marzo 2024

Monoscopes - Endcyclopedia

#PER CHI AMA: Psych Rock
Devo ammettere che mi sono sempre piaciute queste band ispirate dalla neo psichedelia, e il loro rifarsi, come nel caso dei Monoscopes, alla musica dei La's, è un toccasana. Quel modo di fare arte, tipico di questo genere musicale, di essere omogenei e coerenti con la propria musica, col rischio di risultare costantemente fuori moda, anche quando negli anni '90, le band potevano vantarsi di un buon seguito e il look e il taglio di capelli alla Tim Burgess, era trendy per i teenagers più scaltri di allora. Non griderò al miracolo per questa nuova band patavina, che per i miei gusti personali, rimane sempre un po' troppo alla larga dall'essere sonica e lisergica in maniera pesante, ma non posso negare che riesca a creare degli ottimi brani, cantabili e cristallini, e ben confezionati, con gusto e capacità, ripercorrendo le terre della neo psichedelia virata al pop d'autore e al folk. Poco contano le relazioni con Travis o in ambito folk rock, ai Camper Van Beethoven al netto del violino, o come dicono loro stessi, con il lato più morbido dei Velvet Underground, i Monoscopes, non tradiscono chi cerca questo tipo di sound, morbido e luminoso, contornato anche dai due bei video psichedelici di "Hey Atlas" e "The Electric Muse", usati per il lancio di questo nuovo disco. Per cercare di descrivere l'opera dei Monoscopes, aggiungerei un tocco della scena psych australiana con echi lontani alla The Dream Syndicate, un'andatura sempre moderata delle composizioni, con poche e controllate deflagrazioni soniche, nello stile dei The Third Sound, e una linea costante di rock evoluto e maturo. Se mi è concessa una critica, direi che l'approccio così soft del cantato, in alcune parti andava trattato con una mano più pesante a livello di effetti, per renderlo più interstellare: è il caso di "The Maker", dove la voce mi sembra troppo normale nei confronti delle incursioni di chitarra noise presenti nel brano, mentre in "This Silly Night", dove un leggero effetto eco si rivela ideale, per rendere una ballata standard, in una passeggiata lunare di scuola Mercury Rev. Questo è solo un punto di vista di un eterno innamorato dei suoni lisergici, e non cambia la mia idea sul fatto che 'Endcyclopedia', sia a tutti gli effetti un buon album, ricordando peraltro l'importante partecipazione di Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, di Francesco Candura dei Jennifer Gentle e di Paolo Mioni al basso in "Today Today Today". Nota di merito per "It's a Shame About You", che sembra un brano tra Swirlies e Weezer d'annata, con quel superbo tocco garage, vintage e retrò, proprio una splendida canzone. La ballata "The Thinghs That You Want to Hide", con appunto Cerasuolo come ospite, risente chiaramente della sua influenza, ha la luminosità e il fascino del sole in una giornata d'inverno, per una canzone che ti obbliga a dilatare le pupille verso l'infinito, mentre la conclusiva "Today Today Today", riporta l'orecchiabilità e il suono del paisley underground all'attenzione delle masse. "You're Gonna Be Mine", rilasciando una formula di suono più corposo e saturo di distorsione e reverberi, rimanda piacevolmente il mio udito ai gloriosi fasti dei mai dimenticati The Wedding Present, per un'altra affascinante emozione sonora. Disco da scoprire nei suoi sofisticati rimandi, nei suoi tanti cunicoli musicali nascosti. Vietato fermarsi al primo ascolto e da evitare l'ascolto a basso volume. (Bob Stoner)

(Big Black Car Records - 2024)
Voto: 74

https://monoscopes.bandcamp.com/album/endcyclopedia

martedì 6 febbraio 2024

The Cosmic Gospel - Cosmic Songs For Reptiles In Love

#PER CHI AMA: Psichedelia/Indie Rock
Nel valutare il primo full length dei The Cosmic Gospel, mi sono trovato in difficoltà, per la difficoltà nel dargli una giusta collocazione. Si tratta infatti di un album pieno di belle sonorità, ricercate con dedizione nei cassetti della psichedelia del passato, ma le derivazioni sonore, per quanto efficaci e rieducate a dovere in ambientazioni più moderne, di scuola lo-fi, non lasciano molto spazio a un'autentica originalità. L'amore per i The Beatles più allucinati è palese, basti ascoltare "The Richest Guy On The Planet Is My Best Friend", e in parallelo esiste anche una certa devozione, come annunciato dal polistrumentista di Macerata, unico responsabile del progetto, per Damon Albarn, Beck e Donovan, con il sound cosmico di "Hurdy Gurdy Man" e quella velata felicità dai toni pacati, a tratti malinconici, coperti da una finta spensieratezza esistenziale, tipica dei '60s o dell'album 'Odelay' del già citato Beck. Questo approccio in stile power flower, dona a giusta ragione, un'immagine d'artista completo, e mette in evidenza un amore viscerale per un certo tipo di psichedelia, fino a renderlo, anche se solo sporadicamente, ossessivo. Il musicista italico trova quindi sfogo tramite questi otto brani solari, dal taglio psych folk, ipnotici e molto space rock oriented, creando cosi un album colorato, curato e ben confezionato, quasi perfetto, che nel suono dei synth di "Core Memory Unlocked", oppure in quello di "Hot Car Song", trova la sua collocazione ideale. Il disco è interessante e vivace, eppure soffre del fatto che in taluni frangenti, sembra incombere il pericolo di ricordare in qualche pezzo, altri artisti o composizioni famose. Questo non è un male assoluto ma crea nel sottoscritto un certo sconcerto, un dubbio atroce sul come giudicare quest'opera, se un capolavoro o una normale buona replica di musica del passato. Quello dei The Cosmic Gospel è sicuramente un buon progetto che lavora al di sopra della media dando vita a una musica surreale, pop e dal gusto vintage, avvalendosi peraltro di nuove e moderne tecnologie di registrazione, con eccellenti esiti di produzione, e sono sicuro che il passo futuro sarà ancora più articolato e personalizzato, in un ambiente non certo facile come quello della psichedelia. Mi piace il coraggio della proposta di questo musicista che impugna i The Beatles come gli EELS, cercando di fonderli assieme e lo immagino proiettato nel raggiungere il cosmo, inspiegabile e floreale, del genio di Julian Cope, magari sulla scia del suo ultimo album 'Robin Hood', dello scorso anno. Un disco da assaporare lentamente, sposandone l'ottica derivativa ma anche assaporandone le sfumature di colore e luce che vi sono nascoste tra le note delle sue composizioni. Un album che ha dei centri di gravità permanenti molto definiti ma al tempo stesso ben rimescolati tra loro, per un consigliato, gradevole ascolto, ovviamente al limite dell'allucinogeno. (Bob Stoner)

sabato 16 dicembre 2023

Vokonis - Exist Within Light

#PER CHI AMA: Stoner/Psych Rock
Un po' di sano stoner con gli svedesi Vokonis che con 'Exist Within Light', ci stanno fondamentalmente dicendo di metterci comodi, che dopo le tre canzoni di questo EP, arriveranno anche quelle di un nuovo quinto lavoro, che verosimilmente uscirà nel 2024. E allora godiamoci il sofferto esempio di stoner doom dei nostri, che si arricchisce qui di ulteriori influenze. L'iniziale "Houndstooth", oltre ad evocarmi un che dei primi Baroness/Mastodon, mostra una prepotente ritmica rabbiosa nella sua seconda parte che va a braccetto con le growling vocals della gentil donzella Simona Ohlsson, che nella parte più pulita sembrerebbe in realtà un uomo, mah. Comunque, la proposta dei nostri si fa ancor più obliqua, e dalle venature progressive nella seconda "Revengeful", che oltre a mostrare ritmiche poco lineari, si conferma super sghemba anche nella componente solistica. Il suono per quanto più caustico e forse più difficile da digerire, sottolinea la progressione sonora dei nostri, dovuta anche ai vari cambi di line-up. Ma il terremoto in casa Vokonis non sembra aver minato le qualità del quartetto di Borås. In chiusura, la lunga title track mostra il lato più psichedelico dei nostri (anche a livello vocale), che mantiene comunque ancorati i capisaldi ritmici nello stoner, per una performance soddisfacente che potrebbe addirittura portare nuovi fan alla band scandinava. Ora non ci resta che attendere i nuovi sviluppi con l'iiminente Lp. (Francesco Scarci)

(Majestic Mountain Records - 2023)
Voto: 70
 

martedì 28 novembre 2023

Turangalila - Lazarus Taxa

#PER CHI AMA: Psych/Post Metal
Li avevo recensiti un paio di anni fa con quel sorprendente 'Cargo Cult', che delineava una band in preda a psichedelici slanci math/post rock. Li ritrovo oggi con un nuovo lavoro, 'Lazarus Taxa', e una maturità artistica rinnovata che sottolinea l'eccellente stato di forma della band barese. Dieci nuove tracce quindi per assaporare ancora quell'irrequietezza di fondo che permea il sound del quartetto pugliese, che si materializza immediatamente con le soffuse ma granitiche melodie shoegaze dell'introduttiva "Wow! Signal", un pezzo che in un qualche modo, sembra evocare quel post metal che avevo descritto nell'ultima "Die Anderen" del precedente album. Un pezzo timido che lascerà ben presto il posto a "Neopsy" e a una ritmica potente ma forte di una linea melodica più dinamica e coinvolgente, che si muove comunque in un'alternanza tra sonorità più fluide e altre più oblique che giocano, non poco, a disorientare l'ascoltatore. Effetto quanto mai recepito durante il mio personale ascolto di questa song, cosi incisiva e ipnotica, e convincente soprattutto a livello vocale. Soffice invece l'approccio offerto in apertura della spettrale "Ugo", dove un senso onirico perdura fino a quando i nostri non decidono di aumentare il numero dei giri, in una strategia musicale che vede una successione ritmica tra atmosfere più pacate e altre più movimentate, dove peraltro a palesarsi, c'è anche una sezione d'archi. Suggestiva non c'è che dire, anche nella porzione più rabbiosa nel finale che ci introduce alla più nevrotica "P38", traccia che si muove tra ritmiche sincopate e vocals eteree, altro effetto che potrebbe essere confondente a chi approccia la band per la prima volta. Ma questo è ciò che vogliono trasmettere i Turangalila, ne sono certo: in "Antonio, Ragazzo Delfino" la band ci scuote con una ritmica di tooliana memoria, anche se ad un certo punto (verso il terzo minuto), il sound diviene più lisergico nelle sue deliranti e ossessive linee di chitarra. Ancora tanta sofficità nelle note sognanti della title track, almeno fino a metà brano, quanto farà capolino l'asprezza delle chitarre che per 50 secondi ringhiano come lupi inferociti, ma che successivamente ci accompagneranno in incorporee atmosfere ultra sensoriali. "Reverie" è una schiva (e stranita) strumentale traccia arpeggiata che tuttavia sembra cullarci in modo psicotico, prima di un'altra breve song, "A Pilot With No Eyes", che sembra lontanamente odorare di un che dei Neurosis più sognanti. Lo sludge più torbido e melmoso di questi ultimi si fa più evidente nelle note di "To The Boy Who Sought Freedom, Goodbye", costituita da atmosfere dense e dilatate al tempo stesso, esplosioni convulsive e spasmodiche e rallentamenti angoscianti, che la innalzano quale brano più strutturato del lotto e anche mio preferito, e dove, i vocalizzi del frontman abbandonano la componente shoegaze per abbracciare quella più pulita e profonda del buon Scott Kelly. A chiudere ci pensa un ultimo buffetto sul viso, ossia le delicate note strumentali (con tanto di malinconico sax) di "Jisei" che fissa nuovi ed elevati standard artistici per i Turangalila. (Francesco Scarci)

(Private Room Records - 2023)
Voto: 78

https://turangalila.bandcamp.com/album/lazarus-taxa

domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

giovedì 5 ottobre 2023

Hemina - Romancing the Ether

#PER CHI AMA: Prog Rock
Ho letto un po' di tutto su questa navigata band australiana, chi li accosta al Devin Townsend Project, chi li avvicina ai Dream theater, chi li vuole con impulsi djent. Io, semplicemente, resterò fedele al mio istinto da ascoltatore per cercare di farvi crescere la voglia di avvicinarvi ad un album assai complesso e vivace, il quinto lavoro degli Hemina, 'Romancing the Ether', che già dal titolo e dall'artwork di copertina, vagamente hippie, invita alla fuga cervellotica senza nessun pregiudizio musicale. Partiamo col dire che è un'opera enorme dal punto di vista della quantità sonora che vi troviamo al suo interno, la band suona da manuale e le doti traboccano in eccesso, le melodie straripano e l'alto minutaggio dei brani a fatica riesce a contenere il flusso di idee che il quartetto australiano ha messo in campo per comporre questo disco. Gli Hemina sono una sorta di band d'altri tempi, poichè nelle loro composizioni, non nascondono un amore immenso per il retro rock di matrice progressiva, l'hair metal più complesso come quello dei sottovalutati Tychetto, e l'AOR ovvero Adult Orient Rock, un genere pieno di variegate influenze, mai troppo pesante, melodicamente ineccepibile, sempre orecchiabile e suonato da musicisti altamente qualificati, sottovalutato dal pubblico medio, apprezzato da una valanga di musicisti, intenditori e addetti ai lavori. Avvicinarsi al mondo di questo disco vuol dire quindi calarsi in un cosmo musicale che varia dall'universo degli Styx o dei Journey, per arrivare in punta dei piedi per i Coheed and Cambria e i conterranei Closure in Moscow, ovviamente per quanto riguarda il lato più moderno del sound, rivisitando i giustamente già citati Dream Theater, soprattutto prendendo spunto dal loro lato più romantico. Metteteci dentro anche che, per romanzare l'etere, gli Hemina si sono calati in una forma di psichedelia che si addentra in luoghi sconsacrati al rock, come la dance elettronica intelligente della EDM, anticipata al minuto 22 circa della lunga suite iniziale che dà il titolo all'album, da un intro etnico, dal sapore orientaleggiante, che richiama niente meno che, le sperimentazioni cosmiche degli Ozric Tentacles, e se si ha il tempo di chiudere gli occhi per 35 minuti filati, difficilmente si potrà non notare la passione per le doppie voci in falsetto o la maestosità fatta rock dei Toto o dei Supertramp (tipo quelli di 'Crisis? What Crisis?' del 1975), amalgamati da una voce spettacolare che con la sua estensione canora, imprigiona l'ascoltatore al disco, una performance vocale dinamica vicina al timbro vocale di Brandon Boyd degli Incubus e James Labrie. "Strike Four" continua con la magnificenza dei Dream Theater, e con una chitarra che si mette in bella mostra tra una melodica ballata di pianoforte e la voce di Douglas Skene, sempre in ottima evidenza. Un sound maestoso ad ampio respiro per 10 minuti di puro melodico rock suonato in maniera emotiva, con accenni di pesanti ritmiche di natura metal e una fluidità d'ascolto di una classe superiore. "Embraced by Clouds" parte con la voce femminile, che già aveva fatto la sua comparsa nel primo brano, a cura della bassista Jessica Martin che sfodera molte similitudini con gli ultimi lavori degli Anathema, ma senza perdere la propria originalità. Gli Hemina fondono il loro sound con un pungente, raffinato e moderno hard rock, e altri spunti di pesante metal, trafitto da innesti di tastiere progressive, assoli importanti e non ultimo, il canto corale di vecchia scuola Yes, e proprio per non far mancare niente alla tela di questo quadro multicolore, una lunga coda romantica cantata in maniera splendida a due voci, che farà felici gli amanti delle parti più melodiche dei Dream Theater. Il brano che chiude i circa 63 minuti dell'album è "Revelations", il più corto del disco, che riporta la band in territori di rock da grandi arene, di grande apertura, arioso e luminoso. 'Romancing the Ether' alla fine è un album che abbisogna di svariati ascolti per essere compreso appieno, è un disco che ha una veste progressiva, ma vanta un'anima, uno smalto e un vigore, più vicini alla rock opera, con tutti crismi del caso, nessun tipo di aggressività musicale ma tanta energia e virtuosismo, romanticismo tangibile, tecnica sopraffina ma nessuna traccia di rock urticante, maligno o nervoso. Un disco d'altri tempi come detto nelle prime righe, una lunga carrellata che non stanca, vivace, solare e pieno di tecnica strumentale e vocale, che sottolinea le alte aspettative di questa band, in termine di composizione ed esecuzione, un lavoro che non tutti apprezzeranno visto le sue doti atipiche, per sound e costruzione, un'opera che farà tuttavia la felicità di quelli che il rock lo vogliono pulito e di qualità. Una o meglio, più di una completa immersione d'ascolto, per questo album è vivamente consigliata. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 80

https://hemina.bandcamp.com/album/romancing-the-ether

domenica 17 settembre 2023

Palmer Generator - Ventre

#PER CHI AMA: Instrumental Psych/Math Rock
È il terzo lavoro dei Palmer Generator che mi appresto a recensire. Dopo lo split con i The Great Saunities e l'album 'Natura', eccomi qui a parlarvi oggi di 'Ventre', quinta fatica della famiglia PG (vi ricordo infatti che i membri della band marchigiana sono padre, figlio e zio). Ancora quattro i pezzi che compongono questo disco (come fu per 'Natura') per una durata complessiva di 39 minuti, quindi pronti per delle mezze maratone musicali? È un inizio comunque lento ma progressivo quello del trio di Jesi, con le melodie di "Ventre I", un pezzo di quattro minuti e pochi spiccioli, di sonorità ipnotico-strumentali, che ammiccano a destra e a manca, a tutte quelle che rappresentano palesemente le influenze musicali dei nostri, dal psych-math rock, al noise e il post rock. Non manca quindi niente per chi è avezzo a questo genere di suoni, che in questo caso, si confermano comunque tortuosi e un po' ostici da digerire nelle loro oscure dilatazioni spazio-temporali. Se il primo brano ha una durata "umana", già con "Ventre II" ci dobbiamo preparare a 10 minuti di sonorità più psichedeliche: l'apertura è affidata ad un semplice ma disturbante giro di chitarra che per oltre 120 secondi riesce nell'intento di intorpidire le nostre fragili menti. Poi parte un riffing circolare, dal mood un po' introverso, che continuerà un'opera di rincoglionimento totale per dei cervelli già comunque in panne. Lo dicevo anche ai tempi di 'Natura' che i suoi suoni ridondanti ci trascinavano in un vortice sonico da cui era difficile uscirne integri mentalmente, non posso far altro che confermarlo anche in questo nuovo disco, che trova comunque modo di stemperare i suoi loop infernali con porzioni sonore più oniriche, come quelle che aprono "Ventre III", una montagna da 15 minuti da scalare, riempita in realtà nei suoi primi cinque giri di orologio, da una blandissima spizzata strumentale che va tuttavia lentamente crescendo, irrobustendosi, e al contempo dilatandosi e diluendosi in strali psichedelico-siderali (mi sembra addirittura di udire una sorta di vento galattico dal decimo minuto in poi) che si dissolveranno in suoni dronico/ambientali nei suoi ultimi tre minuti. In chiusura, i nove minuti di "Ventre IV" che gioca su una robusta altalena sonica di "primusiana" memoria, tra giochi in chiaroscuro di basso, chitarra e batteria che approderanno ad un flebile e compassato atmosferico finale. Bella conferma, senza ombra di dubbio. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fuctory - 2023)
Voto: 75

https://palmergenerator.bandcamp.com/album/ventre 

sabato 15 luglio 2023

Hex A.D. - Delightful Sharp Edges

#PER CHI AMA: Heavy Prog Rock
Se la Norvegia negli anni '90 rappresentava il luogo là dove il black metal è nato, oggi lo stesso splendido paese scandinavo è diventato sinonimo di sonorità progressive. L'ho già detto più di una volta, lo ribadisco oggi in occasione dell'uscita del sesto album degli Hex A.D., 'Delightful Sharp Edges', un disco peraltro focalizzato su un tema davvero straziante, il genocidio, dall'Olocausto degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale, al massacro dei Tutsi in Rwanda, per finire con la persecuzione e genocidio dei Rohingya in Birmania. Un tema molto pesante che viene affrontato attraverso questo concept album suddiviso in tre parti narrative, che conducono l'ascoltatore in un viaggio della memoria davvero complicato da digerire liricamente parlando. Il disco si apre con la lunghissima (quasi 13 minuti) "The Memory Division" ed una proposta che si muove tra il prog e l'heavy rock, chiamando in causa mostri sacri della storia, da Uriah Heep, Thin Lizzy e Black Sabbath, combinando un innumerevole numero di influenze, generi e stili, da un utilizzo massivo di synth e tastiere, dotate di una spinta psichedelica ad un approccio hard rock oriented. Il brano è sicuramente complesso e forse necessita di molteplici ascolti per essere assimilato e capito appieno. Molto più semplice invece l'ascolto di un brano classico come potrebbe essere "Murder in Slow Motion", che non inventando nulla di che, ci investe con il suo hard rock graffiante in pieno stile settantiano. "...By a Thread", nel suo lungo e patinato acustico d'apertura con tanto di voci effettate, rievoca poi gli ultimi Opeth. Con l'ingresso di batteria e percussioni, queste danno una bella sterzata al sound, che evolve poi nei suoni spiazzanti di quel treno che deportava gli ebrei nei campi di concentramento. Cosi inizia "Når Herren Tar Deg I Nakken", un brano dalle atmosfere sinistre, inquietanti, sorrette da una voce che sembra dare delle istruzioni ai nuovi ospiti di quel campo di concentramento, mentre la musica si muove tra riff pesanti e suoni di hammond. "Radio Terror" attacca con un flebile sound, una chitarra che sembra più un grido di dolore, mentre la voce del frontman si presenta qui più delicata rispetto ad altre parti. E poi ecco entrare in scena delle percussioni tribali a stravolgere un po' tutto con un incedere che potrebbe stare a metà strada tra Pink Floyd e Blue Öyster Cult, in quello che reputo essere il miglior pezzo del disco. Non siamo nemmeno a metà disco (la brevissima "St Francis" è giusto a metà) ma rischierei di dilungarmi esageratamente nel raccontarvi questo 'Delightful Sharp Edges'. Mi limiterò pertanto a suggerirvi un altro paio di pezzi, anche se devo ammettere che la seconda metà del disco non sembra essere altrettanto convincente quanto la prima, in quanto suona più deboluccia, complice la presenza di un paio di brevi tracce, per cosi dire, accessorie. A salvarne l'esito c'è però la splendida "The Burmese Python", in grado di emanare un feeling di grande impatto, evocando una sorta di improbabile mix tra Pink Floyd e Green Carnation. Un buon lavoro, non c'è che dire, ma che necessita di una certa attenzione e sensibilità per essere realmente apprezzato al 100%. (Francesco Scarci)

lunedì 10 luglio 2023

The Sun or the Moon - Andromeda

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Era l'agosto del 2021 quando recensivo 'Cosmic' dei tedeschi The Sun or the Moon. A distanza di due estati, eccomi con il comeback discografico dei nostri in mano, 'Andromeda'. I nostri ci ripropongono, ancora attraverso un tema di tipo cosmico, il loro ispiratissimo connubio tra kraut rock e psichedelia, spingendoci indietro nel tempo di quasi 50 anni. Si perchè anche questo lavoro, come il precedente, affonda le proprie radici musicali, in band baluardo di quelle sonorità, Pink Floyd, Tangerine Dream, Ozric Tentacles e Hakwind, giusto per fare qualche nome qua e là a casaccio. E "Operation Mindfuck", che sembra fare il verso a 'Operation Mindcrime' dei Queensryche, in realtà si muove su fluttuanti sonorità oniriche, con tanto di sensuali percussioni che ne guidano l'ascolto interstellare, verso galassie lontane, e la voce del frontman a deliziarsi con vocalizzi puliti e delicati. Con "Psychedelik Kosmonaut", le cose cambiano drasticamente (ma sarà la sola traccia del disco a scostarsi cosi violentemente dalle altre) con una proposta più incalzante, come se i Rammstein suonassero cose dei Kraftwerk in versione più danzereccia, e con le voci in lingua madre, a sancire il senso di appartenenza a questo genere. "Planet 9" nuovamente imbocca la strada dell'opening track, tra lisergiche atmosfere rilassate, pulsioni cosmiche, suggestioni prog e aperture jazzy, con flauto e pianoforte veri punti di forza di un brano che sembra frutto di pura improvvisazione. Anche "Andromedan Speed Freaks" prosegue su binari affini, anche se a metà brano irrompe un robustissimo riff di chitarra, per poi successivamente rientrare nei ranghi di un sound cosmico, composto ed illuminato, pronto ad accompagnarci nelle esotiche contaminazioni di "The Art of Microdosing". Una song quest'ultima, che riassume nella sua interezza la proposta dei teutonici, che vede chiamare in causa anche i Cosmic Letdown in quelle parti più orientaleggianti, e che peraltro, nelle sue fosche melodie, concede il palesarsi di una ugola femminile e di un ispiratissimo sax, vera ciliegina sulla torta di questo inebriante pezzo. Si prosegue sui tocchi di piano di "Into Smithereens" ed una voce che, inequivocabilmente, chiama in causa i Pink Floyd, per un brano dotato peraltro di un'animosità splenica davvero emozionante. "Surfin' Around Saturn" (splendido questo titolo per cui è stato anche girato un video) ci fa fluttuare nel vuoto spaziale tra sonorità di doorsiana memoria e una forte vena pinkfloydiana che rappresenta probabilmente la principale influenza per i nostri. Analogamente, per la chiusura affidata all'ancor più eterea "40 Days", un pezzo che, seppur strumentale, rappresenta con il suo lungo assolo prog, il vero pamphlet dei The Sun or the Moon. Siete pronti anche voi quindi per un nuovo viaggio interalattico? (Francesco Scarci)

venerdì 7 luglio 2023

CRM - My Lunch

#PER CHI AMA: Electro/Post Psych Punk
CRM non è un nuovo ufficio deputato a chissà quale burocratica mansione, ma è l'acronimo per i romani Customer Relationship Madness che tornano con un nuovo album, 'My Lunch'. La proposta del quartetto si muove su coordinate stilistiche che, già dall'iniziale "Interference", strizzano l'occhiolino all'elettronica, per ciò che concerne la base ritmica, al dark/post-punk di "curiana" memoria, per ciò che riguarda la voce e lo psych rock, in fatto di solismi. Un approccio stilistico che mi mette subito a mio agio, mi rilassa e induce a immergermi con maggiore consapevolezza nel suono dilatato dei nostri, che vedono nel finale anche la presenza di una voce femminile (Elisabetta Caiani) a sublimare il tutto. "Buy" non fa che confermare le parole spese per l'opening track, con un sound energico, che ammicca sicuramente a destra e a manca al post punk, ma che comunque sconfina in altri generi, garage rock, elettronica, alternative e sperimentalismi sonori che potrebbero evocare addirittura il Duca Bianco (e se non sapete chi è, andatevelo a cercare). Ancor più spiazzanti le sonorità psych/space rock incluse in "Alone", complice l'uso massivo di synth, theremin e dronin, senza tralasciare un ipnotico basso in sottofondo che ne guida l'ascolto, ed un feeling che, per certi versi, potrebbe qui evocare i Doors. Mi piacciono, lo devo ammettere, anche se la cibernetica title track non mi fa troppo impazzire. Ha una durata un pochino impegnativa (oltre nove minuti), mentre per questo genere cosi complesso, opterei per brani più veloci per facilitarne la fruizione; ha sonorità poi molto più stralunate, il che potrebbe essere un pregio, ma la durata cosi importante necessita comunque di un grande sforzo nell'ascolto, soprattutto se i mutamenti in seno al brano virano verso la musica EBM/techno/dance. Ecco, 'My Lunch' non è proprio un disco da mettere per un picnic nel prato, è qualcosa che entra sotto la pelle, richiede una buona dose di concentrazione per assuefarsi ai suoi umori. Dopo essersi immersi nel mondo dronico di "My Lunch", ecco "Mirror", decisamente più rilassata nel suo incedere malinconico, che mostra peraltro più di una certa reminiscenza con i Depeche Mode. Anche qui, oltre otto minuti che, vista la ridondanza del pezzo, avrei interrotto almeno con un paio di minuti di anticipo. "Weirdo", che significa strano, lo è di nome e di fatto grazie a quella sua andatura sbilenca nella prima metà; poi assistiamo all'enesimo fenomeno di trasfigurazione musicale che evolve in stranite atmosfere. Una bella tromba apre "Vanity Wheel" e l'atmosfera è quella da lounge bar, locale fumoso, luci soffuse, una voce alla Robert Smith, che si alterna con quella della particolare Elisabetta, in un pezzo dotato sicuramente di un certo carisma e che vede altri richiami ai Frankie Goes to Hollywood. Potrebbe essere un'eresia, però provate a dargli un ascolto e dirmi se non ho ragione. In chiusura, un altro paio di pezzi: "Dreamers", parafrasando il suo titolo, ha un che di onirico che mi ha risvegliato nella memoria due vecchi pezzi dei Simple Minds, "Big Sleep" e "Hunter and the Hunted"; potrete immaginare quindi il mio piacere. Infine, "Jesus's Back", mosso da un ultimo afflato che chiama in causa il movimento trip hop guidato da Portished/Massive Attack, e lo fa convivere con un psych rock tanto sbalestrato quanto accattivante, che sancisce le eccelse qualità compositive di questi folli CRM. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://crm-music.bandcamp.com/album/my-lunch

sabato 1 luglio 2023

The Upland Band - Living in Paradise

#PER CHI AMA: Psych/Indie
Chissà a quale territorio montano si riferisce Michael Beckett, unico membro di questa The Upland Band? A quanto pare il polistrumentista teutonico farebbe riferimento ad un piccolo villaggio in una zona collinare della Renania orientale, quell'area, per intenderci, posta tra Germania e Paesi Bassi. È qui che è ambientato questo 'Living in Paradise'. Nove brevi racconti a narrarci, attraverso un soft-psych-indie-pop, fatti storici, osservazioni oggettive e addirittura piccanti gossip del villaggio stesso, grazie anche ad un cast di personaggi assai particolari. Si parte con le prime due song del disco, "A Partial Overview of the Neighborhood" e "ohfivetwosixfive" (si, con la "o" minuscola), e un sound che sembra ammiccare ad un post punk contaminato dalla psichedelia, quella stessa che annebbia le nostre menti nella successiva "Metamphetamine and Clay" (che narra di una cartiera utilizzata nella produzione di massa delle metanfenamine, insomma un 'Breaking Bad' de noialtri), un pezzo decisamente più blando (e pop) nei ritmi e nelle chitarre, per quasi quattro minuti di atmosfere rilassate e con la voce di Michael, vicino a certe cose dei Yo La Tengo, a contribuire a questo stato di ovattamento mentale. Se avevo apprezzato decisamente le prime due tracce, non posso dire altrettanto di quest'ultima e della quarta "Walk or Run", un altro pezzo quasi anestetizzante e dotato di scarso mordente, almeno fino al break acustico celestiale, posto da metà brano in su, sembra valorizzare maggiormente il prodotto del buon Michael. "Ontario" parla del fantasma di un pilota di bombardieri canadese abbattuto, ma il pezzo è in realtà puro drone per due minuti e mezzo. "The Curly Kale Express" parla ironicamente di un treno dove potersi mangiare cavolo riccio, in un brano dai ritmi e contenuti decisamente ironici, cosi come la seguente "Swastika Ink". In chiusura, "Down and Out (in the 17th Century)" e "Rain, Sleet and Mud", la prima col suo riff ridondante sparato in loop per oltre cinque minuti, la seconda più sghemba ed ipnoticamente indirizzata a chiudere un disco apparentemente easy listening, in realtà complicato da digerire e comprendere. (Francesco Scarci)

(Cargo Records/Sonic Rendezvous/Differant/Irascible/Goodfellas - 2023)
Voto: 65

https://kapitaenplatte.bandcamp.com/album/living-in-paradise

giovedì 25 maggio 2023

The Pink Mountaintops - Axis of Evol

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Psichedelia
Strafattanza sydbarrettiana in apertura ("Comas"). "Plastic Man, You're the Devil": blues urbano di quelli tanto cari a Jack White, ma aromaticamente zeppeliniano (per la precisione, aromaticamente Zep-3, e per la maggior precisione, aromaticamente "Hats Off to Roy Harper", la traccia che conclude Zep-3). Il nervosismo velvet-sotterraneo di "Cold Criminals". Lo psych-space della cupa "Slaves", a metà tra certa neo-psichedelia anni '90 (cfr. "Spiritualized") e i Pink Floyd di "Obscured by Clouds", amplissimamente esplorato in seguito con i Black Mountain. Il fuzzy-gospel sincretico "Lord, Let Us Shine". "New Drug Queen": inappuntabile darkwave, forse prossima a certi riusciti, consapevolissimi coxonismi. Saltate pure l'interminabile post-noia di "How We Can Get Free". Sette tracce, meno di trentacinque minuti. Psichedelico negli intenti e non certo nelle sonorità, il side project di Stephen McBeam sembra conferire forma alle emanazioni più inconsce della sua tumultuosa creatività di "una specie" di Mr. Hyde dei Black Mountain, insomma. Non vi pare? (Alberto Calorosi)