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#PER CHI AMA: Thrash/Groove
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Devo ammettere che l'inizio di "Sacrifice", traccia d'apertura di 'Your Pain Tastes Good', non mi ha fatto esitare un secondo: ho pensato che gli Helestios fossero una band greca. Si perchè il sound sciamanico, evocativo e mediterraneo del quartetto mi ricordava un che dei Rotting Christ. Non ho sbagliato completamente, visto che l'ensemble comprende musicisti provenienti da Lettonia, Paesi Bassi e Grecia (avete visto che un po' di orecchio ce l'ho ancora?), tutti di base però in UK nella sconosciuta Basingstoke, poco distante da Londra. Ebbene, come anticipato, il sound del quartetto ingloba sicuramente influenze elleniche che si miscelano ad un riffing tradizionale thrash, una grande dose di melodia, ma anche un pizzico di atmosfere, come quelle che si apprezzano nell'opener. Un bel biglietto da visita direi, completato da un'eccellente sezione solistica ed un buon songwriting che rende il tutto davvero fluido e fruibile. Queste le prime impressioni di cui ho potuto beneficiare nell'ascolto della traccia d'apertura. Proseguendo con la breve e più compassata "Black Storm", potrei evidenziare la voce graffiante di Henrijs Leja, non del tutto growl, ma comunque con un suo perchè visto che s'innesta alla grande nella sezione ritmica di stampo chiaramente classicheggiante, che la song propone. Ancora tempi controllati nella terza "Downgraded World" che vede una variazione proprio nella voce del frontman, qui più pulita e ruffiana, ma comunque sempre convincente. Le chitarre nel frattempo si divertono a tessere granitiche linee ritmiche, per non parlare poi dell'ennesimo assolo da urlo con cui i nostri ci deliziano, quasi da stropicciarsi gli occhi, o forse sarebbe meglio dire sturarsi le orecchie. La band riparte piano anche in "Back to Where It Starts", senza rinunciare comunque ad improvvise accelerazioni e al grido della sei corde di Stelios Aggelis che improvvisamente squarcia il cielo con un'altra sciabolata delle sue, da leccarsi le dita. Se dovessi trovare il classico pelo nell'uovo e francamente me lo eviterei, mi verrebbe da dire che a parte il terribile artwork di copertina, avrei preferito una maggiore dinamicità a livello ritmico, evitando pertanto di privilegiare quei mid tempo nelle tracce iniziali. Ovviamente vengo subito smentito dalla title track che si apre con un bell'arpeggio a cui segue una ritmica più movimentata su cui si colloca la voce di Henrijs, qui in versione pulita ma un po' meno convincente. Ciò che balza all'orecchio qui, oltra ad un altro fantastico assolo, è invece un rifferama grondante groove da tutti i suoi pori che sembra addirittura pagare tributo ai Pantera nella prima parte, prima di incupirsi nella sua seconda metà, con un sound più malinconico. Se dovessi azzardare un paragone per la band penserei ad una fusione tra Nevermore, Scar Symmetry e Pantera, il tutto avvolto da un'aura oscura di stampo ellenico soprattutto in un brano tirato come "All Attack", scritta a supporto del popolo biellorusso schiacciato da una pesante dittatura politica. Più fresca e diretta invece "You Are Free", dove a mettersi in evidenza, non che in precedenza non l'abbia fatto, è l'abilità percussiva di Ian den Boer, mentre le chitarre sembrano evocare un che degli Iron Maiden, a sottolineare comunque dove le influenze dei nostri affondano. Le vocals invece ammiccano qui più che altrove, ad un certo power metal. Più ipnotica invece "Return to Baalbek", un terremotante inno thrash metal con echi mediorientali che potrebbero essere una sorta di rivisitazione thrash dei Melechesh. Il brano ci catapulta indietro di quasi trent'anni spingendoci ad uno sfrenato headbanging senza tempo, prima dell'ultimo grande assolo del talentuoso chitarrista greco che in questo disco mi ha fatto davvero divertire. Ben fatto ragazzi! (Francesco Scarci)