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lunedì 16 dicembre 2024

Grand Harvest - Till Förruttnelsen

#PER CHI AMA: Black/Death/Doom
Era da un po' che non ci immergevamo in suoni death doom; mi vengono quindi in aiuto gli svedesi Grand Harvest con il loro 12" 'Till Förruttnelsen' e due lunghi pezzi che affrontano il tema della fine del genere umano, argomento sempre più ricorrente nelle liriche degli ultimi album che ho ascoltato di recente, e chissà come mai. Un mondo che ormai sta giocando sul filo del rasoio dell'autodistruzione, offre spunto al quintetto di Malmö per disegnare questi due pezzi che corrono su linee melodiche malinconiche che mi hanno evocato i primi My Dying Bride, ma a differenza della band inglese, mi sembra poter dire che sembra esserci anche una prominente vena blackish nelle note dei nostri, pur mantenendo comunque intatta la coesistenza di death, doom e black stesso, attraverso un uso interessante di linee di chitarra piuttosto pulite, cori maestosi e vocals a cavallo tra screaming e growl. Questo quanto certificato dall'iniziale title track, riproposto comunque anche nella successiva "Consummatum Est (Det är Fullkomnat), che non fa altro che confermare le buone sensazioni che ho avuto nell'ascolto dell'opening track. Il sound si muove sempre su un'intelaiatura death doom mid-tempo, con le vocals qui forse più spinte verso l'harsh. Niente di grave sia chiaro, anzi mostrano molteplici sfumature di una band che sembra avere delle buone potenzialità, da esplorare in un nuovo album più strutturato, che sembra sia al momento in lavorazione. Per ora, ci si accontenta di questo antipasto, in attesa di un piatto ben più corposo. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2024)
Voto: 68
 


Onslaught Kommand - Malignancy

#PER CHI AMA: Death/Grind
Ci mancavano un po' di quei suoni marcescenti costituiti da una poltiglia death grind hardcore, no? Ne sentivamo proprio la necessità, cosi per allontanarci per una mezz'ora dai pensieri legati a una società in costante degrado. E proprio quella del degrado musicale, contraddistingue la proposta dei cileni Onslaught Kommand, che ci accompagnano con quest'accozzaglia di suoni rozzi e incazzati a rappresentare il full length d'esordio per la band di Valparaiso. Quattordici brani, 32 minuti di sonorità old school, vocalizzi malevolenti, chitarre tritabudelle che si dimenano tra isteriche accelerazioni grind, ritmiche death, sfuriate punk hardcore e addirittura qualche rallentamento sparso qua e là (penso a "Third World Stoning", giusto per citare almeno un brano di questo inutile disco). Già, come potete intuire non l'ho presa con sommo piacere questa uscita discografica, mal suonata, mal prodotta e senza la benché minima personalità, visto che ci riporta a fine anni '80 e a tutte quelle uscite che hanno costituito l'incipit di un genere estremo che ha visto nei primi Napalm Death o i primissimi Carcass, gli alfieri di uno stile musicale che ha comunque saputo evolversi. Ma qui, non c'è segno della benché minima evoluzione, se non la voglia di stuprare le nostre orecchie e poco più. 'Malignancy' è un album che il 99% dei fan dell'heavy metal può tranquillamente dimenticare l'esistenza. Se il restante 1% è fan del grind ed è in vena di scoprire nuovi vecchi suoni, allora per carità, un ascolto potrebbe anche starci. Poi che palle, sta cover cd metterà in allarme anche le funzioni anticensura del web. (Francesco Scarci)

(Godz Ov War Productions - 2024)
Voto: 50

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/malignancy

lunedì 9 dicembre 2024

Deamonolith - The Monolithic Cult of Death

#PER CHI AMA: Prog Death
E della serie dove c'è Godz ov War Productions c'è morte e distruzione, ecco a voi i Deamonolith, nuovi alfieri della politica musicale estrema dell'etichetta polacca. Il quintetto, originario di Varsavia, arriva sulla scena con il loro debutto ufficiale, 'The Monolithic Cult of Death', ma l'esperienza dei vari musicisti affonda le proprie radici in altre storiche band come Pandemonium, Lost Soul e Sacriversum. Con un moniker del genere poi e un titolo di questo tipo, che affida a una sola traccia, suddivisa in sei capitoli incentrati sul tema dell'Apocalisse, che volete aspettarvi? Presto detto, death metal, ma non proprio nella sua concezione più purista. Dalle note iniziali di "The Afterfall", si potrebbe desumere una certa assonanza musicale con i primi Opeth, anche se nelle sue accelerazioni, ci troviamo al cospetto di un bel death old fashion super tirato con tutti gli orpelli (growling vocals e blast beat in testa) al posto giusto. Tuttavia, nei momenti più ragionati della seconda "The Ultimate Solution", la componente melodica si fa più presente sia a livello di matrice ritmica che nelle parti più atmosferiche ("The Fall, the Reek & Forlornness"), ma anche in quelle solistiche, che arrivano a evocare addirittura i Nocturnus. Certo, che quando i nostri abbracciano la strada dell'intransigenza (ad esempio nel thrash death di "The Acknowledgment") non ce n'è per nessuno e il rischio più evidente, è quello di cadere nel già sentito. Ciò che deve essere chiaro qui è che invece nulla deve essere dato per ovvio in quello che salta fuori dalle note di questi artisti, visto l'utilizzo di sax in alcune parti solistiche (chi ha detto Pan.thy.monium?) che vanno a contrastare la veemenza di una ritmica che mi ha evocato in più parti anche un che dei primi Vader. E proprio forse quest'alternanza di reminiscenze storiche unite a una più che discreta dose di personalità, rendono l'ascolto di questo concept album decisamente più attento. Prendete ad esempio i dodici minuti e passa di "Conquerors of the Void", che aprono con accattivanti atmosfere orientaleggianti e a cui fanno seguito delle ubriacanti linee di chitarra, ecco, queste rendono la proposta dei Deamonolith sicuramente meno scontata, anche nel voler cercare di trovare a tutti i costi un'etichetta a una proposta qui davvero interessante, tra parti al limite dell'avantgarde, linee vocali pulite, atmosfere orrorifiche e un ottimo compromesso melodico. Insomma, alla fine quello che credevo fosse il classico album death metal, si è tramutato in una inattesa sorpresa che potrebbe entusiasmare sia gli amanti di sonorità ricercate che dei intransigenti puristi del genere. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions/Ancient Dead Productions - 2024)
Voto: 75

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/the-monolithic-cult-of-death

venerdì 6 dicembre 2024

Impious - The Killer

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Death/Thrash
Death/thrash, sulla scia di The Crown, Centinex, The Haunted. Dopo l’intro di rito, si parte - bene - con "Burn the Cross" (e complimenti per l’originalità del titolo), veloce come una palla di cannone e altrettanto distruttiva. L’album in seguito si discosta da queste premesse. Il chitarrista, Valle Adzic, è l’autore di tutte le musiche e dei testi. Che egli sia il “motore” della band (un quintetto, per la cronaca) lo si desume anche dal rilievo e dalla cura riservata agli assoli chitarristici, che rappresentano effettivamente l’aspetto più interessante delle canzoni. Alcune delle quali fortunatamente si fanno anche apprezzare: oltre all’opener, segnalerei "Caught in Flesh", "The Deathsquad" e "The Hitman". Altre decisamente meno, per la semplice ragione che non dicono nulla di nuovo e sono pure prolisse. Fermo restando che a decidere della qualità di un album sono i contenuti e non il lay-out, va detto che 'The Killer' è peraltro penalizzato da una copertina davvero brutta. Strano che la Hammerheart non se ne sia avveduta.
 
(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 65
 

giovedì 5 dicembre 2024

Temple of Decay - Anti Deus

#PER CHI AMA: Death/Black
Torna la Godz ov War Productions, e lo fa con tutto il suo carico di odio, affidandolo questa volta ai polacchi Temple of Decay. Trattasi di one-man-band, capitanata da tal Mortt, promotore di un death/black pestilenziale, infettato però anche da note che ammiccano all'hardcore. La tempesta, che assume il nome 'Anti Deus' (secondo Lp per il mastermind), si affida a sei super caustiche song che, dall'iniziale "Strach I Sumienie (Stosy)" fino alla conclusiva ed esoterica "Phallus Dei (Idzie Wojna)", non fanno altro che prenderci a frustate nude e crude sulla schiena, in un vortice infernale che prova ad evocare gli Anaal Nathrakh ma anche i primi Marduk. Il disco è un susseguirsi di ritmiche super tirate che si muovono costantemente in bilico tra rasoiate black e sonorità death, il tutto condito da harsh vocals, qualche tiepido tentativo di rallentare le portentose ritmiche (come accade in "Diabolical Summoning (Sztandary Buntu)" o in "Afirmacja Śmierci") o di aggiungere un pizzico di melodia, atta a diluire le intemperanze diaboliche del polistrumentista polacco ("Apokaliptyczna Furia"). Quello proposto dal buon Mortt resta comunque un lavoro che aggiunge poco ad un genere un po' troppo inflazionato che vede migliaia di band proporsi con sonorità più o meno simili, soprattutto in una scena, quella polacca, che brulica di proposte affini. E quindi che dire, se non suggerire l'ascolto di questo 'Anti Deus' per coloro che prediligono questo genere cosi estremo, che nell'animalesca "Klecha" - peraltro il mio pezzo preferito insieme alla ritualistica-guerrafondaia ultima traccia - arrivano a strizzare l'occhiolino anche agli Impaled Nazarene e ai Batushka. Insomma, 'Anti Deus' è un disco malvagio, un lavoro non per tutti, ma solo per misantropi amanti dell'oscurità e del maligno. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2024)
Voto: 66

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/anti-deus

Ashen Horde - Decayed

#PER CHI AMA: Death/Black
'Decayed' è il nuovo 10" dei californiani Ashen Horde, una band che avevamo già incontrato in occasione del loro album 'Nine Plagues' e che poi non abbiamo mantenuto nei nostri radar. La band di Los Angeles torna con queste tre nuove song a celebrare i 10 anni dal debutto, più la ri-registrazione - niente di clamorosamente differente dall'originale - di "Baited Breath", estratta proprio da 'Sanguinum Vindicta', con la versione in cd che include peraltro ben 12 bonus track, provenienti dagli scarti dei precedenti dischi. Ebbene, le nuove tracce incluse sono un manifesto dell'ostica proposta dell'ensemble a stelle e strisce, essendo infatti promotori di un black death ringhiante che ha poco di originale da proporre. Tra le cose che potrei segnalare, lungo le quattro song in mio possesso, c'è un utilizzo alquanto stravagante del cantato pulito, che si affianca qua e là, a quello più tipicamente stridulo del frontman statunitense. La musica poi, sin dall'iniziale "A Portent Among the Debris" e a seguire con "The Reaping", dicevo, è un concentrato di affilato death black con chitarre un po' sghembe, furiosi blast-beat e qualche apertura progressive - soprattutto in "Euphoric Lament" - che potrebbe evocare gli Enslaved, anche se la band norvegese è di tutt'altra caratura. Ecco che ora mi spiego il motivo per cui non siamo mai stati fan accaniti della band statunitense, onesti mestieranti e poco più. (Francesco Scarci)

martedì 3 dicembre 2024

Déhà - Victim: Perpetrator

#PER CHI AMA: Grind/Hardcore
Con Déhà le cose non sono mai cosi scontate come sembra. Autore di un numero indefinito di release dal 2018 a oggi, sia con questo moniker che con molti altri (Acathexis, Cult of Erinyes, Wolvennest, giusto per citare i miei preferiti), ricompare improvvisamente sulla scena con un inattesissimo quanto improbabile EP, 'Victim: Perpetrator'. Perchè improbabile vi domanderete. Ebbene, rimarrete impietriti anche voi quando il grind di "I Love You So Much" irromperà nelle vostre casse facendovi esplodere le orecchie. Un pezzo di 90 secondi che a confronto uno scrub di carta vetrata potrebbe farvi il solletico. Eppure in questo minuto e mezzo la ritmica infuocata trova anche il modo di rallentare, risucchiandovi in un vortice angosciante e morboso che vi condurrà ad affrontare i demoni dell'artista belga nella dirompente e fangosa "I'll Fight My Demons More Than I'll Fight You". Paura e delirio a Bruxelles direi perchè non mi sarei mai aspettato qualcosa di simile anche se, ribadisco, il mastermind mittleuropeo ci aveva abituato a parecchie sorprese in passato, tant'è che Metal Archives definisce come vari i generi proposti da Mr. Lipani. Con "Damocles's Trauma" ma in generale anche con le altre tre song a seguire, si viene investiti in principio da staffilate death/grind/hardcore, per poi trovare caustici rallentamenti nell'incipit della conclusiva "You Can't Leave". Per chi come me era abituato a identificare il polistrumentista belga con un black atmosferico, forse rimarrà deluso ascoltando questa cruenta sassaiola. Chi invece vuole rischiare di prendere schiaffi e pugni gratuitamente, beh un ascolto a 'Victim: Perpetrator' potrebbe essere quasi obbligatorio. (Francesco Scarci)

giovedì 28 novembre 2024

Skepticism - Stormcrowfleet

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Gli Skepticism sin dagli esordi ci hanno regalato un capolavoro di inestimabile valore. Un album funereo, sia per l’atmosfera profusa che per l’incedere lento ed angosciante. Gli elementi che caratterizzano la band finlandese sono la tastiera usata in modo enfatico e decadente, epica in alcuni punti, una linea di chitarra molto compressa e dal tono molto basso, la classica voce da oltretomba, con growls profonde che ben si amalgamano al sound soffuso e triste dei sei brani inclusi in questo debutto mitologico. I colpi di batteria risuonano come dei tamburi che annunciano l’arrivo della salma al suo sepolcro. Ritmi ossessivi e sofferti per questa cerimonia funebre chiamata 'Stormcrowfleet'.

(Red Stream Inc./Svart Records - 1995/2018)
Voto: 90

https://skepticism.bandcamp.com/album/stormcrowfleet

lunedì 25 novembre 2024

Ritual Fog - But Merely Flesh

#FOR FANS OF: Death Old School
As it happens with other metal genres, metal has evolved through the years, modernizing its sound and incorporating new elements. This has led to some bands mutating their sound to something more melodic and crystal-clean, while others have taken a step forward in the realms of brutality and insane intensity. In any case, as has happened with the black metal sub-genre, many old bands and some newcomers, retain the torch of the old sound with immaculate devotion. The USA-based band Ritual Fog is one of the latter cases. This young project released just an EP prior to signing an agreement with the reputed label Transcending Obscurity Records, which speaks volumes about its potential.

'But Merely Flesh' is the first full-length album by Ritual Fog, and it unequivocally breathes true passion for the old metal sound. All the elements contained in this album stay true to this path, beginning with the production. The sound isn’t exactly what you would expect from a metal album released in the beginning of the '90s, but it is very, very close to it. Overall, the result is very good as it maintains a good balance between having the rough and crunchy touch of the old albums but sounding clean enough to appreciate the performance of each instrument. Nevertheless, the way the guitars or the drums sound will surely bring you memories of the classic efforts. As with the instrumental base, the vocals’ approach also follows the old path. Ian’s voice is not particularly low-tuned as it happens with many modern bands, but it reminds me of how metal singers sounded around the late '80s and the beginning of the '90s. Although you will find some mid-tuned growls, Ian’s voice successfully introduces tons of raspy screams like it was usual in the initial years of the genre. "Desolate Chasm" is a good example of it where he delivers a great performance, and a faithful example of the characteristics mentioned. About the pace and song structure, the traditions of the classic efforts are also well represented in "But Merely Flesh". The pace throughout the whole record is varied, intense almost always, but having its ups and downs in the pace and energy. Moderately fast sections are combined with mid-tempo and slower parts in a very natural and inspired way. If you want relentless energy and vivid pace, songs like "Slimeblade" will please you. Excellent tracks like "Nocturnal Suffering" and "Demented Procession", give plenty of room to head-bang like crazy with its excellent mixture of speedy parts and mid-tempo sections that will make it impossible for the listener to remain still. Slower sections have their presence here and there throughout the album too. "Sentinel Chamber" is one of my favorite pieces in this sense, as it has a great contrast between heavier parts and the calmer ones. This composition has, which is probably the most atmospheric and calm section, that fortunately does not sound out of place at all. The way the band mixes different tempos shows the amount of work and talent put into this album, which is something that always deserves our praise.

'But Merely Flesh' is an excellent starting point for this project. The band gives the listener what he wants, a loyal and well-constructed old school metal album made to break some necks during concerts. Turn it up loud and enjoy! (Alain González Artola)


(Transcending Obscurity Records - 2024)
Score: 78

https://ritualfogdm.bandcamp.com/album/but-merely-flesh

venerdì 22 novembre 2024

VII Arcano - Inner Deathscapes

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Fortissimi ‘sti romani. Death metal d’impatto, diretto, influenzato da At The Gates e soci, ma con un proprio sound e trademark. Dieci i brani che compongono questo assalto ben registrato, il cui suono delle chitarre è corposo e incisivo, come deve essere in un genere come il loro. Le canzoni sono tutte di breve durata, e questo non fa che accrescere l’aggressività ed intensità dei pezzi, senza perdersi in virtuosismi inutili. 'Inner Deathscapes' è stato registrato agli Outer Studios di Roma ad opera di Giuseppe Orlando dei Novembre. Grande la prova vocale, molto profonda e roca. Un cd alla fine, ben riuscito che unisce death e thrash nel migliore dei modi.

(Pick Up Records - 2001)
Voto: 73

https://www.facebook.com/viiarcano

mercoledì 20 novembre 2024

Mammoth Grinder - Undying Spectral Resonance

#PER CHI AMA: Death Old School
Siete pronti per prendere un paio di schiaffoni ben assestati in pieno volto? Questo è quello che sono pronti ad offrirci gli statunitensi Mammoth Grinder con questa loro nuova uscita di cinque pezzi. Con un incipit che ricorda ben da vicino le prime release degli Entombed, 'Undying Spectral Resonance' si presenta con un brano che fin dapprincipio catalizza la mia attenzione sul quartetto texano. "Corpse of Divinant" è una straordinaria quanto malefica canzone di puro death metal old school, carico di quelle venature stile area di Stoccolma primi anni '90, miscelata con un che degli Autopsy e una spruzzatina di Obituary. Un fantastico colpo alla mascella che immediatamente mi annichilisce per potenza, perizia tecnica (notevole a tal proposito, il super tagliente assolo verso la fine), un pizzico di groove, e un vocione che arriva direttamente dalle viscere della terra. E la successiva title track non sembra promettere nulla di buono, con una linea di chitarra che scandisce in modo evidente il ritmo, qui mid-tempo, del secondo pezzo, ritmo che si fa più incandescente nel finale, con un'altra sciabolata solistica che mi evoca i bei tempi andati del death a stelle e strisce di fine anni '80. E se "Call from the Frozen Styx (Interlude)" è un inutile interludio strumentale, che nell'economia peraltro assai risicata dell'album, mi fa storcere solo il naso, "Decrease the Peace" sembra soffrire dello stop ritmico della precedente song e, fatto salvo per un altro spettacolare assolo, rischia di scadere nel dimenticatoio in tempi brevissimi. Fortunatamente, ci pensa la conclusiva "Obsessed with Death" a ripristinare le incandescenti ritmiche dei primi brani, con un rifferama marcescente e altrettanto convincente, che ci inducono ad un esagitato pogo senza precedenti. Ed è qui che il disco si interrompe bruscamente; in tutta franchezza, avrei infatti desiderato quattro/cinque pezzi in più, per godere di sonorità che si sono perse nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)


lunedì 18 novembre 2024

Internecine - The Book Of Lambs

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le musiche e i testi di questo album sono stati scritti interamente da Jarad Anderson (R.I.P. che fu in passato attivo con i Morbid Angel e gli Hate Eternal), mentre le parti di batteria sono state affidate a Tony Laureano (Angelcorpse, Nile) ad eccezione di due brani suonati da Derek Roddy (ex di Hate Eternal e Malevolent Creation). L’album è stato prodotto da Erik Rutan (ex Morbid Angel, e ora negli Hate Eternal e Cannibal Corpse) che ha peraltro suonato tutti gli assoli di chitarra. È chiaro quindi che un disco del genere non possa essere altro che feroce death metal di stampo americano, dai ritmi generalmente molto tirati e dalle linee di chitarra estremamente varie, in continuo movimento. Poco più di mezz’ora di death metal assolutamente coinvolgente, ottimamente suonato e registrato. Un disco che ha deliziato e potrebbe ancora deliziare tutti gli amanti della musica estrema e della perfezione tecnica. Per chiarimenti riguardo il concept lirico vi cito lo stesso Jarad: “this record is dedicated to the time of the destruction, I anxiously await the day of cleansing of this disgusting earth which the masses have created, for I am one, for I am war!!!”. Fate voi.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 75

https://www.metal-archives.com/bands/Internecine/898

lunedì 4 novembre 2024

Urza / Calliophis - Dawn Of A Lifeless Age

#PER CHI AMA: Death/Funeral Doom
Ecco uno di quegli album semplici semplici da recensire: un bel concentrato di funeral death offerto da due band tedesche a me totalmente sconosciute, gli Urza e i Calliophis, che evidentemente, era un po' che non si facevano sentire. I nostri hanno cosi unito le forze per dar voce al loro disagio interiore e condensarlo in questo split intitolato 'Dawn of a Lifeless Age'. Due i pezzi a disposizione per ciascuna band, per circa 23 minuti a testa, fatti di sonorità apocalittico-asfissianti. Il disco si apre con i berlinesi Urza, che erano in silenzio dal 2019, quando uscì il loro debut album. Il quintetto teutonico ci propone due pezzi ben suonati ma forse troppo derivativi: se "Maunder Minimum" è il classico emblema del funeral doom, quello dotato di buone e melodiche linee di chitarra, profondità degli arrangiamenti, oscure ambientazione e vocals super growl, "Through Ages of Colossal Embitterment" si presenta invece inizialmente più abrasiva e votata ad un death doom dalle ritmiche più spinte e veementi, con parti che evocano un che dei primissimi Anathema di 'Serenades'. Dopo un paio di minuti però, il sound dei nostri torna a sprofondare in meandri depressivo-catacombali, di sicuro impatto emotivo, soprattutto alla luce di un utilizzo alternativo, e ben più convincente, delle vocals. Niente di nuovo sotto il sole comunque, anche se la qualità generale è piuttosto buona. È allora la volta dei Calliophis, band originaria della Sassonia, che ha peraltro già tre album all'attivo dal 2008 a oggi. Per loro, un ritorno dopo il convincente album del 2021, 'Liquid Darkness', e due nuovi pezzi, "Trepak" e "Endure Your Depression", che si muovono dalle parti di un death doom assai melodico ed emozionalmente toccante. Ottime melodie contraddistinguono infatti i due brani, unite ad eleganti parti atmosferiche e a una buonissima componente vocale. Se dovessi esprimere il mio personale gradimento tra le due band di oggi, orienterei la mia scelta decisamente verso i Calliophis, complici quelle sonorità soffuse ma penetranti, quelle linee melodiche di chitarra che dipingono strazianti paesaggi emotivi, e che avvicinano i nostri a certe eleganti produzioni scandinave del passato. Un bel modo per conoscere due band questo split album e indirizzarci alla scoperta delle loro discografie, se solo saranno in grado di toccare anche le vostre corde dell'anima. Le mie hanno vibrato, soprattutto in compagnia dei Calliophis e voi, chi preferite? (Francesco Scarci)

domenica 20 ottobre 2024

Rot Coven – Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II

#PER CHI AMA: Black/Drone/Ambient
L'universo musicale di questa band proveniente dalla Pennsylvania, è fatto di sensazioni cosmiche, costantemente avvolte da un alone sinistro, che disegnano un immenso spazio sonoro, decisamente oscuro e minaccioso, ampio e misterioso. La base di partenza è il noise e l'ambient dronico, sfregiati da lunghe e laceranti digressioni doom, death e black metal, in un infinito viaggio psicologico verso i meandri più oscuri della percezione umana. 'Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II' è un disco non di facile approccio e volutamente ostile al pubblico, che si rivela come un alternarsi di umori gelidi che generano suoni contorti, vortici capaci di introdurre chi ascolta, verso universi paralleli assai intriganti. L'amalgama sonora è in perfetta sincronia con un'ispirata vena compositiva, che in questo genere deve far da padrona o si rischia la caduta nell'inascoltabile o nel già sentito, e devo dire che in questa versione estesa dell'album (ricordo che la prima parte, Phase I, era uscita l'anno scorso), l'opera si compie a dovere, e per l'ascoltatore già iniziato a questo genere, la scoperta di questo disco (edito dall'Aesthetic Death), risulterà un'ottima sorpresa. Brani dagli intro apocalittici, colonne sonore noir che rasentano uno stile cinematografico in continua evoluzione, dove l'unico colore che emerge è il nero, ecco come si palesa il disco. La voce è inghiottita dal rumore, il distorto veglia su tutto e fa da padrone nel mood dell'intero lunghissimo lavoro (oltre 80 minuti), proiettando il suono verso lidi estremi di post metal di difficile collocazione ma con retaggi, per certi aspetti classici, che vengono ampliati, appunto, dall'uso di suoni strettamente lisergici e psichedelici, qui riadattati all'umore cupissimo della band. In tal contesto, non si può dimenticare il vistoso lato industrial dei Rot Coven, che è molto radicato nel DNA della band, cosa che, unita al maniacale piacere verso suoni distorti e riverberati, costituisce l'essenza del sound di quest'album. Paesaggi siderali costruiti per mettere a dura prova la resistenza psichica e una forte sensazione di disagio psicologico, sono le armi che vengono utilizzate nei solchi di questi brani apocalittici, accompagnati da un senso di caduta costante e tangibile. Non è di facile approccio, come detto in precedenza, ma questo disco, ascoltato nella totalità dei due album, è veramente un'esperienza da provare, ed è inutile smembrarlo per trovarne pregi o difetti tecnico-stilistici, poiché l'ideale è assimilarlo nella sua interezza, lasciandosi trasportare dalla sua fredda corrente. Buon viaggio nella parte più nascosta e oscura della vostra mente. (Bob Stoner)

martedì 24 settembre 2024

Paganizer - Forest of Shub Niggurath

#PER CHI AMA: Swedish Death
Ma qualcuno prima o poi avrà il coraggio di dire che questo modo di suonare ha un po' rotto il cazzo? Sto parlando del tipico sound di Stoccolma di primi anni '90 (scuola Entombed, Dismember, Grave, tanto per capirci) e di cui probabilmente, i Paganizer sono rimasti gli unici veri eredi e interpreti. In attesa di ascoltare il nuovo Lp, atteso per novembre, ecco arrivare un EP a scaldarci in queste fresche serate autunnali, il lovecraftiano 'Forest of Shub Niggurath'. La proposta? Facile da immaginare, visto che il marchio di fabbrica del quartetto svedese guidato da Rogga Johansson, è rimasto più o meno inalterato negli ultimi 26 anni, esprimendo quel classico sound svedese che ripercorre in tutto e per tutto, le gesta degli Entombed di 'Left Hand Path', cosi intriso anche di venature hardcore. E cosi, le sei tracce che si stagliano di fronte a noi, si mostrano come brevi laceranti frustate sulla schiena, contraddistinte da chitarre veloci e super compresse, buone aperture melodiche (ormai un po' scontate, a dire il vero), voci al vetriolo, un'ottima produzione e poco altro, che forse farà felici i soli fan degli scandinavi, evidentemente, grandi collezionisti di release dei nostri (all'attivo oltre 50 uscite!!). La mia song preferita? L'ultra veloce "A Foul Creature". Però fossi in voi, mi andrei a cercare i vecchi classici dei maestri di primi anni '90. (Francesco Scarci)