Cerca nel blog

mercoledì 30 dicembre 2020

Grufus - Sabor Latino

#PER CHI AMA: Instrumental Alternative/Stoner, Tool
Niente tacos o fajitas ad attenderci in 'Sabor Latino', anche se il titolo poteva farci ben sperare. In realtà dalle prime battute veniamo investiti in pieno dalle schitarrate di “Trapanus”, che potrebbe tranquillamente sembrare un sequel di 'Fear Inoculum' dei Tool. Suono bello tagliente, groove serrati, tribali, coinvolgenti. Le sei-corde stendono riff titanici, fino ai limiti del noise. Gli episodi di pura violenza si evolvono in strutture mai banali, l’elemento sorpresa si scopre gioco-forza in questo disco. Dallo stoner vediamo addirittura approdare a ritmiche centro-americane in “Mezcal”. Connubio indubbiamente originale. Le idee sono tante, la full-immersion al Vacuum Studio di Bologna, è servita ai Grufus per metabolizzare al meglio i diversi background di provenienza. Si attinge un po’ ovunque: grunge, alternative fino ai ricorrenti respiri psych, come attimi di pausa fra una galoppata e l’altra, e che ritroviamo anche in chiusura dell’album. Sorprende notare come la mancanza di schemi non vada per niente ad inficiare l’ottima coesione che ritroviamo in questi 40 minuti strumentali. Nonostante gli spunti siano innumerevoli, il disco si ascolta tutto d’un fiato. Le abbondanti soluzioni ritmiche, ben congegnate e in costante evoluzione, insieme a qualche mirabolante acrobazia, non fanno per nulla rimpiangere la mancanza di una linea vocale. Al contrario, si ha la possibilità di cogliere maggiori dettagli, che altrimenti sfuggirebbero in secondo piano, mascherati per esempio dalle martellate di “Oipolloi”. Una menzione d’onore va fatta sicuramente per “Le Vacanze di Pippo”. Titolo strappalacrime, ma le sue progressioni strepitose, i pregevoli arrangiamenti e una linea di basso magistrale, vanno a confezionare un pezzone tritasassi. Non troveremo certamente novità particolari nelle sonorità di questa prima fatica in studio, pubblicata per la Grandine Records. Ma il gran senso delle dinamiche della formazione emiliana, unito alla disinvoltura con la quale propongono un caleidoscopio di cambi di tempo, lo rendono indubbiamente un esordio con gli attributi. 'Sabor Latino' diverte, non stanca e invita a riascoltare i Grufus più e più volte. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

martedì 29 dicembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol II

#PER CHI AMA: Experimental/Kraut/Psych
Li avevamo incontrati qualche mese fa in occasione dell'EP Vol I di questa serie digitale intitolata 'Tribute to Atrophos'. Ritroviamo ora i Queen Elephantine con il secondo dei tre volumi di improvvisazione musicale. Questo nuovo capitolo include tre lunghi pezzi che ci condurranno nei meandri più bui delle menti di questo collettivo che dall'India ha messo poi radici a Philadelphia. Qui i nostri, in periodo di clausura da Covid, si sono divertiti a ridefinire gli spartiti del proprio sound imbastendo estemporaneamente fraseggi free-jazz guidati da un basso ipnotico e sovversivo ("Synthetic Mist"). Diciamo che qui di regole scritte non ce ne sono, la band fa un po' come diavolo gli pare senza seguire dettami specifici di un genere piuttosto che di un altro. Come avevo già sottolineato in precedenza del primo EP, la band sembra giocare a strimpellare con i propri strumenti come se fosse alla ricerca del riff perfetto da buttare nero su bianco per il prossimo album. E allora ecco il giochicchiare con le chitarre, un drumming quasi impercettibile che potrebbe far pensare alle deviazioni più psichedeliche e malate dei The Doors. La seconda "Burning Spectre" è anche più cerebrale, fortuna nostra che il brano va poco oltre i sette minuti, mai una passeggiata da affrontare con questi pazzi furiosi. C'è da divertirsi nel capire che cosa possa venir fuori da queste sperimentazioni, quindi l'ideale è non aver alcun tipo di pregiudizio e lasciarsi guidare da quello che potrebbe poi evolvere in blues rock, prima del finale affidato ai 13 lunghi minuti di "Ash". Una combinazione di kraut rock, noise, psych e urla sciamaniche contraddistinguono un pezzo che si conferma noiosetto almeno fino al minuto 5, prima che i nostri si mettano a danzare attorno al fuoco con una danza etnica che troverà il suo finale approdo in tremebondi suoni dronici. Solo per pochissimi fan. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music - 2020)
Voto: 68  
 

Nàresh Ran - Re dei Re Minore

#PER CHI AMA: Drone/Experimental/Noise
Il numero uno dell'etichetta discografica Dio Drone, solida label italiana dal respiro internazionale, impossibile da identificare nei generis e contraddistinta da uscite di grande qualità in ambito sperimentale, licenzia la sua nuova fatica sotto il nome di Nàresh Ran ed esce allo scoperto con un disco crepuscolare dall'emblematico titolo 'Re dei Re Minore', un'opera avvolgente, che imprime una forte dose di mistero e una trasversale, perversione oscura, assai intrigante. Mi sembra doveroso ricordare, che Nàresh Ran predilige i suoni, i rumori, gli ambienti sonori on the road, captati, raccolti, registrati per strada, con metodi di registrazione filtrati da mezzi poco consoni o quasi mai convenzionali. Il disco pullula di ronzii, fruscii e rumori d'ambiente, rubati ovunque, per ottenere nell'insieme, tappeti sonori che nessun synth potrebbe ricreare elettronicamente. L'apertura è affidata alla lunga traccia intitolata "Kutna Hora", un brano molto lungo che mostra un legame con il precedente lavoro dell'artista fiorentino, 'Martyris Bukkake'. Una song che galleggia a mezz'aria, tra mistico devozionale e l'ambient drone più radicale, mostrando tra le sue trame, un volto angelico subito contrastato da un monolitico e perpetuo cupo senso di desolazione, un vortice di ipnotica e disturbata malinconia, che nel finale si amplia di rumori e interferenze progressive che caricano ulteriormente il senso di vuoto del brano. Il secondo brano,"Veglia", ha un'attitudine più quieta e all'apparenza più distesa, cosi composto dal senso circolare di un loop spettrale su di un tappeto di tanti rumori e synth per un effetto cosmico, interstellare in stile Martin Nonstatic e in genere Ultimae Records, ma con un suono più caldo, profondo, meno sintetico e con più umanità dietro le quinte. Il terzo brano è "A_R", un groviglio molto intimo di suoni d'ambiente e rumori, interferenze lievi che donano, seppur celata e nascosta tra le righe, una cadenza, un ritmo che fin qui non era mai apparso, e poi cicale, insetti, bassi gravi, si mobilitano per inspessire una trama già complessa, ricercata, con un finale astrale dove compare, brevemente, per la prima volta, anche una voce umana distorta. Forse la traccia migliore dell'album dal punto di vista compositivo. Devo ammettere però, che con la conclusiva ed inaspettata traccia, "Re_Minore", l'impennata artistica si fa più coraggiosa e oltraggiosa. Con l'aggiunta di un vero e proprio recitato/cantato in lingua madre, alla maniera dei Massimo Volume, a cavalcare un loop di piano drammatico, sottomesso alla lettura poetica di un testo doloroso, ci si inoltra in un concetto molto vicino alla Sindrome di Stoccolma, per cui la tortura dell'aguzzino diviene il piacere che porta all'unica via di fuga per la vittima. Una performance intrigante, aggressiva e sconvolgente che conclude il disco con un pugno allo stomaco di chi ascolta. Una traccia dai toni malati e dai tratti realistici, dove il male descritto tocca l'ascoltatore in prima persona. Una canzone estremamente intrigante e molto, molto pericoloso, nella sua drammaticità corrosiva, un buco nero per la psiche dell'ascoltatore. 'Re dei Re Minore' alla fine è un album che indica chiaramente un'evoluzione nell'espressività dell'artista, un balzo in avanti verso una capacità compositiva libera e personale, una ricerca complessa fatta di tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico di grande valore. Un film sonoro imperdibile, sofisticato, intricato, nero e con un finale devastante. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2020)
Voto: 80

https://nareshran.bandcamp.com/album/re-dei-re-minore

lunedì 28 dicembre 2020

Tiran - No Gods, No Masters

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Sabbat
Con un titolo che riprende uno slogan dell'anarchia inglese di tardo 19° secolo, ossia 'No Gods, No Masters', i russi Tiran si presentano con un EP di quattro tracce dedito ad un sanguinolento thrash death. Si parte subito alla grande con la title track e quel riffing thrashettone accompagnato dal growling potente di Alexander teso quasi a spaventarci, poi occhio al numero da circo. Bridge acustico, riff di scuola Death, assolo ultratecnico e finale scuola Nuclear Assault. Paura, il tutto in meno di 3 minuti e mezzo. Che i nostri non siano degli sprovveduti, lo si capisce anche dalla scelta della successiva song, "Witchflight", cover dei blacksters giapponesi Sabbat, a testimoniare intanto dove affondino le radici dei nostri. La song è riproposta in pieno stile heavy thrash black come l'originale del 2011 contenuta in 'Sabbatrinity', quindi tirata, dritta e brutale. Si prosegue con un paio di pezzi live, peccato però che la resa sonora sia molto amatoriale e non si riesca ad apprezzarne granchè i contenuti. Death black dinamitardo e furibondo privo di ogni tecnicismo od orpello sonoro per le due scheggie impazzite, "Apocalyptic Tales" e "Metal Messiah", entrambe registrate a Rostov sul Don al Badland Club. Che altro dire per un EP di soli 12 minuti se non consigliarlo ai fan più sfegatati della band. Gli altri vadano a pescare lavori più lunghi e strutturati per saperne qualcosa di più dei russi Tiran. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2019)
Voto: 64

https://tiran.bandcamp.com/album/no-gods-no-masters

The Pit Tips

Francesco Scarci

Ingrina - Siste Lys
Asthenia - Aisa
Lament - Visions and a Giant of Nebula

---
MetalJ

Death - Scream Bloody Gore
Testament - Low
Dream Theater - A Change of Seasons

---
Death8699

Cannibal Corpse - Red Before Black
Carcass - Symphonies of Sickness
Destruction - Thrash Anthems II

---
Alain González Artola

Fogweaver - Vedurnan
Déhà - Contrasts II
Autumn Nostalgie - Esse Est Percipi

---
Shadowsofthesun

Cloudkicker - Solitude
Dark Tranquillity - Moment
Barrens - Penumbra

---
Emanuele "Norum" Marchesoni

Cult of Luna - Mariner
Ayreon - The Human Equation
Eldamar - The Force of the Ancient Land

In Tenebriz - Bitter Wine of Summer

#PER CHI AMA: Black/Doom
Le one-man-band piovono come le stelle dalle parti di Mosca. Gli ultimi in ordine di tempo arrivati sul mio tavolo sono gli In Tenebriz, progetto guidato da tal Wolfir in giro dal 2005, con ben 12 album (più altrettanti EP e split) rilasciati con questo moniker, più un'altra serie come Chertopolokh, Tomatoes Fuck Potatoes o Wolfir stesso. La proposta del musicisita moscovita è un black doom che dà ampio risalto a melodie malinconiche con intermezzi acustici e catartici passaggi nell'oscurità più buia (l'opener strumentale "With a Taste of Wormwood" ne è un esempio). Con la seconda canzone, la title track, compaiono le harsh vocals del frontman su di un tappeto ritmico affidato quasi interamente ad un tessuto di solismi e tremolo picking che rendono il tutto estremamente gradevole e assai prog oriented, anche se l'intelaiatura rimane ancora un po' grezzotta con suoni impastati e decisamente poco cristallini. In "Into Crimson Oblivion", ecco apparire invece le contaminazioni doomish lungo un brano dai toni compassati e dalla forte componente acustico-atmosferica. "Stellar Dust" prosegue su questa scia di tranquillità sonica, con linee di chitarra piuttosto semplici e lineari, in cui la melodia delle note ci guida nell'ascolto. Interessante a tal proposito un inedito break acustico con un beat trip hop che si riproporrà anche a fine brano. Ancora melodie laceranti nella strumentale "Grass Still Remembers Your Trace" che ci accompagna gentilmente verso "Heart in the Pattern of Roots", un pezzo che evidenzia ancora le potenzialità melodiche dell'artista russo inserite in un tessuto ancora sporco, che trasuda comunque di black depressive. C'è ancora spazio per un altro paio di song: la prima è "The Birth of August" con i suoi tocchi delicati che si contrappongono ai laceranti vocalizzi del mastermind russo e ad un riffing black old school che mantiene comunque intatta la vena melodica del brano, il meno riuscito del lotto a dire il vero. La conclusione di 'Bitter Wine of Summer' è affidata ai suoni post-rock di "Let the Night Do the Talking", un pezzo strumentale che chiude degnamente questo nuovo capitolo targato In Tenebriz. (Francesco Scarci)

sabato 26 dicembre 2020

Collapse Under The Empire - Everything We Will Leave Beyond Us

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Metal strumentale
È un viaggio tra gli astri quello che ci regala l’ascolto di 'Everything We Will Leave Beyond Us', l’ottavo lavoro dei tedeschi Collapse Under The Empire. In questi dodici anni di intensa carriera il gruppo composto da Martin Grimm e Chris Burda ha esplorato ogni anfratto di quel post-rock strumentale dalle suggestioni spaziali portato alla ribalta dai più noti God is an Astronaut e 65daysofstatic, pertanto in questo nuovo capitolo possono permettersi di procedere col pilota automatico dipingendo una spensierata tavolozza di emozioni e paesaggi astratti.

Spensierata, ma non per questo banale o raffazzonata: il duo tedesco fa della cura maniacale delle produzioni il proprio marchio di fabbrica e anche stavolta gli otto brani che compongono l’opera brillano per il perfetto incastro tra decisi riff di chitarra, cascate di delay, sintetizzatori avvolgenti e un basso prepotente. Come da predisposizione del genere, il sentimento dominante evocato da pezzi come il singolo “Red Rain”, classico saliscendi atmosferico tra momenti di contemplazione e muri sonori, o la più vivace “Resistance” è la nostalgia, tuttavia non mancano accelerazioni di stampo post-metal quasi a voler sottolineare che è necessaria una buona dose di coraggio per muoversi nel buio dello spazio e raggiungere le esplosioni di colori sparse per il cosmo.

Parlando di coraggio è necessario muovere un appunto: in 'Everything We Will Leave Beyond Us' tutto è cristallino e ben orchestrato, ma nulla si muove al di fuori dei confini di un genere che da ormai troppo tempo si limita ad ammirare la propria immagine riflessa. Per quanto il disco riesca ad ammaliare (e non dubito farà innamorare gli appassionati del genere), terminata la musica e svanita la sua ipnotica magia poco rimane se non un potenziale accompagnamento per opere fantascientifiche e l’eco di una schiera di gruppi pressocché identici. Insomma, un buon compito senza dubbio, ma nulla più. (Shadowsofthesun)


(Finaltune Records/Moment of Collapse - 2020)

Corecass - Void

#PER CHI AMA: Ambient/Soundscapes/Experimental
Un susseguirsi di legno antico che respira tra i respiri dei Corecass. Respiriamo cosi insieme ad un ritmo da colonna sonora di un film dall’epilogo imprevisto. “Void I”. Mentre l’ossigeno ci percorre, visioni orientali spazzate dall’impero imperioso del dark ambient. Il suono gradualmente diviene intenso, spasmodico ed improvvisamente mellifluo, lento, nuovamente di liuto come una geisha di suoni servizievole e lontana, nella terra sognata. D’incanto, piove. Un moto forte sonoro di sensi accoglie “Carbon”. Ancora il legno che schiuma le percezioni sonore. Al legno piano si uniscono poi suoni elettrici corali, graffio lungo di tasti e di corde tormentate appena. La voce che sfugge sottesa, femminile, insistente, prepotente, sino a portare il pezzo ad un orgasmo metallico nero come una messa di chi chiede giustizia. Tocchi reiteranti, vellutati, sicuri su un organo che non lascia il fiato al respiro. “Void II”. Una spinta virtuale incurva le spalle se si asseconda il suono. Un ruggito affonda i canini deliziandosi con le paure di ognuno. “Amber”. Una song introspettiva, temporalesca, uno scenario da casa stregata. Seguitemi in questo viaggio, sarò il vostro Caronte, ma non dimenticate l'obolo per il vostro passaggio. Tornare indietro sarà magia. Curva il suono, aberrante, spazi chiusi e colori invisibili. “Void III”. Esercizi di stile in fingerstyle rivisitato da mani che aprono e chiudono le finestre per indurre buio e luce a loro piacere. L’epilogo. Come promesso. Imprevisto. Una risacca di mare che culla speranze, suoni, paure. “Breath”. Un brivido dopo inferno, purgatorio e paradiso. 'Void' si chiude come un racconto che ci ha fatto vivere sensazioni, momenti, ostacoli, velleità. L'album dei Corecass ci porta a viaggiare dentro di noi tra sospesi, paure e bellezze. Un ascoltare necessariamente tutto d’un fiato sospeso. (Silvia Comencini)

(Golden Antenna Records - 2020)
Voto: 80

https://corecass.bandcamp.com/album/v-o-i-d

Abbath - Outstrider

#FOR FANS OF: Black Metal, Immortal
The Immortal-esque sound is all there it seems to be a combination of 'Damned In Black', 'Sons of Northern Darkness' and a tint of way back when 'At The Heart of Winter' came out. Though the synthesizers were not overpowering. The riffs seem to be pretty strong on here and it's a blend of those albums (to me). The only thing that doesn't pack the punch are the drums since Horge still was with Immortal though now their status is disputed. Abbath came up with some pretty darn good riffs here. Pure Norwegian black metal and Abbath seems to blend it with some sounding like blackened thrash.

I would venture to say that this one could've been longer in length but it's nevertheless a good follow-up the the self-titled album. I suppose fans for now should follow this band rather than Immortal now that their status is on hiatus. Both Abbath albums have been good, this one a bit better than their debut. If you're a guitar player I'd say the riffs are what's key to follow on here. Abbath does a good job in that department as well as the vocal department. Not so much in the leads, though he puts in a good effort. This album is rather slow in tempos, though there are some fluctuations but not too much.

The sound quality is damn good with a little aura that is grim. This one isn't too intense of a release I'd say it's way catchy. Not only that, but the frontman of Immortal's older lineup. Abbath's vocals are unique and cool, making the album and band sound better than a lot of other black metal bands. I'm glad that there's no real synthesizers on here, but the atmosphere is dark. Like I said, it's sort of blackened thrash metal but with a tint and aura of black metal mixed in. I like it, I like the vibe here. Abbath seems to have improved on lead guitar, but he could've left that part out. So be it, however.

This is definitely an album to check out if you like black metal in general or Immortal with Abbath in the band. This one is a definite "B" rating to me, but if the leads were out I would've raised the rating. Definitely is worth picking up because the music on here is so awesome. And the Immortal influence that I touched upon gets listeners entranced. At least, it did to me. Hopefully Abbath will continue to make music since he's 47 now, he won't retire for years on end. The guy has a lot of riffs put down and 'Outstrider' is just a small dose I'm sure of what he has left for us. Check it out now! (Death8699)


(Season of Mist - 2019)
Score: 75

https://www.abbath.net/

Slowly Building Weapons - Echoes

#PER CHI AMA: Post-Punk/Shoegaze/Post-Metal
La Bird's Robe Records da sempre ci ha abituati a morbide sonorità post-rock strumentali. Quest'oggi invece mi sorprende con un'uscita fuori dalle righe. La proposta degli Slowly Building Weapons (SBW), quartetto originario di Sydney, è all'insegna di un mix tra post-punk, shoegaze e black metal. Si avete letto bene, black. Io mi ero già lasciato ingannare dalle tiepide sonorità poste in apertura con "Armada of Ghost", prima che delle chitarre super corrosive scatenassero una furia colossale per una manciata di secondi. Una sorta di sassaiola tremenda abbattutasi improvvisamente sulla testa e poi suoni più doomish giusto a creare un po' di confusione mentale in chi vorrebbe provare ad affibbiare un'etichetta a questi quattro tizi particolari. Con la seconda "Foal to Mare", i nostri ci conducono dalle parti di uno shoegaze intimista che con i suoni dell'opener non hanno davvero nulla a che fare, fatto salvo per quella voce delicata che mi ha ricordato un che dei finlandesi This Empty Flow o degli Handlingnoise, due band che potrebbero avere più di un punto di contatto con questi SBW. Con la terza "We are All Animals" si torna ad accelerare il ritmo con improvvise percussioni telluriche che si inframezzano a parti ancora dal piglio shoegaze. "Acid Gold Sun" è un po' più robusta a livello ritmico, con dei suoni forse un po' impastati nei quali rischia di perdersi la voce di Nicholas Bowman, ma la vena melodico/malinconica che permea questo brano, ne risolleva comunque le sorti. E questo mood malinconico si mantiene anche nella successiva "Dissolving", che ammicca ancora a quelle band finniche che con i Decoryah, avevano aperto un filone musicale davvero originale. I nostri mancano forse ancora di quel pizzico di originalità in più che mi aveva portato ad amare follemente quelle band, però devo ammettere che il sound degli SBW ha comunque il suo perchè, soprattutto laddove i nostri impongono un ritmo più solenne ai brani. Più fumosa "Heaven Collapse", la traccia che forse meno mi convince di questo 'Echoes'. Non si offendano i quattro australiani quindi se decido di skippare avanti a "Disc of Shadows", un brano breve ma ficcante, con una ritmica densa e oscura che va riproponendosi nella spettrale "Echo from Hill", un altro pezzo interessante ma che sembra mancare di una verve più spiccata, visto un finale quasi interamente lasciato a voce e percussioni. Magnetico l'incipit di "The Final Vehicle", una song in bilico tra post metal e alternative rock, con un finale a sorpresa all'insegna di un doom disarmonico. Ancora percussioni tribali nella prima parte di "Omega" (il finale sarà ancora sludge/doom), ultimo atto di questo interessante 'Echoes', un disco certo di non facile assimilazione ma che sarà in grado di regalarvi attimi di inquieta emotività. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)

martedì 22 dicembre 2020

Zed Destructive - Corroded by Darkness

#PER CHI AMA: Death/Black
La scena israeliana si arricchisce di un nuovo player, i Zed Destructive. 'Corroded by Darkness' è il primo squillo del quartetto capitanato da quel Zed Destructive, voce dei Winterhorde. Undici i brani a disposizione dei nostri per dimostrare tutto il loro potenziale dinamitardo. Si parte con "Repulsive Society", una song devota ad un black death con buone linee melodiche e la voce growl di Zed che si conferma ancora di ottima qualità. Un assalto frontale fatto di cambi di tempo, riff serrati, accelerazioni e bordate ritmiche. Niente di nuovo all'orizzonte come spesso dico, ma quanto prodotto non è affatto male. Il canovaccio è il medesimo in un po' tutti i brani con qualche variazione al tema. La seconda "Deformed Minds (Hatred)" ci offre infatti velenose scorribande black, con qualche urlaccio sparato sopra, in una traccia che conferma le doti tecniche di una band quadrata, capace e volenterosa, in grado anche di infilare un bell'assolo nel corso della song. Apertura acustica mediorientaleggiante per "The Dark Wanderer" e bei fraseggi prog death che mettono in mostra le doti della band nonchè una certa capacità di saper variare non poco la propria proposta musicale, sfoggiando sciabolate di chitarra a destra e a manca. Suoni più cupi per "Church", dotata di una ritmica che mi ricorda qualcosa dei Cradle of Filth, periodo 'Cruelty and the Beast' (forse anche a livello vocale, ricordando il Dani Filth più oscuro). Bene cosi quindi, tra rasoiate di chitarra, accelerazioni feroci, giri di tempo in stile Death ("Traitors"), ma anche assoli da paura ("Raped Existence"), roboanti e mortifere ritmiche (la title track e "Evil Wind", cosi Swedish death in alcune sue parti) o ancora porzioni epico-atmosferiche che arricchiscono di non poco il sound dei nostri (penso al finale strepitoso di "Eternal Damnation"). In chiusura, da segnalare anche la cover dei Deicide "The Truth Above", che secondo me poco avrebbe da che spartire con il sound dei Zed Destructive. Magari c'è ancora da lavorare alla ricerca di una maggiore dose di personalità, ma direi che i nostri sono sulla strada giusta per poter raccogliere ottimi consensi in futuro. (Francesco Scarci)

(Wings Of Destruction/GrimmDistribution - 2020)
Voto: 70

https://www.facebook.com/ZedDestructiveBand/

Empheris - The Return of Derelict Gods

#PER CHI AMA: Black/Thrash, primi Bathory, Sodom
Con un ritardo di quasi due anni, arriva sulla mia scrivania l'ultimo album degli Empheris, 'The Return of Derelict Gods', uscito ormai nella primavera del 2019 e riproposto in digipack un anno fa dalla Wings of Destruction. Con il 2021 alle porte potrete capire il mio stupore, magari con un nuovo album già programmato per il prossimo anno, vista la frequenza con cui i nostri rilasciano lavori. Comunque vi racconto un po' di questa band polacca che ha appunto un'estesissima discografia di EP e split album usciti dal 2005 a oggi. Il quintetto originario di Varsavia ci spara in faccia 10 tracce del più classico black vecchio stampo, quello che si combina con il thrash metal dalle ritmiche tirate, grezze e lineari, il tutto accompagnato da harsh vocals, insomma un tuffo indietro nel tempo di oltre 30 anni, che ci conduce ai vagiti di Celtic Frost, Bathory e Sodom, tanto per citare i nomi più scontati, anche se dentro ci senterei anche un che dei primissimi Rotting Christ, Kreator e Necromantia. Questo almeno quanto mi dice l'ascolto delle prime tracce, "The Beginning", la più rutilante "Rot No More" o la più breve e devastante "Testimony of Frozen Soul". Con una simile proposta, mi auguro che il feedback che si possano aspettare band ed etichetta, sia che quello degli Empheris non sia un album fresco, innovativo o cosi tanto vibrante. Diavolo, dovrei essere un ipocrita se dicessi il contrario e quindi come si dice in Italia "pane al pane vino al vino": questo è un lavoro che probabilmente anche 30 anni fa avrebbe sofferto di una certa obsolescenza. Sia chiaro, i nostri non suonano male, provano anche a giocare con cambi di tempo, accelerazioni e rallentamenti, voci gracchianti, qualche assolo piazzato qua e là. Però fondamentalmente vi ho riportato la descrizione di almeno qualche centinaio di migliaia di album, tutti uguali. Dubito pertanto che 'The Return of Derelict Gods' possa diventare una pietra miliare del metal estremo, anche se non manca qualche episodio piacevole come potrebbe essere "Palladium in Fire" o la conclusiva e sofferta "Necromantic". Insomma nel 2020, mi aspetterei qualcosa di più originale del più classico "back to the past". Solo per nostalgici amanti di quelle sonorità. (Francesco Scarci)

lunedì 21 dicembre 2020

Cave Dweller - Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)

#PER CHI AMA: Neofolk/Psych
Sono dieci i brani che compaiono in quest'album di debutto in qualità di solista, del musicista americano Adam R. Bryant. Uscito con il nome di Cave Dweller (da non confondere con altri, omonimi progetti sparsi per il web), già mastermind e componente effettivo della band post industrial, Pando, Mr Bryant ne evolve il concetto musicale, spostandolo decisamente verso le terre sconfinate del neofolk. Dieci canzoni immerse nelle nebbie mattutine, notti insonni e spazi aperti di natura incontaminata tra i paesaggi del Massachusetts. Storie che parlano di solitudini e disordini mentali, malattie, affrontate con il tono solenne del folk apocalittico ("Ancestor"), dell'alternative country filtrato dalla più buia espressività del dark e dell'alternative più rumoroso ("Why He Kept the Car Running"). La ballata nello stile di David J, soffocata da rumori d'ambiente, cicale, uccelli, fruscii, registrazioni in finto low-fi, una sorta di Burzum in veste di menestrello folk, imbevuto nello shoegaze, che a suon di chitarre acustiche mescola la selvaggia libertà di 'Into the Wild' con certo noise minimale e sperimentale, tanto caro ai Death in June. 'Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)' è un disco intimo e frastagliato, che riporta alla mente proprio l'album del 2016, 'Negligible Senescence', degli stessi Pando, con una ricercata vena poetica di base che si snoda lungo tutte le tracce. A volte si sentono echi post rock ma il suono è scarno, acustico e pieno di interferenze, anche il folk psichedelico appare tra le fila, ma il buio lo anima e lo rende tragico, mai spensierato, spesso ipnotico, malinconico, a volte persino evanescente, quasi ad inseguire un suono fantasma che ammalia, rapisce e sconcerta ("Where Trees Whispers"). Parti recitate e rumori d'ambiente inquietanti, disseminate ovunque ("Upon These Tracks"), registrati con smartphone e qualche altro aggeggio anomalo. Allucinazione e un senso di angoscia che si trasforma nei quattro brani conclusivi, spostandosi verso una tenue luminosità quasi pastorale con il coro di "The Secret Self", la cavalcata, alla Hugo Race (tipo 'Caffeine Sessions 2010'), tra country e synth wave cosmico di "Your Feral Teeth", lo strumentale dal solitario e rallentato passo bluegrass con il sottofondo di gabbiani e mare di "Bliss" ed il finale (con l'inizio che ha la stessa intensità della splendida "October" degli U2) lasciato ai rintocchi di piano di "To Return", segnano il battito di un disco non convenzionale, pieno di paesaggi in chiaroscuro tutti da scoprire, un viaggio insolito nel mondo di un folk parallelo, assai personale, intimo e nero come la pece, votato alla pura espressività poetica, per certi aspetti coraggioso ed innovativo. Una nuova veste per il neofolk a stelle e strisce. (Bob Stoner)

Deranged - Deeds of Ruthless Violence

#FOR FANS OF: Death Metal, Cannibal Corpse, Deicide
This is an extremely brutal death metal album that pulverizes the eardrum. I have their previous release, but I think that this one is stronger. It might only be a bit over 30+ minutes of music, but it sure packs a punch. These guys take no prisoners. I liked this album from start to finish! The music, the vocals and the sound quality. All top-notch. The vocals sound a little like Glen Benton in 'The Stench of Redemption' release, there is a similarity to his coming out in Deranged vocals. That's not a bad thing, it fits the music, absolutely. These guys put together one helluv a kick ass record all the way.

The album just doesn't let up. It's in your face pretty much the whole way through. There's only a couple of tracks that are a bit slower. But they're still brutal. The riffs are catchy and original. I liked them a lot. I felt that they did the band justice with this one. A step up from their previous release. Well thought out music, all the way. And intense as fuck! Everything on here seemed to fit in and just seemed to make sense from a musical standpoint. They seemed to have totally progressed since their last album. The vocals fluctuate but it's mostly growling. This is good though. Making it brutal for listeners.

Lead guitar is pretty technical and the rhythms go well with the vocals. Nothing bad to say at all about anything wrong with this album. They meshed Deicide with Cannibal Corpse together interwoven it into their own sound. I feel that they seemed close to both of those bands in style and from a musical aspect. But I like it. They have their unique qualities and vibe to them. Though the two mentioned bands have their sound to them that Deranged seemed to not copy but just show their influences. And the production quality was good for an underground band to beholden-to.

I didn't download this album first, I just grabbed it off the CD shelf and it struck me having their prior album and liking that I thought that this one too would be worth it. And mind it was! You can download it or maybe YouTube it just as long as you're a death metal fan or brutal death metal fan. Either way, it's good as gold, I gave this release an "A" because I felt that from start to finish the quality of the music was enough to grand it that. But if you're a CD collector, I'd say even more so to buy the album! This band keeps on improving. So go and hear what it sounds like in any avenue! (Death8699)


Dark Tranquillity - Moment

#FOR FANS OF: Swedish Death
I didn't discount this release when I first heard it because of my initial reaction to 'Fiction' wasn't great, but 'Projector' my favorite release from them of all time. This I felt it a "B" average because there are some quality parts to it, it isn't just a waste of $20. I thought that the vocals were solid (as always) though the guitar riffs are a little iffy. However, I was glad to get this recommendation from a long time friend of mine. I thought that the melodic parts were cool, even though Martin is no longer with the band. I thought that it was an excellent that Christopher Amott (ex-Arch Enemy, current Armageddon) is on guitars. Not that sure of Johan, but both do a great job!

As to who did the most songwriting on this release is obligatory. The guitars are superb, though not as good as they could've been. But I liked the album anyway. The music itself isn't very heavy, just emotional based. Mikael's vocals are some of the best that they've ever been, maybe better than even my favorite from them. The keys blend well with the melodic guitarwork and more of a feeling-based album. Mikael isn't sounding like he's crying on the voice but he's definitely in sad-mode. The riffs accompany the voice and synthesizers with absolute precision. And the production on top of it all is way good.

It was striking that an Amott was a part of this album. Christopher was amazing in Arch Enemy. I'm glad he clanged onto this release. He's one of my favorite melodic death metal guitarists just as Jeff Loomis (Arch Enemy, ex-Nevermore). So as far as the lead qualities on here, they're superb. I didn't think Christopher would last as long as he did in Arch Enemy since their style was continually evolving maybe into something that he wasn't into anymore. But him abandoning melodic death metal completely wasn't the case. And on here is another example of a great effort he puts through with this band. I suppose they did the band justice acquiring him.

I was totally skeptical about this release being something worthwhile and yes it is worthwhile. So on basically blind belief I bought a physical copy of the album despite the putrid reviews. I thought that from start to finish this album has a lot of grit to it. And it's definitely feeling based which is what you want from a band like this. I don't think there's any song that I disliked from the album. It's not the best Dark Tranquillity to date from my viewpoint, but I did like it better than 'Fiction' of course. It's got a different feel than that album. It's definitely not an album to listen to when you're feeling melancholic. Great release nevertheless! (Death8699)


(Century Media - 2020)
Score: 76

https://www.darktranquillity.com/

In Quest - The Comatose Quandaries

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death, Meshuggah, Nile
Nati dalle ceneri dei System Shit, i belgi In Quest evolvono ulteriormente il loro sound, sempre e comunque fatto di una miscela esplosiva di death metal e partiture brutal, arricchendolo di atmosfere plumbee e decadenti, talvolta apocalittiche. Se i primi album erano fortemente ispirati dai Cannibal Corpse e in seguito dal sound di Soilwork e In Flames, questo lavoro ci consegna una band che propone una sorta di brutal death prog con un’influenza più marcata derivante da Meshuggah e Strapping Young Lad. Le caratteristiche peculiari della band rimangono comunque intatte: lavoro di chitarre impressionante, drumming devastante, tastiere tetre e opprimenti che creano atmosfere rarefatte, ottime vocals, sia growl che pulite da parte del vocalist svedese Mike che ha sostituito più che degnamente il vecchio membro fondatore Sven. Il feeling che emana 'The Comatose Quandaries' potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora della fine del mondo, per quei suoi passaggi da brivido; ascoltatevi “Warpath” e capirete di cosa stia parlando: le ritmiche sincopate, le atmosfere angoscianti ci rubano le ultime molecole d’ossigeno capaci di tenerci in vita. Citavo i Meshuggah come punto di riferimento principale per l’uso più frequente, rispetto al passato, di stop’n go, blast beats, ambientazioni industriali oscure e minacciose; ma nel suono degli In Quest sono rintracciabili anche influenze derivanti dal thrash/metalcore americano, dal cyber death dei primissimi Fear Factory e dal brillante brutal di act quali Nile o Cephalic Carnage. Ottima la produzione, ottimi i musicisti, ottimi soprattutto gli intriganti e angoscianti solos, capaci di toglierci gli ultimi soffi vitali. Da rilevare la presenza infine, in veste di guest, del vocalist dei Mnemic, Michael, sulla title track di questo entusiasmante 'The Comatose Quandaries'. Grande passo verso una vita (o una morte) piena di successo. (Francesco Scarci)

sabato 19 dicembre 2020

As We Fight - Black Nails and Bloody Wrists

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Metalcore
La Danimarca non ha mai avuto una scena cosi florida. Nei primi anni 2000 c'erano gli Hatesphere, i Mnemic e gli Smaxone, dopo questi la nazione nordica partorì un’altra band che combinava death melodico e metalcore. Ecco a voi gli As We Fight e il loro debutto sulla lunga distanza (nel 2003 uscì il Mcd 'Darkness of the Apocalypse'), un lavoro appunto che è una commistione di sonorità già allora abusate: chitarre aggressive, voci al vetriolo che si alternano ad animaleschi growling, sprazzi melodici e tanta velocità. Direi che le carte in tavola per un presunto successo ci potevano anche stare, sebbene ancora una certa immaturità aleggiasse nello stile della band, talvolta troppo involuto verso soluzioni anacronistiche per il genere. A differenza di colleghi ben più famosi, gli As We Fight cercavano qualche soluzione alternativa nell’utilizzo di una tastiera dalle spente tinte apocalittiche. Devo ammettere, ad ogni modo, che 'Black Nails and Bloody Wrists' sembrava poter impressionare favorevolmente l’ascoltatore nelle prime quattro tracce, ma successivamente cadeva in un anonimo torpore da cui difficilmente risvegliarsi. Prodotti tuttavia egregiamente negli Antfarm Studios da Tue Madsen, il risultato di questo debut album alla fine risulta essere alquanto scontato e privo di dinamicità, diventando spesso troppo noioso. L'auspicio rimase che i ragazzi si facessero le ossa col tempo (altri due album successivi ahimè non troppo brillanti) cercando di sfruttare meno i trend imperanti e personalizzando maggiormente il proprio sound con idee più originali. Ma tutto fu gettato alle ortiche con lo split della band. (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2004)
Voto: 58

https://www.facebook.com/aswefightdk/?fref=ts

venerdì 18 dicembre 2020

Revolting - The Shadow at the World’s End

#FOR FANS OF: Swedish Death, early Entombed, Edge of Sanity
The Swedish metal scene is undoubtedly one of the most prolific ones in almost every subgenre of this music. Moreover, if we speak specifically about death metal, no one will deny that this Scandinavian country has given to us some iconic bands, both in classic death metal and also in the more trendy melo death, with some notorious examples that we all know. It was during the '90s, when some bands forged what was a particular form of death metal, being its influence in the scene undoubtedly huge. From that time and including some highs and downs in the popularity and level of inspiration of the scene, new bands appeared playing this iconic form of music, staying loyal to this particular sound. The Swedish trio Revolting is one of them. The band was formed in 2008 and has maintained a very stable line-up, being quite active as the band has released seven albums, including the new opus 'The Shadow at the World's End'.

As mentioned, Revolting plays death metal in its purest essence. There is no need to add more adjectives like melodic, brutal o technical. Revolting's formula is clear and honest, and it includes all the main and expected features of the genre, including profound growls, a pretty heavy and strong wall of guitars, and a consistent rhythmic base. The new album doesn't differ from this formula, so if you want some great surprises or novelties, you will feel disappointed. On the contrary, if you want some strong stuff with the aforementioned characteristics, 'The Shadow at the World’s End' will be an album that you will enjoy for sure. This work is iconic also in its artwork, with this mysterious and dark painting depicted in the cover album, which I consider excellent. Starting from the opening track "Defleshed", you will notice that the band´s sound is totally linked to the genre core aspects. Rogga’s vocals are excellent with super consistent growls, exactly what the genre requires. Both the guitars and rhythmic base have a powerful and clear sound and thanks to the good production, they are very distinguishable. The guitar work is excellent, being equally crushing and diverse when it is needed. I would like to mention that some short, yet melodic solos are also introduced, giving a melodic touch to the overall dense sound of the band. Pace-wise the band’ compositions flow between mid-tempo sections and some faster or slower sections, but never falling into ultra-speedy sections, so typical in the brutal death metal scene. The cadence here always calls for a good session of headbanging. The second track, "1888", is a good example of it, varying from slightly faster to mid-tempo sections and some slow and super heavy sections, where the band sounds particularly well. "Dragged Back to the Cellar" is maybe more representative of the general pace of the album, being generally faster, but with a slower final section which sounds great. Apart from it, as said, the album has a slightly faster pace but with a controlled speed, giving room to implement some great riffs, the expected crude aggression and lite melodic touches here and there.

In conclusion, 'The Shadow at the World’s End' is a pretty consistent album, it won´t break the scene but it is a good addition to the band’s career and will please any fanatic of old school death metal. (Alain González Artola)


Black Viper - Hellions of Fire

#FOR FANS OF: Heavy/Speed Metal
These guys sound pretty vintage heavy metal in the vein of Ozzy (old), et al. I really enjoyed this entire album. The songs are lengthy and quite innovative riff-wise. The leads are good, too! I'd have to say that every song is good on here. And the vocals aren't annoying like some other heavy metal bands. This band reflects the early 80's 90's era of heavy metal. That's what I like about them! They've gone old school and they're a modern metal band. I like how they put together the songs. And I don't hear the "speed" metal but the moderate guitar work. I really like this band. I'm glad I discovered them.

The music and vocals are the highlights to this album. The guitars were a little sloppy in some instances, but not on a whole-scale. A lot of tremolo picking with the rhythms. But the tempos were just reflective of a classic heavy metal album. I enjoyed it really. There was some sort of echo to the vocals and production. It just seemed to be how they wanted the album to sound. And the vocals at times were screaming in a high pitch. But it went along with the music. I liked the guitar the most. The riffs are wholly likable, that's what drew in their audience, I think. But the vocals and drums were good, too.

I'd say the groove this band gives off is significant! The rhythms are notorious for being catchy and original. It's just that the vocals have a tinge of Ozzy (as mentioned) in them, but it's still good to listen to. It's nothing too brutal. These guys are solely not mainstream at all. This is a band that needs more publicity and recognition. I was happy to discover them when I did. Even though this album is about 2 years old, it's not really lacking in anything. It's straight forward and grappling. They seem to draw in their influences without duplicating them. The riffs are totally invincible I think they're the highlight, absolutely.

If you're just in the metal (general) genre, you should be able to dig this with immense joy! Or just want a change from brutal genres then you're set. They seem to attract people that are interested in many different forms of metal. So if you're like me, check them out when you want a change from say death metal. These guys are straight heavy metal with a punch,. The riffs are awesome and the originality is there too. You can download or buy the physical CD. I'd say the latter to show support to the band. I might have to do that myself keep these guys going onward! (Death8699)

mercoledì 16 dicembre 2020

Empress - Premonition

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge/Post Metal
Scovati quasi per sbaglio sul web per un evidente errore ortografico del sottoscritto, mi ritrovo oggi tra le mani l'album di debutto dei canadesi Empress. 'Premonition' segue infatti a distanza di tre anni l'EP 'Reminiscence' con il quale il duo di Vancouver diede voce alla propria personale proposta musicale che combina stoner, doom, sludge e post metal. Il tutto è chiaro fin da subito, quando "A Pale Wanderer" fa il suo debutto nel mio hi-fi. L'impianto ritmico è infatti quello stoner dei Mastodon con le chitarre granitiche e la voce di Peter Sacco (che peraltro suona anche nei Seer) che ammicca ai Baroness. Quello che mi conquista è la seconda parte del brano affidato quasi interamente al sibilare delle chitarre in tremolo picking e ad un arrembante cavalcata finale che sfiora il post black sia a livello ritmico che vocale, il che permette ai nostri di ampliare ulteriormente il proprio raggio d'azione, inglobando tra i propri fan anche i non puristi di sonorità estreme. E qui di apertura mentale ne serve parecchia, visto che con la seconda "Sepulchre" (uno dei single dell'album) si ritorna ancora in territori tipicamente stoner, anche se poi non mancano le esplorazioni verso un robusto hard rock sporcato di sludge non troppo melmoso a dire il vero, ma che comunque anche troppo pulito non è. "Passage" sembra un mix tra stoner, psych rock di scuola teutonica (penso ai berlinesi Elder), un pizzico di doom, ma anche una certa vena progressiva che esalta non poco l'output finale dei nostri. Con "Trost" si infiamma l'anima del duo originario della British Columbia, e si torna cosi a pestare sia sul piede dell'acceleratore che sullo sbraitare dietro al microfono, con la voce di Peter che aspira ad uno screaming quasi black, ma solo per quella manciata di secondi in cui anche la ritmica corre impazzita come un cavallo indomito. La song poi evolve attraverso forme stilistiche più evolute che chiamano in causa i Pallbearer, prima che la bastarda anima hard rock torni a rimpossessarsi dei due musicisti canadesi. Eppure c'è ancora tempo per sentire anche le velleità post rock dei nostri proprio in finale di brano. "Hiraeth" parte lenta e oscura, magnetica come poteva essere l'intro di "1,000 Shards" degli Isis e poi continua a muoversi in territori tipicamente post-metal ammiccando indistintamente a Neurosis e Isis. La title track è ancor più ispirata, disegnando splendide atmosfere post metal, complici gli ottimi arrangiamenti ed una song tra le più dotate di una forte emotività. Ma questo è uno standard degli ultimi pezzi visto che anche la conclusiva "Lion's Blood" guarda in questa direzione con un sound forse più abrasivo della precedente ma che comunque sottolinea le ottime eccellenti doti compositive della compagine nord americana, in una song riconducibile musicalmente al post metal più malinconico e crepuscolare. Il che la rendono un altro degli episodi meglio riusciti di questa prima prova su lunga distanza degli Empress. Insomma l'Imperatrice ha colto nel segno e non posso far altro quindi che invogliarvi all'ascolto di questo 'Premonition', credo che gli spunti che ci troverete, saranno di sicuro interesse. (Francesco Scarci)

Skeletal Remains - The Entombment of Chaos

#FOR FANS OF: Death Metal
Follow-up from 'Devouring Morality' and definitely a solid follow-up. I enjoyed it immensely. Again, showing their interests such as Death, Obituary, et al they make their own unique riffs. And the lead guitar is AMAZING. Similar vocals to the last and the atmosphere is a little darker than their predecessor. Both equally as good and invigorating. I liked this band right away when I first heard them. Unique in their own right, vocals raspy throat and rhythm guitars that are quite technical. And FAST! They're still within the death metal genre and sticking to their roots absolutely!

There wasn't a track on here that I disliked. I felt each one was worth it. Definitely hear the influences and they weave it into their own array of sounds. This one isn't all fast tempos but a lot of them were. But the riffs are pretty technical. The whole sort of atmosphere to this album is totally grim and depressing. The vocals are sung in a fashion that goes well with the brutal riffs. Just like their last release, a sense of this sort of hoarseness. Simply is an acquired taste to it. But again, it keeps it more underground. The music and vocals are my favorite parts to the album. Definitely.

The production is sort of raw and echo-ish. But it's good that they did this because it keeps that darkness to it the whole way through. They sure as hell beat your eardrums to death. I really like a good majority of riffs on here. I thought that they were quite good definitely well executed. All the songs are brutal and you don't know what to expect. The drums go well with the music also. They seem to follow along the riffs in the right fashion. Double bass kicks and some blast beating here or there. The tempos are just all over the place. And the riffs in your face kick ass! Some of the leads are just mind boggling.

I liked this whole album, but I thought it was about similar to their last album in terms of quality. A little bit darker, but not that much. I saw a copy of this at the record store and I had to grab this. It's featured on Spotify and I'm sure YouTube as well. I'm a CD collector so I didn't mind getting a copy of this album. Hear it from any source, it's a killer LP. They really know how to write some killer music. You just never know from track to track what to expect. I would say buy the physical copy if you're a CD collector as well because it's definitely worth the money. And help the industry too! (Death8699)


Sarcoptes - Plague Hymns

#FOR FANS OF: Black/Thrash
California-based duo Sarcoptes was one of the biggest surprises of 2016 with its impressive debut entitled 'Songs and Dances of Death'. This debut came after some years of existence where the project only released an EP called 'Thanatos'. It took a decade, but this duo was able of releasing a collection of songs with a remarkable quality. Personally, I have never been a great fan of thrash influenced by black metal, but this project combined both genres with an indisputable inspiration, creating songs which were a truly riff fest. Furthermore, they introduced some symphonic influences, which never overshadowed the metal side of the music but complementing it, giving an epic touch to its compositions. All these ingredients where the perfect match to release which was an acclaimed debut.

As it has happened earlier in its career, Sarcoptes has taken its time to compose new songs in order to take the necessary time to compose new songs with the highest standards of quality. The result of this work is a new EP, which should serve as a presentation of a very awaited sophomore album. 'Plague Hymns' is the name of the new beast and it comes with two new songs. Firstly, the production seems to have made a step forward in terms of strength in every single aspect, but more importantly with the drums, which sound more consistent in terms production. All the other aspects like vocals and riffs sound as powerful and clean as expected, but step forwarded as well in terms of quality and strength. In contrast to the debut, I would say that guitars and drums are slightly more prominent than the keys this time, but thankfully not shallowing them completely, something I had initially feared. I love more prominent atmospheric arrangements, but this balance is also objectively satisfying. Regarding the compositions, the fusion between black and thrash metal riffs is still there, being merged once again in a very tasteful and inspired way. The initial song "The Vertigo Soul" sounds as fast and brutal as the heaviest songs of the debut album, but it still maintains the richness in terms of pace variation and the range of riffs, which are more melodic or more extreme when it is needed. No one can deny that these two guys know how to compose extreme metal songs based on a top-notch guitar work and ferocious drums. Garret’s vocals are also excellent this time with his raspy tone fitting the music very well. On the other hand, Sean’s work with the keys and symphonic arrangements (as well as for the guitars) is excellent, with maybe a slightly bigger range of sounds and influences. This is good because this work to find a greater variety in the atmospheric arrangements is a key factor to improve the overall sound of the band. The second song, "La Moria Grandissima", follows the same basic patterns of the EP opener, but thanks to its longer length it has a greater room to introduce a more epic tone which sounds simply wonderful. Sarcoptes has indeed shown that it knows how to create long and epic songs yet keeping a great balance between fury and grandeur.

'Plague Hymns' is undoubtedly an excellent EP and maintains Sarcoptes as one of the most exciting new bands of the extreme scene. I can't wait to listen to their second album, because if they can, at least, maintain the same level of quality, it will be a masterpiece.  (
Alain González Artola)

(Transcending Obscurity Records - 2020)
Score: 83

https://sarcoptesblack.bandcamp.com/album/plague-hymns-black-thrash-metal

sabato 12 dicembre 2020

Sens Dep - Lush Desolation

#PER CHI AMA: Shoegaze/Ambient, Mono, Slowdive
Nato nel 2009, il progetto australiano dei Sens Dep vede la luce inizialmente come supporto sonoro verso visual media e colonne sonore per film. La band è costituita per due quinti da ex membri della band post rock Laura, valida compagine con all'attivo tour insieme a Cult of luna, Isis e Mono, oltre che numerose pubblicazioni tra album, singoli ed Ep. Andrew Yardley, Ben Yardley (ex Laura) e Caz Gannell sperimentano a lungo con la nuova creazione e servirà un periodo di ben quattro anni di incubazione, passati tra le lande selvagge della Tasmania, per renderla concreta e definirne le caratteristiche estetiche attuali. La cosa bella che si nota al primo ascolto, è che la linea continua con il passato post rock non si è spezzata ma, semplicemente, molto molto evoluta con il passare del tempo. Certo, la concezione musicale in stile soundtrack prevale sempre ed anche l'amore per rumori e interferenze ambientali gioca un ruolo fondamentale nel fluidificare sonoro delle composizioni, fino a renderle inevitabilmente, una sorta di film da ascoltare in perfetta solitudine. La struttura di 'Lush Desolation' si potrebbe spiegare come un percorso immaginario in montagna, dove si parte dalle prime quattro tracce impregnate di umore grigio e una tensione d'ambiente di grande effetto, cariche di feedback di chitarra e tappeti di synth dal sapore cosmico complici ritmi lenti o appena abbozzati, con all'interno sempre una certa malinconia che riporta spesso alla mente distese ampie e paesaggi riflessivi. Percorrendo la salita della nostra ipotetica montagna, ci si addentra nella vetta del disco che cresce enormemente con la comparsa di una voce calda ed ipnotica (in stile Chapterhouse epoca 'Whirlpool') nel brano "Nebuvital", portando la musica ad una dimensione di canzone assai intima, rarefatta, circondata costantemente da un senso profondo di desolazione. Nei tre brani successivi questo cambiamento aprirà il suono ad un approccio mesmerico ai confini della realtà, omaggiando band del calibro degli Slowdive, The Telescopes e Loop, trasportandoli in un contesto più moderno, tecnologico e siderale, con monumentali muri di chitarre distorte, infinite e liberatorie, cadute a pioggia su tappeti ritmici pulsanti e rallentati, una visione lisergica in slow motion per parlare, con i testi delle canzoni, del rapporto complesso che esiste tra uomo e natura. Compare anche un volto acustico in "Bound" ma lo shoegaze è padrone in questa casa e lascia poco spazio a ciò che non lo è. La traccia in questione nasconde una chicca al minuto 3:27, che non vi svelerò ma che si fa apprezzare parecchio, una gemma che innalza il valore di produzione dell'intero album, mostrando che la band di Melbourne ha ottime idee da estrarre dal proprio cilindro, anche per gli audiofili più esigenti e perfino per gli amanti di certa musica elettronica d'ambiente. Altra hit potenziale è "To Build a Fire" che, avvolta nella sua malinconia, invita alla strada in discesa dalla nostra montagna sonica. E la discesa non pregiudica la qualità della proposta e negli ultimi brani, prima della chiusura, si esaltano il distorto, la ritmica e l'ambiente. È tuttavia nella magia della conclusiva "Luckless Hunter" che si tocca l'apoteosi compositiva, tra shoegaze, post rock, l'infinito mondo dei Mono e riverberi degni dei più corrosivi My Bloody Valentine, passati in acido e rallentati a più non posso. Non che avessi dubbi, poiché le premesse di questo album erano già una garanzia, ma il debutto dei Sens Dep è veramente una catarsi magica, da cui sarà difficile staccarsi e lasciarla cadere in tempi brevi nel dimenticatoio. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

Darkenhöld - Arcanes & Sortilèges

#PER CHI AMA: Medieval Epic Black, Windir
Quinto album per i francesi Darkenhöld, alfieri del black epico in casa Les Acteurs de l'Ombre Productions. 'Arcanes & Sortilèges' arriva con nove nuovi pezzi che fanno della melodia accompagnata ad una buona dose di aggressività, i capisaldo della musica del trio di Nizza. Si parte con le burrascose intemperanze di "Oriflamme" ed un black che gode di influssi folk-medievaleggianti che spezzano la ferocia ritmica dei nostri. Ancora, ottime le partiture tastieristiche, l'assolo a metà brano e il fraseggio più oscuro nella seconda parte. Più orientata al post-black invece la seconda "L'Ost de la Forteresse" con una ritmica nervosa sorretta dallo screaming di Cervantes e da una prova maiuscola alla batteria da parte di Aboth. La traccia riserva anche le non troppo invasive linee di tastiera che accompagnano chitarra e basso, nonchè le sporadiche clean vocals di Aldébaran. La proposta del terzetto pur non proponendo fondamentalmente nulla di nuovo, è comunque dotato di ottime atmosfere e anche di fini orchestrazioni, soprattutto nel finale più epicheggiante della traccia. Niente di nuovo dicevo, però il disco si lascia piacevolmente scoprire ed ascoltare, complice una linea musicale che vede diverse variazioni di tempo a salvare, anzi esaltare, le qualità di questo lavoro. Ancor più lineare la melodia che guida "Incantations", una song dove appare il suono di un flauto in sottofondo e in cui la porzione chitarristica è più orientata al versante heavy classico che a quello estremo. Il bel bridge di chitarra, cosi come il lungo break acustico, confermano la volontà dei nostri di non risultare mai scontati e cercare continue variazioni al tema, soprattutto in un finale dove un altro assolo di chitarra illumina la scena. Molto più oscura e meno patinata la successiva "Mystique de la Vouivre", un brano forse più legato alla matrice viking che non trovo interessante quanto i precedenti, il che mi spinge a passare oltre. Detto che "La Tour de l'Alchimiste" è un brevissimo intermezzo ambient, soffermiamoci a "Héraldique", un brano cadenzato, assai melodico che concede ampio spazio alle parti atmosferiche e che in quelle più tirate ammicca ai Windir, soprattutto a livello dell'assolo conclusivo e nelle ancestrali in chiusura. Molto più violenta e dritta "Le Bestiaire Fantastique" mentre il refrain di "Le Sanctuaire Embrasé" mi ricorda un che dei primi Emperor, anche se la complessità del brano ci conduce poi in scenari fantastici che si esplicano attraverso ottime linee melodiche, interessanti atmosfere e sfuriate black che la elevano a mia traccia preferita di questo articolato 'Arcanes & Sortilèges'. A chiudere ci pensa l'outro ambient di "Dans le Cabinet de l'Archimage", nel tipico dungeon synth style che conferma la giusta epica collocazione dei Darkenhöld in questo contesto musicale. Bene cosi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/arcanes-sortil-ges

mercoledì 9 dicembre 2020

Clouds Taste Satanic - The Satanic Singles Series Vol 1: The Book of Satan

#PER CHI AMA: Doom Strumentale
I Clouds Taste Satanic ci introducono in una nuova avventura musicale, stavolta incentrata sui ricordi musicali che hanno avuto un'importanza nel corso della vita del monolitico combo di New York. 'The Satanic Singles Series Vol 1: The Book of Satan' è una particolare rivisitazione della band di alcuni brani non necessariamente legati al mondo doom, pubblicati a piccole dosi in vinile 7'' da collezione, con copertine esoteriche da urlo, in soli 200 esemplari, licenziati via Kinda Like Music. All'interno del primo volume, troviamo due cover stravaganti, che vengono rivisitate in maniera molto originale e fantasiosa dal trio americano. La prima cosa che si nota è il tipo di sonorità adottata dalla band che si discosta leggermente dalla pesantezza tipica della solita proposta, un leggero cambio di registro che, nell'ascolto del disco, non compromette minimamente l'integrità sonora del gruppo. Da un lato del disco troviamo "Funeral for a Friend", un classico intramontabile di Elton John, ridisegnato a puntino con un estroso gioco continuo di chitarre che ricordano i Thin Lizzy carichi ma melodici dell'album 'Renegade', mentre dall'altro lato del vinile un'inaspettata, "Also Sprach Zarathustra" di Richard Strauss, o almeno quella piccola parte celebre, fissata nelle colossali immagini del film di Kubrick, '2001: Odissea nello Spazio'. Un brano di musica classica ricostruito per l'occasione in una veste più consona ai Clouds Taste Satanic, per maestosità del suono, in una rilettura di appena due minuti di accordi ariosi nello stile da opera rock di Pete Townshend. Tornando a "Funeral for a Friend", quello che colpisce è come un brano dal sostrato molto triste riesca, tramite delle mani esperte, essere suonato con un calore ed un colore sonoro tutto nuovo e squisitamente rock, un rovente, epico retro rock, delicato e potente allo stesso modo, facendolo esplodere letteralmente, riesumandolo senza farne perdere il senso di malinconia, per renderlo un brano incendiario, soprattutto se immaginato dal vivo. In definitiva, se questo è l'inizio di una serie di 7'' pollici così ben concepiti, non possiamo far altro che attendere tutte le prossime uscite dei 'The Satanic Singles', trepidanti e curiosi. (Bob Stoner)

Eclipse of the Sun - Brave Never World

#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride, Morgion
Da un luogo dal nome impronunciabile, Székesfehérvár, arrivano questi Eclipse of the Sun, quartetto ungherese dedito ad un death doom d'annata. 'Brave Never World', atto secondo nella discografia dei nostri, a dieci anni dalla loro fondazione, è un disco onesto, che francamente se fosse uscito vent'anni fa, avrebbe meritato qualche chance in più. Si, perchè l'iniziale "Pillars of Creation" non fa altro che rimarcare quelle che sono le influenze quasi trentennali del disco, che ci riportano alle prime release dei My Dying Bride. Questi, in compagnia di Morgion, Swallow of the Sun, primi Paradise Lost e moltissimi altri, potrebbero figurare tra le principali influenze del quartetto magiaro. Anche la successiva "Things Called Life" fa l'occhiolino alla "Mia Sposa Morente" sia per utilizzo della voce pulita (ma qui compare anche un cantato sporco) che per un impianto sonoro che suona un filino datato. Ed è un peccato perchè mi scoccia limitarmi ad una mera sufficienza come sprono per una band che fondamentalmente avrebbe le capacità per fare meglio ed essere un po' più personale. Questo perchè gli Eclipse of the Sun sanno suonare, creano discrete atmosfere (ascoltate la title track e quel suo fare sinistro), ma quello che manca è una buona dose di freschezza e da una band in giro da ben dieci anni, beh mi sarei aspettato qualcosa in più che seguire i puri dettami dei maestri del genere e poco altro. Tra i mie pezzi preferiti vi citerei la sofferente "Not a Symbol" e la più sperimentale "Home", dove la voce è lasciata in sola compagnia di una batteria di accompagnamento in una prova quasi del tutto riuscita. Ancora ampi sprazzi atmosferici in "World Without Words", song guidata dalle tastiere e da una larga parte ambient che esploderà in un finale a dir poco devastante e che a mio avviso rappresenta l'ultima vera apprezzabile traccia del disco, complice una song conclusiva, "Era of Sun", ancora troppo ancorata al sound dei My Dying Bride. 'Brave Never World' è alla fine un disco che sembra mostrare ancora il lato acerbo della band, o comunque non farne uscire i reali valori. C'è da lavorare ancora duro per scrollarsi di dosso i facili paragoni e togliersi qualche discreta soddisfazione. (Francesco Scarci)

(More Hate Productions/Satanath Records - 2020)
Voto: 62

https://satanath.bandcamp.com/album/sat291-eclipse-of-the-sun-brave-never-world-2020

domenica 6 dicembre 2020

Astarium - Hyperborea

#PER CHI AMA: Symph Black
Dalle desolate lande della Siberia, facciamo la conoscenza degli Astarium, una one-man-band che in realtà esiste già dal 2005 e la sua discografia vede ben otto album all'attivo e 12 tra split ed EP. Io ignorantone non li conoscevo, quindi potrò fare pochi confronti con il passato ma dirvi piuttosto cosa ci ho sentito in questo 'Hyperborea'. Intanto partirei col dirvi che ci sono la bellezza di 16 tracce qui incluse ma non di grandi durate visto che il disco alla fine dura poco più di tre quarti d'ora. La musica del mastermind russo si muove nei paraggi di un black pesantemente infarcito di tastiere. "The Wild Hunt", "Doomed" e "Halls of Winter Gods" sono pezzi sicuramente interessanti, la seconda peraltro mi ha evocato un che dei Limbonic Art miscelati con il delirante approccio degli ungheresi Nagaarum, il tutto con l'apporto pesante delle keys che richiamano un che dei Bal Sagoth più pomposi e orchestrali. La cosa che salva Mr. Astarium è che i pezzi sono tutti di breve durata e quindi non si fa in tempo ad annoiarsi. "When the Proud Die" ha un incedere decisamente più cupo, quasi funereo, con la strana ma originale voce del frontman in primo piano, ma la song non arriva ai due minuti e quindi scivola via liscia che un piacere. Molto meglio la successiva "Snow Storm", molto più dinamica, che si mantiene sempre nei territori di un black estremamente melodico, dove le tastiere dominano la scena, creando ottime orchestrazioni su di un tappeto ritmico costantemente anomalo. Molto più veloce e caustica a tratti, "Sign of Cosmic Might", con la voce che ricorda la versione più pulita di Dani Filth. Il disco continua con tutta una serie di pezzi sulla stessa falsariga: la strumentale "Battle Glory" che gode di un'influenza dei Summoning. In "Daughter of Imir" compare la risata dolce e sensuale di una donna in apertura poi il pezzo riparte alla stregua dei precedenti. "Kill to Survive" ha un lungo incipit atmosferico per poi sfociare in una song più tirata, il che si riconferma anche in "Curse from the Past" o nella violenta lucida follia di "Lucky Bastard", 24 secondi di un sound infernale. Arrivato alla fine però, la sensazione è quella di avere ascoltato un album monumentale, tipo due ore di musica. Forse un disco cosi spezzettatto per qunato intrigante per contenuti, si rivela ostico non poco per quanto un genere alquanto accessibile. Ora potrò andare pure ad ascoltare i vecchi lavori e cercare di capirne di più di questi Astarium. (Francesco Scarci)

(GrimmDistribution/Gravações Tunguska - 2020)
Voto: 65

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/059gd-astarium-hyperborea-2020