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lunedì 16 dicembre 2024

Misanthrope - Immortal Misanthrope

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Symph Death
Questo gruppo esiste dal lontano 1988 e io, al tempo di questa recensione, non ne avevo mai sentito parlare! Francesi, i nostri, sono fautori di un buon heavy-death metal, molto tecnico (ascoltare per credere), dove un tappeto tastieristico sempre presente e direi quasi virtuoso, si fonde in tutta la sua melodia con le ottime e potentissime chitarre, con una batteria martellante e tecnica e infine, con la voce grandiosa del leader Philippe "S.A.S de l'Argilière" Courtois. La giusta definizione per il loro suono, a mio parere, potrebbe essere: sympho orchestral music mescolata con i classici riffs heavy-death metal. Questo album è un buon pasto per tutti coloro che ascoltano Children of Bodom, primi Nightwish, Dimmu Borgir, Samael e, aggiungerei anche, i melodicissimi Stratovarious. Da non dimenticare la produzione killer di Nordstrom e J-J Moreac. I Misanthrope sono comunque un gruppo da ascoltare dal vivo (non per niente sono stati partecipi di concerti in compagnia di Angra, Cradle of Filth, Dimmu Borgir e Gamma Ray). Quindi, aspettate il prossimo tour europeo e non mancate!
 
(Holy Records - 2000)
Voto: 70
 

lunedì 9 dicembre 2024

Lord Agheros - Anhedonia

#PER CHI AMA: Symph Death/Black
Fermi tutti, prendete il vostro taccuino e segnatevi il 3 gennaio 2025 come data della nuova uscita dei Lord Agheros. Difficilmente faccio proclami di questo tipo, ma ascoltare 'Anhedonia' in anteprima, è stata una delle più belle sorprese di questo fine 2024 e l'album del polistrumentista siciliano Gerassimos Evangelou, si candida già a essere uno dei top del prossimo anno. Quello della one-man-band italica è da sempre un percorso ambizioso, che noi qui nel Pozzo, abbiamo provato ad accompagnare nella sua evoluzione sonora, recensendo alcune delle sue passate release. Ci siamo persi la precedente 'Koinè', ma per 'Anhedonia' volevamo esserci. E allora, pronti a immergervi nelle atmosfere raffinate di questo lavoro, il cui titolo si riferisce all'incapacità di provare appagamento per le comuni attività quali cibo, sesso e relazioni interpersonali? Il disco, che consta di otto pezzi, si apre con i malinconici vocalizzi di "Lament of the Lost", e un'atmosfera cosi cinematica che pare catapultarci in un kolossal come 'Il Gladiatore', e in una delle inquadrature più famose in cui Massimo Decimo Meridio accarezza le spighe di grano. Questa è l'immagine che mi sono configurato mentre ascoltavo le note iniziali del disco, con la magnetica presenza di una voce femminile in un contesto crescente in cui irromperà il growling potente del frontman. Con una proposta che mi ha evocato i Moonspell più ispirati, i Lord Agheros sprigionano qui la loro maestosa forza, tra roboanti ritmiche e break ambientali affidati a delicate vocals femminili e suoni di carillon. "Harmony of Despair" è uno dei due singoli che hanno anticipato l'uscita del disco e si apre con delicati tocchi di pianoforte e un angelico coro che mette i brividi. A sconquassare l'eterea atmosfera ci pensano le vocals del mastermind, in un'atmosfera che comunque mantiene una forte componente orchestrale, cosa che contraddistinguerà l'intera release. La componente cinematica torna nelle note iniziali di "Eclipse of Hope", che affida all'essenzialità di chitarra e tastiere, il traino di un altro brano da applausi, struggente nella sua vena crepuscolare almeno fino al minuto 2.30 quando deflagrerà la componente vocale a rompere quella delicatezza iniziale che si era instaurata. Da li sembra di sprofondare in un incubo a occhi aperti con una ritmica deragliante che conserva comunque la sua parte sinfonica. "Lost Dreams Ritual" con i suoi cori salmodianti, ha le sembianze di un rituale esoterico, complice anche l'utilizzo di strumenti alternativi, in un incedere tribale che potrebbe evocare un cerimoniale attorno al fuoco, tutte immagini che si parano davanti ai miei occhi durante l'ascolto, un viaggio mistico che trova la sua strada "metallica" solo verso il finale che ci prepara a "Sorrow's Shroud" (il secondo singolo) e a una song decisamente più classica, affidata a un black atmosferico mid-tempo. Niente di trascendentale almeno fino al secondo giro d'orologip quando subentra un break cinematico-avanguardistica, con melodie dal sapore orientale e il brano a instradarsi verso un death dalle forti tinte sinfoniche (chi ha detto Therion?). Il disco si conferma una bomba nella sua alternanza tra parti dal sapore folklorico che si intersecano con altre orchestrali quasi operistiche ("Soul's Descent into the Void") e ancora con il death sinfonico o il black atmosferico norvegese, in un viaggio musicale che ci consente di vedere il mondo in luoghi e periodi storici differenti. A chiudere il disco altri due pezzi: il delicato savoir-faire di "Tears in the Silence", interamente affidata a delle vocals femminili e la conclusiva "Ancient Echoes", un ultimo omaggio alla mediterraneità racchiusa in questo disco, espressa in chiave dark/ambient, a sigillare un piccolo grande gioiello pronto ad aprire in modo entusiastico il 2025. (Francesco Scarci)

martedì 10 settembre 2024

Art of Attrition - .​.​.​And it Will All End Forever

#PER CHI AMA: Techno Symph Deathcore
Proprio ieri parlavamo di una scena black nel Quebec, death in British Columbia, ed ecco che oggi andiamo in Alberta per saggiare il techno deathcore degli Art of Attrition, che tornano, a distanza di due anni da 'The Void Eternal', con un nuovo EP. '.​.​.​And it Will All End Forever' è il titolo della nuovo release che mette in pista quattro nuove devastanti tracce che irrompono con la deflagrazione, sin dal primo secondo, di "Drowned in Fog" forte di una sezione ritmica letteralmente frantuma-ossa, complice una monumentale batteria, vera spina dorsale di questa band, una coppia di asce dal rifferama mega ribassato, una sezione orchestrale che dovrebbe attenuarne i toni ma ne arricchisce gli arrangiamenti, per chiudere con un grugnito vocale che sfocia talvolta nel pig squeal. "Vitriol" parte decisamente più in sordina, ma si tratta solo dei primi 15 secondi: i nostri rimetteno infatti in mostra i muscoli con attacchi ritmici che sembrano provenire da ogni direzione. Il pezzo nella sua ondivaga forma psicotica alterna parti più ritmate con sventagliate fuori controllo, in grado di interrompersi repentinamente per partiture tastieristiche sci-fi estremamente ispirate e melodiche. Tranquilli, è sempre questione di pochi secondi e la tempesta sonora torna a battere come una grandinata che squarcia il telaio e il parabrezza di un automobile, lasciandola crivellata di colpi mortali. Ovvio che per avvicinarsi a tale proposta musicale, è necessario avere le orecchie foderate di ghisa e prendere una buona dose di sedativi, altrimenti il ritmo infernale finirà per farvi esplodere il cuore. Il tutto è confermato anche dalla terza "Emaciate", il cui apparato ritmico ha più le sembianze di una mitragliatrice in grado di sferragliare 3500 colpi al minuto. Le orchestrazioni dovrebbero, ma non riescono, a mitigare questa sequenza mortale; ci prova allora un cantato quasi rap ma niente da fare, fa infatti la sua comparsa sua signoria "contraerea di Baghdad", accompagnata da voci isteriche e un successivo assolo da chilo, tale da lasciarci interdetti. A chiudere questo massacro, ecco la title track: non so cosa aspettarmi, sono letteralmente in apnea, anche se la band non lesina certo nelle variazioni di tempo e in inaspettati break ambientali. E infatti, sebbene un inizio più tranquillo, i quattro musicisti canadesi si lanciano in un'altra gara sparata a tutta velocità, in questo magico connubio di violenza, melodia e magniloquenti, terrificanti e orrorifiche atmosfere. Semplicemente paurosi!!! (Francesco Scarci)

mercoledì 17 luglio 2024

Paradise In Flames - Blindness

#FOR FANS OF: Symph Black Metal
This time we cross the Atlantic Ocean to visit the always interesting Brazilian scene. Paradise In Flames is a band founded 21 years ago. The project has suffered several line-up changes, which may explain the big gap between the different releases. André Lui is the only remaining founding member, but thankfully he keeps the torch of the project alive. The new opus, entitled 'Blindness' even comes with the recent departure of the keyboard player and female singer O.Mortis. Fortunately, her work is present here, so we can still enjoy the full potential of Paradise In Flames.

As mentioned, 'Blindness' is the new effort, and it is definitely a fun album to listen to. Paradise In Flames plays black metal with a great presence of symphonic-style keyboards that make the band sound truly majestic. The production is well-balanced, clean, and gives room for the instruments to shine when needed. This is particularly well-achieved when keyboards appear, as you can still appreciate the guitars and powerful drums. This is the main point to achieve when you mix metal and symphonic elements, and I consider that Paradise In Flames gets the point perfectly well. The compositions themselves are short but very well-done, with abrupt tempo changes that sound natural and not forced. The album consists of eleven tracks, not lasting over forty minutes in total. This opus breathes power and symphonic greatness in each composition, with only a few calmer moments. In general, 'Blindness' is an album where compositions are speedy and very intense. There is no room for boredom, only for a relentless ride. From the actual album opener "Desolate" to the album closer "Angels Devils," this album is a pure beast. The first one, with its epic choir and female vocals combined with the furious riffing and smashing drums, and the latest one, where the band masterfully mixes black metal rage and metal vocals with delicate symphonic elements, show the potential of this new effort.

Tracks like "The Priest" and "Endless Night Battle" have a great room for mid-tempo sections, which is welcome, although they don't lack at all the intensity and energy generously found in this album. Boundless fury comes back with "War Sonata", another powerful composition that breathes energy in every note. The combination of tasteful pianos, different kinds of symphonic arrangements, and the black metal genre is once again exquisite. In particular, the fast section's riffing and drums accompanied by an equally speedy piano are top-notch. The amount and quality of the arrangements are overwhelming and clearly show the great amount of work done by the band.

'Blindness' is definitely a delight for symphonic black metal fans. Its intensity, majesty, and well-composed and produced compositions should garner attention within the scene. The album is a great listen and a pleasant surprise that increases in value with each new listen. (Alain González Artola)


martedì 11 giugno 2024

Voraath - Vol 1: The Hymn of the Hunters

#PER CHI AMA: Death Metal
E finalmente arrivò il giorno. È infatti dal 2021 che sto attendendo l'uscita di questo album, quando sentii per la prima volta su bandcamp, "Siren Head", singolo apripista degli statunitensi Voraath, quintetto del North Carolina che vede nelle sue fila noti personaggi dell'underground estremo americano. Si era creato un certo hype attorno a questa band, che vede come punti di riferimento nel proprio sound, band quali Morbid Angel (la chitarra di Daniel Presnell degli Xael, talvolta sfiora il plagio con quella dei godz di Tampa), e Nocturnus, pionieri del death sci-fi. Potete pertanto immaginare, per chi come me, cresciuto avendo questi punti di riferimento, godere di una miscellanea di questi suoni, resi bombastici dall'inserimento di alcuni sofisticati trick atmosferici, mistici arpeggi ("Waypoint Orion"), funambolici pattern ritmici che si mescolano con arrangiamenti tribali ("Terminus Rift"), suggestive aperture orchestrali, e ancora, numerosi riff stratificati, vocals eteree che si contrappongo a un dualismo vocale che spazia dal growling allo screaming più efferato, e una componente melodica da spavento, sia nelle parti atmosferiche che nei brillanti assoli esibiti dal quintetto di Asheville. Il disco per me è una bomba, ma questo era già chiaro dai tre singoli rilasciati in questi infiniti tre anni passati ad aspettare per poter godere dell'ascolto di questa miracolosa band. Brani come "Dreadborn", che fonde il black sinfonico del Dimmu Borgir, con gli estetismi cibernetici dei The Kovenant, il death orchestrale dei Fleshgod Apocalypse e i virtuosismi intimistici dei Cynic, rendono l'acquisto di questo mirabolante disco una certezza. E dire che non abbiamo ancora ascoltato i pezzi da novanta. Ma presto siamo accontentati: ecco arrivare infatti la rutilante "The Barrens", un inno sublime che celebra Morbid Angel e Septicflesh simultaneamente, tra ipnotiche ritmiche orientaleggianti e vorticose accelerazioni, un break da urlooooooooo (forse sarebbero servite più o) da cui esplodono delle chitarre policrome da puro orgasmo, che elevano questo brano al top del disco e per me uno dei migliori degli ultimi dieci anni. Il distopico concept lirico prosegue con la tiratissima e lugubre atmosfera di "Judas Blood and Vultures", un altro esempio di come si possa fare musica estrema oggi arricchendola con la giusta dose di melodia, in grado di suscitare sensazioni quasi uniche, che forse non sentivo dai tempi del debutto dei Ne Obliviscaris, un'altra band che ha comunque qualche punto di contatto con i Voraath. La devastazione prosegue con l'ultimo dei singoli rilasciati dalla band, "The Leviathans Keep", un altro pezzone che chiama in causa Mike Browning e i suoi epici Nocturnus (peraltro freschi di un nuovo disco nella loro nuova veste AD), ma a differenza dei veterani della Florida, qui compaiono anche le clean vocals. Il disco non concede tregua e anche le malinconiche note di "Dirge Colony" ci regalano altri epici momenti; forse i fan più incalliti del death, si infastidiranno per la minima presenza delle voci femminili che ben si amalgamano in un tessuto ritmico comunque mortifero e spaventoso, ma invito tutti a superare i propri limiti, abbattere le barriere mentali e lasciarvi coinvolgere da un'opera finalmente originale di una band audace, pronta a candidarsi come la vera rivelazione del 2024. Ad avvalorare questa mia opinione, arrivano in supporto gli ultimi tre pezzi: la dinamitarda e scrosciante "The God-Killer Saga", vera killer song sparata a velocità disumane, ma parecchio sorprendente nella sua seconda parte; l'horrorifica ma ispiratissima "Sirenhead", con la voce della gentil donzella a spezzare la brutalità del pezzo e infine, "Pyrrhic" che con le sue melodie criptiche conclude un'opera destinata a diventare un punto di riferimento per le future generazioni. Una pietra miliare? A voi l'ardua sentenza. (Francesco Scarci)

(Exitus Stratagem Records - 2024)
Voto: 90

https://www.facebook.com/Voraath

lunedì 11 marzo 2024

A/Oratos - Ecclesia Gnostica

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Non sembra ci sia voglia di cambiar politica in casa Les Acteurs de L’Ombre Productions, della serie squadra che vince non si cambia. Eppure, a un certo punto, inizierei a cercare qualcosa di più originale per evitare di incancrenirsi con proposte che rischiano di divenire un po' troppo scontate. Oggi mi trovo di fronte i parigini A/Oratos che provano a mischiare un po' le carte, muovendosi comunque nel panorama black di casa. 'Ecclesia Gnostica' è il loro primo album su lunga distanza, dopo l'EP 'Epignosis' uscito nel 2019. Ora, dopo un covid di mezzo, la band torna finalmente a far sentire la propria voce con sette nuovi brani che si muovono nei meandri di un black glaciale, contrappuntato da una vena mistico-esoterica che si declina attraverso alcune parti vocali salmodianti in un po' tutti i pezzi. Si parte dalle ritmiche infuocate dell'opener "Le Hiérophante", guidate comunque da una discreta ed epica melodia di fondo e dal dualismo vocale (black/pulito) di Aharon (che abbiamo peraltro avuto modo di incontrare recentemente anche con i suoi Griffon). Diciamo che se non ci fossero state queste parti declamate in francese, avrei tagliato corto nella recensione, descrivendo i nostri come una delle tante band seguaci dei dettami Swedish black dei Dark Funeral. Fortunatamente, ci mettono del loro e in quel caos sonoro generato, riescono addirittura a carpire la mia attenzione. Penso al pacato arpeggio che apre "Deuteros" e che ci dà modo di prender fiato dopo il martellamento asfissiante delle prime tracce. Poi la song prosegue tra le maglie sghembe di un black sinistro (o "gnostico", cosi come definito dalla band stessa). Ancora meglio, citerei le orchestrazioni adoperate nell'incipit di "Le Septième Sceau" (o nell'atmosferica "Ô Roi Des Eons"), un brano le cui trame chitarristiche evocano in un qualche modo la musica classica, un po' come fatto in passato da Dispatched o Windir, cosi come da sottolineare, c'è pure più ampolloso passaggio dai tratti sinfonici. Quello su cui lavorerei ora è una maggior ricerca di originalità, che già emerge a tratti nell'evoluzione di questo disco, ma che rimane spesso ancorata alla brutalità delle ritmiche. Per il resto, la strada imboccata sembra quella giusta, ma qualche accorgimento lo prenderei per il futuro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecclesia-gnostica

venerdì 1 marzo 2024

Griffon - De Republica

#PER CHI AMA: Symph Black
Terzo album per i nostri amici Griffon, band parigina che abbiamo già avuto modo di ospitare qui nel Pozzo un altro paio di volte. 'De Republica' è il terzo album per il quartetto transalpino che continua a mostrarsi particolarmente ispirato, forse qui ancor più che in passato, grazie a un black/death che sembra incrementare quell'eredità sinfonico-goticheggiante che avevamo apprezzato in passato. E cosi, già l'iniziale "L'Homme du Tarn" (ispirata a un'icona antimilitarista francese, Jean Jaurès) regala grandi emozioni tra scorribande in territori estremi, rallentamenti dal taglio sinfonico e i vocalizzi del duo formato da Aharon e Antoine, che si muovono in molteplici territori, dallo scream efferato al pulito gotico, fino ad arrivare a un growling comunque espressivo. Complimenti, dopo il primo brano comprerei il disco a scatola chiusa. I nostri intanto proseguono nella narrazione della storia francese con brani altrettanto corposi, e la violenza espressa in "The Ides of March" ne è la prova, con un'alternanza tra furibonde ritmiche, parti più atmosferiche e altre ancor più sinfoniche che strizzano l'occhiolino ai nostri Fleshgod Apocalypse, ma anche alla musica classica, soprattutto nel comparto solistico di questo brano (ma da estendere poi anche agli altri). "À l'Insurrection" ha un piglio rutilante che ammicca tanto ai primi Dispatched quanto alle forme più orchestrali di black metal, il che palesa la grande personalità e fiducia dei nostri nel proporre un sound fresco che mancava da un po' in questa scena. Bel colpo, mi fa piacere notare la crescita costante dei Griffon, ancor più palese nella successiva "La Semaine Sanglante", forse il brano che più ho apprezzato, per quel suo approccio epico che mi ha evocato anche un che degli Emperor nelle partiture più agguerrite, senza scordarsi della bellezza degli assoli e delle pompose ed eloquenti linee melodiche. Insomma, tanta roba. Anche laddove i nostri partono col freno a mano tirato ("La Loi de la Nation"), per poi lasciarlo in una discesa vorticosa negli abissi, la band si dimostra costantemente ispirata e mai scontata. A chiudere il disco, dotato peraltro di una splendida copertina, ecco la title track, che ci regala gli ultimi sontuosi minuti di un'ottima quanto inaspettata release: qui, tra solenni narrazioni in stile Misanthrope, registrazioni di battaglie, una tensione crescente e un suono compassato ma sempre magniloquente, esempio della grandeur francese anche nella musica, i nostri chiudono in bellezza un disco che si appresta a posizionarsi nella mia top ten dell'anno. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2024)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/de-republica

giovedì 12 ottobre 2023

Collapse Under the Empire - Recurring

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
Eravamo in pieno periodo Covid quando ci siamo soffermati a recensire 'Everything We Will Leave Beyond Us', ottava fatica dei teutonici Collapse Under the Empire (CUTE). Chissà se finalmente quel tutto, menzionato nel titolo ce lo siamo finalmente lasciato alle spalle? Nel mentre ognuno di noi sta pensando alla propria risposta, ecco arrivarci fra le mani il nuovo 'Recurring' e nove nuove tracce che portano i nostri a proseguire nella loro esplorazione musicale di un post rock sofisticato, svolazzante, onirico, data la sua capacità di muoversi su molteplici binari, cosi come già materializzato nell'opener "Genesis", che dal classico post rock strumentale si muove sinuoso in territori più progressive o synthpop, grazie a quelle importanti porzioni orchestrali che tendono ad occupare tutto il suono dei nostri e a palesare i punti di forza e debolezza di un disco che vuole narrare il perpetuo ciclo di vita e morte del nostro pianeta, tema tra i più ricorrenti nelle più recenti release. E cosi, a narrare questa costante ripetizione di distruzione, purificazione, pace e redenzione, i nostri giocano con i molteplici umori, narrazioni strumentali, chiariscuri, saliscendi emozionali che si manifesteranno via via anche nelle successive song, dall'umorale ed estremamente atmosferica (ma soprattutto malinconica) "Revelation", che la indicherò alla fine come uno dei miei pezzi preferiti, alla più ipnotica e cerebrale "Mercy", grazie alle sue doti cinematiche e all'espandersi di delicate atmosfere shoegaze da metà brano in poi. "Absolution" sembra addirittura enfatizzarne i toni attraverso quell'uso (abuso?) di synth che si affiancano alle chitarre riverberate e che sembrano donare al disco evocativi tratti cosmici che mi hanno portato a pensare a band quali God is an Astronaut o Exxasens. Il duo di Amburgo si prende un momento di pausa in "Requiem", una sorta di bridge ambient evocante le vibrazioni cosmiche del film 'Gravity', che ci introduce a "Forgiveness", il più post rock dei brani inclusi in 'Recurring', ma anche quello più dinamico, con quel suo rincorrersi delle chitarre e la quasi soverchiante stratificazione di piano/tastiere in anfratti nebulosi di un cosmo oscuro e gelido. Ma le chitarre tornano fragorose nel finale di un brano turbinoso e affascinante. "Salvation" è invece più spinta verso territori sintetici, con le chitarre qui relegate in secondo piano che tuttavia non perdono la loro forza motrice. A seguire, "Apocalypse" si muove su analoghe linee elettroniche che nella loro iniziale ridondanza, non incontrano appieno il mio gusto, e in realtà, questo sarà anche il brano che ho trovato meno convincente nella proposta dei CUTE, sebbene un finale imponente, figlio di un'ariosa emozionalità cinematica, e all'utilizzo di delicati archi in sottofondo. La conclusiva "Creation" si muove su suadenti note di sintetizzatore a cui faranno da contraltare in più di un'occasione, esaltanti partiture di chitarra che esaltano finalmente il risultato complessivo, per il gradito ritorno di una band davvero competente nel proprio genere. (Francesco Scarci)

venerdì 17 febbraio 2023

ACOD - Cryptic Curse

#PER CHI AMA: Symph. Death/Black
Non ho fatto in tempo a recensire 'Fourth Reign Over Opacities and Beyond' che mi ritrovo per le mani un nuovo lavoro dei marsigliesi ACOD. Era ottobre 2022 quando recensivo quel disco, eccomi qui oggi a distanza di solo qualche mese a parlarvi di questo EP intitolato ‘Cryptic Curse’. Il nuovo arrivato contiene giusto tre song che sembrano tuttavia richiamare in tutto e per tutto ‘Fourth Reign…’ e dare una certa continuità al percorso intrapreso dai nostri, ossia quel black/death orchestrale che avevo trovato davvero convincente, pur senza rinnegare un passato dalle tinte thrash. Lo si evince dalle roboanti trame ritmiche dell’iniziale "The Hourglass Slave" per poi proseguire con eccellenti risultati anche nelle successive "The Mask of Fate" e nella title track. Oggi, a differenza della precedente recensione però, manca forse per me quell’effetto sorpresa che avevo avuto modo di saggiare all’epoca, ma non posso certo nascondere la bellezza di alcuni assoli, del prestante growling del bravissimo Fred o dell’oscure linee di chitarra che Jérome sciorina nella seconda traccia, tutti elementi che, affiancati ad un’ottima preparazione tecnica, ad un ricercato gusto per le melodie e ad una perfetta registrazione da parte di Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, rendono questo breve (17 minuti) capitolo della saga ACOD, di un certo interesse. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 73

https://ladlo.bandcamp.com/album/cryptic-curse

mercoledì 1 febbraio 2023

Toehider - I Have Little To No Memory of These Memories

#PER CHI AMA: Prog/Opera Rock
È decisamente singolare la scelta dei Toehider di rilasciare un album con un'unica song della durata di 47 minuti e 47 secondi che nel minuto e mezzo iniziale sembra essere una sintesi dei Queen di "Bohemian Rhapsody", tra cori e suoni che evocano la famosissima hit della band britannica. Terminata la messinscena, parte il lavoro che non ti aspetti, ma a dire il vero, noi la one-man band australiana la conosciamo fin dal 2012, quando recensimmo 'To Hide Her' e già sottolineavamo le eccelse qualità del geniale progetto di Michael Mills. Qui non possiamo far altro che confermare tutti gli aspetti positivi di quella che è a tutti gli effeti un moderna opera rock, che percorre 50 anni di musica prog rock e metal, narrando la storia di un uomo, una donna, un enorme pennuto, uno stupido alieno e due barche modificate per un confronto spaziale. Tutto chiaro no? Ecco, se queste sono le basi liriche di questo album, potrete immaginare anche quanto possa essere imprevedibile il contenuto musicale, tant'è che l'artista australiano ha previsto addirittura due finali alternativi dell'opera, uno su cd e l'altro nel vinile. Un fottuto genio. Un genio che sarà in grado di coinvolgerci in un viaggio sonico che farà sicuramente la gioia di tutti quelli che amano sonorità alla Devin Townsend o che adorano gli Ayreon, senza dimenticare poi le assonanze vocali con certe cose dei Queen e ancora, echi retrò alla Yes, colonne sonore, rimandi a Ronnie James Dio (minuto 18, ditemi che ne pensate), ruffianate di ogni tipo, passaggi folk, garage rock, tuffi in un passato davvero lontano, omaggi vari agli anni '80, riffoni djent sorretti da orchestrazioni sinfoniche, techno death (con tanto di voce growl) e ancora, una serie infinita di mash-up che inglobano appunto 50 anni di musica di ogni tipo e che mi spingono semplicemente ad invitarvi a mettervi comodi, indossare le cuffie e lanciarvi in questo viaggio nel tempo e individuare poi il finale che più vi aggrada. (Francesco Scarci)

mercoledì 25 gennaio 2023

Sacrimonia - Anthems of Eclipse

#PER CHI AMA: Symph Black
Il sottosuolo metallico è un po' come una camera magmatica di un vulcano che ribolle di lava destinata ad esplodere. Talvolta è però complicato imbattersi in band che se ne stanno nascoste laggiù, nell'underground. Oggi mi è andata bene e scava che scava, ecco che ho fatto la conoscenza dei polacchi Sacrimonia. La band, in giro dal 2015 e con un solo EP all'attivo ('New World Ascension'), è tornata nel 2022 con questo nuovo 'Anthems of Eclipse' ed un concentrato di black sinfonico di chiara scuola "cradle of filthiana". Guidati alla voce dalla brava Kamila "Lasaira" Grabowska-Derlatka, i nostri ci propongono otto tracce per poco più di 40 minuti di musica. Si parte dalla classica intro atmosferica e poi, ecco l'eruzione piroclastica con una deflagarazione di suoni bombastici (quelli di "Mirror for the Faceless") e un fiume di orchestrazioni che rischia di far impallidire anche i Dimmu Borgir. La cosa positiva, e che magari dona un pizzico di originalità in un mondo in cui l'originalità è diventata merce preziosa, è l'utilizzo di linee di chitarra che sfiorano il death metal melodico. Comunque, il brano presenta costanti cambi di tempo che rendono si l'ascolto poco fluido, ma richiedono un ascolto più attento, e decisamente più vario. La successiva "Modern Prometheus" sembra avvalorare ulteriormente la voglia dei nostri di coniugare symph black e death metal grazie a chitarroni belli incazzati, screaming vocals e tastieroni sinfonici. "For the Universe to Shatter" mi ha evocato un altro grande nome della scena black, quello degli Emperor, merito di un rifferama perennemente glaciale ma comunque ricco di melodie e ottimi arrangiamenti. Ripeto, il punto di forza del quintetto di Varsavia sono i cambi di tempo, le accelerate e frenate improvvise, come quella che chiude il pezzo. Poi, largo ad un piano che apre, come farebbero i Cradle of Filth, "Into Darkness My Soul Descends", con il suo rutilante incedere ritmico tra killer riff e un lavoro alle pelli (bravo Kamil Morte, uno che ha suonato anche nell'ultimo dei Darzamat) preciso e potente. Finalmente valido anche l'assolo in chiusura di pezzo, votato quasi ad un heavy metal classico, peccato solo che duri pochi secondi. Più ragionata "A Storm I Seek": meno spazio a randellate ritmiche in pieno volto e più elementi atmosferici ad incanalare il pezzo più mid-tempo di 'Anthems of Eclipse', che trova un altro bel lavoro solista verso il finale, laddove il cantato di Kamila si fa anche più personale e indemoniato. Con "Katabasis" si riprendono le sferzate sinfoniche con il connubio offerto da una devastante ritmica a braccetto con la voce corrosiva della frontwoman e un saliscendi chitarristico a metà brano accompagnato da un eccellente prestazione alle tastiere che mi ha richiamato alla memoria gli Angizia. A chiudere ci pensano i sinistri presagi di "Eclipse", un altro pezzo compassato con la voce della cantante qui quasi ritualistica, in un pezzo evocante questa volta il buon King Diamond. Insomma, tanta carne al fuoco in questo debutto, frutto delle infinite influenze dei nostri che convogliano in un disco che ha il pregio di saggiare lo stato di forma dei nostri, arrugginiti probabilmente da sei anni di inattività. Si richiede per il prossimo album un pizzico di originalità in più per aumentare il voto conclusivo. (Francesco Scarci)

domenica 17 luglio 2022

IWKC - Before We Disappear

#PER CHI AMA: Post Rock Orchestrale Strumentale
I IWKC (aka per I Will Kill Chita) sono un quartetto moscovita dedito ad un post rock strumentale. 'Before We Disappear' è il loro secondo album uscito nel 2013, che l'etichetta della band mi ha recentemente inviato. Non mi è chiaro se per farne pubblicità a distanza di quasi due lustri dalla sua uscita o se perchè c'è un nuovo lavoro della band pronto ad affacciarsi sul mercato. Fatto sta che faccio il mio dovere di recensore e vi parlo di un disco che vede una mezza orchestra a servizio dei quattro musicisti per offrire una proposta dai forti tratti sinfonici. E in effetti il disco presenta fin dalla sua traccia d'apertura, l'inequivocabile "USSR", uno splendido post rock affrescato da un collettivo strumentale che rende il sound della band davvero affascinante, per quanto non proponga nulla di realmente originale. Tuttavia, la componente orchestrale arricchisce e di molto, una proposta che verosimilmente si sarebbe persa nel marasma infinito di band che popolano la scena post rock. E invece le melodie malinconiche dell'opener, ingigantite dalle porzioni orchestrali fanno della proposta dei IWKC, una bella proposta. Non si può dire altrettanto della successiva "Hard Times" (altro titolo estremamente azzeccato per i giorni nostri): oltre undici minuti di melodie a tratti francamente noiose, che provano a ridestarsi grazie ad improvvise e sporadiche accelerazioni che vanno a contrastare una ritmica molle e con poca verve. Il finale però sarà davvero esplosivo e col suo bel carico sinfonico alle spalle. "Streets Going Under Water (Part I)" parte nuovamente in sordina e inizia a mostrare i propri contenuti dopo 90 secondi, anche se in realtà non farà mai il proprio dovere, ossia quello di ammaliare dovutamente l'ascoltatore. Ci prova allora la lunghissima suite (20 minuti) intitolata "Young Heroes" a cambiare le sorti di un classico disco "vorrei ma non posso": robusto attacco rock di chitarre con sezione di archi a supporto a cui farà seguito un segmento ambient prima di una breve pausa, quasi a segnare il confine tra una serie di parti incluse nel brano stesso. Poi nuovamente chitarre pizzicate e a corollario archi e fiati, e poi ancora frammenti atmosferici, in un saliscendi sonico che si riproporrà per l'intera durata del brano e che è peraltro dotato di una parte centrale davvero tosta. "We Had Only One Day" è un pezzo decisamente più fruibile, grazie ai suoi tre minuti e mezzo di musica robusta ritmicamente, la cui enfasi è però stemperata dalle parti orchestrali. "Memories" si lascia a tenui melodie malinconiche che trovano grande enfasi nel finale in una porzione che mi ha evocato gli *Shels. In chiusura ecco le soffuse chitarre di "Streets Going Under Water (Part II)" a chiudere mestamente un disco che vive di alti e bassi, ma che comunque sottopone alla vostra attenzione una band che potrebbe anche meritare la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

sabato 26 marzo 2022

Serj Tankian - Orca Symphony No. 1

#PER CHI AMA: Orchestral Symphonic Rock
Tankian sosteneva che l'orca, in quanto metà balena e metà delfino, rappresentasse meglio di qualunque altro animale la dicotomia insita nell'essere umano. In copertina vedrete due orche incastrate nel simbolo yin-yang cinese e tutt'intorno una cornice di note sul pentagramma: a questo punto vi rallegrerete che 'Orca' sia un lavoro interamente strumentale. E che lo spacciatore di Tankian non sia un minotauro. Sprovvista delle sofisticate architetture matematiche della sinfonia classica, la composizione evolve come una sorta di flusso di coscienza collettivo, scarsamente o affatto narrativo, ma comunque dotato di quella solenne forza descrittiva tipica di certe indovinate colonne sonore. C'è ancora (un po' dappertutto, ma specialmente in "Act I" e "Act III") quel piano irriverente e gigione che ricordate in 'Elect the Dead Symphony'. Mancano stavolta i tipici lallalla laralallà tankianeschi riempispazio, ma a occhio non mi sembrate così dispiaciuti. Peraltro, non vorrei dire, ma il tema di "Act III - Delphinus Capensis" è uguale sputato a Fra Martino Campanaro. (Alberto Calorosi)

(Serjical Strike Records - 2013)
Voto: 65

https://serjtankian.com/

sabato 12 febbraio 2022

The Design Abstract - Metemtechnosis

#PER CHI AMA: Melo Symph Death, Scar Symmetry
Di uscite in ambito death sinfonico non ce ne sono poi cosi tante durante l'anno, cosi quando mi capita di ritrovarmi fra le mani un concentrato di death, prog deathcore, symph, il tutto spruzzato di una vena sci-fi, beh sapete cosa c'è, che mi fermo e lo ascolto gran volentieri. Questo è sostanzialmente capitato quando, per puro caso, mi sono ritrovato a visitare il sito dell'Abstrakted Records e questi The Design Abstract. E francamente, è stata una piacevole sorpresa. La band originaria dell'Ontario sciorina nove ottimi brani che dall'iniziale "Digital Dawn" alla conclusiva "Decryptor", mi hanno tenuto incollato ad apprezzarne le melodie. Quindi, se amate come il sottoscritto, band come gli Scar Symmetry o i Fallujah di 'The Flesh Prevails' o ancora Soilwork e Xerath, beh potreste fermarvi anche voi a dare un attento ascolto a 'Metemtechnosis' (secondo capitolo della trilogia 'Technotheism') e lasciarvi assorbire e sedurre dalle melodie dei synth (di ottantiana memoria) che pullulano in questo lavoro, mentre le chitarre si lanciano in giri alquanto ruffiani, adeguatamente supportati da un dose orchestrale di assoluto valore, che troverà ancor più spazio nella successiva "Born of Machines". La voce di Voiicide si muove tra il growling e il pulito (quest'ultima tuttavia è da migliorare), mentre le sei-corde viaggiano veloci ed estremamente melodiche, un vero piacere per le mie orecchie. Non c'è sicuramente un momento di pausa nel flusso ritmico del terzetto canadese, con le asce che corrono veloci anche in "The Hybrid Awakening", mostrando qui peraltro un break atmosferico già dopo 90 secondi, prima di ripartire più in palla che mai, con un'alternanza continua tra clean vocals e un growl davvero convincente. Ma il pezzo è comunque una sorpresa dopo l'altra, con un break pianistico, un bell'assolo e un riffing sempre bello serrato. Se proprio devo trovare un difetto, sta forse nella scarsa pulizia dei suoni, ma è un qualcosa che si può superare tranquillamente visto che la qualità musicale è davvero buona. "Organic Data Fusion" è un pezzo che nella sua progressione mi ha ricordato maggiormente i Fallujah, pur non mostrando la medesima violenza e robustezza della band californiana. Ma qui il lavoro è eccellente con pregevoli assoli che completano forse il brano che più ho gradito in 'Metemtechnosis'. Una bella dose di elettronica unita ad un rifferama compatto infiamma "Metropolis II" che, oltre ad avere una ritmica che richiama un mix tra Meshuggah e Fallujah, ancora una volta è da esaltare per il lavoro in chiave solistica degli axemen, Logan Mayhem e Matt Ngo, che si rincorrono con scale ritmiche e sverniciate per tutto il brano. "Aberration Omega" è un pezzo più breve che evoca maggiormente gli Scar Symmetry, soprattutto a livello vocale. "Upheaval" è un breve strumentale che ci porta a "Sentinels", un'altra song dal forte impatto orchestrale, seppur una durata più contenuta (poco più di tre minuti), che nel suo cuore, mostra un interessante break malinconico che rimarrà impregnato nelle trame del brano. A chiudere ci pensa la già citata "Decryptor" che ha nelle sue corde quell'apparato più compatto tipico del prog deathcore già incontrato qua e là durante l'ascolto del cd, e una serie di ulteriori innovazioni in chiave ritmica che non avevamo scorto sin qui. Alla fine, vorrei ribadire quanto abbia trovato piacevole l'ascolto di 'Metemtechnosis', un lavoro che mi sento di consigliare agli amanti di sonorità heavy melo death infarcite di porzioni orchestrali ed elettroniche. Bravi! (Francesco Scarci)

(Abstrakted Records - 2021)
Voto: 77

https://design.bandcamp.com/album/metemtechnosis

mercoledì 14 luglio 2021

Karcinoma - Invictus

#PER CHI AMA: Symph/Gothic, Therion, Tristania
Mai avrei immaginato di ascoltare questo genere musicale da una band col moniker Karcinoma. Nella mia testa pensavo già a suoni putrescenti, in stile 'Reek of Putrefaction' dei Carcass e invece quando ho infilato nel lettore 'Invictus', atto secondo di questo terzetto russo, ecco trovarmi con mio sommo stupore, un sound che combina la sinfonia dei Therion con quelle band gotiche tanto in voga a fine anni '90 (penso a Tristania o Theatre of Tragedy). Francamente, non so se questo sia un pregio o un difetto, fatto sta che quello fra le mie mani è un sound all'insegna del sympho gothic che irrompe sin dalle note iniziali di "Incantamentum" e prosegue per oltre un'ora di musica, attraverso buone melodie, feroci accelerazioni, ma soprattutto un cantato operistico a cura di Yana Filippova, che già compariva nella line-up originale della band, quando nel 1998, uscì il debut 'The Night... Apogee of Madness'. Dopo ben 23 anni (con annessi 15 anni di scioglimento), l'ensemble di Yaroslav torna con questi nove pezzi, in cui la musica classica si combina al metal (musicalmente la title track è sublime). Quel che mi turba e disturba, sono invece quei vocalizzi di Yana che qui mai bilanciati dai vocioni da orco cattivo che caratterizzavano appunto Tristania o Theatre of Tragedy, rischiano di confinare i nostri nei paraggi di quelle band stile Epica o Nightwish, con un taglio a tratti più violento e forse per questo, non apprezzato dai fan di sonorità più morbide. Quindi mi viene da dire che la proposta dei Karcinoma rischia di sostare in un limbo per cui potrebbe non piacere agli amanti del gothic cosi come pure a quelli del symphonic power. Certo, in mezzo potrebbero starci i fan dei Therion, ormai abituatisi a qualsiasi cosa che sia operistica, ma al tempo stesso heavy metal. Si perchè i nostri non scherzano nelle loro accelerazioni killer, ma quella voce a tratti fatico a digerirla. Devo ammettere che ho apprezzato brani come "La Casa Sotto la Tredicesima Luna" e "Bella Tristezza Celeste" (un testo che si rifà ad un componimento incluso nel 'Canzoniere' di Francesco Petrarca e qui dedicato a Olga Preceniece), dove Yana canta addirittura in italiano e dove sono presenti (almeno nella prima delle due) inserti horror psichedelici. Il problema è semmai che i due brani stancano non poco per le loro estenuanti durate. Nella malinconica "Mama" e in "Le Passé", i nostri si giocano la carta del francese, ma il risultato finale non sembra ancora beneficiarne appieno, la proposta puzza di già sentito e alla fine il desiderio primario è quello di arrivare quanto prima a completarne l'ascolto. 'Invictus' è alla fine un disco abbastanza eterogeneo in grado di coniugare sentori classici con furibonde cavalcate ("The Grace Of Vicious Horror", forse il pezzo migliore del lotto, sicuramente il più lungo) e pezzi decisamente più placidi come la conclusica "Winter Nightfall". Un ascolto decisamente impegnativo che rischia di non soddisfare realmente tanti palati. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2021)
Voto: 63

https://soundcloud.com/user-312452131

giovedì 13 maggio 2021

The Circle - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Black/Death, Ne Obliviscaris
Fermi tutti! No, questa non è una rapina, ma l'invito a focalizzare un attimo la vostra attenzione sul debut EP dei teutonici The Circle. Il duo di Hameln propone quattro tracce atte ad introdurci alla loro proposta musicale che volge lo sguardo all'analisi dell'emozioni più oscure, paura ("Angst"), disperazione ("Verzweiflung"), ira ("Zorn") e salvezza ("Erlösung"). 'Metamorphosis' è un lavoro prezioso che ci permette di conoscere al meglio questi musicisti e comprenderne le potenzialità fin dall'iniziale "Angst", in cui confluiscono suoni death sinfonici, uniti ad una certa vena progressiva. Sembra quasi di ascoltare gli ultimi Triptykon, senza la voce femminile mi raccomando, anzi qui sottolinerei la bravura del frontman Asim Searah, sia nel growling che nel pulito, uniti ad una vena malinconica tipica dei My Dying Bride. Le ambientazioni tastieristiche, la ritmica mid-tempo e le ottime melodie, fanno dell'opener una traccia affascinante, soprattutto nella componente solistica che chiude alla grande il pezzo. Ma il successivo non è da meno, statene certi anzi. In "Verzweiflung" sembra quasi che i nostri prendano una maggior coscienza di se stessi e si lancino in un sound melodico, al tempo stesso disarmonico, con una sfuriata black iniziale a cui fare da contraltare con splendide melodie in stile Children of Bodom, e con il cantato growl sempre compensato dalle ottime clean vocals. Un super break atmosferico spezza il brano in due parti dove nella seconda metà, sembra che i nostri guardino verso orizzonti di meshuggana memoria, il tutto comunque avvolto da una vena teatral-operistica che aumenta il fascino per un disco che ha il solo difetto di durare troppo poco (27 minuti per un EP non sarebbero nemmeno pochi ma visto che Metal Archives lo etichetta invece come full length, diventato troppo pochi). A parte questo, il dischetto prosegue su una eleganza di suoni davvero da leccarsi le dita anche con la terza "Zorn", dove l'utilizzo degli archi sembra quasi emulare i Ne Obliviscaris, forse l'influenza che alla fine potrebbe condensare in poche parole il sound dei The Circle. E francamente per il sottoscritto, fan numero uno della band australiana, nonchè quello che li ha spinti tra le braccia della Code666, questo non può che essere un enorme complimento per i nostri, per cui vedo peraltro ancora grossi margini di miglioramento. Alla fine, i pezzi sono fantastici, ben suonati, ben bilanciati tra ritmiche forsennate e melodie straripanti, con blast beat stemperati dalla forte vena orchestrale che potrebbe scomodare anche qualche paragone con i nostrani Fleshgod Apocalypse. Insomma, non ho certo messo nomi a caso in questa mia valutazione di 'Metamorphosis' e dire che a rapporto manca ancora il quarto capitolo, "Erlösung", un pezzo che miscela la robustezza del death melodico con splendide parti atmosferiche, un'alternanza ed ecletticità vocale davvero notevole da parte del cantante di origini pakistane, ed un gusto per la melodia invidiabile. 'Metamorphosis', il più classico dei buongiorno che si vede dal mattino. (Francesco Scarci)

domenica 25 aprile 2021

Epica - Omega

#FOR FANS OF: Symph Metal
This is by far my favorite Epica release from start to finish. 70+ minutes of beautifully orchestrated symphonic metal. Simone sounds intriguing like a beautiful songbird that she is. The music is wholly original and riffs just kick ass. The keys brighten the music up from being dark to celestial if that! The changes throughout songs makes it ever-most endearing. They totally killed it on here! The tempos are slow pretty much and the lead guitar is angry and fierce. That is, when it shows up in it's presence allure. The backup vocals are also intriguing. There is nothing on here that I would say for the band to change.

Simone is at her best on here and she just sounds utterly beautify. I love it! The hoarse vocals are on here too, but not too much. They balance it out quite well. Definitely everyone on here that did the songwriting knew that this was to be their most epic release ever! I'm glad too that the album is long. It shows that they put a lot of work into making this utterly spellbinding. Simone sounds like her best ever that she has performed ever. A lot of the songs have brief introductions before they really set in. The guitars are heavy but well rounded. They have what it takes on here to make a beautiful release!

I'm applauded that they didn't get higher ratings I mean mine is the highest rating I could possibly give. But I'm backing it up with what I've heard from the album making an educated review of their music on here. The production quality and mixing was just extravagant. So you don't have to worry about making a mistake sound-wise for this one. Sure the symphonic stuff can be irritating at times but they didn't overload you with that symphonic stuff. They balanced it out entirely. And the hoarse vocals as well. Simone is at her best here and I think everything that's on here musically is ABSOLUTE PERFECTION.

I listened to this on Spotify before I thought about buying the album. I ordered the CD pretty much right away because I was in awe to what I heard. So yes, it is a part of me now. Some people have doused this release as something that's just somewhat mediocre and boring. I thought that it was the best release of theirs that I ever heard. I'd say that 'The Quantum Enigma', 'The Holographic Priciple' and 'The Solace System' were all really good, but this one is definitely I think their strong ever that I've heard to date. Long live Epica in their wonderful metal music and let them live it on with this one as their ultimate gem! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2021)
Score: 85

https://www.facebook.com/epica

giovedì 1 aprile 2021

Forest of Frost - S/t

#PER CHI AMA: Ambient Black
Dall'Aquitania ecco giungere una nuova one-man-band guidata dal polistrumentista Moulk, uno che ha anche un gruppo con questo moniker e con cui ha rilasciato una cosa come otto full length e quattro EP all'insegna di un folk metal sinfonico, sebbene gli esordi fossero più radicati nel punk rock. Da qui si evince che il mastermind di oggi non sia certo uno sprovveduto, ma direi semmai un musicista navigato quanto basta per registrare quest'album (che a quanto pare rimarrà un episodio isolato) in due sole settimane durante il primo lockdown, deliziandoci con un inedito black atmosferico che ha colto successivamente l'attenzione della Narcoleptica Productions, l'etichetta russa che ha rilasciato il cd proprio in questi giorni. Cinque i pezzi, tutti intitolati con numeri romani. Si parte chiaramente con "I", che delinea immediatamente i tratti somatici di questa neonata creatura transalpina. Il sound dei Forest of Frost è gonfio di passione per lunghe partiture strumentali, costruite su multistrati eterei di synth e chitarre a costruire splendide melodie, con le harsh vocals che fanno la loro apparizione solo di rado. E allora cosa di meglio che farsi cullare dalle estasianti ambientazioni sonore erette da Moulk, che vedono i soli punti di contatto col black, in sporadiche accelerazioni e in quelle voci di cui facevo menzione poc'anzi. Tutto molto interessante non c'è che dire, anche quando la durata dei brani va dilatandosi. Si passa infatti dai quasi otto minuti dell'opener, ai quasi dieci di "II" e ai dodici abbondanti di "III", attraversando paesi incantati quasi fossimo stati catapultati in un mondo senza tempo, o nel più classico "Signore degli Anelli" del plurinominato Tolkien. E qui il consiglio è di lasciar andare la vostra fantasia, occhi chiusi e tanta immaginazione. Vedere draghi, unicorni, gnomi e folletti per cinquanta minuti non sarà un'eresia ma la normalità. Per chi ama realtà affini agli Eldamar o ai nostrani Medenera, credo che qui potrà cibarsi di un valido esempio di fantasy black corredato da suggestive e ariose melodie, che trovano forse la sua massima espressione in "IV", cosi orchestrale e malinconia al tempo stesso, nella sua strabordante epica musicalità. Personalmente, avrei preferito un pizzico di vocalizzi in più altrimenti una release come questa rischia di essere presa come una colonna sonora piuttosto che un album di metal estremo. Che poi di estremo c'è veramente poco, quasi niente... (Francesco Scarci)

(Narcoleptica Productions - 2021)
Voto: 75

https://forestovfrost.bandcamp.com/album/forest-of-frost

sabato 27 febbraio 2021

Les Chants de Nihil - Le Tyran et l'Esthète

#PER CHI AMA: Symph Black
Mentre i Les Chants de Nihil tagliano il traguardo del quinto album, io me li trovo davanti per la prima volta in vita, che vergogna. Autofustigatomi per benino per le mie mancanze, mi metto all'ascolto di questo 'Le Tyran et l'Esthète'. Il disco, promosso dall'ormai omnipresente Les Acteurs De L’Ombre Productions, ci propone un interessante concentrato di black dalle tinte sinfonico-folkloriche che si dipanano dalle scorribande sonore della seconda "Entropie des Conquêtes Éphémères" che segue a ruota la strumentale "Ouverture". Il suono dei nostri non è cosi semplice da digerire per quanto l'approccio sinfonico ne dovrebbe invece agevolare l'ascolto, ma le elucubranti orchestrazioni unite a funambolici giri di chitarra e vocals che si manifestano sia in versione harsh che in un cantato più pomposo (direi grandeur), rendono l'ascolto non proprio cosi immediato. A questo aggiungete vorticose linee ritmiche in cui basso, batteria e chitarra sembrano in realtà cavalli imbizzarriti alla guida di una carrozza totalmente fuori controllo (la mia immagine di "Ma Doctrine, Ta Vanité"). E il parallelismo vocale tra scream efferati e cori maestosi, il tutto rigorosamente cantato in francese, con un suono che non resce a star fermo nemmeno un attimo e che qui in chiude addirittura in un rallentamento doom, non agevolano certo l'assimilazione della proposta dei quattro musicisti proveniente dalla Bretagna, dal piccolo paesino di Pléri. E quell'appendice doom in chiusura della terza traccia serviva ad introdurre la gloomy (adoro questo termine ad indicare la cupezza di un suono) "L'Adoration de la Terre", un pezzo che inizia in modo alquanto rallentato prima di deragliare in una serie di ambientazioni che variano tra il sinfonico, l'avantgarde, il progressive e ovviamente il black, in una sorta di rivisitazione della musica di Stravinsky, con il tutto comunque corredato da una più che discreta dose di imprevedibilità che rende il disco decisamente poco scontato. "Danse des Mort-nés", più lineare delle precedenti, mi ha evocato un che dei conterranei Misanthrope. Interessante ma non avvincente come quanto ascoltato sino ad ora, colpa forse di una linea di chitarra troppo più vicina allo zanzaroso black norvegese piuttosto che al maestoso sound delle prime tracce. Con la title track spazio al marziale drumming di Sistre prima che le voraci e schizoidi linee di chitarra prendano il sopravvento in un turbinio sonoro (per lo più di stampo militaresco) che vedrà esibire anche uno splendido assolo che non avevo ancora fin qui assaporato e che rappresenta la classica ciliegina sulla torta. "Ode Aux Résignés" esibisce una malinconica melodia iniziale in un brano dai tratti più compassati che comunque nella sua seconda metà, non rinuncerà all'ebbrezza dei ritmi infernali delle sue chitarre. "Lubie Hystérie" ha ancora forza dirompente per investirci con il tremolo picking, con i nostri che non si esimono nemmeno qui in cervellotici giri di chitarra che ci danno il colpo del definitivo KO. Ma non siamo ancora alla fine visto che sarà "Sabordage du Songeur - Final" a porre fine alle ostilità. Il brano è l'ultima scheggia impazzita di un disco sicuramente suonato a livelli disumani sia di tecnica che di velocità esecutiva, per un album intensamente bombastico e moderno che comunque non rinuncia agli echi di un passato glorioso nè ad un modernismo presente. Un lavoro, 'Le Tyran et l'Esthète' che necessita comunque di grande pazienza per poter essere assimilato. (Francesco Scarci)

mercoledì 24 febbraio 2021

Meer – Playing House

#PER CHI AMA: Rock Orchestrale/Prog Pop Rock
Arriva dalle fredde lande norvegesi questo bel disco pieno di ottime intuizioni e tanta qualità stilistica. Nato come duo nel 2008, il progetto Meer si è evoluto addirittura in ottetto, puntando su di un groove sonoro molto raffinato e particolare che conta tra le sue doti un canto polifonico, strutture pop rock, evoluzioni melodiche nel mondo del folk ed inaspettatamente, una costante compositiva che genera continuamente trame in odor di rock progressivo, attualizzato ai parametri del neo prog di oggi. Siamo di fronte ad una band che non lascia nulla al caso, che si lancia in canzoni ricercate e complesse che contengono il pathos della migliore Tori Amos, quanto la sensualità degli ultimi lavori di Dido, passando per la svolta più intellettuale e attuale dei Leprous di 'Pitfalls' e per il prog più intimo, soft e dalle tinte malinconiche del disco 'Pharos' di Ishahn, senza dimenticare la componente emotiva più indie folk, cara a band come i Mumford & Son con aperture epiche e ariose di certo rock orchestrale nello stile di The Dear Hunter. Il gruppo definisce la propria musica come un mix di rock progressivo sinfonico, orchestrale, melodico, orecchiabile e con molti stimoli energici. Posso affermare serenamente, che mai definizione risulti più azzeccata, sia che al canto si presti la voce femminile o quella maschile, la spinta sonora rimane invariata. Il tono romantico ed epico non manca mai, scaldato da composizioni ricche di sfaccettature, colori e suoni elaborati, gestiti come un'orchestra a suon di rock e con una verve pop, nel senso di orecchiabilità e cantabilità dei brani, da veri esperti compositori. "Picking Up the Pieces" e "Beehive" aprono il disco in maniera magistrale, affidate ad un'ugola alquanto maestosa e travolgente (Johanne Kippersund). L'album prosegue con tre brani interpretati da Knut Kippersund e la trama si sposta in un clima più intimo ma senza cali di qualità, anche se la musica è più moderata e assume tinte più morbide, quasi alt country e corali, soprattutto in "Songs of Us". L'accento scandinavo si sente negli arrangiamenti che mi ricordano certe scuole di pensiero progressive provenienti da quelle zone, per peculiarità e pulizia del suono, freschezza e passione per i risvolti classicheggianti, tra violino, viola e piano, mi rievocano anche un ottimo disco strumentale di avant/prog/folk, che comprai anni fa, dei Between, intitolato 'Silence Beyond Time'. Il brano "You Were a Drum" ne è un esempio, impreziosito da una interpretazione vocale al di sopra delle righe. "Honey" mostra anche una certa vena elettronica che collega il collettivo scandinavo in qualche modo alla forma canzone sintetica ed evoluta di Fever Ray (voce dei The Knife), amalgamata perfettamente al loro stile orchestrale. "Across the Universe" scivola in scioltezza, mentre "She Goes" ha una struttura d'avanguardia, sinfonica e corale di notevole portata ed è forse la canzone più complicata del lotto e senza remore, mostra quanto sia complesso e ambizioso l'habitat musicale di questa splendida band. Una ballata morbida per "Where Do We Go From Here" e una chiusura al limite del cinematografico per "Lay It Down", per un finale esplosivo in pompa magna. Perfetto epilogo per un disco creato ad arte, con gusto e maestria. Il pop come non lo avete mai ascoltato, intelligente, suonato alla perfezione, emozionante ed intenso. Un album da ascoltare assolutamente che vi darà sicuramente delle gradevoli sensazioni. (Bob Stoner)

(Karisma/Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://meer.bandcamp.com/album/playing-house