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mercoledì 3 settembre 2025

She’s Green - Chrysalis

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Uscito poco più di due settimane fa, 'Chrysalis' è il secondo EP dei She’s Green, quintetto originario di Minneapolis e attivo dal 2022, che si muove con disinvoltura tra indie rock, shoegaze e dream-pop. Composto da Zofia Smith (voce), Liam Armstrong e Raines Lucas (chitarre), Teddy Nordvold (basso) e Kevin Seebeck (batteria), il gruppo conferma con questa uscita un’evoluzione sonora che amplia i confini del loro sound, mantenendo intatto quel gusto etereo che li aveva fatti emergere sulla scena a suo tempo. Il risultato che ne viene fuori è un suono che coniuga densità evocativa e limpidezza: le chitarre in tremolo picking s'intrecciano malinconicamente a timbri naturali in una stratificazione che trasforma l’ambient in un organismo vivo con una poetica affascinante che lascia spazio a ogni strumento per respirare e mantenere la propria identità. Questo è quanto si evince già in apertura con "Graze", un crocevia di immagini intense che, a braccetto con la potenza sonica dei nostri, instaurano un’atmosfera d'inquietudine palpabile. A ruota segue "Willow", più vibrante e ritmata, in cui la voce di Zofia, si fa fragile ma urgente, e sembra stagliarsi calda al tramonto, al termine di una giornata di fine estate. "Figurines" è più introspettiva e forse troppo melliflua per il sottoscritto, con quel suo dream pop assai spinto, mentre "Silhouette" opta per un minimalismo (anche nella durata) romantico e poetico, costruendo un climax emotivo soffuso e sospeso. A chiudere il tutto, ecco "Little Birds", la giusta conclusione per un lavoro del genere, una traccia commovente, un vellutato ed etereo viaggio intimistico nel profondo delle nostre anime. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)

martedì 2 settembre 2025

Tetramorphe Impure - The Sunset Of Being

#PER CHI AMA: Death/Doom
Immaginate un crepuscolo che non svanisce mai, un orizzonte avvolto da una nebbia di piombo che inghiottisce ogni barlume di luce. Ecco, questo potrebbe essere il mondo evocato da 'The Sunset of Being', debutto discografico dei Tetramorphe Impure, via Aesthetic Death, dopo una gavetta durata quasi vent'anni nel sottobosco italico. Quello che vi presento, è il progetto solista di Damien, uno che ha suonato nei Mortuary Drape ai tempi di 'Buried in Time', e che ha pensato bene di tuffarsi nel funeral doom, dopo aver esplorato il black con i Comando Praetorio. E cosi, affondando le radici negli abissi di band quali Thergothon e Skepticism, il buon Damien si è lanciato con questo monolite sonoro in una scena doom sempre più affollata di epigoni, cercando di distinguersi dalla massa, nel trasformare la lentezza in un'arma affilata, un suono che non aggredisce ma erode. Forte di una produzione curata e incisiva, il lavoro si conferma come un'opera di oppressione sonora capace di sfoggiare un suono plumbeo, denso come fango che inghiotte ogni passo, dove il basso rimbomba come un tuono sotterraneo e le chitarre si trascinano in riff corrosivi che sembrano scolpiti nella roccia erosa dal tempo. Non c'è spazio per troppi fronzoli qui, gli arrangiamenti privilegiano una stratificazione essenziale, con il drumming che procede a ritmi funerei e accelerazioni sporadiche che evocano un cuore in affanno, e il basso che funge da spina dorsale, ancorando il tutto in un abisso di gravità. Quattro pezzi per quasi 40 minuti di musica in cui le chitarre, avvolte in un pesante velo di distorsione, si muovono in territori death, mentre sporadici inserti di tastiere aggiungono un velo di nebbia eterea, senza mai alleggerire il fardello che questo disco si porta. Nell'apertura affidata a "Forsaken Light", emerge subito un senso di abbandono, con immagini di discesa verso l'oblio che riecheggiano le angosce esistenziali di un mondo che sta per cadere a pezzi, e in cui Damien infonde il proprio tocco personale, nel proporre un death doom intriso di una malinconia goticheggiante, alternando peraltro growling vocals a un pulito intonato e spettrale. "Night Chants" sembra rallentare ulteriormente, sebbene non manchi una sfuriata death dopo un paio di giri d'orologio, ma è da qui che si aprono passaggi più crepuscolari, quasi esoterici e decisamente più originali per l'economia dell'album. "Spirit of Gravity" mostra il suo cuore oscuro, chiamando in causa, nelle sue linee di chitarra, un che dei primi Paradise Lost, in un pezzo che si palesa con un pesante rifferama doom e un'alternanza vocale ipnotica e sinistra. Infine, la title track chiude il cerchio con una violenta discesa negli abissi, dove i growl si dissolvono in clean malinconici, accompagnati da timide tastiere che evocano un tramonto eterno – un finale che incarna la dissoluzione, rendendolo il culmine significativo di un album che non concede redenzione. (Francesco Scarci)

Novarupta - Astral Sands

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock
I Novarupta sono una one-man band svedese, capitanata dal poliedrico Alex Stjernfeldt, ex membro dei The Moth Gatherer. Nel 2025 il factotum scandinavo ha fatto uscire il quarto lavoro, 'Astral Sands', che va a chiudere un ciclo ambizioso di quattro album, che era nato nel 2019 come una sorta di supergruppo underground. In questi sei anni, la band ha scavato un solco profondo nella scena post-metal e sludge, distinguendosi per un approccio collaborativo che vede ogni album della loro tetralogia elementale, ospitare una parata di cantanti ospiti dal mondo metal estremo. Questo quarto capitolo, dedicato alla terra, conferma la band come una forza creativa nell'ambito post-metal, dove lo sludge si fonde con echi shoegaze e post-rock, bilanciando egregiamente introspezione e intensità, senza per forza cadere nel cliché. Il suono di questo nuovo disco non si discosta poi molto dai precedenti, offrendo un approccio mid-tempo contemplativo e atmosferico, privilegiando una tiepida stratificazione sonora piuttosto che l’assalto frontale. Le chitarre, centrali negli arrangiamenti, alternano riff corrosivi e grooveggianti a linee melodiche eteree, supportate da un basso solido e una batteria che varia tra groove cadenzati e fill dinamici. Parlavamo di ospiti e non potevano mancare nemmeno qui con una serie di collaborazioni vocali che rappresentano il vero asso della manica della band: si va infatti da Jonas Mattson (Deathquintet) nella splendida "Seven Collides" a Martin Wegeland (dei Domkraft) nella conclusiva "Now We Are Here (At the Inevitable End)", passando attraverso la poetica di "The Bullet Shines Before Impact", in compagnia di Kristofer Åström (Fireside) e scavando nell'anima attraverso le malinconiche melodie di "Endless Joy", dove a dividersi la scena, troviamo Per Stålberg (Divison of Laura Lee) e il musicista dronico Johannes Björk. Il disco è delicato, emozionale, maestoso, vario e non solo per l'alternanza vocale dietro al microfono. È un lavoro che tocca le corde dell'anima in ogni suo frammento, e per questo l'ho amato sin dal primo ascolto. Vi basti ascoltare un pezzo come "Terraforming Celestial Bodies", dove alla voce troviamo Arvid Hällagård (Greenleaf) e ve ne innamorerete immediatamente. Per non parlare poi della successiva "Breathe Breathe" con un ottimo Patrik Wiren (Misery Loves Co) a regalare una performance ineccepibile per un disco davvero avvincente, che mi sento di consigliare a 360°. (Francesco Scarci)

lunedì 1 settembre 2025

Enzø - Noisy Ass Makes You Smile

#PER CHI AMA: Alternative/Hardcore/Psichedelia
Prendete la ritmica di un brano come "Then Comes Dudley" dei Jesus lizard, solo la ritmica mi raccomando, e immaginatela il più distorta possibile. Aggiungete un po' di sano sarcasmo e critica agli usi e costumi della società odierna, poi un pizzico di quell'attitudine caotica che richiama certe idee dei DNA, riviste con un taglio alternative/hardcore molto aggressivo e istintivo, come vi capiterà di ascoltare anche nel brano, diciamo piacevolmente astratto, "Pazzi Smith" degli Enzø. Ecco, se riuscirete a mettere insieme tutto il mosaico, avrete una vaga idea sonora di quello che propone il duo beneventano. Sulla linea dei Lighting Bolt, con un'idea di canzone più accessibile e meno sperimentale, la band suona veramente in modo pulsante, rumoroso e dinamico, e spesso si sente anche una buona vena psichedelica di memoria grunge. Il progetto è composto solo da un batterista e un bassista/cantante, il quale riesce sempre a distinguersi nel marasma sonoro prodotto, per un bel timbro vocale potente e una certa attitudine alle melodie orecchiabili, sempre di giusto impatto, che fanno da contraltare al suono quasi perennemente ultra distorto dei nostri. Il singolo "Wah" resta un must di questo disco, per immediatezza e fluidità, con annesso un video assai carino. "Ballad of Enzø" è bellissima e ricorda la follia di certi Primus mischiati al Tom Waits più sbilenco e distorto. Anche la ritmica di "Les Good to Sail in a Pool of Clay", nella prima parte ricorda i Primus di un tempo (e non solo per il suo titolo bizzarro), e in generale, il funk metal degli anni '90. Nel suo insieme il disco è molto buono e stimola l'ascoltatore a valutarlo da tante angolature diverse, grazie a un sound monolitico che a suo modo è in continua mutazione. Basti pensare a "Pigface" che, complice un cantato davvero potente e un sound ipnotico, inaspettatamente, mi porta alla mente la voce e la forza irriverente e devastante dei Venom o quella di Tom Gabriel Fischer nei Trypticon. Alla fine, questo nuovo album degli Enzø, con una bella e folle copertina curata da Maria Caruso, e dal titolo 'Noisy Ass Makes You Smile', dove già il titolo la dice lunga, si dimostra una lunga e interessante carrellata di idee che mettono in mostra il modo rude, scarno e contorto di esprimersi dei due musicisti, di fare musica alternativa senza troppe regole. E la Overdub Recordings ha pensato bene di non farsi scappare questo progetto. La buona musica alternativa in Italia esiste ancora, magari come in questo caso, non cantata in lingua madre ma a tutti gli effetti, ancora esiste e resiste. (Bob Stoner)

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sabato 30 agosto 2025

Urban Cairo - Dysphoria

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Fin dal primo ascolto, l'impressione che ci lascia il nuovo lavoro del trio alessandrino degli Urban Cairo, band devota al DIY e nel rooster della Scatti Vorticosi Records, è molto positiva, e anche se risulta un tantino derivativo, è pieno di energia, genuino e reale. Le canzoni sono urlate come ai bei tempi di 'Feedtime' dei Motorpsycho, con le storture vocali dell'alternative più radicale, con i suoni del primo grunge e l'urgenza creativa che spinge da tutti i pori, una ribellione che non è più di questi tempi. Un disco normale se rimpiangiamo l'epoca di 'Bleach' dei Nirvana, con tutti i crismi del periodo, per un genere musicale che fa dell'istinto sonico un'arma bianca, un suono immediato che non lascia spazi a fronzoli tecnologici o a beghe da school of art. Il punk, il grunge e l'alternative che si sormontano e sorpassano nella corsa all'espressività garage, che a volte risuona anche nel ricordo dei Mudhoney, come in "Land(e)scape", o dei Fugazi, e mi piace immaginarli con il cantato in lingua madre, se non fosse per l'uso dell'inglese nei testi, una sorta di Gazebo Penguins dispersi nella Seattle dei primi anni '90. 'Dysphoria' è il titolo del secondo full length della band piemontese, ed è un bel disco fatto di cuore e sudore, spuntato dal sottosuolo e suonato con una gran bella energia, niente di eclatante ma qualcosa di sicuro impatto, come accade per il brano "Brush", con quel riff che lo ricordi al primo ascolto ma che viene sputato in faccia, ancora e ancora una volta, come si deve fare e come si faceva a modo, qualche decennio fa. "Dinah' Sour" richiama i Buffalo Tom di 'Birdbrain', mentre "Daisy's Charm" si sposta verso i Dinosaur Jr, con uno stile di ballata distorta e melodica che tocca le corde oblique del cuore, perché in quest'album, l'urgenza espressiva è l'arma segreta che risulta vincente. Il brano "The Nun" fa il verso ai sottovalutati Bush, e per questo, è evidente che non tutto risulti originale, per quanto sia grande l'ammirazione per il modo di fare musica di questo tipo. Alla fine potete comunque sparare nelle casse del vostro stereo questo disco senza alcuna remora, vi farà rivivere vivide emozioni, purtroppo oggi troppo frettolosamente dimenticate. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2024)
Voto: 75

https://urbancairo.bandcamp.com/album/dysphoria

mercoledì 27 agosto 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Habitants - Alma
Daron Malakian & Scars on Broadway - Dictator
Midas Fall - Cold Waves Divide Us

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Alain González Artola

Lacuna Coil - Sleepless Empire
Vermilia - Karsikko
Brozen Hall - Honor & Steel

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Death8699

Anathema - Judgement
Grave - Fiendish Regression
Morta Skuld - Creation Undone

martedì 26 agosto 2025

Akhenaten - Gods Of Nibbirus Vol.2

#PER CHI AMA: Instrumental Cinematic Eastern Metal
'Gods Of Nibbirus Vol.2' è una nuova compilation interamente strumentale, la seconda dopo quella del 2019, firmata Akhenaten, stravagante progetto di metal dalle fortissime influenze mediorientali, originario di Manitou Springs (Colorado). Il sound della band dovrebbe avere una base black/death, arricchita da influenze folk mediorientali, ma qui sono quest'ultime coadiuvate da suggestioni cinematiche a prendersi la scena. Eppure, i nostri si sono costruiti una solida reputazione nella scena con tre dischi estremi, cantati e ben suonati. Ma torniamo al presente: forti di una produzione nitida e teatrale, dotata peraltro di atmosfere epiche e magniloquenti, il duo statunitense si diletta a proporci egregie orchestrazioni che assumono i connotati di colonna sonora da film colossal. Chiaro, io personalmente, li preferisco quando c'è un bello screaming a narrare di occultismo, teorie cospirative o mitologia egizia, ma è innegabile come il tono solenne dell'opener "Anunnaki Requiem" sia colmo di una certa tensione mitologica, impostando un tono epico e misterioso sin dall'inizio. O ancora, come la seconda "Echos of the Celestial Architects" mostri un'atmosfera sospesa, grazie a una costruzione lenta, ma evocativa, che lascerà un forte senso di maestosità. I pezzi si susseguono con questo piglio visionario, cinematografico, potente e soprattutto immersivo, che ci proietterà per oltre 60 minuti, in altri mondi e tempi dell'universo. (Francesco Scarci)