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lunedì 17 giugno 2024

Giant Fragments - Reborn

#PER CHI AMA: Djent/Metalcore
Della serie non tutte le polo escono con il buco, ci soffermiamo oggi su una band francese che secondo me non ce l'ha fatta, almeno non per ora. Si perché il sound proposto dai parigini Giant Fragments prova a coniugare, in questo 'Reborn', EP di quattro pezzi, un po' di metalcore, djient, swedish death, progressive metal e chi più ne ha, più ne metta. E alla fine il risultato è una poltiglia di suoni che non convincono più di tanto il sottoscritto. "Visions" ha la matrice ritmica tipica del djent con chitarroni iper ritmati e polifonici, a cui aggiungere poi voci growl, pulite e femminili, tra schitarrate melodiche, fraseggi progressivi e gorgoglii al limite del brutal death, il che sembra anche tutto molto figo, ma francamente non ha molta presa sul qui presente. Molto più pacata la successiva "The Grey Light" anche se, a tratti, il drumming si lascia andare a funamboliche rullate, mentre le asce fanno il loro onesto lavoro e poco altro. Mi sarei aspettato degli assoli più coraggiosi, ma non è certo questo il caso, cosi come pure opaca è la prova della cantante. "I'll Build A Bridge" mostra un ipnotico fronte di chitarre, poi largo a ritmiche sparatissime e vocals ancora in bilico tra growl e pulito/ruffiano, e un quantitativo esorbitante di cambi di tempo che alla fine non mi fa entrare nella testa i super articolati giri di chitarra dei nostri. E alla fine quello che magari volevano fosse uno dei punti di forza del disco, finisce quasi per ostacolarne la buona riuscita. In chiusura la title track parte inizialmente timida, per poi lentamente aumentare il numero di giri tra parti atmosferiche, in cui ancora una volta a mettersi in cattiva luce è la porzione pulita delle vocals, e altre un filo più tirate. Per ora è un mero sei politico. Vedremo in futuro che combinano. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2023)
Voto: 60
 

sabato 27 gennaio 2024

Colour Trip - Kill my Super-Ego

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Hardcore
Solito incrocio nu-metal/old school-thrash mescolato a moderno hardcore che probabilmente accontenterà le nuove leve che maneggiano indistintamente, con noncuranza, Nuclear Assault e NOFX, Kreator e Strong Out. Nonostante i nostri Color Trip siano degli ibridi metalcore, devo riconoscere che musicalmente se la cavano. A parte la classica voce urlata “da stitico”, gli arrangiamenti e l’esecuzione dei brani sono buoni; forse mancano un po’ di originalità, non penso però causata dalla mancanza di temi del genere da loro proposto. Forse sono io che non li capisco, ma giunto alla settima traccia, non mi è rimasto impresso niente delle prime sei. Una batteria ben fatta, chitarre taglienti; tutto ben ritmato e abbastanza pesante, ma che manca di personalità e di tracce che possano lasciare il segno nella memoria finito l’ascolto. La produzione è buona (Siggi Bemm ai WoodHouse Studios). Se volete ascoltarlo, non andate però oltre la mera esecuzione musicale.

(Arctic Music Group - 2001)
Voto: 65

https://www.metal-archives.com/bands/Colour_Trip/

mercoledì 11 ottobre 2023

Alea Jacta Est - Ad Augusta

#PER CHI AMA: Hardcore
"Il dado è tratto". Con la locuzione "alea iacta est" i latini erano soliti esclamare per una decisione presa o una sfida lanciata. I francesi Alea Jacta Est lanciano cosi la loro sfida con un nuovo EP, 'Ad Augusta', che sancisce il ritorno sulla scena dopo un bel po' di silenzio (sette anni dall'ultimo 'Dies Irae'). La band di Tolosa rispolvera il proprio hardcore attraverso sette nuove tracce pronte ad incendiare le nostre orecchie. Al via un intro e poi il rombo delle chitarre di "FFWF" (acronimo per "Fight Fire With Fire") che si accende ed esplode tra un rifferama compatto bello carico di groove e le urla del frontman che s'incrociano con quelle di diversi cori (che mi hanno evocato quelli di 'Under the Influence' degli Over Kill). Poi una bella spinta (non eccessiva sia chiaro) da parte delle chitarre che portano una dose di adrenalinica energia che prosegue nella più robusta "Get Revenge", con quel suo vigoroso sound spezzato da continui breakdown metallici, mentre il vocalist continua a vomitare tutta la propria rabbia. Niente di nuovo all'orizzonte, niente di particolarmente tecnico poi (gli assoli sono infatti rigorosamente banditi) e la band continua a macerare strada in "Enough is Enough", con quel blend di hardcore e metalcore, con tanto di riffoni belli pesanti e ultra ritmati, voci tra il graffiante, caustico e growl, senza mai tralasciare gli immancabili chorus, atti a inveire contro il mondo, trademark del mood hardcore tipicamente statunitense. Si continua con "The King is Down" e anche qui non manca una certa ruffianeria nella linea delle chitarre, cosi come nell'utilizzo di parti parlate in francese che fanno da ponte con la successiva "As Fast as I Can", che prosegue nella sua opera distruttiva, qui particolarmente esasperata nella parte finale del brano. Il dischetto si chiude con "Fake Power" che, se vogliamo trovare il pelo nell'uovo, non si discosta di una virgola dai precedenti brani ascoltati, se non per una sezione ritmica un filo più violenta, ma che apporta poco o niente all'intera release. Un lavoro onesto e poco più. (Francesco Scarci)

(Useless Pride Records - 2023)
Voto: 65

https://www.facebook.com/aleajactaest.eu

martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

martedì 13 giugno 2023

dEmotional - Scandinavian Aftermath

#PER CHI AMA: Groove Metal
'Scandinavian Aftermath' è un bell'album che ci offre un viaggio emozionale nel profondo dell'anima scandinava dei dEmotional. Il gruppo ha creato un lavoro che cattura l'essenza di questa regione, attraverso musica intensa e coinvolgente. Fin dal primo brano, la title track, si viene investiti dalle chitarre potenti, il basso profondo e la batteria pulsante che si uniscono nel creare un'atmosfera affascinante. Le melodie evocative s'intrecciano con le dinamiche che oscillano tra momenti di calma ed esplosioni di energia, creando un effetto avvincente sull'ascoltatore. Un aspetto che colpisce di 'Scandinavian Aftermath' è la varietà delle composizioni. Ogni brano ha infatti una sua identità unica e contribuisce al mosaico di emozioni che l'album trasmette. "Bärsärk" trasuda una bella dose di groove, con le sue armonie incalzanti e le parti vocali tra il pulito e il growling ad evocare gli Scar Symmetry, mentre "My Own Enemy" risveglia l'energia guerriera dei Soilwork con riff potenti e ritmi incalzanti. La band dimostra un certo talento nel creare atmosfere suggestive attraverso la musica. La lunga "My Heart" è un perfetto esempio di come le dinamiche e gli arrangiamenti possano trasmettere sensazioni e immagini. Le parti atmosferiche creano una sensazione di struggente solitudine, mentre le chitarre e la batteria donano un senso di forza e determinazione nelle parti più violente. Un altro elemento che merita di essere menzionato è la performance vocale, che aggiunge un ulteriore strato di intensità all'album soprattutto in un brano come "Young Wolves". Anche la produzione si conferma di buon livello, con ogni strumento nitido e ben equilibrato, il che consente a ogni elemento di emergere in modo chiaro e definito. La qualità del mixing rende giustizia alle complesse strutture delle composizioni, creando un suono potente e coinvolgente. In conclusione, 'Scandinavian Aftermath' è un album avvincente che ha modo addirittura di scoprire mondi estranei al metal (ascoltatevi l'alternativa "S.O.A.K" per capire o la malinconica e catchy "All That I Knew"). Album divertente per tutti gli amanti di sonorità metalcore melodiche. (Francesco Scarci)

(Self/AFM Records - 2021/2023)
Voto: 75

https://www.facebook.com/dEMOTIONALband

giovedì 16 marzo 2023

Soilwork - A Predator's Portrait

#FOR FANS OF: Melo Death/Metalcore
This is an interesting album but it doesn't top its predecessor 'The Chainheart Machine'. The riffs are good but not to that caliber. And the vocals are a little more laid back mixed with some clean bits. The music is what's awesome on here. The melodic rhythms that go along with the clean vocals (at times). I liked this release, it is just a little step down from the previous. The leads were outstanding though. As this was the older lineup. These guys have had a great career in music some good releases and some duds. This one is definitely not the latter, it's quality melodic death metal. The intensity is there just not as much.

They mellowed out on this release but the vocals feature a lot of screaming. It's like a mix of melodic death with metalcore. I don't like metalcore much but the music is quality. I just don't like the fact that their intensity lessened hence the "75" rating.

Their modern sound is like this too, their most recent has a lot of mellow parts to them. 'Övergivenheten' which means "The Abandonment" is their latest release that sounds a bit like this. I like both almost equally. They'll never get to the degree of 'The Chainheart Machine' but they're still a good band releasing good music. They just fizzed out whereas they could've progressed musically. I'm still a fan of the band but I just had to lower my expectations of their releases after 'The Chainheart Machine'. There are some good songs on here mainly these: "Neurotic Rampage", "Final Fatal Force" and the title track.

They're dealing with the loss of David Andersson who joined the band in 2012-2022. He died last year at 47 years of age. They can still get to the caliber of this album as they did of their most recent. 'A Predator's Portrait' had some dynamite songs! They've just chilled out.

There will never be a Soilwork of this degree again, but that doesn't mean that they're done as a band. This album is a good follow-up, just not nearly as good as their predecessor. I hope that they keep producing albums though! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2001)
Score: 75

https://www.facebook.com/soilwork

venerdì 24 febbraio 2023

Parahuman - Affliction

#PER CHI AMA: Metalcore/Groove Metal
Ultimamente il sottosuolo polacco brulica di un quantitativo smisurato di band. L’ultima in ordine di tempo ad essersi palesata fra le mani risponde al nome di Parahuman che arriva con ‘Affliction’ al tanto agognato debutto su lunga distanza, dopo aver rilasciato dal 2016 a oggi, giusto un EP e un paio di singoli. La proposta del quartetto di Varsavia è all’insegna di un metalcore sporcato da venature grooveggianti, per un risultato però che non fa certo gridare al miracolo. Se le chitarre di “Signal”, che segue a ruota l’intro omonima, potrebbero farvi tornare alla mente i primi Dark Tranquillity, è la performance dietro al microfono di Olgierd Gontarczyk a non convincermi pienamente, con una voce acida, graffiante ma mai francamente all’altezza. Musicalmente la band non è malaccio, proponendo tuttavia un canovaccio che ormai inizia a suonare un pizzico scontato, nonostante una continua ricerca di vincenti partiture melodiche e costanti cambi di tempo. L’inizio di “Loop” lo potreste infatti scambiare per altre 1000 canzoni analoghe per architettura ritmica, e questo mi fa intuire che più di tanto la proposta dei nostri non possa impressionarmi. Il bagaglio tecnico viene sicuramente messo a disposizione per migliorare il livello qualitativo proposto, soprattutto a livello solistico con certi assoli da urlo (la stessa “Loop”), ma quella che fatico a digerire alla fine continua ad essere la prova vocale del frontman o la scontatezza di certe porzioni di brano. Le variazioni al tema non mancano e il basso in apertura a “Feedback” viene in mio aiuto a tal proposito. Peccato poi che quella voce, che sembra affetta da una forte raucedine (cosi strozzata in gola), e quando pulita, rischia addirittura di fare peggio, vista la sua stonatura, che rovina quanto di buono possono proporre i Parahuman. Poi nello spaccare culi, i quattro musicisti sembrano cavarsela molto bene, con raffiche di chitarra a mo’ di mitraglietta, blast beat schizzati, o break melodici, ma la voce no, proprio non ci siamo, soprattutto quando dice “follow my voice…”. Eppur si muove diceva il buon Galileo Galilei, e si muove ondeggiando anche la proposta dei Parahuman, laddove decidono di rischiarsela di più e infarcire il tutto con una componente elettronica (“Inanity”), nel solo di “Antisocial” o nelle ritmiche progressive deathcore di “Divided”, che ci regalerà anche l’ennesimo strepitoso assolo. Più canonica “Sober”, dove il cantante prova a modulare le proprie corde vocali con risultati altalenanti. Alla fine dei fatti, mi piacerebbe dare un voto disgiunto, che vedrebbe un 7.5 per ciò che concerne la componente solistica e un 6 scarso per quel che riguarda il compartimento vocale, che mi porterà alla fine alla soluzione compromissoria che vedete sotto. Da rivedere alcune cose, poi i Parahuman potrebbero anche regalarci cose degne di nota. (Francesco Scarci)

mercoledì 25 gennaio 2023

Soilwork - Overgivenheten

#FOR FANS OF: Death/Metalcore
This one helluv a catchy album. I'd say one of their best releases since 'A Predator's Portrait. The guitars are simply amazing and the vocals fluctuate sometimes screaming sometimes singing clean. This reminded me a little of metalcore bands but they've got their own sound to them. Sad about losing their guitarist David Andersson. It's tragic as he was only 47. But being his last effort with the band, I thought the riffs were just amazing. Such feel to their album and variety. Between clean vocals, melodic guitar riffs and a solid sound quality in their overall production. What a monument of an album!

There were a lot of clean tone segments but the guitars that were heavy drowned them out. But yeah, those segments of clean work show so much essence to their souls. It's not a super long release but it's so quality in their musicianship.

I've been following Soilwork since 'The Chainheart Machine' came out I believe in 1998. I've always admired their music and songwriting capabilities. They were always tops with me. And this album does the band justice wholeheartedly. I liked this whole release and it shows the emotional state of the band. Mainly the songwriters they were totally innovative and strong. These guys have been making good music since the late 90's. I always liked their melodic death metal genre. Though, nowadays they're more melodic death mix with a little metalcore. It's still likeable material, don't get me wrong, they're just not as heavy as in the early Soilwork days.

These guys still have a great deal to offer despite losing David last year. He was with the band for about 10 years. A lot of his work was with the final release with this one. He was so talented. And that totally shows on this release. Old Soilwork is gone, but the new is still going strong with their melodic music and amazing musicianship! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2022)
Score: 80

https://www.facebook.com/soilwork/


lunedì 24 ottobre 2022

No Point in Living - Heaven

#PER CHI AMA: Progressive Deathcore
I giapponesi No Point in Living hanno una discografia pazzesca. La one-man-band originaria di Sapporo, formatasi nel 2015, conta ben 32 album e 13 EP all'attivo, di cui quest'ultimo 'Heaven' e dire che ho tralasciato gli split, le compilation e i singoli, e se non è record questo, poco ci manca. Fatto sta che il buon Yu ci consegna tre pezzi di black/death melodico che irrompono con le ritmiche tempestose di "Heaven That We Can't Reach" che si mette in mostra per una melodica linea di chitarra, un po' meno per le grim vocals del frontman e per una drum machine troppo poco umana. Il sound potrebbe essere ascrivibile al melo death di In Flames e co., dotato però di un piglio malinconico ma poi quello screaming efferato finisce per rovinare un po' tutto. Strano leggere sulla pagina metal-archives della band che la proposta dovrebbe essere un depressive prog black perchè di questo genere trovo ben poco, considerato il fatto che sul finale della prima song, si sfocia addirittura nel deathcore. La seconda "Burn Your Heart" riparte alla velocità della luce con una ritmica assai ritmata, sporcata di un synth in sottofondo, come a dire che nel sound del factotum giapponese, ci sia un'altra tonnellata di influenze che confluiscano nelle note partorite. Ci trovo infatti un po' di metalcore e prog deathcore, cosi come pure nevrotiche sfuriate post black anticipare nel finale rallentamenti al limite del doom che rendono l'ascolto di questo lavoro alquanto eterogeneo. In chiusura, la rutilante prova di "Red Ocean" completa questi 20 minuti che ci permettono di conoscere questa creatura a me sconosciuta fino ad oggi. Peccato solo che la drum machine renda il tutto cosi asettico, perchè le schizofreniche linee di chitarra di Yu ci faranno sfociare anche nel mathcore. Da tenere sotto controllo, soprattutto per saggiare la verve creativa di questo funambolico individuo. (Francesco Scarci)

martedì 27 settembre 2022

Soilwork - The Chainheart Machine

#FOR FANS OF: Melo Death
I know it's a little much to give this album a perfect score, but I can't say anything except positive things about it. However, I may be biased because melodic death metal is my favorite genre in metal. They seem to fall under this category early on in their career changing some over the years. But this album is a landmark release from these Swedish metallers. A good follow-up release dominating over 'Steelbath Suicide' and my all-time favorite Soilwork album in their entire discography. The energy is full throttle throughout the whole album. There wasn't a song on there that I disliked.

The title-track, "Neon Rebels", "Millionflame" and "Spirits of the Future Sun" are my favorites. They tune their guitars down to B I believe, and they're fast the whole way through. The energy is rampant. How these guys put forth such an effort on here is amazing. The energy they have and the original riffs. Blast! What a wild guitar extravaganza in these songs just shining in metal glory. Their later releases don't compare to this one maybe a close call is 'A Predator's Portrait'. That's about it, I see this release as flawless. The vocals compliment the guitar whole handedly. There were really no clean vocals at all!

The only thing that was not that substantial was the length of the album. It clocked in about 40+ minutes. I would've had liked to hear more length or more songs on here. It still reigns supreme in terms of originality, precision and uncompromising energy. These guys just suffered a loss in David but he was not featured on here as he joined the band I believe in 2012. What a tragedy, though. I'm surprised that the average scores on here was at 79%. I always liked this album the most but the critics are the way they are, even in my text here. However, I felt that this was a pinnacle release by the band.

I ordered this CD to show further support for the band and music in extreme metal altogether. Soilwork has so many peaks and valleys in their discography I'll always view 'A Chainheart Machine' as their best. The music, the vocals, the leads, and overall sound met perfection. You can doubt me well just listen to the album. The riffs, leads and vocals are sublime. I'm glad that this is a part of my collection. Old Soilwork is dead, long live old Soilwork! Pick this up a physical copy don't just cheap out and stream it. It's a critical time for the band, they just lost a brother, show them gratitude! (Death8699)

(Listenable Records - 2000)
Score: 90

https://www.soilwork.org/

lunedì 19 settembre 2022

Bloodshoteye - An Unrelenting Assault

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Deathcore
Un urlo in pieno stile Phil Anselmo, ai tempi d’oro dei Pantera, apre il secondo cd dei canadesi Bloodshoteye, intitolato 'An Unrelenting Assault'. Effettivamente quello della band nord americana è un vero e proprio assalto ai nostri padiglioni auricolari, un attacco deathcore al nostro cervello con il puro scopo di fonderlo. La cosa incredibile, che balza subito all’occhio leggendo la line-up del combo, è che il growling brutale profuso è ad opera di una donna, tal Jessica. Amici, l’avvenente singer ha una voce cattiva, profonda e intensa, anche quando, nei rari frangenti di tranquillità, la utilizza nella sua forma pulita e sussurrata. L’act dell’Ontario suona poi una sorta di metalcore in stile tipicamente americano, imbastardito e incattivito da un brutal death di derivazione sempre di origine statunitense: riff taglienti come rasoi costruiscono la base del disco; veloci blast-beat e l’oscuro vocione di Jessica completano il quadro di un lavoro non propriamente avveniristico ed originale. 'An Unrelenting Assault' è un lavoro monolitico che già verso la sesta traccia inizia a stancare ed annoiare il sottoscritto, che comunque imperterrito va avanti per ascoltare le evoluzioni canore della bella cantante. C’è da dire una cosa a sostegno della band: ossia il tentativo di costruire brani complessi che si discostino dall’ondata metalcore americana; grind, thrash, hardcore e techno death confluiscono infatti nelle note di questo cd. Per il resto, i Bloodshoteye avrebbero solo potuto sfiorare la bravura dei Killswitch Engage, non fosse altro che si sono sciolti dopo il successivo album complice il fatto di una incapacità di distinguersi dalla calderonica massa di band che suonava questo genere. (Francesco Scarci)

lunedì 20 giugno 2022

Ekoa - Chrysalis

#PER CHI AMA: Prog Death
Interessante biglietto da visita quello dei polacchi Ekoa che con il loro debut EP intitolato 'Chrisalis', si cimentano in un 4-track che ci dice fondamentalmente quanto di buono aspettarci dal futuro di questa band originaria di Cracovia, che include anche l'ex batterista (spagnolo) degli Occasum Solis. La proposta? Un valido concentrato di prog death dalle forti venature groove/metalcore che si palesano sin dall'opener "Rooted into Grudge" che mette in mostra le potenzialità dell'ensemble sia a livello ritmico che vocale, con un dualismo, voce pulita e growl, davvero azzeccato. L'elevata presenza di melodia si contrappone a riffoni granitici anche nella successiva e più malinconica "The Stoic", mentre le partiture acustiche interrompono intelligentemente quel "wall of sound" (di prima scuola Opeth) che caratterizza il brano. Gradevole anche l'assolo conclusivo, anche se l'avrei preferito di maggiore durata. "Delegation of Thoughts" è un po' più classicona nel suo incedere portentoso ma i vari cambi di tempo, le voci più alternative e il breve assolo, la rendono comunque piacevole. In chiusura "Chimera", il pezzo più lungo del lotto, e quello che forse più si discosta dagli altri, con riferimenti che a mio avviso richiamano anche i nostrani Novembre e che aprono ulteriori scenari per questa nuova storia polacca. (Francesco Scarci)

giovedì 5 maggio 2022

Illa - The Body Keeps the Score

#PER CHI AMA: Metalcore/Groove Metal
È una bella ondata thrash metalcore quella che ci investe con "Regrets", traccia d'apertura dei danesi Illa e del loro EP, 'The Body Keeps the Score'. La band, originaria di Albertslund, deve il suo nome all'antico norreno e al significato di malattia della parola ILLA. I nostri ci prendono quindi a mazzate in faccia con un sound solido e compatto che miscela ai generi sopraccitati anche hardcore e groove metal, affrontando in queste quattro tracce il tema della malattia mentale. E cosi, nell'iniziale "Regrets" si parla di ansia, la corrosiva "True Self" tratta il superamento delle cose passate, la title track dello stress post traumatico, mentre la conclusiva e veemente "Wastelands", fronteggia il tema della depressione, tutti delicatissimi argomenti peraltro, che mai avrei pensato di affrontare con bordate di chitarra devastanti, growling vocals, e ritmiche dinamitarde, semmai con sonorità più intimistiche e malinconiche. Fatto sta che questa è la visione dei nostri e noi non possiamo far altro che dargli un ascolto. (Francesco Scarci)

sabato 26 marzo 2022

Once Human - Scar Weaver

#FOR FANS OF: Groove Metal
This album didn't strike me initially as something pivotal in the groove metal scene, but it kind of wore on me. I have utmost respect for the band and their music, it's just not my favorite genre. They firstly sounded a bit metalcoreish but they're not. The music is quite good, reminds me a little of Pantera's 'Far Beyond Driven' with differing vocals. The songs are slow and catchy and the vocals are decent. It's female vox on this one and she does quite a good job in that department. This album also reminds me a little bit of Djent style riff-writing, but not quite there. Not to be confused with Meshuggah-esque type of guitar playing.

I dug most of this release minus the fact that they're a little atypical for my taste. The guitars (aside from Djent) were pretty catchy and noteworthy. I didn't have much of a negative thing to say about them. They're just weird, I suppose. I like the clean vocals when they exhibited them though both formats they were good! The production quality was also good, too. This band is just an acquired taste. I only took off points when I felt that the music seemed to get way "out there." But for the most part, I enjoyed this.These guys make quality groove metal. Some songs remind me (again) of Pantera's song "Shedding Skin."

Why am I giving this a "B-" then if I'm speaking so highly of their performance? I'm not liking the music as much as I should I suppose. There aren't many leads (if any) and the music could've been a little better. The rhythms seem to go on for an eternity nothing really happens and then BOOM! The next song plays. I think though the vocals went in tandem with the music. That's the good part of the album. They really did a good job with keeping it groovy and shouting vocals in agreement with the songs. I would definitely refer listeners to hearing this if they're open minded about different genres of metal.

Overall, I like this band. I'm not sure how much of them are coming out with more new releases in the future but I sure hope so! They are a talented band and I'm sure it took a while to formulate music for this release. And make it into their own despite the similarities to Pantera or not. The vocals are outstanding and the music is better than average. I think that if they can bump it up in the music department then I would've given this a better rating. All in all, it was a good purchase for me and my collection. I'm looking forward to many a more albums in the future by them to own! Take a listen! (Death8699)


(earMUSIC - 2022)
Score: 75

https://oncehumanofficial.com/

domenica 30 maggio 2021

God Forbid - IV: Constitution of Treason

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death
Lo Swedish death miscelato al metalcore americano ha avuto un grande successo in passato creando ad un certo punto anche una indigestione tale da rendere assai complicato da descrivere con parole differenti, gruppi che alla fine proponevano la stessa minestra. I God Forbid sono una di quelle band che in passato mi ha dato una mano nel semplificarmi la vita, cercando di prendere le distanze e interpretare il genere con una certa dose di personalità. Non siamo di fronte ad un capolavoro, però devo ammettere che il quarto album della band statunitense non si presentò affatto male mostrando una longevità per le nostre orecchie non indifferente. Una produzione sporca (ma va bene così) accompagna le note di “Constitution of Treason”, in cui i classici riff hardcore e la vetriolica voce di Byron Davis, si strutturano all’interno della tradizionale metal song, dotata dei tipici riffoni di chitarra (bravi i fratelli Coyle alla sei corde), delle cavalcate alla Iron Maiden, di melodici cori con brillanti clean vocals e taglienti assoli. Il 2005 fu l’anno di questo sound, dei vari As I Lay Dying, dei Trivium e anche dei God Forbid, come pure fu l’anno della moda dei cd suddivisi in 99 frammenti (qui 98), quasi a fare impazzire il recensore di turno che, come me, fatica a capire che pezzo sia arrivato ad ascoltare. E cosi mi ritrovo alla traccia 36, scuotendo la testa come un pazzo esagitato, ascoltando la freschezza e la dinamicità di “The Lonely Dead”, sicuramente il pezzo migliore del disco che tra l’altro si chiude con un suadente pianoforte. I God Forbid se la cavano davvero egregiamente, avendo dalla loro anche una grande capacità tecnico-compositiva e un ottimo gusto per la melodia. (fantastica la tappa 60-69, “To the Fallen Hero”). Alla fine mi ritrovo a tessere le lodi per una band che è riuscita a farmi vincere la mia resistenza verso un genere ormai depauperato di idee. Alla traccia 97 mi trovo ancora super entusiasta e il successivo e ultimo frammento non fa altro che alimentare il mio desiderio di riascoltare questo lavoro. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2005)
Voto: 72

https://www.facebook.com/officialgodforbid

giovedì 14 gennaio 2021

La Città Dolente - Sales People

#PER CHI AMA: Mathcore/Sludge/Hardcore, Converge
Esordio in pompa magna per La Città Dolente, che si presenta con un full length dinamitardo, dopo il primo EP del 2018 dal titolo 'Opportunist'. La band, d'istanza a Milano, composta da quattro elementi di cui tre che provenienti da altre realtà come Pescara, Londra e Roma, si espone con un sound ben calibrato, potente e dai toni naturali. Un combo assai affiatato che, al cospetto dell'universo mathcore, ci propone una manciata di brani ben assemblati e di sicuro impatto. Si gioca in casa di band storiche tra Botch, Converge e Coalesce anche se qualche ruvida sfumatura old school alla 'End of Days' dei Discharge, li fa sembrare più originali e meno omologati. Mi piace la loro ricetta sonora, perchè non è né troppo patinata, né troppo tecnica o troppo diretta, perfettamente sobria, equa, ruvida e riflessiva al tempo stesso, snodandosi in una commistione sonora in equilibrio tra i vari maestri del genere, senza pendere direttamente dalle loro note, evitando cosi il facile rischio di plagio. I nostri con 'Sales People' riescono cosi a ritagliarsi una dinamica personale che dopo pochi ascolti risulta di buon gradimento e di grande effetto, accompagnata da un'ugola potente e qualificata, che ne esalta la forza d'urto e ne caratterizza le composizioni, suonate in modo più che eccellente, calde, emozionali, che difficilmente soffrono di una ripetizione creativa. Quello che sta dentro alle canzoni, l'alienazione urbana descritta nei testi è un punto in più, anche se mi sarebbe piaciuto sentirle cantate in lingua madre (apprezzabile infatti il moniker della band), scelta che avrebbe ampliato la comprensione dei concetti al popolo italico amante della musica estrema. Comunque, brani come "Corrupt" e "Profiteering", risalgono la corrente e si posizionano ai vertici della mia personale classifica di gradimento, senza nulla togliere all'intero cofanetto, che è prodotto e confezionato egregiamente, compreso il bel lavoro svolto per l'artwork di copertina. Un bel disco dal sapore internazionale che ha i numeri per farsi notare anche extra confini nazionali, teso, rumoroso, carico di risentimenti e che sapientemente usa innesti sludge e metalcore, per creare chiaroscuri e ritmiche più contorte, interessanti e variegate. Mi è piaciuto anche scoprire, leggendo un'intervista rilasciata sul web, che la band ha come fonte d'ispirazione formazioni interessanti come Infall e Anna Sage, provenienti dall'underground tricolore e francese (dove la scena transalpina ha peraltro band interessanti), tenendo un profilo basso senza sparare nomi esaltanti e troppo costruiti. Questo modo di porsi, a mio avviso, rende La Città Dolente ancora più vicina alla realtà di una scena italiana che ha bisogno di essere riportata ai fasti e all'originalità genuina di un tempo. In conclusione 'Sales People' è un album da prendere seriamente in considerazione, un disco interessante, di qualità, che non deluderà gli ascoltatori, nemmeno quelli più esigenti. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records/Fresh Outbreak Records/Hidden Beauty Records/Mother Ship/Shove Records/Violence in the Veins - 2020)
Voto: 75

https://totenschwan.bandcamp.com/album/tsr-120-sales-people

sabato 19 dicembre 2020

As We Fight - Black Nails and Bloody Wrists

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Metalcore
La Danimarca non ha mai avuto una scena cosi florida. Nei primi anni 2000 c'erano gli Hatesphere, i Mnemic e gli Smaxone, dopo questi la nazione nordica partorì un’altra band che combinava death melodico e metalcore. Ecco a voi gli As We Fight e il loro debutto sulla lunga distanza (nel 2003 uscì il Mcd 'Darkness of the Apocalypse'), un lavoro appunto che è una commistione di sonorità già allora abusate: chitarre aggressive, voci al vetriolo che si alternano ad animaleschi growling, sprazzi melodici e tanta velocità. Direi che le carte in tavola per un presunto successo ci potevano anche stare, sebbene ancora una certa immaturità aleggiasse nello stile della band, talvolta troppo involuto verso soluzioni anacronistiche per il genere. A differenza di colleghi ben più famosi, gli As We Fight cercavano qualche soluzione alternativa nell’utilizzo di una tastiera dalle spente tinte apocalittiche. Devo ammettere, ad ogni modo, che 'Black Nails and Bloody Wrists' sembrava poter impressionare favorevolmente l’ascoltatore nelle prime quattro tracce, ma successivamente cadeva in un anonimo torpore da cui difficilmente risvegliarsi. Prodotti tuttavia egregiamente negli Antfarm Studios da Tue Madsen, il risultato di questo debut album alla fine risulta essere alquanto scontato e privo di dinamicità, diventando spesso troppo noioso. L'auspicio rimase che i ragazzi si facessero le ossa col tempo (altri due album successivi ahimè non troppo brillanti) cercando di sfruttare meno i trend imperanti e personalizzando maggiormente il proprio sound con idee più originali. Ma tutto fu gettato alle ortiche con lo split della band. (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2004)
Voto: 58

https://www.facebook.com/aswefightdk/?fref=ts

giovedì 29 ottobre 2020

Integrity - Sliver in the Hands of Time

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Hardcore
Gli Integrity sono una delle band più longeve della scena hardcore/metalcore americana. Il loro primo vagito risale al 1988. Da allora si sono succeduti una serie di Lp e 7” che hanno dato largo credito alla band di Cleveland. Sinceramente, ora che mi trovo a dover recensire questa compilation, mi trovo un po’ in imbarazzo a dover massacrare una band dal passato così illustre, tuttavia 'Sliver in the Hands of Time' è un lavoro che va preso per quello che è, ossia una retrospettiva contenente materiale di difficile reperibilità, ventuno pezzi di un death/thrashcore grezzissimo. Partiamo innanzitutto da una produzione indecente, che talvolta rasenta livelli di imbarazzo enormi: basti infatti ascoltare la seconda parte del cd per capire di cosa stia parlando, con i livelli del suono che oscillano pericolosamente anche all’interno di uno stesso brano. Sembra di trovarsi di fronte a versioni demo, session o quant'altro, talvolta da non prendere proprio in considerazione (tipo le cover dei Septic Death). La voce del frontman è catarrosa, e quando cerca di alzarsi di tono è come se non ce la facesse ad arrivare con il conseguente effetto sinceramente penoso; i cori poi sono primordiali, rozzi e banali. L’unica song che riesco a salvare è “March of the Damned”, perlomeno dotata dall’inizio alla fine di un filo logico e di una componente melodica che rimane anche impressa almeno per cinque minuti nella mente. Per il resto questa compilation è una disperazione, che potrà magari piacere ai fan più oltranzisti della band o a chi ha voglia di fare un salto nel passato per quelle forti contaminazioni punk presenti lungo le 21 schegge impazzite di questo 'Sliver in the Hands of Time', o solo tanto per capire l’evoluzione stilistica, attraverso sedici anni di storia degli Integrity. E dire che si diceva che questo potesse essere l'epitaffio della band statunitense... (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/INTEGRITY.HT

domenica 18 ottobre 2020

As I Lay Dying - Shadows are Security

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death
I californiani As I Lay Dying devono la loro fortuna a Dark Tranquillity e In Flames, in quanto proprio alle due band svedesi fa riferimento principalmente il sound degli statunitensi. Questo 'Shadows are Security' ormai datato 2005, non aggiunge più di tanto alle produzioni precedenti della band, sebbene il prodotto si riveli assai valido: le melodie tipiche della scuola svedese si fondono con il thrash-metal core della scuola americana e quello che ne viene fuori è, come sempre, un lavoro di notevole fattura. L'assalto del quintetto proveniente da San Diego è quanto mai potente e dinamico; la produzione è ottimamente curata dal sempre valido Andy Sneap (Machine Head, Nevermore e Testament), così com’è molto buono il songwriting. Una devastante sezione ritmica (ottima la batteria) ci accompagna dall’inizio alla fine dell’ascolto del cd, con rabbiose vocals che si alternano ad un cantato assai melodico e come non citare poi i pregevoli passaggi melodici che caratterizzano un po’ tutto il disco. Che dire di più, sicuramente gli As I Lay Dying da sempre centrano il segno, regalando lavori di emozionante e granitico metalcore, spruzzato dal flavour caratteristico dello swedish death metal. 'Shadows are Security' include anche un bonus DVD contenente la registrazione del concerto al Substage di Karlsruhe, in Germania, del 28 novembre 2004. Da notare, che questo album segna anche l’ingresso di tre nuovi elementi nella band, che sicuramente apporteranno linfa vitale al combo americano. Ottima prova. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 74

https://www.asilaydying.com/

martedì 22 settembre 2020

Throwdown - Vendetta

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore, Pantera
Mi sono sempre chiesto quanto potesse durate durare il fenomeno metalcore sin dal momento della sua esplosione? A quando il collasso? I Throwdown nel 2005 erano l'ennesima band proveniente dagli States a proporre il medesimo genere musicale, un death/thrash-metalcore, peraltro con già quattro album all'attivo, di cui 'Vendetta' rappresentava appunto la nuova fatica del quartetto californiano. Prodotto presso i Planet Z Studios da Zeuss (Hatebreed, Shadows Fall), l’album vede la partecipazione di Howard Jones (Killswitch Engage) e Sean Martin (Hatebreed). Si tratta di un genuino disco di hardcore vecchia scuola, come se ne sentono tutt'ora a centinaia in giro, influenzato da Pantera (anche a livello vocale) e Hatebreed. Le caratteristiche dell’album sono poi sempre le stesse: brani semplici e diretti, sezione ritmica bella tosta, con saltuari inserti melodici, un growling potente e liriche belle incazzate, la descrizione perfetta di centinaia di album che infestano da sempre il panorama metal e che hanno poco da dire. Se potessi immaginare fisicamente questo disco, sarebbe come un fiume di adrenalina in piena, ideale per feste o per un pogo con gli amici, ma lungi dal trasmettere emozioni profonde. Questa è musica sentita e risentita negli ultimi 30 anni troppe volte; nulla quindi di originale, nulla di provocante, niente di niente di nuovo all’orizzonte. Bravi, per carità a spaccare, ma niente di più. (Francesco Scarci)

(Trustkill Records - 2005)
Voto: 62

https://throwdown.bandcamp.com/album/vendetta-2