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venerdì 15 settembre 2017

Mad Dogs - Ass Shakin' Dirty Rollers

#PER CHI AMA: Hard Rock
Dopo qualche tempo torniamo a parlare della GoDown Records, etichetta granitica nata quasi quindici anni fa e che ha sempre mantenuto un elevato livello nelle sue produzione stoner/garage/psychedelic rock. L'etichetta ci presenta oggi i Mad Dogs e il loro ultimo album ' Ass Shakin' Dirty Rollers' (il terzo) uscito quest'anno ad aprile. Il quartetto nasce a Macerata nel 2009 e dopo due lavori abbandonano la lingua italiana e si buttano a capofitto nel garage/blues rock con ancora parecchio da dire. Le tracce sono dodici, veloci ed intense come ci si aspetta dal genere, vedi "Make it Tonight" che strizza l'occhio ai vecchi Guns N' Roses grazie al ritornello facile e i gran riff e assoli di chitarra. Addentrandoci sempre più a fondo nel mondo di questi cani pazzi, si rimane sempre più colpiti dal groove dei brani, come in"It's not Over", un perfetto blues adrenalinico misto ad hard rock anni '70 che entra facilmente in circolo e convince senza tanti complimenti. Piacevoli, seppur semplici, gli interventi di tastiera/organo che completano il tutto, rendendo il sound rotondo e per certi versi raffinato. Il brano più scanzonato è sicuramente "Surf Ride", una ballata veloce e sentita più volte, ma che cattura sempre, soprattutto durante un live con un pubblico che ha voglia di divertirsi e non aspetta altro per potersi scatenare. Nel complesso la qualità audio dell'album è in linea con il genere, quindi niente di ricercato, tutto si basa sulla musica, quindi il resto è relativo. Ma dove c'è luce c'è anche oscurità, ed ecco quindi "Psychedelic Earthquake" che chiude questa release, una sorta di 'The Dark Side of the Moon' dove i fumi di oppio aleggiano pesanti intorno a noi. Nel frattempo la musica cresce a ritmo di un battito cardiaco ancestrale, tutto rotea sempre più veloce fino all'esplosione finale dove la sezione ritmica prende il sopravvento insieme all'hammond e all'immancabile assolo di chitarra. Un brano di per sè semplice, ma ben eseguito e con grande impatto emotivo. Che sia questo il sound giusto per la band maceratese? Forse si, ma lasciamo a loro decidere cosa fare da grandi. (Michele Montanari)

martedì 11 luglio 2017

Tenax - S/t

#PER CHI AMA: Rock'n Roll
This is rock'n roll... il riffing iniziale di "Gogna" potrebbe essere l'emblema dell'hard rock italico. Tuttavia, quando i nostri cominciano a cantare sulle graffianti linee di chitarra, ecco che nella mia mente si rincorrono diversi paragoni che mi portano ad affermare pericolosamente che il frontman mi ricorda un ipotetico ibrido tra Ligabue e Piero Pelù. Chiaro, non proprio il mio genere penseranno alcuni di voi, però non male ogni tanto abbandonarsi ad un sound più leggero, ove capire i testi (rigorosamente in italiano) e ritrovarsi a cantare il chorus del brano "No, io non ci sto nel gioco perverso della gogna mediatica", rivolto polemicamente (e con tutto il mio appoggio) ai talent show musicali. Gli ingredienti dell'hard rock ci sono tutti, quindi inutile stare qui a raccontarvi come suoni il genere dopo quasi 50 anni di storia. Meglio soffermarsi su altri particolari: al blues rock della seconda "Club 27" ad esempio, una song che ha richiami nascosti ai Doors di "Break on Through (to the other side)" e narra ovviamente di quegli artisti maledetti che in un modo o nell'altro, hanno perso le loro preziose vite a 27 anni. "Virtual Love" si affida ad un giro di chitarra molto classico, a delle vocals e a dei testi suadenti. Il brano però sembra non decollare e francamente preferisco skippare avanti sperando in un qualcosa di più movimentato. Vengo prontamente accontentato da "Vivo Libero", ultima traccia di questo breve EP, un'altra song di sicuro divertente da apprezzare dal vivo, energica e appassionata, che sancisce lo sconfinato amore dei nostri nei confronti del rock immortale. (Francesco Scarci)

((R)esisto - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/tenaxband

sabato 24 giugno 2017

Scream Of The Soul - Children of Yesterday

#PER CHI AMA: Hard Rock
Puntualmente la prolifera Ethereal Sound Works ci recapita materiale delle sue band e dall'ultimo stock estraiamo dalla busta il lavoro di debutto degli Scream Of The Soul (SOTS), band hard rock portoghese. La band in realtà è uscita con un EP parecchi anni fa, probabilmente molte cose sono cambiate da allora e considerano probabilmente questo album come l'inizio di un nuovo progetto. I brani contenuti nel jewel case, dalla grafica semplice e disegnata a mano, sono sette, in un perfetto mix di sonorità anni '70/80 con influenze moderne, soprattutto nei suoni di chitarra. Queste strizzano l'occhio a qualche decade più in là, introducendo fraseggi metal, prog e pure un po' grunge. Pur avendo un ruolo fondamentale come vuole il rock, anche basso e batteria non sono da meno, con ritmiche incalzanti senza tanti fronzoli che conquistano subito per il groove. La voce del frontman nonché chitarrista, ha la timbrica giusta, squillante e potente, ed in più viene usata sapientemente lasciando spazio agli strumenti quando è il momento dell'assolo o del classico stacco. D'obbligo l'uso della lingua inglese e anche qui niente da dire, pronuncia impeccabile. Ultimo, ma assolutamente non meno importante, è sua maestà l'hammond, l'organo che ha profondamente cambiato il rock e che in 'Children of Yesterday' ci trasporta negli anni che hanno segnato la storia del rock. Difficile dire se sia il vero originale oppure un'ottima emulazione digitale, sta di fatto che il risultato è pressoché perfetto e noi comuni mortali possiamo solo che apprezzarne il suono. "Oblivious Waters" apre le danze con tanta grinta e voglia di riscatto, veloce e grondante di groove in stile Judas Priest con un missaggio che predilige la voce, ma che permette di gustare tutti gli strumenti. Una traccia veloce e relativamente breve che si ferma ai blocchi con uno stacco di tastiere a dare pochi secondi di respiro per poi ripartire. Il batterista trova molto spazio con i suoi fill classici ed ottimamente eseguiti, con un sapiente uso dei fusti per dare profondità e potenza nei punti giusti, sempre in perfetta sintonia con il basso. Niente assoli per la chitarra in questa prima traccia, infatti tutto il groove viene dai riff che trainano la melodia e amalgamano alla perfezione la struttura del pezzo. Visto che abbiamo già decantato le lodi del mastro hammond, "Brothers in Heart" lo vede elemento portante di questa ballata con il suo tono vibrante, come il testo del brano. Il mixing lo lascia purtroppo in secondo piano per far spazio alle chitarre, ma alla fine il risultato è abbastanza bilanciato e regala forti emozioni. In questi sei minuti abbondanti i SOTS si destreggiano su diversi livelli di intensità, confermando la taratura degli artisti presenti nella line-up. Grande prova del vocalist che riesce nell'intento di completare l'opera dei suoi colleghi, ossia trasmettere all'ascoltatore ogni singola sfumatura di un brano così complesso a livello emotivo. Dopo il momento introspettivo, il quartetto riprende in mano le redini e si getta a capofitto in "Spectrum", un brano prettamente hard rock fatto di palm mute e assoli che appagano il cuore di tutti i nostalgici del genere. L'hammond qui lascia spazio a tappeti di tastiere che perdono smalto, avremmo voluto qualcosa di più personale e meno banale per dare un tocco particolare ad una composizione più che classica. Alla fine di un disco del genere non si può che rimanere soddisfatti, se si ascolta una band come i SOTS è perché si cerca potenza e melodia fuse in un album fatto con cuore e passione. Ottima la prova dei nostri amici portoghesi che hanno saputo essere fedeli a se stessi facendo quello che gli riesce meglio, ovvero scrivere e suonare ottimo rock. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 75

https://screamofthesoul.bandcamp.com/

lunedì 12 giugno 2017

Wolfmother - Victorious

#PER CHI AMA: Stoner/Hard Rock
Nel quarto fragoroso disco della più omologata e crescentemente solipsistica band di vintage-rock australiano, i Wolfmother, pardon, il Wolfmother (a.k.a. Andrew Stockdale, autore di musiche e testi, cantante, chitarrista, bassista, ordinatore di pizze al telefono e co-produttore assieme a Brendan Volpone O'Brien; gli altri due contano più o meno quanto il due di bastoni in una gara di scorregge) prosegue quel processo di (in)consapevole nerosabbatizzazione già intuibile in 'Cosmic Egg'. La title track, nonché primo singolo radiofonico, "Victorious", pare fuoriuscita da 'Paranoid', non vi pare? Se il giochino vi attizza, provate con: "The Love That You Five" cfr. "Vol. 4", The Simple Life" cfr. "Never Say Die", "Gypsy Caravan" cfr. "Sabotage" e, beh, con un po' di fantasia anche "Happy Face" cfr. il primo Ozzy solista. Bene quando, altrove, il suono s'impenna e diventa più cosmico ("Remove Your Mask", la stessa "Gypsy Caravan"), così così il glam clap-clap di "Best of a Situation". Pessime certe concessioni power-pop, individuabili, per la precisione, in quella specie di Paul Simon imprigionato nel furgone di Andreas Johnson che è "Pretty Peggy". Poca ispirazione e tanta maniera. Ma capitava molto spesso anche nei caleidoscopici seventies. (Alberto Calorosi)

(Universal Music Enterprises - 2016)
Voto: 70

http://www.wolfmother.com/

martedì 6 giugno 2017

Dome La Muerte E.X.P – Lazy Sunny Day

#PER CHI AMA: Garage/Alternative Country, Calexico, Cramps
'Lazy Sunny Day' è il nuovo progetto di Dome La Muerte, cantante e chitarrista italiano che ha attraversato il rock alternativo, di matrice hardcore e punk, già a partire dai primissimi anni ottanta. Se nomi leggendari come Cheetah Chrome Motherfucker e Not Moving non vi dicono nulla, poco importa: questa recensione non ha lo scopo di lucidare le medaglie che il buon Dome potrebbe appuntarsi al giubbotto quanto piuttosto di valorizzare il suo presente. E la miscela vincente che ci propone in 'Lazy Sunny Day' è fatta di brani epici caratterizzati da chitarre western e amplificatori grondanti di tremolo e vibrato, sapientemente dosati a valorizzare le parti strumentali. Si parte con “Never Surrender”, uno strumentale asciutto e polveroso come un duello sotto il sole, accattivante quanto basta per catturare l’attenzione dei fan di Calexico e Friends of Dean Martinez. La successiva “No Justice” riprende il refrain del primo brano alzando il ritmo e anche la manopola del riverbero. “Sick City”, terzo pezzo in scaletta, aggiunge agli elementi western anche un piglio garage nella sua esecuzione. L’elemento di novità si manifesta a partire dal quarto brano dove un sitar intreccia sonorità beat per portarci in territori più mistici ed evocativi. “Drawning a Pink Mandala” e la successiva “Divinity” sono due canzoni in cui il sitar la fa appunto da padrone. Nella successiva “Amsterdam 66”, forse il capolavoro dell’intero album, Dome La Muerte riesce a coniugare le sonorità garage tipiche di gruppi come i Fleshtones ad efficaci virate mistiche caratterizzate da un sapiente mix dell'onnipresente strumento indiano e organo hammond. Il disco prosegue alternando brevi strumentali ancora a base di sitar con canzoni più definite nella loro struttura e dalle sonorità più garage-western. “Eternal Door” si caratterizza per un buon uso del dobro mentre la successiva “When the Night is Over” è puro twang di frontiera. Le due canzoni che chiudono il disco, “Vision of Ashvin” e “L.S.D. (Little Sun Dose)" mantengono alto il tiro portando il suono nei territori noti ai fan di band di culto quali ad esempio Gun Club e Cramps o anche i più recenti Go to Blazes. In conclusione, quello che abbiamo tra le mani è un disco piacevole, sicuramente atipico per il mercato italiano, suonato con l’esperienza di chi ha calcato migliaia di palchi e si è lungamente abbeverato alla fonte del garage a dell’alternative country. Alimentate la vostra curiosità spingendovi oltre la frontiera del garage punk nei territori battuti da Dome La Muerte E.X.P: questo disco vi accompagnerà nelle vostre pigre giornate di sole estive. (Massimiliano Paganini)

lunedì 22 agosto 2016

Moke's - S/t EP

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock, Wolfmother, The Bellrays
La band parigina si presenta con un primo, vero e proprio EP, pieno di speranze e potenzialità per il futuro. Dopo un demo del 2013, i Moke's si sono immersi nelle registrazioni di un omonimo album per cercare di captare e fermare le vibrazioni acide emanate dalle loro esibizioni live, colte dal vivo nel precedente album del 2014, 'Live in Phalsbourg'. Questa operazione riesce solo in parte, perché i Moke's fanno riferimento a quel tipo di gruppi la cui dinamica rock, sanguigna e primordiale, è difficile da racchiudere in un album, cosa che fu impossibile per gli MC5 al tempo e che tutt'ora riesce difficile per qualsiasi ensemble che abbia caratteristiche simili. Diciamo subito che i Moke's, capitanati dalla deliziosa voce di Agnès, sono bravi e suonano con passione una forma di vintage rock rimodernato con i sentori dell'alternative e dell'acid rock di matrice '70s. La sola cosa che poco convince di questo disco indipendente, è la forzata declinazione stoner usata per il mixaggio e la registrazione dei brani, tralasciando poi tutta la potenzialità commerciale e garage di cui è dotata la band, girando sempre intorno al sound di realtà grandiose come The Bellrays o Gorilla (quelli belli e sconosciuti di 'Maximum Riff Mania') e se vogliamo parlare anche di psichedelia, dovremmo guardare il versante europeo dello stoner nelle vesti dei mai dimenticati On Trial (vedi il brano "Swamp" con tutta la sua verve psichedelica), che di certo non rientrano negli standard del genere suonato oggi, oppure, citando il rock, ci spostiamo verso i mitici Thee Hypnotics per arrivare ai Wolfmother (ascoltate "Don't" per farvi un'idea). Relegarli a ruolo di semplice stoner rock band è riduttivo, con una vocalist di questo calibro, piena di glam e aggressività, con una chitarra che risale le scale del vintage garage rock con una naturalezza incredibile, riff allettanti e intriganti, una sezione ritmica che pulsa come se venisse direttamente dalla fine degli anni settanta, ed un groove sempre carico di una gradita orecchiabilità, di chiara e ovvia derivazione che non risulta mai banale o lasciata al caso, sarebbe delittuoso. Per questo mi spingo a dire che i Moke's dovrebbero osare di più focalizzando il loro sound verso derive di matrice rock che da un lato sprigionino la loro formula garage/'70s mentre dall'altro, aiutino il quartetto a liberarsi dal sound imprigionante, fuori luogo e schematizzante dello stoner rock. Con la spinta heavy rubata alle Crucified Barbara e alle Girlschool, l'attitudine vocale tra Janis Joplin, Linda Perry e le stupende The Runaways, i Moke's, blues/rockers acidi per vocazione, hanno tutte le carte in regola per maturare, trovare una strada sonora che li renda del tutto unici, per regalarci un nuovo mito rock da venerare. Cinque brani, ventidue minuti dinamici, energici e fantasiosi, da inserire in quell'universo che fa capo alla corrente sempre più emergente del vintage rock. Da tener d'occhio! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://mokes.bandcamp.com/

sabato 15 novembre 2014

Punk Sinatra - O Monstro Acordou

#PER CHI AMA: Punk Rock
Torniamo in Portogallo perché l'instancabile Ethereal Sound Works ha prodotto un'altra band, i Punk Sinatra. Il quintetto di Lisbona nasce nel 2003 dalle ceneri di altre band della zona e le idee sono subito chiare. Fare punk-rock, cantare in portoghese e suonare dal vivo il più possibile. Tutto questo si realizza in circa dieci anni di attività e alla fine del 2013 i loro sforzi vengono premiati con l'uscita di 'O Monstro Acordou' ( il mostro risvegliato). Dieci brani che mescolano punk/rock con venature di folk/ska, quindi musica spensierata, veloce e piena di cori. Il cd apre con "Espirito de Suburbio", un brano di per sé complesso perché mantiene la stessa sezione ritmica di basso e batteria per tutto il brano, ma nel frattempo la chitarra si sbizzarrisce con riff e assoli veloci. Questo per far capire subito che non siamo di fronte ad una band di quindicenni che ha scelto il punk per ovviare ai loro limiti tecnici, infatti i Punk Sinatra viaggiano alla grande e cercano pure di non cadere nei classici stereotipi del genere. In effetti i ragazzi lusitani sono più simili ai The Clash che ai Ramones, proprio per la loro voglia di sperimentare ritmiche diverse e mettere anche più tecnica rispetto ai soliti quattro accordi alla Ligabue. Ed ecco che "Skapa do Sistema" vi trasporta sulle paradisiache spiagge giamaicane a ritmo di ska che poi si trasforma e diventa un brano rock. Suoni semplici, questo perché i protagonisti sono i riff, la ritmica e il cantato che in portoghese aggiunge quella sfumatura in più che aiuta. Le doti del vocalist non fanno gridare al miracolo ma si fondono bene con gli arrangiamenti e i vari cori aiutano a rafforzare i brani e il loro timbro. "Andas aì" inizia con un bel giro hard rock alla vecchia maniera, di quelli goderecci e ignoranti come piacciono a noi, nostalgici. La vena punk affiora grazie alla sezione batteria/basso per velocità e schema, ma il resto è puro rock, come gli assoli e i vari fraseggi. A metà brano c'è addirittura un rallentamento da headbanging, mitici. Questo a conferma che i Punk Sinatra si divertono nel mettersi in gioco mostrando che non si chiudono ermeticamente in un genere e mostrano con orgoglio il bagaglio artistico dei vari componenti. Un cd ben fatto da persone che credono in quello che fanno, con lo spirito da teenager ma con gli attributi di chi ha visto un po' d'acqua passare sotto i ponti. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2014)
Voto: 75

martedì 11 marzo 2014

OJM - Volcano

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Garage Rock
Gli OJM sono una piacevole realtà italiana che calca la scena dal lontano 1997, nascendo prima come band stoner rock, e poi trovando nel garage mescolato al rock anni settanta la loro vera fonte di ispirazione. Molti concerti in Italia/Europa ed importanti collaborazioni sono sinonimo di musicisti che ci sanno fare e soprattutto che ci credono. Con questo 'Volcano' gli OJM confermano il loro sound e con l'introduzione di un nuovo elemento del gruppo dedito al piano/organo, fanno capire che passano dei pensieri malsani per la mente. Infatti "Ocean Hearts" approfitta della new entry per creare un'atmosfera psichedelica fatta di chitarre e sezione ritmica che scalcia e si dimena. Un pezzo che ti lascia di stucco per la cura nei minimi dettagli e ti porta indietro di 30-40 anni con un viaggio lisergico in pure stile '70s. Verso la fine le tastiere si lanciano in un bellissimo duetto danzante con la chitarra del buon Andrew e l'opera d'arte è fatta e servita, tanto che vi ritroverete madidi di puro rock senza rendervene conto. Poi si passa ad "Escort" e gli OJM acquistano potenza, riff granitici che risentono dei trascorsi stoner e una voce carica di riverbero a ricreare atmosfere psichedeliche a noi molto care. Assoli pregni di wah che urlano e si contorcono come in una danza di accoppiamento primordiale, una batteria forsennata e un basso distorto completano questa gemma musicale da sfoderare quando tutto sembra perduto e nulla può salvarci dalla musica arida e insignificante. "Disorder" riprende i suoni e la frenesia del garage rock con una gran cavalcata tanto veloce quando breve (poco più di due minuti). Forse troppo poco per lasciare qualcosa a chi l'ascolta. Passate a "Rainbow", molto meglio anche in termini di arrangiamenti e mood. A questo punto possiamo dire che i nostri amici veneti sono tutto fuorchè statici e il loro percorso artistico lo dimostra. Se provate a mettere sul giradischi la riedizione in vinile di 'Heavy' del 2002, vi sembrerà quasi impossibile che sia lo stesso gruppo. Questo vuol dire avere le palle e lavorare duro alla ricerca della propria identità, mettendosi in gioco e rischiando tanto. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2010)
Voto: 85

sabato 1 marzo 2014

Volcano Heat - Vive le Rock!

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
Se si prende del garage rock, lo si unisce a del grunge e lo si cosparge di brit rock, ne esce un altro mirabolante power trio made in Italy. Vero, le influenze sono tante e si scorgono tutte, soprattutto per chi ha orecchie ben allenate, ma cribbio, se lo fai con stile allora tanto di cappello. Il cd che parte da solo e ti spara "Dead Leaves" è pericoloso, soprattutto se hai il volume alto perchè prima avevi in ascolto qualche porcheria registrata male. Qua si viaggia sul velluto, ottimi suoni e tanta birra musicale. I Volcano Heat hanno fatto del rock ammiccante la loro ragione di vita e il prodotto che ci presentano si fa ascoltare con facilità. Non richiede concentrazione e attitudine particolare, niente break trascendentali o excursus super tecnici. Puro rock proprio come la già menzionata "Dead Leaves", che apre il cd con energia, bei suoni e riff che chiedono di alzare le corna al cielo. Arrangiamenti al limite del pop e voce molto espressiva creano poi quel giusto mix che fa apprezzare i Volcano Heat anche ai rockers meno alternativi. "Secrets" è un'altra traccia ben fatta, che viaggia liscia come l'olio e grazie al main riffing, si lascia canticchiare senza grosse pretese. Ritmo cadenzato e break a metà del brano (effettivamente questo è il loro pezzo più prolisso, ben quattro minuti...), niente fuori posto, pure il finale in fade-out che solo i grandi si possono permettere. Trova spazio anche una cover dei Beatles ("Come Together") che personalmente non avrei inserito nel cd. Per carità, ben fatta e molto carica per un concerto, ma va bene così. Il basso spinge a manetta e trascina il pezzo per tutta la durata. Ottima la scelta di dare una taglio diverso ad una canzone che è conosciuta in ogni angolo del mondo. In generale buon cd, ottimamente registrato e curato nei minimi dettagli, ha tutte le carte in regola per soddisfare il popolo di rockettari che vuole qualcosa in più oltre alla ormai tristi playlist di Virgin Radio. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2011)
Voto: 70

www.thevolcanoheat.com