#PER CHI AMA: Djent/Progressive, Tesseract, Uneven Structure |
Il djent è uscito dai miei radar da un po'. Il fenomeno che è salito alla ribalta grazie a gente del calibro di Tesseract, Uneven Structure e Vildjartha (senza ovviamente trascurare i precursori, Meshuggah), mi sembra che si sia un po' perso per strada. Per fortuna arrivano i francesi Stömb a rivitalizzare le sorti di una decadenza annunciata, con un disco strumentale che certamente renderà felici gli amanti del genere, incluso il sottoscritto, che qualche anno fa, veniva ribattezzato dagli amici, come "Principe del Djent". La band di oggi è un quartetto di Parigi che, rilasciando 'The Grey', riprende in mano quanto fatto dalle band sopracitate (a cui aggiungerei Periphery e Ganesh Rao), con classe e passione. Lo dimostra la opening track, "The Complex", quasi nove minuti di sonorità in cui si fondono progressive, ambient e appunto djent. Forti di una produzione a dir poco cristallina, i nostri infondono nel loro flusso sonico il gusto primigenio dei Tesseract (e questo vale già molto, peccato solo manchi un vocalist con le palle) con la notevole perizia tecnica dei Periphery (mostruose le linee di basso che s'intersecano con un drumming fantasioso, senza tralasciare i giochi "di grigio" che le due asce vanno sciorinando). "Rise for Nothing" è un pezzo da brividi a cui sarebbe bastato anche solo un tiepido vocalizzo per raggiungere la perfezione. La lezione di Meshuggah (e anche Cynic) viene assimilata dai quattro francesini e riproposta con grande personalità e carisma, alternando sfuriate elettriche con ambientazioni in penombra. "Veins of Asphalt" ripropone un'altra lunga traccia dall'apertura quasi drone/noise: un momento che i nostri scaldano i motori e i riffoni di chitarra risuonano nel mio stereo come il rombo del motore di quattro Ferrari all'unisono. Wow, i nostri hanno classe da vendere e lo dimostra il fatto che nonostante le dieci canzoni contenute in 'The Grey" abbiano delle durate medio-lunghe, non stanchino realmente mai. Merito dei sapienti cambi di tempo, delle splendide melodie, dei caleidoscopici salti mortali che i nostri propinano, dell'utilizzo più o meno marcato dell'elettronica (perforante a tal proposito, il suono del synth in "Corrosion Juncture"), della tribalità inferta alle ritmiche dal mostruoso batterista, dalla fantasia, dalla veemenza e dall'assoluta padronanza strumentale dei quattro interpreti parigini che cuociono in ogni brano l'attento ascoltatore, che si ingolosisce sempre di più. Gli Stömb danno dipendenza e quando termini un pezzo ne vuoi immediatamente un altro per capire cosa avranno in serbo i quattro nel successivo. "The Crossing" è solo un interludio che ci prepara a "Under the Grey", song dalla ritmica psicotica e malata, asfissiante ma melodica, che mostra un break centrale con un parlato inquietante. "Terminal City" mi ubriaca immediatamente per quel suo giocare a ping pong con le chitarre tra una cassa e l'altra, mentre il mood della traccia è quello di continua emergenza, anche se nella seconda parte, il pezzo diviene più intimista nel sound. Questo ci salva dalla monotonia che altrimenti un disco lungo e complesso come questo, potrebbe produrre. "The New Coming" è una traccia che colpisce per le splendide linee di chitarra che assolvono quasi al ruolo di cantante e contribuiscono a dare maggiore dinamicità al disco. "Genome Decline" evidenzia quanto la band si senta a proprio agio nel trattare pattern strumentali di difficoltà medio-elevata, mostrando una enorme capacità nel districarsi in fraseggi selvaggi quanto "gentili", in una traccia dal forte temperamento e dall'approccio al limite del cinematico. "Only an Echo" rappresenta la chiusura ideale per un disco quasi perfetto, a cui manca solo la parola... (Francesco Scarci)
(Self - 2015)
Voto: 85