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mercoledì 10 novembre 2021

Regen Graves - Climax

#PER CHI AMA: Electro Noise/Kraut Rock
Regen Graves è un personaggio istrionico dalle mille potenzialità. Noto produttore, bassista, batterista, songwriter, chitarrista e tastierista di tanti progetti, produzioni e collaborazioni, tra cui gli Abysmal Grief, Tony Tears, Apolion, Malombra e Damnation Gallery. Nel suo curriculum non poteva mancare un side project personale, dove poter dare libera espressione alla sua forma sonica più buia, surreale e futuristica. Una one-man-band che ha rilasciato negli ultimi anni una manciata di release molto attraenti, per i cultori del genere ambient, noise, elettronico-sperimentale. La sua ultima opera è intitolata 'Climax' ed evolve il suono dei precedenti lavori, sfruttando gli insegnamenti dei maestri del krautrock, dell'elettronica futurista e vintage di band come i Kraftwerk, il tutto quasi sempre rigorosamente strumentale, fatto salvo per piccole intromissioni di voci campionate. Dalle forme stilistiche ambientali in odor di space/horror dei precedenti 'Cruelty of Hope' e le atmosfere più intime e psicotiche di 'Herbstlicht', il musicista genovese, si evolve e amplifica il raggio d'azione utilizzando i synth in maniera egregia. Il sound è curatissimo e mantiene un particolare suono cosmico e caldo, pur presentando strutture compositive agghiaccianti e nerissime. Si aprono le danze con una lunga (ben 10 min), drammatica e robotica sequenza di organo, rumori metallici e campionamenti di voci in lontananza, stesi su di un vellutato ronzio di fondo che progressivamente prende il sopravvento sul resto di "Immutable Reality", che mostra anche nella distanza un tiepido battito ritmico. Una suite che introduce perfettamente l'ascoltatore nella meravigliosa "The Last Stage of Decline", una chicca costruita con l'intreccio di loop rimbalzanti dei synth, che penetrano nel cervello come il rumore delle biglie di vetro fatte cadere sul pavimento, coadiuvati da una voce narrante ed una tensione devastante in continua crescita che non lascia scampo. Da questo momento in poi, i brani si accorciano leggermente nella loro durata, senza mai perdere la prospettiva ipnotica e spaziale che caratterizza l'intero disco. La sensazione di ascoltare una vera e propria colonna sonora di qualche film di fantascienza di qualche decennio fa, si concretizza con "The Window", per poi passare alla violenza di "Diegetic Distortion", fatta di calda, rumoristica ed industriale sperimentazione sonora. "Nothing Will Be Better" è un drone di synth che trova il suo contraltare nella geniale inventiva di accostarlo ad un suono funebre di campane solenni, voci e rumori di varia natura. La conclusiva "Heat", che nella versione digitale è una bonus track, è un ulteriore passo verso l'universo kraftwerkiano, stravolto da un pianto di bambino che gela il sangue in un crescendo ritmico degno della migliore synthwave degli anni ottanta. Regen Graves, con questo nuovo lavoro, conferma la sua illuminata ispirazione, 'Climax' è un ottimo album, che merita ripetuti ascolti. Un disco spettrale con un'enigmatica copertina, curato nei dettagli, ricercato ed ispirato, per un pubblico sofisticato ed esigente, a cui consigliamo di ascoltare quest'opera anche in cuffia, oltre che in un buon impianto stereo, per apprezzarne a dismisura, l'intenso magma cosmico di cui sono costituiti questi brani. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

(Pariah Child/Yoshiwara Collective - 2021)
Voto: 80

https://regengraves.bandcamp.com/album/climax

venerdì 29 ottobre 2021

Flying Norwegians – Wounded Bird

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Country Rock
La cittadina di Bergen non significa solo Burzum, Borknagar, black metal o avantgarde metal, molto tempo prima del periodo metal infatti, la musica nell'abitato norvegese, aveva forgiato altri eroi e altri generi musicali. Alla fine degli anni '60, il chitarrista Rune Walle e il batterista Gunnar Bergstrøm, erano degli emergenti e giovani musicisti molto abili, che vennero presto reclutati nella rock band Saft, e parteciparono all'incisione del terzo, fortunato album, dal titolo 'Stev, Sull, Rock 'n Roll'. L'ambizione dei due però ardeva forte per una svolta musicale più country, eguagliando le vette di Eagles e Flying Burrito Brothers, così nel gennaio del 1974, i nostri decisero di formare una propria band dal nome, Flying Norwegians. La breve introduzione storica, serviva a presentare questa ultima ristampa (disponibile anche in cd, vinile e formato digitale), del loro fortunatissimo secondo album, intitolato 'Wounded Bird', del 1976, che li rese assai celebri in patria e che portò Walle a suonare anche con gli Ozark Mountain Daredevil in America, a seguito di celebri band come the Doobie Brothers, Jeff Beck, The Beach Boys. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, tra album buoni e sperimentazioni meno significative, tour, separazioni e reunion, fino ad arrivare a questa fedele ristampa che mantiene il sound caldo e profondo della band direttamente dal mastertapes originale, senza stravolgerne gli equilibri, mantenendone le caratteristiche originali. Qui tutto il calore del loro sound viene trasferito con perizia e gusto in digitale, per assaporare al meglio le atmosfere della steel guitar e quegli ambienti d'estrazione a stelle e strisce che, in quel periodo, permisero alla band scandinava di essere soprannominata col giusto onore, Eagles di Norvegia. Il resto lo dice l'ascolto del disco, con le sue atmosfere sognanti, in pieno spirito psichedelico d'epoca 60's, con innesti di rock alla The Byrds e quel classico country sempre in perfetto equilibrio. Composizioni multicolori contornate anche di escursioni musicali virtuose, il canto solare, il banjo e l'immancabile folk di matrice americana, la presenza costante di una forte e caratteristica connotazione europea, in stile Runrig (periodo 'Play Gaelic'), che mantiene costantemente i brani lontani da qualsiasi tentazione di plagio. Inutile fare l'elenco dei brani migliori, l'opera va riscoperta nella sua totalità, canzone dopo canzone, nota dopo nota, per essere assaporata a dovere. Un ottimo lavoro di ristampa che non mancherà d' essere ben apprezzato anche da chi non ha potuto ascoltarlo alla sua prima realizzazione, sicuramente apprezzabile anche da un pubblico più giovane, appassionato di riscoperte storiche. (Bob Stoner)

martedì 28 settembre 2021

Ropes of Night - Impossible Space

#PER CHI AMA: Post Punk/Darkwave
La tesi che da tempo sostengo e che mi impone di pensare che ci sia un filo conduttore tra la darkwave, il post punk, il dark rock e certe aree artistiche del black metal, trova significativo slancio nella scelta vincente, intrapresa da Ralph Smidth, oscura icona del metal estremo germanico, proveniente dai sotterranei di Colonia, nel presentare un nuovo progetto parallelo e diverso dalle altre sue band estreme (Ultha, Planks, Curbeaters, Hellstrom), denominato Ropes of Night. Un progetto che attinge a piene mani dalle sonorità tipiche di casa Interpol ('Turn on the Bright Lights'), Electrafixion, The Sound e Joy Division, con un full length di ottima caratura, licenziato via Golden Antenna Records, in questo mese di settembre. Intenso, carico di emotività, dal sound raffinato, scarno ed essenziale, per certi aspetti anche romantico nel suo apparire quasi vampiresco, votato a rinverdire le atmosfere create un tempo dalla evocativa voce di Adrian Borland e da una certa sofisticata eleganza nera, degna dei migliori The Mission UK, capitanati da una figura di spicco come Wayne Hassey (ascoltate "Vanishing" per credere). Gli oltre 45 minuti di 'Impossible Space' presentano una collezione di brani omogenea nella composizione e nelle sonorità, rispettosi dei canoni stilistici imposti dal genere, con ritmiche corpose e chitarre taglienti, unite a synth cupi, sognanti e malinconici. La rivisitazione in chiave moderna delle intuizioni musicali apparse nella celeberrima "Ceremony" dei New Order, dell'album 'Crocodiles' degli Echo and the Bunnymen oppure in 'All Fall Down' dei The Sound, porta in effetti a buoni frutti, che si esaltano nella parte di basso di "The Drowning Lesson", dove troviamo tracce anche di una certa scuola The Cure, con rimandi ai fasti dei colossali album, 'Faith' e 'Pornography'. Un senso di costante caduta si dirama tra le tracce del disco della band tedesca, abbandono e cinematografica suburbana decadenza, si alternano con un efficace eleganza stilistica che eleva l'intero album, a piccolo gioiellino dei tempi moderni, intenzionalmente derivativo ma con una forte personalità e un carattere sonoro che si fa notare. La produzione è ottima, il suono è corposo, dinamico, le chitarre risaltano nelle loro trame di accordi dal suono drammatico, notturno, freddo, mentre la sezione ritmica è esplosiva e sostiene perfettamente l'ottima interpretazione vocale, che nelle tonalità più basse, come in "Strange Moons", rievoca lo spettro di Andrew Heldritch, portando l'ascoltatore indietro nel tempo di qualche decennio, quando il post punk era l'alternativa perfetta per chi viveva il suo lato più esistenziale con lo spirito della notte più oscura nel cuore. Questo è un ottimo disco per gli amanti del post punk, suonato davvero bene e comunque per quanto Ralph Smidth abbia voluto cambiar pelle, il suo stile si sente ancora, come si sente il background dal taglio estremo da cui proviene il suo autore. Con questa raccolta di brani si è voluto creare un delizioso tributo ad un genere musicale variegato e di nicchia come il post punk. Una splendida collezione di affascinanti, epici, solenni e decadenti inni alla notte, suonati con uno stile moderno ma perfettamente retrò. Un disco che non può (non deve) sfuggire agli amanti del rock più crepuscolare. (Bob Stoner)

(Golden Antennna Records - 2021)
Voto: 78

https://ropesofnight.bandcamp.com/album/impossible-space

lunedì 13 settembre 2021

De Press – Block to Block / Product



#PER CHI AMA: Punk/New Wave
Parlare di una band che in un solo anno di attività ha lasciato il segno nella storia del post punk europeo non è compito facile. I detrattori potrebbero dire che non era tutta farina del loro sacco, che dentro alla loro musica, in un periodo temporale a cavallo tra la fine del punk e la nascente scena post punk/new wave di primi anni '80, c'erano mille richiami stilistici di altri gruppi ben più noti e le correnti che attraversavano le composizioni di Andrej Nebb (Andrzej Dziubek) e compagni si cullavano tra riferimenti punk alla The Blood, tensione esistenziale alla Warsaw, punk oi!, ska, dark rock, art punk berlinese emiliano alla CCCP, new wave alla Theatre of Hate e per l'appunto, tutto il nascente fenomeno post punk. La musica dei De Press del primo album, 'Block to Block', era evidentemente debitrice di tutte queste band ma con una particolarità stilistica che li rendeva padroni di una formula musicale unica di quel periodo, ossia un'attitudine naturale e una singolare capacità di inglobare in ogni loro composizione, tutti assieme i dogmi e i modi di fare più consoni, di tutte le altre band appartenenti a questo genere musicale tanto trasversale al tempo e tanto diverso da quello che oggi viene chiamato erroneamente post punk. I primi due dischi della loro sterminata discografia, sono stati ristampati e rimasterizzati con cura e ottima qualità, anche in formato vinile, dalla Apollon records. Per festeggiare il quarantesimo anniversario di 'Block to Block' ed il secondo 'Product', del 1982, registrato con la band ormai già sciolta e che vedeva il trio spostare il suo sound verso lidi new wave ancor più convincenti e vicini alla musica di The Sound e Joy Division, vengono oggi riportati alla luce nella loro totale bellezza, due album che sono entrati nella leggenda e che rendono il giusto omaggio ad un gruppo imperiale. Nato e cresciuto nel panorama sotterraneo norvegese, la band ha lasciato un segno indelebile nella storia musicale dell'epoca, in Norvegia e Polonia ma anche nel resto d'Europa. La band resa famosa anche dal canto inusuale in lingua pseudo inglese/polacco/norvegese, dal bassista e vocalist, musicista e rifugiato politico dalla Polonia in Norvegia, con 'Block to Block' ha ottenuto, in terra scandinava, il riconoscimento di miglior album rock del XX secolo. Due dischi fondamentali, colmi di rabbia, immediatezza stilistica, impegno sociale, politico e tanta ribellione, che non possono mancare negli scaffali di un estimatore del post punk tout court, alla pari di 'Hymns of Faith' dei Crisis, 'Always Now' dei Section 25 oppure 'Westworld' dei Theatre of Hate. La prima incarnazione dei De Press chiude la propria discografia con l'ottimo epitaffio discografico live, del 1983, dal titolo 'On the Other Side', che depone le armi del trio e ne affossa definitivamente l'attività artistica di quel periodo. L'attività musicale riprenderà solo un decennio più tardi, per continuare fino ai giorni nostri senza interruzioni, con una nuova formazione capitanata sempre dall'instancabile Andrej Nebb, che nel 1991 fa rinascere la band sotto una nuova veste musicale a metà strada tra musica folk della tradizione polacca, reminiscenze rock e protesta sonora alla The Fall, confezionando ad oggi un'infinità di opere musicali. Ma questa è un'altra facciata della storia dei De Press su cui poter ancora scrivere diverse pagine. Una band che è stata un culto dell'underground, un fenomeno venuto dal grande nord che pochi ricorderanno, ma che vale la pena rispolverare e ammirare ancora una volta. (Bob Stoner)

giovedì 26 agosto 2021

Belvas - Roccen

#PER CHI AMA: Indie Rock
Dal nome e dall'artwork di copertina di questa band comasca mi aspettavo qualcosa di molto più aggressivo, violento, ruvido e sotterraneo. Tradendo le mie aspettative, la band lombarda qui al suo debutto, spiazza tutti i presenti, suonando un rock italianissimo, con venature blues incastrate a soluzioni tipiche della tradizione rock alternativa tricolore dell'ultimo trentennio, con l'aggiunta di suoni e idee rubate un po' qua e là, tra i grandi classici dei 70s e un pizzico della canzone d'autore del bel paese. Mostrano un buon sound i Belvas, a volte un po' di maniera, che quando è più sporco, forse incalza di più e stimola un piacevole ascolto, con il basso che corre libero e distorto. La ricerca poetica nei testi, sincera e ispirata, anche se a tratti ancora acerba e cosparsa di una forzatura pseudo maledetta, sembra talvolta fuori luogo per il trio lumbard. Mi sembra ovvio far cadere paragoni a pioggia, tra Afterhours e Il Santo Niente dell'ultimo periodo oltre a richiami più morbidi tra Estra, Negrita e Negramaro d'annata. Questo non deve essere frainteso come una nota dolente anzi, il tocco di orecchiabilità diffusa li rende per certi aspetti anche più originali di tanti altri lavori simili. Dopo tutto la band dimostra una grande voglia di originalità che a volte li avvicina a certe soluzioni musicali dei Verdena meno sperimentali. Con una produzione più ruvida, diciamo più vicina al suono di 'Birdbrain' dei Buffalo Tom, li avrei apprezzati anche di più, sebbene debba ammettere che il disco è ben fatto e ben suonato. Un sound più aggressivo, più abrasivo, si poteva anche rischiare (la parentesi funk del brano "Disco B" non la concepisco, per quanto sia carina come esperimento) e sono convinto che avrebbe calcato la mano sul lato più rock dei Belvas, e con i disarmanti Maneskin che spopolano ovunque, sarebbe stato interessante avere come contraltare in patria, una vera rock band, più sana, polverosa e sanguigna. L'insieme dei brani di 'Roccen' ha comunque dato i suoi frutti, creando un lungo lavoro che supera i 70 minuti (cosa molto insolita ai giorni nostri), con tanti brani variegati ed interessanti, tra cui "Bianco", "Niente Dentro Me", ed il singolo "Voci di Pietra", che mostrano un buon futuro per questo power trio, capitanato da una voce di tutto rispetto ed una chitarra che a volte esce dalle composizioni con tanto gusto armonico e fantasia. Il mio umile consiglio è di puntare ad ingrossare il sound e modularlo sulle corde di una sorta di post-grunge modellato sullo stile italiano, come fecero un tempo le band sopraccitate, che hanno dato molto a questo paese caduto in miseria musicale da tempo. Gli ingredienti ci sono tutti (ascoltate "Spaziale" per credere), basta correggere il tiro ed inasprire quei suoni che mancano da un po' nella scena rock italiana (magari una sterzata sonica verso certa nuova scena stoner rock europea potrebbe dare ulteriori benefici ed anche riascoltare vecchi e nuovi gioielli de Il Santo Niente) per salire di tono e dare una personalità ancora più forte a questo promettente giovane trio di casa nostra. (Bob Stoner)

Edredon Sensible - Vloute Panthère

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde
Due sassofonisti e due percussionisti, un disco di debutto ed una copertina assurda per una musica ipnotica, poliritmica ed influenzata dalla follia di certo jazz sperimentale quanto dall'avanguardia. Non dimentichiamoci poi di un impatto folle, tra il primo disco degli Ottone Pesante ed i Naked City, meno inquietante e più naif, il tutto nel segno dell'ipnosi psichedelica di certe band trance dei 90s (vedi Seefeel) ed una certa follia liberatrice nello stile del Krautrock. Detto questo, il disco dei francesi Edredon Sensible è molto interessante: gli schemi compositivi a volte si ripetono volutamente per indurre l'ascoltatore in un volo sciamanico/tribale di moderna concezione, evoluzioni soniche con lunghi assoli di sax che si rincorrono, ritmi incalzanti e stravaganti, quasi a immaginare il sound degli X-Ray Spex, spogliato di tutto ma non della sua istericità e del nervosismo tipico del punk. Quando i nostri rallentano sembrano una versione esotica dei Morphine, senza voce né basso, virati all'allucinazione come nel favoloso lunghissimo brano "Blirprulre", dove tra una esplosione e l'altra, poliritmi ossessivi ed una ottima produzione, ritrovo il piacere e l'interesse d'ascolto che un tempo apprezzavo tanto nei fantastici dischi del trio Medeski Martin and Wood, con la stessa fantasia e profondità per la composizione e per la ricerca del suono caldo, vivo, pulsante e presente. Il jazz in 'Vloute Panthère' è sempre dietro l'angolo e fa da solida base, ma la struttura ritmica si contorce e muta in maniera funambolica, tanto che "String et Bermuda", potrebbe essere una rilettura dei concetti percussivi espressi nel capolavoro 'Flowers of Romance' dei Pil, rielaborati con il tocco folle, dissacrante e genuinamente transalpino di band come Brice et Sa Pute, Lfant, Piol, Piniol, un modo di intendere e fare musica ("Jus d'Abricote" ha un'indole spettacolare tra atmosfera cinematografica e danza rituale woodoo) non convenzionale, figlio del dio Zorn ma con uno stile proprio di una scena che conta un sacco di idee e ottime realtà musicali d'avanguardia. Un disco davvero stimolante ma forse non per tutti, semmai adatto ad orecchie ricercatrici, che amano la sperimentazione ortodossa, quella che costruisce passo dopo passo composizioni varie, inaspettate ed ispirate e non vive di sola improvvisazione, ma unisce arte, rumore, capacità tecnica e tanto amore per la musica libera da ogni convenzione. L'ascolto di questo disco è un dovere e a buon intenditore poche parole dovrebbero bastare. (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2021)
Voto: 78

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/vloute-panth-re

lunedì 26 luglio 2021

Not Movin LTD - Live in the Eighties

#PER CHI AMA: Garage Rock
Premessa all'ascolto di questo 'Live in the Eighties': se siete alla ricerca di suoni puliti e cristallini, questo non è il disco adatto a voi. Quello dei Not Moving, band garage rock piacentina in giro negli anni '80, tra le cui fila vi era quel 'Dome La Muerte', che abbiamo recensito qualche mese fa su queste stesse pagine, è un lavoro che comprende una serie di brani live risalenti al periodo 1985-88, e pubblicati nel 2005 dalla Go Down Records (il lavoro all'epoca includeva peraltro un dvd, oggi scaricabile dal sito della label stessa). Oggi, l'etichetta italica ristampa quel lavoro di una band riformatasi un paio d'anni fa con un moniker leggermente modificato in Not Movin LTD. Cosi, per rendere tributo alla band, ecco fare un tuffo nel passato per assaporare quei 13 brani che vedevano peraltro i nostri proporre anche "Break on Through" dei The Doors, l'inedita "Kissin Cousins" di Elvis Presley, "I Just Wanna Make Love to You" di Willie Dixon e "Cocksucker Blues" dei The Rolling Stones, giusto per inquadrare una proposta musicale che ora sarà molto molto più chiara. Ho parlato di garage rock all'inizio ma quanto contenuto qui è solo terremotante puro rock'n roll, registrazione pessima inclusa e stacchi tra un pezzo e l'altro che evidenziano come i brani siano stati estrapolati da più concerti, un peccato veniale quest'ultimo. Per il resto lasciarsi investire dal vibrante punk rock dei Not Movin LTD è l'unica raccomandazione che mi sento di darvi oggi, cosi come farsi ammaliare dalle voci di Rita 'Lilith' Oberti, una che potrebbe aver influenzato l’ugula istrionica di Pina Kollars dei Thee Maldoror Kollective di 'Knownothingism'. I brani sono tutti carichi di adrenalina, ma se dovessi scegliere i miei preferiti, direi la psichedelica "Sweet Beat Angel" e l'altra inedita "No Friend of Mine", un pezzo che potrebbe evocare un che dei Metallica del periodo 'Black Album' (un similare approccio è udibile anche nei primi secondi di "Catman"). Echi doorsiani emergono nella psicotica "I Stopped Yawning", mentre "Goin' Down" sembra essere un inno al punk. Insomma, una bella carrellata di pezzi che ci mostrano un pezzo di storia che per la maggior parte di noi è verosimilmente rimasta oscura. (Francesco Scarci)

La Go Down Records ristampa una gemma fonografica che aveva già pubblicato nel 2005, ovvero questo splendido 'Live in the Eighties' dei Not Moving, band che infiammò tra il 1981 e il 1988 i palcoscenici italiani e non solo con delle esibizioni dal vivo a dir poco devastanti. Il disco è la conferma della loro forza scenica che si esprimeva tra garage rock, post punk, punk, psychobilly e psichedelia ottimamente miscelati tra loro. Una band apprezzata anche da personaggi internazionali del calibro di Jello Biafra e John Peel, capitanata fin dagli esordi dalla splendida figura e voce di Lilith (Rita Oberti) e a ruota dalla chitarra di Dome la Muerte (Domenico Petrosino), un progetto che sfociò in una serie di concerti come spalla di veri autentici miti come Johnny Thunders o Joe Strummer e che diede vita ad una serie di album tra full length ed EP che sono divenuti leggendari nel cicuito underground. Il disco in questione nel formato del 2005 era accompagnato da un DVD ma nella ristampa odierna è solo cd e versione digitale (ma comunque si può visionare e scaricare tramite il sito dell'etichetta), ed è un peccato non poter riappropriarsi visivamente di  quelle performance diaboliche, riascoltare le cover riadattate di "Break On Through" dei The Doors o "Cocksucker Blues" dei Rolling Stones, assieme alle altre di Willie Dixon ed Elvis Presley, con il selvaggio rintocco delle note suonate come solo i Not Moving sapevano fare in quel periodo nel bel paese. Quest'album non rende giustizia al suono della band come qualità sonora, anche se l'audio è più che onorevole, ma la innalza a repertorio cultural-musicale che ha fatto storia, il fissare un momento nel tempo che oggi più che mai ha la funzione di portare in alto una band che nel panorama underground italiano, a cavallo degli anni '80, fece scuola e deve essere ricordata e riscoperta da tutti gli appassionati di musica alternativa del bel paese. La band portava il nome di un brano dei DNA di Arto Lindsay, rincorreva le forme artistiche di The Cramps e l'avanguardia di Lydia Lunch, una meteora sonora nata dal nulla nella sconosciuta provincia piacentina che scrisse delle pagine di rock sotterraneo a dir poco esaltanti. (Bob Stoner)

giovedì 22 luglio 2021

Il Wedding Kollektiv - Brodo

#PER CHI AMA: Art Rock/Alternative/No Wave
Alessandro Denni (synth e programming) è la mente di questo interessante progetto, denominato Il Wedding Kollectiv, sviluppatosi musicalmente tra Roma e Berlino, dove è stato registrato (il moniker stesso della band deriva dal nome di un quartiere multiculturale della capitale tedesca). La prima cosa che salta all'orecchio ascoltando questa release di debutto della band capitolina, dal titolo azzeccatissimo, 'Brodo', è l'attitudine poetica dei testi, curati dalla giovane scrittrice romana, JFL, che caratterizzano il canto di una Tiziana Lo Conte in perfetta forma vocale che, sensuale ed intrigante, spesso tesa e misteriosa, si muove con stile tra le parole trasversali di nervose ed affascinanti scritture, cavalcando con classe composizioni cariche di teatralità. Un'ottima performance vocale che esalta il ricordo della sua lunga militanza in band iconiche come Gronge, Goah e Roseluxxx, e proprio di questi ultimi, si sente una buona influenza (si ascolti l'album 'Resti di una Cena'), sottraendone però il lato più rock. Colpisce anche l'istinto no wave che si aggira all'interno di tutte le tracce, una commistione tra avanguardia elettronica alla The Knife/Fever Ray, un lato cameristico alla maniera della Penguin Caffè Orchestra ed un pizzico della follia di musiche da culto come quelle prodotte dal mitico Confusional Quartet e Gaznevada, unite in maniera bizzarra da una vena cabarettistica, teatral-recitativa ("L'Astronomo") fino ad arrivare alla canzone d'autore e ad un certo acid jazz minimalista e sintetico. Tutto questo impasto sonoro è impreziosito dalla presenza di vari ospiti, Claudio Moneta alle chitarre, Inke Kühl al violino e sax, Chiara Iacobazzi alla batteria, Federico Scalas al basso e violoncello, Stefano Di Cicco alla tromba, per un sound difficile da inquadrare, assai stimolante, vivo e libero da vincoli di genere, cosa che lo rende molto piacevole sin dalla prima ottima traccia, "Ipersfera Relazionale". 'Brodo' è un lavoro che in poco più di venti minuti, traccia un solco incolmabile tra quello che la musica italiana, per così dire leggera, dovrebbe e potrebbe essere, e quella patacca sonora che ci viene propinata da tempo immemore. Una musica con brani che si avvalgono di una produzione preziosa, per una manciata di canzoni, complesse e ricercate, ragionate ed intelligenti. Venti di rock-in-opposition ed elettronica anni '80 per l'inizio di "Sabato 16 Giugno", con quel suo testo suggestivo e la voce vellutata, un sax astrale e quelle venature jazz a creare qualcosa di così distaccato dalla solita routine italica, che solo Cosey Fanni Tutti o le gesta eroiche dei Tuxedomoon sono riusciti a toccare. "A Proposito del Tuo Candore" chiude poi il cerchio, mostrando il lato più rock oriented del collettivo italico, con una registrazione che ricorda nei suoni, un miscuglio tra i Morphine di 'Like Swimming' e alcune cose alla P.J. Harvey, per una composizione diversa dalle altre presenti nel cd, più ipnotica e ariosa ma anche molto più psichedelica ed oscura nelle sue sonorità più classiche. Con 'Brodo' ci troviamo alla fine di fronte ad un ottimo disco, che per i canoni italiani odierni, è da considerarsi un lusso che non tutti possono permettersi, paragonabile a mio avviso, non per similitudine sonora ma per estro creativo, ad 'Aristocratica', il magico capolavoro dei Matia Bazar uscito nei primi anni '80. Ascoltare per credere. (Bob Stoner)

(Neontoaster Multimedia Dept. - 2021)
Voto: 74

https://ilweddingkollektiv.bandcamp.com/album/brodo

lunedì 19 luglio 2021

Amusement Parks on Fire - An Archaea

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative/Dream Rock
Ci hanno impiegato ben 10 anni a tornare sulle scene i britannici Amusement Parks on Fire, dopo il successo ottenuto con 'Road Eyes'. La band di Nottingham si era fatta notare da Geoff Barrow dei Portishead che ne aveva promosso il debut nel 2004. Poi il secondo disco l'anno successivo, il già citato 'Road Eyes' nel 2010 ed infine il lungo silenzio rotto prima dall'EP 'All the New Ends" nel 2018 e da 'An Archaea', il nuovo album. Un altro disco un po' border-line, diciamoci la verità, per quanto siamo abituati a pubblicare qui nel Pozzo, nonostante il medesimo venga etichettato come shoegaze, indie rock, ma forse l'etichetta più corretta sarebbe dream pop. Diciamo che per come si presenta l'opener "Old Salt", con quelle sue morbide chitarre e quei vocalizzi ancor più eterei, non è che mi abbia del tutto entusiasmato. Si certo, ci sono echi che riportano a Slowdive e My Bloody Valentine, le chitarre mostrano tratti di una certa rudezza, ma la voce di Michael Feerick non mi fa affatto impazzire. I nostri sembrano irrobustire la propria proposta con la successiva "No Fission", ma è solo una parvenza legata alle chitarre inizialmente più tirate, ma non appena la voce si palesa, si placa anche tutto il comparto ritmico, non offrendo mai uno spunto realmente vincente. "Diving Bell" è un intermezzo strumentale propedeutico a "Breakers", che si apre con una bella botta di batteria in stile Dredg ai tempi di 'Catch Without Arms', tema percussivo che si ripropone a più riprese in un brano sostellato da fraseggi post rock. "Aught Can Wait" esalta i vocalizzi onirici di Mr. Feerick e a quel punto mi convinco che i nostri si possano solo amare o odiare e se non si entra in sintonia con la voce del frontman, il rischio di odiarli si fa assai probabile. Tuttavia, rimango stupito qui da un comparto chitarristico fuori dagli schemi, disarmonico e imprevedibile che mi consente di guardare la band sotto una luce diversa e forse apprezzarli per quello che non ho sentito fino ad ora. Sembra quasi iniziare un nuovo disco per me da questo brano in poi che sembra scomodare anche un che dei Radiohead più sperimentali, in quella che comunque è per me la migliore canzone (forse anche la più chiassosa) del lotto. Un altro strumentale di raccordo all'insegna del noise pop, ed è tempo di "Boom Vang", la song da cui è stato estratto il video di promozione per il disco: bel riffing introduttivo, voce di Michael a prendersi la scena, e la sei corde a costruire psichedelici riff su tempi dispari, quasi a voler dimostrare che oltre al cuore ci sia anche una buona dose di tecnica in queste note. Certo, non tutte le tracce escono col buco e la malinconica "Atomised" alla fine rientra tra i punti deboli del disco. La band inglese prova a risollevare le sorti con la title track ma si tratta di un pezzo molto, ma molto pop, quasi un tributo ai Beatles, complice anche quel pianoforte di accompagnamento che in realtà non fa mai decollare il brano. Ultima traccia affidata alle note soffuse di "Blue Room" che chiude in modo un po' troppo scontato un disco che francamente mi sarei aspettato di ben altro spessore. Lo dicevo che gli Amusemet Parks on Fire si amano o si odiano, e mi sa che io rientro nella schiera dei secondi. (Francesco Scarci)

Voto: 63

Gli Amusement Parks On Fire (APOF) sono una vecchia conoscenza in ambito shoegaze e post rock. Prodotti per la prima volta nel 2005 da Geoff Barrow dei Portishead, sono attivi fin dal 2004 con una certa continuità fino al 2010, anno in cui la band inglese decide di prendersi una lunga pausa musicale. La band capitanata da Michael Feerick (voce e chitarre) ha forgiato la sua forza compositiva attingendo al sound di band come My Bloody Valentine, Swervedriver, The Boo Radleys ed ha continuato a farlo con ottimi sviluppi e risultati fino ai giorni nostri. Gli APOF sono da considerarsi un esempio di coerenza stilistica, poiché la loro formula, all'interno di un genere che oggi non è più in voga ed è considerato un culto per pochi estimatori dal mainstream, risulta ancora fresca e ispirata come ai fasti di un tempo. Il risveglio creativo del 2017 ha portato buoni frutti e probabilmente questo nuovo disco dal titolo 'An Archea' (titolo che dovrebbe aver a che fare con le molecole di energia in chimica) è forse il lavoro che racchiude il succo delle produzioni precedenti, ottime prestazioni soniche fatte di lisergiche distorsioni, solarizzate all'inverosimile, affascinante noise pop colorato, psichedelia e visioni rarefatte, un caleidoscopio di emozioni tenui, momenti di ipertensione e melodica, rumorosa allucinazione, combinate nella dovuta maniera ad un istinto post rock, e degnamente accompagnate, da un canto tenue dal chiaro sapore '90s, tra Ride, MBV e The Boo Radleys appunto. Le chitarre ammalianti rimangono in primo piano e se nei primi due brani d'apertura il ricordo cade implacabile sulla falsariga di Medicine, Swirlies e MBV, in "Diving Bell" le cose si arricchiscono di dettagli spostando il tiro su sonorità post rock/ambient più complesse e ricercate, verso territori luminosi che furono un tempo dei Sigur Ross, tra feedback e astratti sonori che indispettiscono e rendono teso anche il mood soffice di questo brano per accompagnare di seguito, l'ottima quarta traccia, "Breakers". Si prosegue con una veste pop e luminescente associata a degli assalti chitarristici rumorosi ed inaspettati per tagliare il candore splendente di "Aught Can Wait". Da sottolineare, con nota di merito, la cura e la ricerca sulle sonorità perfettamente in equilibrio dell'intero disco, promotrici attive del miglior sound possibile per questa band. "Gamma" è una fuga ambient sperimentale, con un velo sottile di "The Flamming Lips" al suo interno, di due minuti e mezzo che apre alla deflagrante "Boom Vang" (altro brano delizioso), che continua la proverbiale ascesa verso l'infinito degli APOF, divisa tra rumore, romanticismo e sospensione ipnotica, con una trama fatta per spiccare il volo verso i cieli più lontani. "Atomised" è un brano sospeso tra psichedelia e new wave con echi di certe trovate raffinate degli ultimi lavori dei The Church, mentre per la canzone che dona il titolo all'intero lavoro si aggiungono ritmi e coretti a più voci di stampo beatlesiano che distraggono un po' lo sguardo dalla distorsione lisergica tipica della allucinata aura compositiva della band di Nottingham. "Blue Room" conclude la carrellata di tracce dall'atmosfera morbida ed è forse assieme alla precedente, la più delicata del disco. Alla fine si rimane sorpresi dalla qualità musicale di quest'album, dal carisma dei suoi brani, dalla sua freschezza compositiva, dall'ipnotico splendore delle sue canzoni, un estratto di musica pop e psichedelia che non tutti apprezzeranno di questi tempi, ma che darà molte soddisfazioni ad ascoltatori appassionati ed attenti come il sottoscritto. (Bob Stoner)

lunedì 21 giugno 2021

Repetita Iuvant - 3+1

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
In soli sei mesi, i liguri Repetita Iuvant escono con due EP. L'avevano dichiarato che avrebbero fatto uscire una trilogia in un lasso di tempo alquanto ristretto. Detto fatto. Il trio di La Spezia torna con quattro nuovi pezzi che si vanno a sommare a quelle "Gusev", "Montalto" e "Sapradi", uscite a fine 2020, nel primo EP intitolato '3'. Chissà se anche qui è colpa del Covid e dei lock-down annessi, se la band ha partorito cosi brevemente queste due creature o se magari erano pezzi che già facevano parte della storia dell'ensemble spezzino. Comunque per chi non li conoscesse, i Repetita Iuvant, locuzione latina che, traslata ai giorni nostri, vuol significare che ripetere un gesto o un'azione può dare un beneficio, propongono un post rock strumentale che dalle soffuse note iniziali di "Sagiadi", giunge a quelle finali della lunga "Piuno". Quando si parla di post rock, è spesso lecito cadere nella tentazione di immaginare come sia la proposta della band ancor prima di ascoltarla e ahimè, molto spesso ci si azzecca pure. Ecco, la cosa avviene anche per i Repetita Iuvant, anche se la proposta del trio sembra decisamente più scarna e minimalista se confrontata a produzioni internazionali ben più pompate. Il che sembrerebbe confermato da una registrazione in presa diretta che non enfatizza certo i suoni, caratterizzati da una ricercatezza sonora non cosi acuita, vista la volontà della band di proporre tracce per lo più improvvisate. "Polloni" è un lungo pezzo di quasi dieci minuti che si perde in un giro di pensieri iniziali messi in musica, quasi un rimuginare interiore che lentamente si palesa attraverso una narrazione pregna di malinconia, con un pizzico di magia e un sound che di caratterizzante però ha ben poco, visti i classici riverberi del post rock, un approccio onirico ed una certa lentezza di fondo, tutte cose che rientrano nei dettami del genere. "Metloping" si conferma come propugnatore di un approccio minimal-vellutato, quasi si tratti di una schitarrata in compagnia di amici, davanti ad un bicchiere di vino con luci soffuse e un'aura malinconica palpabile che si annusa più pungente laddove il tremolo picking aleggia forte nell'etere. A chiudere '3+1' ecco la lunga "Piuno", una traccia che si affida all'abbinata batteria chitarra in una forma che definirei ancora piuttosto ancestrale (per non dire casalinga), soprattutto per ciò che concerne i volumi dei singoli strumenti. Un brano che ho francamente faticato a digerire rispetto ai precedenti pezzi, forse perchè apparentemente sembra quello con meno passione anche se alla fine risulterà il brano più sperimentale. Attendiamo ora il terzo capitolo per capirne qualcosa di più di questi Repetita Iuvant. (Francesco Scarci)

I Repetita Juvant sono una trio proveniente da La Spezia che associa una filosofia lo-fi di registrazione con i classici canoni stilistici della musica post rock, quella più sognante ed eterea. In questo secondo disco intitolato semplicemente '3 + 1', si mette in evidenza una certa propensione per la musica liquida, fatta di atmosfere unicamente strumentali, che si incastrano tra qualche malinconica sospensione dei This Will Destroy You e certe teorie sonore degli Ulan Bator che hanno fatto storia, sviluppate in questo caso, da un trio anomalo formato da una batteria, una chitarra synth ed una chitarra elettrica. Da evidenziare anche un gusto assai personale per i disegni che animano l'ottimo artwork di copertina. La ricerca intentata nei suoni per tributare una certa matrice vintage e psichedelica, a mio modesto parere,  dà i suoi frutti solo in parte, visto che la veste naturale del suono viene così estremizzata, e in più momenti, sembra di essere di fronte, ad un demotape registrato in sala prove, cosa che penalizza l'ascolto dei brani che, al contrario, sono interessanti e pieni d'atmosfera. Il fatto di sperimentare sulla registrazione in tempi moderni è ammirevole, ma se il risultato fa implodere il sound nella sua totalità, la cosa fa un po' riflettere (il precedente lavoro intitolato semplicemente '3', non soffriva di questa carenza nella dinamica del suono). La sensazione è che siano buone cartucce sprecate solo per la presunzione di cercare la dimensione sonora di un tempo che non si può più ricreare. Altra nota in parte negativa che la registrazione scarna mette in evidenza, è una carenza nei bassi, ovvero la mancanza di un basso vero e proprio si rende troppo evidente, manca infatti qualcosa che renda il tutto eccellente, anche se ripeto, non voglio criticare la scelta stilistica e musicale ma semplicemente raccontare la mia emozione all'ascolto del disco. Quindi, alzato il volume, preso atto che non sentirò nessuna linea di basso in questo disco, mi affogo nel cristallino mare dei Repetita Iuvant, che non è mai banale e che pullula di idee, anche se non del tutto originali, ma comunque sono ben confezionate e suonate con ispirazione. Brani ipnotici, visioni filmiche di spazi immensi e luminosi, che vengono esplorati in queste quattro tracce dal taglio siderale, nudo e crudo, che avrei voluto sentire con una produzione totalmente diversa, più maestosa e cosmica, per un disco di tutto rispetto, pieno di ottime idee ingabbiate però, in una scelta di produzione a dir poco sotto tono. (Bob Stoner)


(Loudnessy Sonic Dream - 2021)
Voto: 66

https://repetitaiuvant.bandcamp.com/album/3-1