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martedì 15 gennaio 2013

Árstíđir Lífsins - Vápna Lækjar Eldr

#PER CHI AMA: Black Metal, Folk, Helrunar, Drautran
Sono sensazioni altalenanti quelle che derivano dall’ascolto del secondo album degli Árstíðir Lífsins, formazione per metà islandese e per metà tedesca, che annovera tra le proprie fila anche membri di Helrunar e Drautran. Certo, non si può negare che la musica proposta dal gruppo sia di pregevole fattura. Per di più la raffinata commistione tra elementi folk e black metal costituisce un elemento di sicuro interesse per tutti gli amanti di queste sonorità. Cos’è che non funziona, dunque? Forse il problema è l’aspettativa. È probabile infatti che ogni buon intenditore del genere pagan-folk venga conquistato dal suono dell’album con una certa facilità riconoscendo immediatamente che l’uso di aggettivi quali “pregevole” o “raffinato” non sia affatto casuale, ma è proprio quando le premesse sono così invitanti che cresce l’attesa. In poche parole, l’attesa che qualcosa di straordinario ed emozionante accada durante l’ascolto. Ebbene, gli Árstíðir Lífsins si muovono impeccabili lungo un percorso di nove brani dal fascino indiscutibile, ma si limitano ad affrontare i sentieri più facili e sicuri, quelli già battuti da chi li ha preceduti nel loro cammino, senza osare qualcosa in più e senza mai deviare dal percorso prestabilito. Talvolta gli scorci più belli di un paesaggio si scoprono avventurandosi oltre i confini già esplorati, ed è in quei momenti che nasce un’emozione. Peccato che la composizione di “Vápna Lækjar Eldr” sia rimasta intrappolata dentro quei confini, ricalcando alcuni schemi già sentiti e offrendo rari momenti di slancio. L’uso in chiave folk dei cori, della chitarra acustica e degli strumenti ad arco, è tutt’altro che disprezzabile e nel complesso si riconosce un contributo importante da parte di ciascuno dei quattro strumentisti a creare atmosfere piacevoli che elevano l’album ben al di sopra della media. Tra l’altro il connubio tra sonorità estreme e tradizionali, non scade mai nel cattivo gusto, per cui sarebbe ingiusto muovere un appunto al gruppo sul lato prettamente tecnico o sulla loro capacità di creare delle composizione strutturate. Quel che manca davvero è la carica emozionale. I primi tre brani, per quanto timidi, lascerebbero sperare in un decorso ben più coinvolgente, ma poi l’album si arena nella monotonia ed è necessaria un po’ di pazienza, prima di incontrare qualcosa di realmente appassionante. Tanta pazienza, a dire il vero, considerato che stiamo parlando di 77 minuti di musica e che i brani più riusciti siano i due posti in chiusura alla scaletta. "Svo Lengi Sem Sutrs..." e "Fjörbann..." fanno dunque riacquisire quota all’album con la forza delle percussioni, l’asprezza del cantato e la poesia di alcuni intermezzi di synth-piano e violino. Così l’ascolto si conclude in bellezza e quantomeno rimane la sensazione che il contenuto musicale di "Vápna…" sia all’altezza della sontuosa ed ingombrante confezione a libro che racchiude il cd e che va menzionata non solo per dovere di cronaca, vista l’abbondanza di pagine e la cura grafica con cui è stata realizzata. (Roberto Alba)

(Ván Records, 2012)
Voto: 75

http://www.arstidirlifsins.net/

mercoledì 9 gennaio 2013

The Pit Tips

Bob Stoner

Belphegor - Blood Magick Necromance
Forgotten Tomb - ...And Don't Deliver Us From Evil
Between The Buried And Me - The Parallax II Future Sequence
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Francesco “Franz” Scarci

The Devil - The Devil
Aevangelist - De Masticatione Mortuorum in Tumulus
Shining - Redefining Darkness
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Alberto Merlotti

Aerosmith - Music from Another Dimension
The Darkness - Hot Cakes
Gojira - L'enfant Sauvage
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Samantha Pigozzo

Älymystö - Atomgrad
Mors Principium Est - ... And Death Said Live
The Rapture - Echoes
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Michele “Mik” Montanari

Red Fang - Murder the Mountains
DIIV - Oshin
Toundra - III
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Roberto Alba

Behexen - Nightside Emanations
Mgła - With Hearts Toward None
Khonsu - Anomalia
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Kent

The Great Old Ones - Al Azif
Hellships - Leaden Hum
Graad/Kepsah - Split 10"

lunedì 7 gennaio 2013

Motorfingers - Black Mirror

#PER CHI AMA: Hard Rock, Black Label Society, Guns n’Roses
La maturità porta consiglio, inutile negarlo. L'entusiasmo e l'energia degli inizi può smuovere il mondo, ma quello che spesso manca ai novizi sono gli obbiettivi e la gavetta. I Motorfingers non sono certo dei novellini e la loro storia sembra un film a lieto fine. Infatti, dopo che alcuni elementi del gruppo hanno militato nelle varie tribute band del caso, alla fine l'idea di creare un progetto inedito ha avuto la meglio e qui nascono i Motorfingers (ricordatevi la "s" finale, altrimenti sul web trovate i quasi omonimi norvegesi). I cinque modenesi vedono la luce nel 2008 e propongono questo full lenght, "Black Mirror", dopo aver esordito con l' EP "MSC" seguito poi da "Brand New Skin". Dopo un primo ascolto del cd confermo a grandi linee le influenze decantate dai Motorfingers nella loro bio e cioè Velvet Revolver, Nickelback, Metallica , Black Label Society, Guns n’Roses e Faith no More. Devo dire che la lista è stata anche seguita quasi paro paro con la track list del cd, nel senso che questo "Black Mirror" ha circa nove sfumature diverse, il che può essere un pregio, ma anche un difetto. Ovviamente il filo conduttore esiste, ma gli arrangiamenti e l'utilizzo di suoni diversi da canzone a canzone rendono molto vario questo cd, passando dalla ballatona rock "In My Dreams" alla galoppata "Out of Control". Quello che distingue i Motorfingers è l' ottima tecnica di tutti i membri del gruppo, l'attenzione ai suoni e il cantato in inglese che permette di sollevarli un po’ dalle varie produzioni nostrane e che comunque è dovuto per un genere come il loro. Il cd si apre con il brano "Bastard and Saints" che comincia bello grasso e ruffiano sin dal primo riff di chitarra che poi da il via alle danze ad un pezzo che rispecchia tutti i canoni del bravo rockettaro americano, con tanto di “yeah” finale alla James Hetfield. Notare che il vocalist dei Motorfingers in alcuni passaggi sembra Gaetano Curreri (Stadio), quindi lode al fatto di avere un timbro che si distingue dal genere. Brano piacevole, magari non brilla per creatività, ma son sicuro che avrà fatto pogare più di una persona ai concerti dei nostri. "Fallen Brother" propone sentori del rock di qualche anno fa, comunque ben fatto in ogni singola sfumatura, sia a livello della sezione ritmica batteria-basso che quella melodica voce-chitarre. Quanto detto vale per tutti i brani di "Black Mirror" quindi mi soffermerei più sul fatto che comunque i ragazzotti di Modena hanno adrenalina da vendere e sono denunciabili per eccesso di rock/heavy metal! A parte gli scherzi, la qualità e l'impegno ci sono ed evitando a priori di valutare il fattore creatività e innovazione, il voto se lo meritano tutto. (Michele Montanari)

(Logic(il)logic Records)
Voto: 75

http://www.motorfingers.com

Moss Of Moonlight - Seed

#PER CHI AMA: Pagan, Folk
Sono stato un intero pomeriggio a pensare a quale dei migliaia inutili gruppi folk, con qualche atmosfera epica, potesse assomigliare ai Moss Of Moonlight. Purtroppo non m'è venuto in mente, altrimenti avrei detto che certe parti potessero essere identiche ad essi. "Seed", primo full lenght del gruppo statunitense, ci trascina per un'ora con i suoi canti sciamanici, i respiri dei boschi e tutto quello che potreste aspettarvi da un gruppo folk metal nordamericano. La formula è quella dei gruppi pagan metal moderni, ovvero mettere una voce in growl per sembrare cattivi, alternata ad una voce femminile per rendere accessibileil tutto, dei ritmi marziali per inondare di serietà la proposta dei nostri, per fortuna senza tutta quella pomposità dei gruppi europei che ci propinano pateticamente la loro musica. Il problema è che, abusata com'è, in questa combinazione è difficile trovare qualcosa di decente nelle composizioni, il che rende "Seed" un disco semplice, diretto e a tratti mediocre. I suoni a mio parere sono molto buoni, o meglio, reali. Essi riescono a dare un tocco di naturalezza all'album, cosa alquanto difficile di questi tempi. L'ascolto viene a mio parere agevolato da queste sonorità scampate alla compressione, oltre che alle innumerevoli melodie dettate dalle chitarre e dai vari strumenti folkloristici, che ahimè mi ricordano troppo qualche gruppo che ascoltavo anni fa. In sostanza "Seed" non è una totale delusione ma se i Moss Of Moonlight vogliono proseguire su questa strada, spero vivamente che comincino a produrre dischi meno prolissi ma più studiati. (Kent)

(Cascadian Alliance)
Voto: 60

http://www.mossofmoonlight.com/

Old Pagan - Battlecruiser Old Pagan

#PER CHI AMA: Black Epic, Gorgoroth, primi Ulver
Avevamo lasciato poco tempo fa i tedeschi Old Pagan con l'amaro in bocca e la speranza di una rivincita dopo aver recensito il loro precedente EP; con immenso piacere ci è arrivato questo cd con brani vecchi e nuovi, dal titolo “Battlecruiser” che rimette tutto in gioco e soddisfa pienamente le nostre aspettative. I nostri soldati aggiustano il tiro e tagliano tutte le intromissioni psichedeliche e sperimentali focalizzando il proprio sound in un'unica ferocia e malefica dinamica compositiva ed una esecuzione diretta e molto efficace. La voce ripulita da inutili riverberi è a pieno regime e nel brano “Light in the Darkness” (la nostra preferita!) tocca vertici altissimi d'espressività. Anche i riff delle chitarre, sempre in questo brano, sono estremamente convincenti ed originali per il genere. Tutto fila liscio, piacevole all'ascolto, i brani non risentono della differente età e sono colmi di odio e sentimenti oscuri, con la verve dei primi Ulver e la forza devastante dei Gorgoroth, velocissimi e intelligenti, con innesti dal vago ricordo di quel Black metal che fece storia di casa Venom soprattutto nella bella chiusura di “Petrified”. “Instrumental” l'avevamo apprezzato in altra sede, un brano strumentale già presente nell'altro EP, che mostrava grosse potenzialità. Forse il cambio di formazione e il ridurre a sole due teste pensanti e suonanti, ha fatto in modo che gli Old Pagan centrassero il bersaglio con questa compilation e focalizzassero le loro potenzialità per fare in modo che canzoni dalla furia cieca, fumose e ruvide come “Slaugthered in Hell” o “Welcome to Satan's Hell” venissero alla luce. “Der Schwarze Wahn” (già presente nell' EP “Old Pagan”) forgia ulteriormente lo stile degli Old Pagan ma i due brani che seguono, “Mighty Darkthrone” e “1916 Skagerrak” rincarano pesantemente la dose sul retrogusto Black'n roll di questa band e ci fa molto piacere aver conferma delle nostre impressioni e con l' irriverenza dei Venom mischiati ai Satyricon, arriviamo al brano “Damon der Lichtspuren” (già presente nell'EP “Tecknotschtiklan”) che chiude una compilation da gustare tutta d'un fiato e ad alto volume, carichi di odio e devastazione... e pronti alla guerra, sfuggendo alle mine e ai bombardamenti; è questo lo scenario infatti che “intro” e “outro”, in apertura e chiusura dell'album, e la copertina con la sua portaerei fanno pensare, un campo di battaglia immaginario e terribile per un cd al veleno! Ben tornati Old Pagan! (Bob Stoner)

(Self)
Voto: 80

http://www.oldpagan.de/

Eudaimonia - Hymn to the Dying World

#PER CHI AMA: Black strumentale
Essere in compagnia di un buon demone. O felicità in senso schietto. È proprio quello che rappresentano gli Eudamonia con il loro ultimo "Hymn to the Dying World", disco colmo di una pace interiore e di suggestive melodie che richiamano mistiche lande incontaminate. E questo lavoro è proprio legato al discorso della Terra da come si evince dal titolo e dalla traccia "Gaia" divisa in tre parti. Il disco nonostante una scelta grafica fin troppo povera, riesce a risultare gradevole all'ascolto, risultando leggero e facile da assimilare, anche grazie all'abbondanza di parti melodiche ed evocative. Purtroppo però mi trovo davanti ad un'opera che non riesce a scalfire la mia curiosità in quanto, anche se le tracce sono strutturate con svariate parti e cambi di strumenti la melodia, i riff alla fine risultano troppo similari. Questo però si smentisce in una visione d'insieme del progetto, con tracce totalmente differenti ed inaspettate come "Crepuscular Rays" e l'outro "Swan Song". Nelle parti più black orientate in fase ritmica, le chitarre vengono soppresse dagli altri strumenti a causa di un eccessivo riverbero che sporca e indefinisce (soprattutto) le note più gravi, il tutto in contrapposizione con la tastiera che si conferma nei brani sempre limpida e cristallina. Con quest'album il gruppo danese continua a ricalcare il sound delle precedenti release, riuscendo tuttavia nel proprio piccolo a creare qualcosa di buono, anche se non eccelso. (Kent)

Eryn Non Dae. - Meliora

#PER CHI AMA: Post Metal, Post Hardcore, Cult of Luna, Meshuggah
Continua il mio mood “post” anche in questi giorni, quando finalmente tra le mie grinfie stanno per passare i francesi Eryn Non Dae. ed il loro secondo lavoro, “Meliora”. Non ho ascoltato con troppa attenzione il loro debut, lasciato nelle buone mani del fido Kent. Ma l’occasione per la recensione del quintetto di Tolosa, non me la volevo certo perdere. Se “Hydra Lernaia” peccava magari in fatto di maturità, proponendo ancora un sound piuttosto dozzinale, pur mostrando una certa originalità di fondo, “Meliora” fa un ulteriore balzo in avanti, andando a levigare tutte quelle imperfezioni, che al sottoscritto non erano certo passate inosservate, e su cui invece Kent ha preferito sorvolare. Partiamo quindi da un presupposto: reputo la precedente release, in termini di voto un 7, forse anche qualcosina meno; con “Meliora”, le cose migliorano drasticamente, e il risultato è palese nelle mie orecchie già da “Chrysalis”, song che mostra l’attitudine post dei nostri, fatta di suoni soffocanti, ma al contempo accattivanti e mai scontati, dotati di un’anima pulsante in continua evoluzione, che non mi consente granché di focalizzare lo stile dei nostri. Aveva ragione il buon Kent in questo, gli END. sono di difficile catalogazione e non importa se la lunga “The Great Downfall” inizia facendo il verso all’oscuro lato dei Neurosis, non è questa comunque l’origine da cui i nostri traggono ispirazione. Il lato ombroso e le oscure ambientazioni traggono linfa vitale certamente dal sound del combo americano, caricando però il tutto di fosche ambientazioni, di un tocco di follia francese che giova in termini di dinamicità e contestualmente, di un’architettura musicale assi complessa; il che significa che l’approccio a “Meliora” potrebbe sembrare piuttosto accessibile da un lato, dall’altro vi sembrerà di dover scalare la più irta delle montagne. Ma si sa che le sfide mi piacciono, quindi con somma curiosità, lascio scivolare le sette tracce della release e mi accorgo che nei suoi solchi si possono percepire gli insegnamenti di due grandi bands svedesi, Cult of Luna e Meshuggah, i primi per il feeling desolante che tendono a lasciare; i secondi invece per delle soluzioni ritmiche legate a cambi di tempo da panico, stop’n go e l’intrecciarsi del granitico sound delle chitarre. Con “Scarlet Rising” realizzo che anche l’hardcore gioca un ruolo fondamentale nella crescita dei nostri e non solo per la voce del duo Mathieu e Franck, che si alternano in vocalizzi per lo più al vetriolo, con qualche fuga nel pulito, ma pure per il carattere frenetico, schizzato e nervoso delle chitarre, che mostrano in un break centrale, anche di avere la capacità di lanciarsi in frangenti non del tutto metallici, un po’ come stanno percorrendo i magistrali Between the Buried and Me nei loro ultimi ipnotici, energetici e creativi lavori. Eureka, forse ho trovato, l’origine del sound made in END.: il mathcore sperimentale proprio dei BtBaM, sporcato delle divagazioni post dei Cult of Luna, suonato nella vena dei Meshuggah. Non male vero, ed in effetti “Meliora” è una sorpresa continua, forse perché “Ignitus” è una scheggia furente di metallo schizoide e pestante, in cui trovano collocazione anche sonorità progressive. “Muto” è un arrembante e bastardissimo calcio nei denti, mentre con “Black Obsidian Pyre” ripiombiamo nell’oscurità della seconda traccia, richiamando in causa i mostri americani. “Hidden Lotus” chiude questo ispiratissimo esempio di estremismo delirante musicale concepito nel nostro caro vecchio continente, segno che ben poco abbiamo ormai da invidiare ai mostri d’oltreoceano. Prezioso ritorno. (Francesco Scarci)

(M and O Music)
Voto: 80

http://www.erynnondae.com/

Scaphandre - The Abyssal Crypts

#PER CHI AMA: Suicidal black metal
Gli Scaphandre sono una realtà underground francese, cosi come pure, estremamente underground e direi quasi no-profit, l’etichetta, l’Alchemic Sound Museum, che promuove la one man band transalpina. Francia e one man band, un binomio che rappresenta da sempre, gli ingredienti che definiscono, per sommi capi, il sound degli Scaphandre. Se anche voi siete giunti alla conclusione di essere di fronte ad una realtà black metal, possiamo affermare con certezza di essere sulla stessa lunghezza d’onda. La chitarra di “Celeste” ce ne dà conferma: è come una profondissima ferita inferta sul corpo, di quelle che bruciano per il dolore e la voce del factotum, non fa altro che acuirne la sofferenza. Lo dicevo io che siamo di fronte ad una forma primordiale di black, peraltro di quelle urticanti, non tanto per le velocità che esso tende a perseguire, ma per il suo mood glaciale, freddo e brulicante di un fottuto desiderio di farla finita. Non siamo al cospetto di nessuna bombastica produzione che risalti suoni o emozioni di questo lavoro. “The Abyssal Crypts” è un lavoro ferale di suicidal black metal, riletto nella sua chiave più opprimente e devastante. Abbandonate quindi ogni speranza, voi che vi avvicinate ad una simile release, in cui verrete immediatamente investiti da un sound monocorde, quasi soffocante, in cui trovano posto solamente le taglienti vocals del protagonista. Dopo più di dieci minuti mi ritrovo già annichilito e non ho neppure il tempo di rialzare la testa che “Agate” inizia a picchiare come una forsennata. La peccaminosa e rozza produzione non aiuta di certo ad assimilare un album che di certo potrà interessare solo ad una ristrettissima schiera di amanti del sound estremo, nonostante ci sia il vano tentativo di ammorbidire la proposta con l’inserto di un qualche chorus epico. La montagna da scalare è irta e la sensazione di scivolare sul ghiaccio si fa via via sempre più forte. Fortunatamente l’interludio ambient ferma il trapano che fino ad ora ha stuprato il mio cervello e mi da modo di riprendermi almeno per un paio di minuti, prima del fluire mortifero ed inesorabile del sound dei nostri, che in “Mystiques” trova un altro momento di quiete relativa, prima che la quiescenza svanisca del tutto… (Francesco Scarci)

(Alchemic Sound Museum)
Voto: 60

http://www.scaphandre-official.com/

Epitimia - Faces of Insanity

#PER CHI AMA: Black/Post Rock
Epitimia: la parola deriva da un termine greco che tradotto significa penitenza, il che è già tutto un programma. Si, perché non so decisamente cosa aspettarmi in termini musicali da un lavoro, il cui flyer informativo cita il sound dei nostri, come un mix tra black atmosferico e post rock. Tuttavia, il combo russo è già alla sua terza release, quindi un po’ di esperienza la deve già aver accumulata, pertanto mi devo fidare. “Faces of Insanity” si apre con “Reminiscentia”, un’ottima intro strumentale di quattro minuti e più, i cui contenuti suonano effettivamente come black, avvolti però da una magica aura post rock. Quindi le aspettative nel mio animo si fanno più forti, perché coniugare due tra i generi che in questo momento prediligo, oltre a non essere cosa facile, mi darebbero un grande piacere. Quando parte “Epikrisis I: Altered State of Consciousness”, mi rilasso per la apertura sinistra affidata a chitarre dal flavour rockeggiante, prima che vedano sovrapporsi un secondo riff più pesante e un cantato harsh. La song vive di sussulti: prima una galoppata black, poi un’eterea voce femminile, di nuovo la furia che irrompe, spezzata solamente dalla malinconia che fuoriesce dalla chitarra. “Epikrisis II: Obsession” apre in acustico, per poi confermare che la formula segreta dei nostri, non è poi cosi tanto segreta: ossia l’aggiunta della voce corrosiva di K., una ritmica più incisiva, che si sposa alla perfezione con una produzione un po’ sporca, il tutto pervaso comunque da un tocco chiaramente decadente e intriso di disperazione. È il turno di “Epikrisis III: Megalomania”: inizio a mal digerire il cantato in lingua madre (russo), forse scelta per rendere la proposta più originale o per farsi seguire dal proprio pubblico, ma a mio avviso sarebbe meglio virare il tiro verso l’inglese. Il sound del trio russo conferma la propria vena depressive anche con “Epikrisis IV: Jamais Vu”, dove splendido è il lavoro delle chitarre, potenti ed epiche, mentre il vocalist invasato, arriva ad urlare belluinamente dentro al microfono. “Epikrisis V: Rorschach Inkblot” incuriosisce maggiormente per il contenuto lirico probabilmente riguardante le famose macchie di Rorschach, utilizzate in psicodiagnostica come strumento di indagine della personalità ed in questo caso, per misurare la delirante lucida follia del nostro terzetto. Scherzo, ora vi spiego meglio: “Faces of Insanity” tratta infatti il tema della sofferenza individuale a causa di disturbi mentali, quindi un argomento ahimè attuale e assai interessante. “Epikrisis VI: Leucotomy” vive sullo “sfarfallio” melodioso delle sue chitarre e su aperture pregevoli di scuola primi Katatonia; l’unico problema continua a rimanere la performance poco aggraziata del cantante che alla fine tende a calmierare un po’ tutti gli altri strumenti. A chiudere il disco ci pensano la lunga, malinconica ed oscura “Ds: Schizophrenia” e “Lethe”, deprimente e strumentale outro. “Faces of Insanity” è un album interessante musicalmente parlando; lo sarebbe anche in termine di contenuti se solo questi fossero in lingua inglese. Tante le cose da sistemare ed affinare: la voce e la lingua, un po’ di tecnica individuale, eliminando qualche banale ed inutile cavalcata black, che poco ha a che fare con il sound e le reali potenzialità di questi Epitimia. (Francesco Scarci)