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martedì 29 agosto 2017

Perseus - A Tale Whispered in the Night

#PER CHI AMA: Heavy/Power
Il redivivo Icarus Lizard vivacchia da qualche tempo dilaniato dalla noia all'interno di uno scomodissimo specchio incantato. Poi un bel giorno non si fa sfuggire l'occasione di possedere il corpo del giovane Nathan e, zac, da lì dentro, costituire un esercito di miliziani pronto a combattere le forze delle tenebre capitanate da Rasoio Scuro. Il secondo capitolo della saga del Dr. Icarus Lazard orchestrato dai brindisini Perseus, rivoluziona il concetto stesso di concept, scorporandone una volta per tutte l'uso del cervello. Ma il power-metal è fatto innanzitutto di muscoli, e i muscoli certamente non mancano in questa power-epopea ultra-ortodossa caratterizzata da accelerazioni quasi-speed ("The Diary", "Deceiver"), epic-ballads ("Dying Everytime" e "Rain is Falling") e stratificazioni sinfoniche di matrice italo-scandinava ("I'm the Chosen One"). Ascoltatevi questo disco vestendo all-black-leather spaparanzati su una spiaggia del Salento brindisino durante un soleggiato pomeriggio. Entro sera capirete a vostre spese come mai da quelle parti tira soprattutto il sound system. (Alberto Calorosi)

(Buil2kill Records - 2016)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PerseusPowerMetalBand

Il Confine – Il Cielo di Pryp’Jat

#PER CHI AMA: Hard Rock/Nu/Alternative
Mi ci è voluto un po' per digerire il secondo album dei pugliesi Il Confine, sebbene il titolo del lavoro inducesse in me una forte curiosità, visto il richiamo a Pryp’Jat, la città ucraina fantasma abbandonata a seguito dell'esplosione nucleare nella limitrofa Černobyl nel 1986. Il genere proposto dal quintetto brindisino è un ruffiano alternative rock che già a partire dalla opener, "Eccedere e Cedere", mette in luce tutti gli ingredienti, i punti di forza e debolezza, della band nostrana. L'ensemble si affida ad un sound di matrice hardrock su cui poggia la voce mainstream del frontman, accompagnato qui da riffoni più pesanti che chiamano in causa realtà americane Nu metal e che poi nel finale offre addirittura un cantato rappato che mi fa storcere il naso. Un modo di cantare che mi indispone anche all'inizio della seconda "Tentacoli", un'altra song che lascia sicuramente intravedere le potenzialità di una band che si muove con grande disinvoltura nell'utilizzo di testi in italiano, ma anche una certa abilità nei cambi di tempo e nel miscelare l'hardrock con effettistiche elettroniche. Ahimè quello che fatico a digerire è l'utilizzo delle voci abbinate a dei chorus forse un po' scontati e ad un proposizione talvolta elementare delle ritmiche. La title track, 'Il Cielo Di Pryp’Jat', si palesa con il suo sound oscuro allineata nel testimoniare gli edifici abbandonati della città ucraina attraverso però l'uso di testi un po' banalotti; di contro la sua musicalità si mostra assai efficace nel modularsi tra chiaroscuri sonori. La sensazione persistente che avverto durante l'ascolto del disco è però quella che non sia cosi chiaro per i nostri cosa voler fare da grandi: imitare qualche band mainstream americana con la variabile del cantato in italiano, oppure voler seguire le orme dei conterranei Negramaro, come nella semi-ballad "Abissi", nella più movimentata e punkeggiante "2103", nell'irrequieta "Vitrei Dedali" o ancora in "La Sintesi", pianistica song che vede un inedito duetto vocale tra una voce rock e una lirica maschile che sicuramente regala un maestoso effetto conclusivo, ma che pone nuovamente seri dubbi sull'identità dei nostri (influenze da Il Volo forse?). Il disco riserva qualche altro spunto interessante, tra cui vorrei segnalare la bonus track, "Il Concetto di Dose", che vede la presenza di Annaclaudia Calabrese in un ruolo più predominante dietro al microfono, per un'ultima arrembante traccia che ha modo di strizzare l'occhiolino anche agli Evanescence. Disco piacevole ma credo ancora transitorio. (Francesco Scarci)

(Alka Record Label - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/ilconfineband/

domenica 27 agosto 2017

Divine Element - Thaurachs of Borsu

#FOR FANS OF: Death/Black Epic, Amon Amarth, Primordial
To style Divine Element as an Amon Amarth clone would be an uneducated attempt to compliment two exceptional musicians. Playing a powerful and fiery form of melodic death/black metal, this Hellenic pair plays closely to Amon Amarth's nearly unrivaled glory while finding its own glory in a unique realm of kingdoms and chaos. A concept album that serves as a companion piece to founding member Ayloss' upcoming novel of the same name, 'Thaurachs of Borsu' is the tale of one warrior's destiny wrapped in the fate of his warlike nation. Together they take on the challenge of overcoming an immensely powerful usurpation of their ancestral homeland while the protagonist confronts cosmic questions and tests of his loyalties in this unforgiving world.

Combining Amon Amarth power with Primordial atmosphere in the opening instrumental, “A Realignment With Destiny” and using moments of narration that make even The Meads of Asphodel seem completely cheese-less, Divine Element explores its broad concepts through a mixture of folk sound and chest-beating battle riffs in this invigorating half hour. Bookended by interludes and featuring an instrumental in the midpoint of this album, the meat of this release is five unique tracks that explore the human spirit, proclivities for tribalism and notions of power, and embark on a journey of blood and battle that rages across the sea to brutally conquer a capitol. Incredibly uplifting tremolo riffs ride galloping drums to create a purposeful and compelling atmosphere in the money track “On the Trail of Betrayal”, like a vicious woodland hunt chasing a cunning foe. Where Amon Amarth faced a desperate and solemn ride against time in “Hermod's Ride To Hel”, Divine Element charges down the winding path slaughtering all in its way with the satisfaction that the cavalry can overcome any foes in the dense growth. The lyrics call for an examination of one's loyalties and just what hill is worth holding, questioning what influences and justifications one has in order to fight against or to accept a societal norm. Wrestling with whether to pursue a path that destroys others over “kin, kingdom, caste, and belief” or to “aim towards the noble idea, the Wholeness” of a unification strengthened by all its parts rather than a victor stood atop the ashes of his foes, Divine Element chooses to fight for the light and cleanse obscurity. Enlisting the drumming of Hans Grossman, the blaster in Necrophagist's “Epitaph”, “Call of the Blade” brings that cleansing fury to life, causing carnage and calamity on the road to reconquer the lost lands.

Unlike the failed experiment, Canada's Deity that came out nearly a week after this full-length, this other little known band featuring an established death metal drummer is a stellar example of immersive storytelling through aggressive music. 'Thaurachs of Borsu' is a well-rounded concept album with some incredible moments that is worth a listen from Amon Amarth, death metal, and black metal fans alike. Reaching for its destiny, traveling “Beyond the Sea”, and vanquishing as it marches, Divine Element builds an intricate world around this album and on the page to present an engaging narrative. (Five_Nails)

Alchemist - Tripsis

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Avantgarde, Voivod, Ewigkeit
Li amo da sempre, forse perché sono stato il loro primo fan fin dal lontano 1992, quando uscì il folle 'Jar of Kingdom'. Dopo tre lustri, gli australiani Alchemist hanno rilasciato il loro canto del cigno, una musica sempre contraddistinta da un extreme avantgarde costituito da elementi rock, psichedelici inseriti in un contesto death metal, a deliziare le mie insaziabili orecchie. 'Tripsis' è il sesto lavoro per l’act australe, uscito per la Relapse Records, che ci ha lasciato gli ultimi nove brani della band di Camberra. L’album si apre alla grande con “Wrapped in Guilt”, song che inizia con una certa vena space rock, simile alle produzioni degli Ewigkeit, per poi viaggiare su un mid tempos in pieno Alchemist style, con la voce mai completamente growl di Adam Agius, a dominare la scena. Dal secondo brano in poi, si capisce che la band è in forma smagliante, sfoderando una prova strumentistica dei singoli, davvero notevole (ispiratissima la batteria). Il quartetto crea melodie stranianti su un tappeto ritmico quasi tribale (questa sarà alla fine, la costante dell’album). La release degli aussy boys, riprendendo là dove aveva lasciato nel 2003 con 'Austral Alien', regala melodie aliene, capaci di miscelare nelle proprie note death, psichedelia, gothic, industrial, elettronica con suoni mistico-tribali propri della tradizione aborigena. “Nothing in no Time” ci spalanca la porta ad un nuovo mondo, grazie alla meravigliosa timbrica del basso di John Bray, in grado di creare atmosfere suggestive, lugubri e oscure; le chitarre schizoidi delle due asce poi, fanno poi il resto, originando, con il loro groove seventies, emozionanti turbinii mentali, girandole di colori e chiaroscuri tenebrosi. Il disco degli Alchemist prosegue in questo modo, spiazzando continuamente l’ascoltatore con trovate geniali: psicotici riffs graffianti, elementi progressive, ubriacanti samples e lampi di creatività, ci consegnano una band all’apice della propria evoluzione stilistica, che con quest'album ha voluto mostrare il proprio lato più speed/thrash orientato, mantenendo comunque, quella brillante vivacità che da sempre ne ha contraddistinto il sound. Gli Alchemist hanno continuano a percorrere imperterriti la loro personale strada che gli è valso l’appellativo di “surfthrash band”. Geniali. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2007)
Voto: 85

https://alchemistband.bandcamp.com/album/tripsis

Endstille - Endstilles Reich

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Old School, Dark Funeral
Dopo le due buone performance di 'Dominanz' e 'Navigator' era difficile, per la band tedesca, ripetersi con un nuovo ispirato episodio di black distruttivo e inneggiante la morte. Eppure, a questi quattro malvagi guerrieri, l’odio deve per forza scorrere puro nelle vene. 'Endstilles Reich' rappresenta il quinto capitolo della discografia dei nostri, capaci, da quando si sono formati nel 2001, di rilasciare album quasi con cadenza annuale. Ad ogni modo, questa fatica, racchiude sostanzialmente ciò che era già contenuto nei precedenti dischi, con poche nuove quindi all’orizzonte. C’è il solito black metal senza fronzoli, rozzo, super tirato, privo di tastiere e di ogni tipo di contaminazione melodica. Dieci tracce, dieci cavalcate di ultra cattivo war black metal rigorosamente old school, che possono essere paragonate alla velocità di fuoco di un MG42 e alla potenza di una artiglieria navale. Non mancano tuttavia passaggi più ragionati (ad esempio nella conclusiva “Endstille”), dove le chitarre disegnano gelidi paesaggi invernali e con la voce di Iblis a urlare tutta la sua disperazione. Come sempre le lyrics vertono su temi inerenti le Guerre Mondiali. Discreto album per la band teutonica, che dopo quest'album ha ridotto notevolmente le proprie uscite discografiche. Malefici. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Endstille.Official

giovedì 24 agosto 2017

The Destiny Program - Subversive Blueprint

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Hardcore, Caliban, Heaven Shall Burn
La Nuclear Blast ad un certo punto, ha pensato bene di mettersi a fare concorrenza alla Metal Blade, puntando su band metalcore. Era il 2007 e dalla Germania ecco arrivare quattro ragazzoni, a rimorchio del successo ottenuto dai connazionali Caliban e Heaven Shall Burn, con una proposta del tutto simile. 'Subversive Blueprint' rappresenta il terzo album per la band teutonica, un concentrato esplosivo di metalcore, dal forte sapore americano e reminescenze hardcore old style. Dodici tracce legate da una serie di elementi comuni: affilate chitarre metalcore, sulle quali si inseriscono le urla tipicamente hc del vocalist Johannes Formella, decisamente a suo agio quando canta in modo rude e incazzato, un po’ meno (e troppo emo!!) quando utilizza le clean vocals. Al di là di questo, l’album suona discretamente, anche se dopo un paio d’ascolti, la musica cade ahimè nell’anonimato. Non bastano infatti, altre influenze derivanti dal rock o dall’alternative (in primis dai Deftones), a sopperire ad una mancanza globale di idee, che questo filone sta palesando già da diverso tempo. I Destiny Program fanno bene il loro compitino, giusto per raggiungere una striminzita sufficienza, troppo poco però per attirare la mia esigente attenzione. Se siete alla ricerca dell’ennesimo disco metalcore, l’act tedesco può fare al caso vostro, in caso contrario, lasciate perdere e passate oltre. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2007)
Voto: 60

http://www.destinyonair.com/

Pathology - S/t

#FOR FANS OF: Brutal Death
With a rhythm like a spray of bullets and thunder of artillery erupting up and down a battle line, Pathology runs amok leaving a wake of carnage that disassembles anything in its path. This band conjures images of rolling fortresses misshapen by arrays of weaponry in a seemingly random assortment of calibers and missile pods made for massacre rather than as an figure to appreciate. Made all the more imposing by their terrifying silhouettes stretching across blood-soaked battlegrounds, a regiment of these harbingers prognosticates the twilight of civilization. Unlike many inappreciable weapons systems of yore, shredded in scrap yards and burned on roadsides, there is a meticulous method to Pathology's misshapen steeds as they make their mad rush to scorch the earth through an album that transitions from a bewildering first blast to an exhaustive meditation on technique.

Eleven years old and on its ninth full-length album, this California outfit is an experienced mainstay of the brutal death metal realm and continues to plunge itself into the undulating pits of flesh that dot this world of sickness and gore. Immediately to the point, each song involves the slamming percussive patterns symbolic of the sub-genre as the ensemble forms an ever-morphing ball of aggression where strings attempt to breach the viscous surface, beating themselves to exhaustion and squeezed back into their confines by the fleshy crush. In “Litany” a thrashing surge enhances the guitars' muddy bounce. Behind it is an enticing lick here and there that takes center stage with higher pitch that wraps the guitars in harmony far above the abyssal bedlam. These aberrations stand far out against a series of slams and stomps that shows a serious focus on technique and packs each song to the brim with undulating variations on its restless rhythms. After an abrupt solo and a massive breakdown, the end of “Servitors” features a bit of Suffocation flair through a momentary guitar trill, just barely noticeable in the background of the romp and stomp, while “Shudder” showcases the intricacies of this down-tuned guitar dance alongside a magnetic vocal delivery that creates a disturbing accompaniment to an already obtuse album.

Pathology makes some very serious, very focused, ultra-brutal death metal in the veins of Texas' Devourment, Russia's Katalepsy, and Scotland's Cerebral Bore. Disgusting and indecipherable gutturals maintain the forefront, guitars fling themselves into pits of filth and arise with momentary screams while barely getting a chance to elaborate in merely two solos in this album, one in “Servitors” and another in “Vermillion”. Drumming consistently drives each song towards a fresh examination of the overall structure with astute variations, gravity blasts, and brutal bass kicking galore. Pathology is down and dirty while still remaining professional. This ninth studio album is a series of brutal death metal mainstays done very well with enough personal touch to keep the music fresh and versatile as it plunges deeper into realms of revulsion. (Five_Nails)

The Chapel of Exquises Ardents Pears - TorqueMadra

#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient
La Cappella delle Squisite Pere Ardenti non può non destare la vostra (cosi come la mia) attenzione. Un moniker cosi originale non lo avevo mai letto e vuoi anche che i membri di questa nuova band, includano musicisti di due interessantissimi ensemble, gli inglesi Stems ed i francesi Anathème, l'ascolto è diventato del tutto obbligatorio. Fatto questo preambolo, lanciamoci ad assaporare le quattro tracce di questo breve 'TorqueMadra', un EP che saprà accarezzarvi, coccolarvi ed edulcorarvi (ora al rientro dalle vacanze estive) con sensuali melodie autunnali che si aprono con lo strimpellio di "Decameron". Una song che accanto all'arpeggio di chitarra iniziale, vede dispiegarsi un coro di archi che rendono il tono di questa traccia strumentale incantato, direi fiabesco. Che cosa c'è di meglio quindi se non abbandonarsi alle ammiccanti e suadenti melodie rilassate che vedono irrobustire la propria proposta nella parte centrale di una song che comunque vanta tutti gli ingredienti necessari per regalarvi un buon platter di musica post rock? Ecco, arriviamo al solito dolente punto, per il sottoscritto almeno, ossia la mancanza di una voce che ci accompagni in questo breve viaggio che racconti qualcosa di più di ciò che vogliono realmente esprimere questi The Chapel of Exquises Ardents Pears, uno strumento indispensabile in qualsivoglia forma per completare un sound che percepisco monco, sebbene la sua struttura complessa si muova tra frangenti più intimistici ("L'Eloge de la Folie"), altri più ambient ("Rose-Croix") fino ad arrivare ad altri math rock oriented ("Il Principe"). Diamo un significato più profondo a questi titoli, diamo un'espressione alla musica, diamo spazio alle parole... (Francesco Scarci)

Hevein - Sound Over Matter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Thrash/Metalcore
La “Terra dei Mille Laghi”, da sempre è fucina di talenti infinita. 'Sound Over Matter' è stato il pass d’ingresso nel music business degli Hevein, act finlandese in giro dal 1992, ma che soltanto nel 2005 riuscì a sfornare il tanto sospirato album d’esordio, ma anche il solo prima dello split del 2012. C’è subito da dire che il tempo impiegato per uscire sul mercato, ha dato sicuramente i suoi effetti con un risultato abbastanza soddisfacente e di gradevole ascolto. Il sestetto scandinavo propina un sound ricco di piacevoli sfumature e sorprese. I dieci brani contenuti in 'Sound Over Matter' palesano prima di tutto un immancabile gusto per le melodie, ma anche la voglia di uscire dagli stereotipi e trasmettere tutta la loro passione per la musica... musica, che è un susseguirsi di emozioni, riffoni heavy che sfociano in territori thrash stile Bay Area, influenze derivanti dal crossover dei tedeschi Pyogenesis e da contaminazioni metalcore americane; e ancora, parti atmosferiche e l’accompagnamento di un violino, caratterizzano le ritmiche martellanti della band, con voci growl ma per lo più pulite, che si scatenano all’interno dell’album che risulta come uno spaccato di luci e ombre disseminato in un vortice di suggestive visioni autunnali. Gli Hevein sono dei bravi musicisti, capaci di spaziare dai suoni granitici tipici del thrash/metalcore a momenti più pacati e ragionati. Ascoltate “Only Human” e anche ai metallari più integerrimi si scioglierà il cuore. Come non citare poi l’ultima e immensa “Last Drop of Innocence”, dove i nostri sembrano trasformati in una nuova incarnazione dei Pink Floyd: le vibrazioni che trasmette questo brano sono veramente notevoli, con inevitabili e forti richiami anche ad 'Eternity' ed 'Alternative 4' degli Anathema. Ben prodotti da Mikko Karmila, gli Hevein si palesarono come un act dalle potenzialità enormi, peccato solo per il prematuro scioglimento. (Francesco Scarci)

(Spinefarm - 2005)
Voto: 75

http://www.hevein.com/

martedì 22 agosto 2017

V/A - Mixed by Focal - Polarity

#PER CHI AMA: Electro Techno Music/Ambient
Difficile giudicare un lavoro così imponente, trattandosi fondamentalmente di ambient music, ritengo che sia da considerare una vera chicca per stoici appassionati del genere, una sfida che la sempre verde Ultimae Records ha voluto lanciare ai suoi più tenaci seguaci. Una collezione di hand - mixed monumentale che supera l'ora di durata per entrambi i lati, per così dire se fosse un vecchio vinile, uno etichettato come "Ambient Side" l'altro come "Techno Side", contenenti entrambi brani di autori noti, appartenenti all'etichetta transalpina, da Aes Dana a Deadbeat e molti altri, passando per gli alter ego, Focal e Kinosura, dello stesso autore dell'opera, ossia Amaud Galoppe. Celato sotto lo pseudonimo di Focal, Amaud si diverte a reimpastare e rivisitare i brani suoi e dei colleghi come se dovesse preparare una pozione magica che nella parte ambient acquista un valore assai alto in termini di profondità e devozione, mentre nella parte techno, disperde un po' della sua carica evocativa in favore di un sound ricercato, coinvolgente ma sterile in fatto di esplorazione cosmica e spirituale, più incentrato su ritmi frastagliati e suburbani e con l'orizzonte aperto a lussurie drums'n'bass/acid house e dance music. Il lavoro è sicuramente notevole per quanto riguarda l'ambient side (il mio preferito) con un gusto sonoro adorabile. Molto più leggera ma non scialba o banale, l'altra sua espressione in forma techno, da locale notturno di classe ad alta fedeltà, con il classico sound teutonico in salsa psichedelica e un moderato impulso nelle percussioni e nei bassi. Si continua sulla falsariga del genere coniato ad immagine dell'etichetta francese, con un'altra opera di prim'ordine, decisamente sempre sopra alla media, con qualità e resa sonora ai confini della realtà, dove l'uomo e la macchina s'incontrano in scenari da film cerebrali, astratti e psicologici, mari di droni digitali coloratissimi e oceani cristallini, mostrandosi come una vera autorità in campo ambient elettronico. Bella anche la possibilità di ascoltare il full mix (ovviamente da ascoltare in toto nella sua forma integrale) di entrambe le versioni, oppure, in brani singoli a 24bit che troviamo sulla pagina bandcamp dell'etichetta, accompagnati da un bel artwork alchemico, derivato dall'opera degli artisti plastici Suzy Lelièvre e Raphaël Kuntz. Buon ascolto, cercate solo di non perdervi in questo nuovo fantastico viaggio mistico verso luoghi e mondi immaginari. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2017)
Voto: 80

https://ultimae.bandcamp.com/album/polarity

ÆRA - Of Forsworn Vows

#FOR FANS OF: Black, Emperor, Satyricon
"An Affirmation of Forsworn Vows" astutely builds its intensity to blasting height with a grating guitar texture that becomes a template for devastation later in the song. In regular black metal fashion, the tireless strings fill the air with choking clouds of sawdust as ÆRA extracts beautiful moments out of the ever-shredding grain beneath each riffing stroke. ÆRA 's rough and tumble black metal sound makes for good battle music when it erupts in fury before diving deeper into entangling its lead riff around a trestle table celebrating victory.

With plenty of atmospheric synth, a jagged juxtaposition of dragging tempo and raging temperament, and a hypnotically repetitive style that consistently forces itself onward to the next great change, this band concisely and distinctively demonstrates its handle of some of black metal's most recognizable aspects throughout 'Of Forsworn Vows'. Plenty of cymbal crashes and tinks cut through the wailing walls of guitar in the most intense moments of “Litany of Iron I: Ancient Graves of the Fallen – II: Rekindled Fires” before entering into the hall of a Satyricon style riff. ÆRA lyrically touches on notions of living and dying by the sword while surrounded by fallen brethren, ancestral rites to lands that face relentless savage sabotage, and metaphysical slaughters across mythical worlds that mimic diabolical discord on Earth. Though the band's name may translate to honor in Icelandic, the extensive violence described in “Die Wulvsara (Am Ende der Zeit)” shows that little honor will result from Ragnarok, but with how tremendous the battle is promised to be there is no place that anyone would rather be. There is elegance in this closing track as the percussion hammers home the wailing lead riff and its sobbing rhythm rejoinder while a synth backdrop uplifts the impact of the charge through Emperor's echos. After nearly eight minutes of a slow-moving build to the battle, the pieces are all set to take each other in a fierce exchange that leaves no sword unbloodied and no winner atop the mountain of carnage.

ÆRA has a first start that frequently hits at moments of Satyricon and Drudkh through this hypnotizing EP. With a good handle on their black metal and a raw production that affirms this proud and open-ended atmosphere, it will be an interesting evolution to hear how this group climbs further up the stairs of speed and momentum to materialize a monumental sound in the treble-tinned ears of black metal fans. (Five_Nails)

Postvorta - Carmentis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Quando si parla di post-metal in Italia, non si può assolutamente prescindere dal conoscere i Postvorta. Dopo gli enciclopedici 'Aegeria' e 'Bekoning', due colonne portanti in stile dorico del metal nostrano, i nostri ci offrono un’altra opera degna e figlia diretta dei suoi predecessori: 'Carmentis', edita da Third I Rex in UK e da Argonauta in Italia. Il nome sembra fare riferimento alla dea romana Carmenta, protettrice delle gravidanze e dotata del dono della profezia. Anche l’artwork rievoca lo stesso significato, il feto umano nell’utero richiama infatti il susseguirsi inesorabile del ciclo della vita e della morte nella sua fase di rinascita e di costruzione di un nuovo inizio. Premetto che la mia opinione su questo progetto verrà sicuramente influenzata dal fatto di averli visti live svariate volte e aver condiviso con loro il palco, ma credo questo sia solamente una conferma della qualità musicale e dell’imperturbabile identità artistica che i Postvorta portano avanti da parecchio tempo. Veniamo al dunque, 'Carmentis' è un porta d’entrata per l’universo del nulla, è un tempio all’ignoto e alla catarsi, dove ogni forma di pensiero umano si sgretola davanti alla maestosità estemporanea del suono. I pezzi principali sono incorniciati da due tracce soniche "15" e "13", rispettivamente intro e outro del disco, a rafforzare l’approccio post alla stesura dell’opera. In "15" si percepisce subito una voce femminile che danza assieme ai suoni ancestrali delle chitarre, a richiamare di nuovo il tema della maternità e della rinascita. Le colonne portanti dell'album poi sono i tre brani centrali, che assieme sommano a quasi 35 minuti. "Colostro", il primo dei tre, inizia con un breve ambiente sospeso a tratti quasi rassicurante, che ricorda “Carry” degli Isis, sostenuto solo dalla batteria e da pochi eterei intrecci di note. Il brano presto divampa come un incendio estivo alimentato dalla voce decisa e imperiosa di Nicola che si staglia sulla struttura di cemento armato, alluminio e ghiaccio creata dalle tre chitarre e della solida sezione ritmica dei Postvorta. Non pensare ai Cult of Luna all’ascolto di questo pezzo ed in generale di questo disco, sembra quasi impossibile. La sensazione è quella di entrare nella sala del trono di un monarca antico e dimenticato, inginocchiarsi a lui con rispetto e devozione per ascoltare i suoi ordini impastati nell’eco dell’alto soffitto della sala. La volontà del Re è guerra, morte e distruzione ma si percepisce la sua infinita saggezza forgiata da innumerevoli battaglie che convive con l’esasperato senso di appartenenza alla propria gente e ad un profondo amore verso i propri sudditi. Alla fine del pezzo si sente l’aria fredda che entra dagli spifferi delle vetrate dietro il trono e mi accorgo di non essere più in ginocchio ma seduto, da suddito sono diventato il Re stesso. "Cervice" mi catapulta direttamente sul campo di battaglia, gli eserciti sono schierati e marciano attraverso una landa desolata ed ostile. Il bagliore delle armature e il rumore ritmato della marcia inondano la valle, pare invincibile la mia armata, niente e nessuno potrà mai sconfiggere un tale dispiegamento di forze. Tornano gli ambienti onirici che levitano a mezz’aria per poi tornare a tuffarsi nel fango di sontuosi riff sludge fino ad arrivare alla coda dronica dove le melodie si distruggono e si gettano nel pezzo successivo, "Patau". L’immaginario a questo punto subisce un lieve turbamento, il pezzo è il più travagliato e il più potente del disco, come se l’esercito antico avesse inaspettatamente incontrato il proprio nemico. Non sembra tuttavia essere l’orda di selvaggi sanguinari che vuole invadere le terre del Re, ma una violenta e implacabile tempesta di ghiaccio e neve che sorprende l’accampamento nel cuore della notte. Il vento taglia la pelle, ghiaccia i cavalli e scoperchia le tende. I soldati non possono nulla, le armi di ferro non hanno nessuna utilità. Rimane solo accettare il proprio destino e soccombere alla forza infinita della natura che così come ci ha creato, ci può distruggere in un soffio. Il disco si chiude con "13" e i suoni di archi antichi e note desolanti, come a rimirare alla luce dell’alba, il campo di battaglia per l’ultima volta. Una valle cosparsa di cadaveri congelati, di armi intatte e animali morti coperti da una coltre bianca immacolata. Il silenzio regna sovrano, non una goccia di sangue è stata versata. Onore ai Postvorta. (Matteo Baldi)

(Third I Rex/Argonauta Records - 2017)
Voto: 80

https://3rdirex.bandcamp.com/album/carmentis

Ergotism - Notre Terre, Nos Aieux, Notre Fils et Nos Morts…

#PER CHI AMA: Pagan Black, Falkenbach, Otyg
Egregia riedizione in cd della prima opera uscita indipendente nel 2015, dell'oscuro combo francese degli Ergotism che ben figura tra le fila della combattiva etichetta teutonica Pesttanz Klangschmiede e che convince a pieno merito. La teatralità evocata dal canto pagano e violento, ricorda le malate escursioni dei Peste Noir in una versione più viking metal, per un dichiarato amore per il versante tedesco. Evocativo ed ancestrale, l'album del duo transalpino si snoda tra echi di Otyg, Tyr e un black metal riesumante i gioielli iniziali dei Covenant (leggasi 'In Times Before the Light') e tutto quel filone teutonico con il suo freddo e nervoso sound. Il suono è qui tagliente e guerriero, glaciale e ben congegnato nelle sue vocals che variano e s'intrecciano spesso tra screaming ed epiche liriche in puro stile vichingo. "Vinctus de Morte" è apoteosi per le mie orecchie con il suo inusuale, statico, alquanto violento e sensazionale finale che esalta la forma compositiva degli Ergotism (da non confondere con altre omonime band francesi e non, che si trovano su bandcamp), che riescono a dare una nobiltà alla parola pagan e black metal con una chiusura del brano cosi emozionale che vorrei non finisse mai. Il pagan, il folk ed il black convivono nella giusta misura e ad ogni nota che avanza, l'atmosfera diventa sempre più battagliera, cupa, nebbiosa ed originale. La band, senza mai dimenticare la melodia ed il pathos, scrive tracce esaltanti, ricordando maestri del calibro dei Falkenbach, arte che si manifesta e ne contraddistingue il sound, snodandosi in valide aperture acustiche ed eteree in stile Agalloch, come nel brano "Lux Davina". "Victoria & Honorem" è imperiale nel suo approccio apocalittico, maestoso manifesto sonoro decadente, carico di splendore e orgoglio che riflette il suo titolo fieramente. Tutti i titoli sono in lingua latina eccezion per "La Danse des Mort" affidata, in maniera divina, al francese. I titoli peraltro riescono a caratterizzare ancor di più questo primo full length e se osserviamo il titolo dell'album fissando la sua copertina, è naturale accostare questo lavoro al concetto di vero e proprio inno guerriero, all'arcigna volontà di sopravvivenza di un popolo. Il disco è alla fine perfetto per chi ama questo tipo di musica, epica, profonda, nobile ed introspettiva. Insomma, un disco d'altri tempi. (Bob Stoner)