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lunedì 30 gennaio 2017

Kiuas - Reformation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Power Thrash, Nevermore, Ensiferum
Vedendo le facce di questi ceffi avrei scommesso 100 € che si trattasse di una band finlandese, poi la casa discografica prima e il sound dei nostri dopo, non hanno fatto altro che confermare le mie ipotesi. Trattasi dei Kiuas, band dedita ad un power thrash, che con 'Reformation' il loro secondo album del 2006, hanno sicuramente contribuito alla gioia degli amanti del genere. Tecnica squisitamente all’altezza delle mie aspettative, gusto per la melodia tipica finlandese, composizioni orecchiabili e di facile presa: ci sono tutti gli ingredienti affinché i Kiuas potessero conquistarsi un posto di diritto nell’olimpo dei grandi di questo genere (e forse per un po' ci hanno creduto anche loro, prima dello scioglimento nel 2013). Ottime e ben strutturate le linee di chitarra; bravo il vocalist, capace di spaziare da timbriche più suadenti ad altre più urlate ed aggressive, eccellente il tastierista, sempre in primo piano a creare momenti atmosferici. Ottimi pure gli assoli, con i due axemen che si incrociano e sfidano in interessanti duelli chitarristici. C’è poco da fare, la Finlandia è da sempre fucina di talenti e i Kiuas non hanno fatto altro che confermare la regola. Da segnalare la sesta traccia, “Black Winged Goddess”, song dall’inizio furioso, dalla ritmica bella tosta e dal growl profondo del vocalist, peccato poi vada un po’ a scemare d’intensità. Interessante poi, qualche inserto dal vago sapore folk, soprattutto udibile nella title track posta a chiusura dell’album. Band davvero buona, peccato non abbia ottenuto il successo che forse meritava (Francesco Scarci)

(Spinefarm Rec - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/kiuasofficial 

domenica 29 gennaio 2017

Palmer - Surrounding the Void

#PER CHI AMA: Post Metal/Prog, Neurosis
Sarò franco: sebbene gli svizzeri Palmer calchino la scena da oltre 16 anni, io non ne avevo mai sentito parlare, almeno fino ad oggi. La Czar of Bullets contribuisce infatti a diradare la mia ignoranza, inviandomi quello che è il terzo album della band alpina, 'Surrounding the Void'. Un digipack contenente nove brani che "oscillano da qualche parte tra il post metal e il prog rock con timbriche sferiche". Ecco come desiderano essere identificati gli elvetici, che con la classica formazione a quattro (voce, basso, batteria e chitarra), sfoderano una prova, per dire in modo semplicistico, robusta. "Home is Where I Lead You" colpisce per il suo growling rabbioso e l'incisività delle ritmiche, grazie ad un riffing corposo che coniuga gli insegnamenti di molteplici band, da Neurosis a Black Sabbath, passando attraverso High on Fire, Meshuggah e primi Mastodon. Insomma, idee chiare su dove collocare stilisticamente i Palmer? "Misery" dice che la ritmica si fa ancor più rallentata, ben più profonda e che addirittura c'è spazio per qualche fuga in territori post rock, grazie a qualche simpatica parte acustica, che taglia la tensione saturante l'aria. Le song non appaiono di certo cosi lineari nel loro svolgimento e una certa carenza in fatto di melodie, non ne agevola l'ascolto, che alla fine risulterà parecchio impegnativo. Ma l'impegno nel dover ascoltare questo disco non è necessariamente un fatto negativo, spinge semmai a molteplici ascolti, ed in generale ad una più estesa longevità del disco. "Divergent" ha un incedere dilatato che evoca inesorabilmente le ultime cose più sludge di Scott Kelly e soci, con una seconda parte affidata ad una visionaria, nonché noisy, rivisitazione del sound della band californiana. Che gli svizzeri non fossero degli sprovveduti, l'avevo già intuito da tutta una serie di piccoli segnali, ma dopo aver sentito di che cosa sono capaci qui ma soprattutto nella successiva "Artein", mi ritrovo a sottolineare le notevoli capacità tecniche di questo quartetto. A parte che mi sembra di aver a che fare con una nuova band, questa volta dedita ad un prog rock strumentale; dovreste sentire con quale classe ed eleganza, i nostri si destreggiano con la loro strumentazione. Con "Digital Individual" si torna a pestare sul pedale dell'acceleratore con un'altra song irrequieta, che nel break centrale si concede questa volta a divagazioni prog/jazz, che consentono al combo bernese di prendere un po' più le distanze dai gods citati ad inizio recensione e togliersi l'etichetta di meri emulatori. Direi a questo punto che è nella seconda parte di questo disco che si racchiudono le peculiarità di questi musicisti: dall'intimismo di "Fate Hope", in cui il vocalist Steve prova anche a modulare maggiormente la propria timbrica, alla più tumultuosa "Importunity", granitica nel suo rifferama, qui a tratti melodico. Il disco è lungo, oltre i 60 minuti e quando si arriva verso il fondo, mi sento ormai piegato sulle gambe, sfiancato dal lavoro tortuoso a livello ritmico, di cui farei un plauso al bravissimo Remo dietro alle pelli e a Jan alle chitarre, per l'eccellente lavoro proposto in una traccia dinamica com'è "Rising". Non posso soprassedere a questo punto nel non citare anche Ueli, preciso con quei suoi fendenti di basso, che completano il quadro di una band matura al punto giusto per fare quel salto di qualità che ci si aspetterebbe da una band sulla scena da parecchio tempo. D'altro canto, io non li conoscevo proprio fino a ieri, ma oggi posso certamente affermare che i Palmer sono una band da supportare alla grande. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2016)
Voto: 80

sabato 28 gennaio 2017

Dawn on Sedna - Our Sky Has Changed

 #PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna, Isis
Credo di avere sottovalutato quest'album e questa band, indi per cui devo fare immediatamente ammenda per la mia superficialità. Forse non mi convinceva un artwork troppo semplicistico o un sound che di primo acchito non ho trovato cosi cristallino causa forse suoni troppo impastati, mah. Fatto sta che invece 'Our Sky Has Changed' denota una certa conclamata maturità artistica dell'ensemble toscano, che conferma ancora una volta il buon stato di salute di cui gode la scena italiana, almeno a livello di uscite discografiche; tralascerei poi gli aspetti più puramente legati al music business. A parte questo, il debut dei Dawn on Sedna è un bel disco di post metal, contenente sei canzoni più la classica intro. I nostri partono con convinzione con "Amniotic Sea", una traccia sicuramente roboante a livello ritmico con una potenza da far tremare i polsi, al contempo con delle suadenti atmosfere ambient/post rock da brividi, in cui il vocalist modula un cantato che si muove tra il classico animalesco growling e qualcosa di molto vicino ai Fields of Nephilim. Davvero niente male. Soprattutto perché le cose vanno migliorando di brano in brano, in cui i nostri danno maggior spazio alla componente post metal/sludge senza tralasciare tuttavia le immancabili e fondamentali parti acustiche che stemperano la causticità di un suono profondo, infausto, dilatato, a tratti apocalittico ("The Rest"), dove la voce assolve ancora una volta un ruolo fondamentale nel rendere il tutto decisamente più armonico. L'arpeggio malinconico non manca in apertura di "Adlivun Rituals", una traccia straziante a livello emotivo, in cui Alex, dietro al microfono, offre una prestazione sofferente nella sua componente pulita, mentre la song cresce piano insieme ad una musica ipnotica e celestiale, grazie ai riverberi chitarristici in tremolo picking degli axemen, sussurri musicali che rendono questa monumentale song la mia preferita di un disco che ha ancora da regalare ulteriori sussulti. Penso infatti alla tribal/ritualistica “Five Degrees on the Sky Line”, una sorta di semi ballad, almeno la prima metà, post metal; poi le cose cambiano drasticamente e dalle sue morbide melodie iniziali si passa ad una disarmonica e caotica struttura conclusiva. Ultima menzione per la sferzante "Descending Path", malvagia quanto basta per affermare che i Dawn on Sedna sono una gran bella scoperta da tenere strettamente monitorata in futuro. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 75

Intervista con Shores of Null


In occasione del tour autunnale dei Shores of Null, abbiamo incontrato la band capitolina e fatto due chiacchiere per sapere un po' di più del loro passato, presente e futuro. Di seguito il link all'intervista:

The Pit Tips - Best of 2016

Caspian Yurisich

Vektor - Terminal Redux
Metallica - Hardwired... To Self Destruct
Nadja - The Stone is not hit by The Sun, nor Carved with a Knife
Recitations - The First of the Listeners
Conan - Revengeance

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Francesco Scarci

Thy Catafalque - Meta
Fallujah - Dreamless
Coldworld - Autumn
Saor - Guardians
Cult of Luna and Julie Christmas - Mariner

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Don Anelli

Inquisition - Bloodshed Across the Empyrean Altar Beyond the Celestial Zenith
Wormed - Krighsu
Maze of Terror - Ready to Kill
Untimely Demise - Black Widow
Decimated Humans - Dismantling the Decomposed Entities

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Eric Moreau

Striker - Stand In The Fire
Cauldron - In Ruin
The Hazytones - S/t
Asteroid - III
Sumerlands - S/t

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Kent

David Wohl - Holographic
Mélanie De Biasio - Blackened Cities
Sleepwalker - 5772
Lifeless - Unstable Structures
Laura Cannell - Simultaneous Flight Movement

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Five_Nails

Trees of Eternity - Hour of the Nightingale
Drudkh/Grift - Betrayed by the Sun/ Hagringar
Homicidal Raptus - Erotomaniac Hallucinosis
Waldgefluster -Ruinen
Black Sabbath - The End

Horn - Turm am Hang

#FOR FANS OF: Epic Folk Black, Drudkh, Waldgefluster
Horn is the kind of one-man black metal band that many of today's bedroom black metal blasters can take some inspiration and notes from. With the album 'Turm am Hang', which (as aptly illustrated on the cover) quite literally translates to 'Tower on the Slope', the old German mainstay of being as literal as possible is beautifully demonstrated alongside the forthright power of some dead-on exhilarating music. So far the title track is the only single of this album and has a great video of the process of illustrating the cover, but I'm sure that metal fans can easily understand why this reviewer believes there to be a striking series of superb songs on this album that can each be considered hits. Horn's matchless mind, Nerrath, has built a formidable structure, composed a captivating aesthetic, and etched it into an imposing black metal monolith.

The album opens with a dour long-winded sigh of a guitar melody that morphs into an intoxicating and inspiring sound. This uniquely frenzied approach is forcibly freed from the fetters of familiar forlorn folk pieces that bridge on banality as they endlessly echo each other. While most black metal accentuates the morose, Horn celebrates the beauty of the melancholy. Riffs revel in dissonant resonating guitars, proudly wailing in an anthemic obscurity, drawing the listener into pensive melodies that, in defiance of their frigid arrangements, become inspirational reveries with an upbeat percussive heat and beer hall style harmonic bliss. This is some after-the-battle beer drinking, fist pumping, headbanging black metal that's not all up its own ass about being cold, kvlt, and hiding in a cave. Instead Horn is celebrating another great evening in Valhalla surrounded by brethren in victory or defeat. Horn also lyrically appreciates nature and the forest, a common theme with many of this band's black metal contemporaries. The fury and structuring of each song puts the band closer on par to the likes of Drudkh and Waldgefluster as riffs round out with some folk and Celtic edges, smatterings of influences that enhance the echoes of fellowship and camaraderie without just repeating the same stances just so say he went there. “Verhallend in Landstrichen” is where you will experience the first major turn from a pair of songs that seemingly go their separate ways to a sound that builds an increasing energy flowing forth from the next three songs. As these pieces grow in intensity they keep a common rhythmic core with a correspondence from the treble issued throughout these marvelous four. The high water marks of 'Turm am Hang' happen in this series of songs where the chorus in “Totenraumer” is signaled by the toll of a bell, the Maidenesque opening of “Die mit dem Bogen auf dem Kreuz” becomes a headbanging hail to badass black metal, and “A(h)renschnitter” envelopes you in shredding melodies undulating around the robust snare hammering. This is an album that must be played live, loud, and to a very drunk crowd. It would be a privilege to see such a spectacle.

After a short interlude called “Lanz und Spiess”, a delirious and unusual track that sounds like the machinations of a restless mind sleeping off the delusions of the drink, the album closes with two strong but slower songs. Like awaking and setting off to task, “Bastion, im Seegang tauber Fels” wearily marches to a new position, forming up and stretching its martial rhythm in preparation for today's predestined practice. “The Sky Has Not Always Been This” sings of the rise and fall of civilizations, the birth and rebirth that humanity has always undergone while the soil underfoot was tread bare by man's ambition. There is some interesting and well-thought arrangement in these songs, some experimentation with different concepts, and a keen ear for production quality throughout Horn's 'Turm am Hang'. While most one-man bedroom black metallers would be quick to describe loneliness, Horn creates a unifying atmosphere throughout the meat of this album. This is a welcome difference to the style of this branch of black metal that has carved out a unique notch in the overall musical tree. (Five_Nails)

(Northern Silence Productions - 2017)
Score: 80

giovedì 26 gennaio 2017

Rudra - Enemy of Duality


#FOR FANS OF: Black/Death
Count me in as pretty impressed. Rudra made a big impression on me on 'Kurukshetra'? Think it was that one. Back then I was an 18 year old belatedly getting into extreme metal who was blown away by just how different it sounded. These days I'm much harder to please, but to my surprise, I found myself digging this album just as much.

I reckon the obvious comparison here would be Nile. I mean they don't exactly sound all that alike, but Rudra's thrashing, often death-ing metal has a lot of similar hallmarks- namely a dedication to going for exactly one and one vibe only, fascination with a bunch of old, dusty things and a tendency to use the same scale over and over again. The ancient, mystical culture they're trying to invoke is just a bit further east, that's all.

And they're really good at it. It's arguably a team effort - the guitarist throws out a lot of pretty decent riffs - but it's really a percussion and vocal based thing. The vocals - this big midranged snarling thing, growling away in a bunch of languages and really adding a powerful, rich, very fierce vibe to proceedings. There's this tendency in tracks like "Hermit in Nididhysana" for him to get into a fairly repetitive, ritualistic mood and it's freakin' great. All up it's those moments - much of "Hermit", the epic closer and "Roots of Misapprehension" to pick a few examples - where Rudra are at their finest. They can do fairly decent, crunchy death metal but it's when the drums start getting increasingly off beat and things get a bit trancey that the band takes off and things get really fun.

There's a few nit-picky criticisms, perhaps - the production could certainly be a bit beefier, and the bass is reduced to a rumbling somewhere in the distance, and a few of the riffs, particularly earlier in the album, are a bit weak. I really like this album, but you certainly get the feeling that if Rudra just went a bit more off the deep end - a few more far-out parts, and perhaps a more intense riffset at times - then you'd really have an all-time band on our hands.

As it stands though, I'm still playing this regularly a month or so after the initial promo download, which says a lot. Well worth your time, 'Enemy of Duality' is definitely a quality album. (Caspian Yurisich)

(Transcending Obscurity - 2016)
Score: 80

https://rudrametal.bandcamp.com/

Tystnaden - Sham of Perfection

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Lacuna Coil
Tra le band che ho tenuto a battesimo fin dai loro esordi, quando i nostri mi spedirono il loro demo Cd omonimo nel 2000, ci sono i Tystnaden. Di strada ne hanno fatta parecchia questi sei ragazzi friulani, che con 'Sham of Perfection' giunsero al debutto. Era il 2006 e il sound dei nostri nel frattempo era già mutato dagli inizi, quando l'act italico proponeva uno swedish death, frutto della innata passione per In Flames, Dark Tranquillity e Sentenced. Ascoltando questo disco, è palese invece la virata della band verso sonorità più soft, che richiamano di primo acchito Lacuna Coil o i ben più famosi Evanescence. La voce di Laura infatti, grazie alla sua notevole estensione, garantisce un’ottima performance vocale; un po’ più fuori posto per il genere invece, i saltuari gorgheggi del vocalist, retaggio di un passato non ancora sopito. La musica dei Tystnaden, abbandonati gli estremismi degli esordi, viaggia qui su coordinate stilistiche più progressive e classiche. Non aspettatevi quindi le cavalcate alla Dark Tranquillity o i riff alla In Flames, nulla è rimasto di tutto ciò. I Tystnaden del 2006 sono una band rinnovata, con buone idee, preparata tecnicamente (ottime le strutture e le linee di chitarra), che apparentemente ha trovato la propria dimensione con questo genere più commerciale, che comunque è ancora in grado di regalare profonde emozioni. Gli amanti di sonorità gotiche non si lascino sfuggire l’ascolto del disco d’esordio dei Tystnaden, una band che tanto aveva da dire e che negli anni si è forse un po' persa per strada. (Francesco Scarci)

(Limb Music - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Tystnaden