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domenica 17 marzo 2013

Endezzma – Erotik Nekrosis

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Deathspell Omega
Gli Endezzma sono norvegesi e sono al loro primo full lenght uscito nel 2012 per l'Agonia Records dopo un e.p. del 2007 e dopo varie vicende sfortunate, tra cui la scomparsa del virtuoso chitarrista Trond Bråthen, meglio noto come Trondr Nefas, chitarra e voce negli Urgehal, che qui possiamo ammirare nel suo talento compositivo. Tornando all'album, è notevole la sua forza di fondere potenza d'urto e melodia, la fusione di generi diversi tra loro come il punk, la psichedelia, l'avanguardia e il rock'n roll, tutti sotto l'unica bandiera nera del black metal, aprendo un sacco di nuove vie ad una musica estrema che si sta dimostrando più viva che mai negli ultimi anni. L'ascolto di questo album è consigliato e dovuto a tutti quelli che amano le mille destinazioni e le sfaccettature del genere, create ad arte ed in grande stile. Qui potrete trovare l'unione del black psichedelico alla Oranssi Pazuzu con l'irruenza dei Venom, le melodie gotiche e vampiresche dei primi Cradle of Filth e la forza iconoclasta dei Darkthrone in un mix eccezionale che anche se uscito postumo di cinque anni, si trova in linea ad oggi con tutte le nuove evoluzioni avanguardistiche del genere, tra cui uno stile chitarristico bellissimo, diviso tra Deathspell Omega e Ephel Duath, con una ricerca sonora personalissima di tutto rispetto. Ancora vi troverete di fronte ad aperture sinfoniche progressive e psichedeliche e caldi assoli all'interno di un calderone magico, grezzo e violento ai confini con il punk. Un mix di musiche estreme tanto diverse tra loro ma comunicanti ed egregiamente legate da un vocalist monotono e malato (in stile Lemmy ma molto più oscuro), perfetto per questa musica, suoni caldi e ruvidi rubati al rock e suoni atipici che ricordano gli ultimi Forgotten Tomb così lontani anni luce dalle fredde e taglienti sonorità, stereotipate di questo genere. Un gusto creativo e qualitativo che trova il suo apice a nostro parere in "Hollow" con la presenza di una chitarra assassina dall'arpeggio omicida e assoli slide sullo sfondo dal sapore blues oriented!?! , uniti in un brano dove anche il lavoro di basso e batteria, trovano la massima espressione in un mare di psichedelia dall'umore nero come la stanza più buia. Sette brani spaziali tutti da godere fino all'ultima goccia! Niente da aggiungere, questa è genialità allo stato puro, un lavoro da mettere nell'olimpo del black d'avanguardia!(Bob Stoner)

(Agonia Records)
Voto: 95

https://www.facebook.com/endezzma

Soul Storm - No Way Out

#PER CHI AMA: Melodic Progressive Rock
Formatisi in quel di Vicenza, i Soul Storm possono essere indicati come progressive rock. Questa descrizione però è incompleta, in quanto, nel loro primo EP “No Way Out”, si possono sentire (come presentato anche sul loro sito ufficiale) anche note di hard rock, pop, pop rock e progressive metal. Nell’attesa che esca un nuovo lavoro previsto per quest'anno, mi accingo ad esplorare il colorato mondo di questo ensemble conterraneo. L’album si apre con “Wrong Way Pt1”, dove la voce chiara e vibrante sovrasta rullate energiche di batteria e tastiere portate al loro apice. Già da qui si possono intuire gli svariati generi musicali menzionati poco sopra, che alternano molte sfumature del rock (prima il progressive, poi il melodic e anche una vena AoR) rendendo l’ascolto sorprendente. “Son of Hycarus” ricorda immediatamente gli Europe: chitarre sguinzagliate, cantato al livello più alto e tanto, tanto campionatore. La batteria, sebbene in secondo piano, riesce a ritagliarsi il suo spazio; il risultato è un sound dinamico, ricco e classico al tempo stesso. Si arriva a metà album con “Last Dusk”, che sembra essere più melodica e pacata, ma dopo qualche secondo il ritmo si libera e diventa più deciso, avvicinandosi velocemente alla loro vena più progressive. La batteria viene enfatizzata e accompagnata dalla chitarra elettrica, facendo muovere la testa con movimenti ben delineati. “Vitruvian Man” segue la cadenza ascoltata nella traccia precedente, con velocità e sollecitudine; brano prettamente strumentale, in cui si possono sentire tutti i componenti della band dar libero sfogo ai propri strumenti, quasi come se si fossero riuniti per una semplice jam session di riscaldamento, anziché per la registrazione dell’album. “Her Taste” si indirizza verso l’hard rock, ma mostrando sempre un marcato tocco melodico. Con “Wrong Way Pt2” si arriva alla fine di questo primo lavoro: malinconica, con un tono di voce più grave (ma senza rinunciare a spingere la voce verso le tonalità più acute) e ritmo ridotto, fino a sfumare nelle note di tastiera. Ora non resta che aspettare l’uscita del secondo album e vedere quale sarà il risultato. Per ora discreto. (Samantha Pigozzo)

Self-Evident – We Built a Fortress on Short Notice

#PER CHI AMA: Post Punk, Math Rock, Emocore
Dunque, avete presente come è cominciata la storia di Javier Zanetti all’Inter? Moratti voleva comprare Sebastian Rambert, promettente centravanti argentino dell’Independiente e tornò a casa con il giocatore voluto più un altro “a corredo”, un terzino sconosciuto che si pensava fosse stato inserito nel pacchetto dagli scaltri procuratori. Poi Rambert non lasciò pressoché nessuna traccia, mentre la carriera di Zanetti in nerazzurro sta assumendo sempre più i contorni del mito. Questo parallelismo serve per spiegare l’avventura nel mio stereo di questo dischetto dei Self-Evident, trovato nel pacchetto con cui mi è stato recapitato il lavoro di un altro gruppo, compagno di etichetta, che era il mio reale obiettivo. Non augurando ai Buildings (di cui parlerò diffusamente in separata sede) di fare la fine di Rambert, mi trovo a constatare come i Self-Evident, giunti con questo al loro sesto lavoro (!), abbiano preso possesso del mio lettore cd come Zanetti della fascia destra del prato di San Siro. Quello del trio di Minneapolis è un rock molto peculiare, che coniuga bene l’impronta di stampo math e post-hardcore con una spiccata sensibilità e capacità di scrivere grandi canzoni. Quello che appare subito molto evidente è la loro straordinaria perizia tecnica, sempre però tenuta dovutamente a bada, sempre funzionale alla canzone. Dopo un inizio vigoroso, in cui si mette in mostra la compattezza della sezione ritmica e il modo di cantare “urlato ma controllato”, che ricorda un po’ i Fugazi o i Cursive, la musica dei tre si dipana in maniera più elaborata e meno fisica, ricordando in più di un’occasione i mai troppo lodati Firehose dell’immenso Mike Watt, con il basso a fare spesso la parte del leone, delineando riff e linee melodiche, mentre la chitarra fa da contrappunto e sostegno armonico, come si usa nel Jazz, e la batteria sostiene, rallenta e improvvisamente accelera, come fare rafting in Colorado. I tre sono bravissimi nel trattenere la tensione emotiva, controllandone le oscillazioni e i crescendo in pezzi che raramente superano i quattro minuti. In questo senso, canzoni come "Our Condition", "Half Bycicle", "Bartertown" sono autentici gioielli di costruzione ed equilibrio tra quiete e nervosismo. Menzione d’obbligo per i testi, densi e profondi, e il modo sofferto in cui vengono vissuti e cantati nell’arco di questi dieci pezzi per soli 37 minuti, un concentrato di tali e tanti spunti musicali e non, una macchina perfetta perché non sembra una macchina, ma una cosa viva e pulsante, che trova la sua massima espressione in una canzone capolavoro come "Cloudless". Tanto di cappello, e adesso mi metto alla caccia dell’intera discografia. (Mauro Catena)

lunedì 11 marzo 2013

Hybrid Circle - Before History

#PER CHI AMA: Prog Metalcore, Textures, Fear Factory
Che strazio. È molto semplice sintetizzare quest'ultima opera degli abruzzesi Hybrid Circle: un concept album ispirato ad un libro scritto da loro, con musica influenzata dal peggio dei Fear Factory e dei Meshuggah. Già dall'intro di ben 2:46 secondi in parlato, mi viene voglia di cambiare disco. Il growl monocorde (essendo anche un tantino più alto degli strumenti lo rende quasi insopportabile) affiancato a chitarre ultracompresse che girano intorno a dei banalissimi groove midtempo, regnano incontrastati sul disco, annichilendo la mia infinita pazienza da ascoltatore. Tutto ciò è incorniciato da un'ambiente sci-fi e fantascientifico riconducibile ai testi ed ai synth, che freddi e chirurgici come i ritmi, ogni tanto saltano fuori ravvivando le composizioni. La parti in cantato pulito sono molto gradevoli e mi riportano ai Textures, peccato solo che vengano usate in rare occasioni come in "Overture 209" dove vengono anche facilmente dimenticate dopo l’ossessivo ripetersi del riffing, l'unico attimo di rianimazione si ha nella parte centrale del disco con "Wisdom Popular" e "Onset", le sole tracce leggermente migliori delle altre. Un disco che non s'ha da fare, se non per tecnica ed esecuzione. (Kent)

(Build2Kill Records)
Voto: 55

http://www.hybridcircle.org/

Phazm - Antebellum Death’n Roll

# PER CHI AMA: Death’n’Roll, Allhelluja, Entombed
Come preannuncia già il titolo dell’album, ci troviamo di fronte ad una band di death’n’roll, nata dalla passione che accomuna Pierrick Valence e Patrick Martin (già membri degli Scarve) per questo genere di musica. A differenza di altri esempi di death’n’roll (i nostrani Allhelluja, gli Entombed o gli Xysma), qui la base di partenza ha un sound più oscuro e malvagio, pur mantenendo quel groovy di fondo che caratterizza questo stile: ascoltatevi “Hunger”, il miglior brano del disco, vera perla nera di brutalità mista a divertimento o “My Darkest Desire” o ancora la funerea “Damballah”. Il bello di questo disco è che i brani non sono per niente scontati: sono selvaggi, talvolta bizzarri come “Sabbath”, arrivano a sfiorare, ma senza mai raggiungere, i confini del rock’n’roll. Il risultato che ne deriva è ben diverso dalle band sopraccitate: mentre gli Allhelluja sfoderano una miscela esplosiva di death e stoner, o gli Xysma sono già immersi in atmosfere seventies, qui ci s’incammina in territori death-black-doom dove a dominare è la malvagità, ma poi stravaganti soluzioni (ad esempio l’uso dell’armonica), linee di chitarra non proprio ortodosse, seducenti atmosfere groovy ed altre decisamente più sporche, delineano suoni unici, che lentamente s’imprimono nelle nostre menti e non ci lasciano più un filo di tregua. Da sottolineare per ultimo gli ottimi assoli sguainati dai due axemen. Un bravo all'Osmose che colse nel segno, mettendo sotto contratto una band con un disco davvero sorprendente, la cui uscita è stata accompagnata anche da un bonus dvd. Simpatico inoltre l’artwork e il layout del cd, in stile fumettistico sexy e macabro. Davvero interessanti... (Francesco Scarci)

(Osmose Productions)
Voto: 75

http://www.myspace.com/thetruephazm

Nuclear Strikes - Megastorm Eyes

#PER CHI AMA: Heavy Rock, Lee Aaron, Doro, Wasp, Riot
La band in questione arriva dalla Malesia ed è distribuita in via digitale dall' etichetta indipendente italiana Heart of Steel. Uscito nel 2012 questo EP è composto di sei tracce per un totale di 32 minuti ed il cd fisico è presente e distribuito solo per il mercato malese (info cd: madratts@yahoo.com). I Nuclear Strikes ci presentano un buon album di heavy rock intenso e veloce, figlio di band come Wasp o Riot, o Judas Priest per melodie e dinamiche ma con la particolarità di essere molto vicini sia come look che come sound all'hair metal di metà anni '80 come dichiara il loro press kit. Altra particolarità e sorpresa è che alla voce non troviamo un muscoloso cantante dai lunghi capelli vaporosi ma una fanciulla dall'accattivante aspetto, molto rock e dalla voce spettacolare, un'ugola d'oro da gustarsi ascolto dopo ascolto che unisce epicità e stile ad un'estensione che a volte sembra richiamare la Skin (vedi Skunk Anansie) dei primi album. Certo il genere è molto diverso dalla band di Skin e soci, ma bisogna ammettere che il fascino retrò di questa musica nata una decade prima dell'avvenuta degli Skunk Anansie ai più sembrerà ostile ma ascoltare album così oggi, ci fa capire che in giro per il mondo ci sono bands tutto sudore e grinta che suonano un heavy metal naturale senza comprimere o pompare i suoni all'inverosimile e senza affidare ad un computer l'intero esito di un album. Basti ascoltare la terza traccia dove gli spettri di “Close my Eyes Forever” della coppia Ozzy/Lita Ford riemergono con la sentita interpretazione della vocalist Steelgirl Ladyana che svolge un ottimo lavoro e risulta senza togliere onore all'intera band l'attrazione migliore del disco. La musica è compatta e ordinata, melodica e sporca al punto giusto, così tornano alla mente i Ratt, gli Scorpions e mille altri nomi dell'epoca. Un modo di fare rock sanguigno e credibile, buoni gli stacchi e il tiro della batteria e spuntano anche assoli di vaga reminiscenza iron maideniana e arpeggi degni di nota. Aggiungete una spruzzatina della migliore Lee Aaron, un tocco di Doro e avrete la pozione magica che i Nuclear Strikes vogliono farci avere per darci quel po’ di carica in più. Ci si accorgerà ben presto che questa band rivisita in maniera molto originale un genere che ha fatto storia e che indiscutibilmente questo EP per gli amanti del genere è molto appetibile! (Bob Stoner)

(Heart of Steel)
Voto: 80

http://nuclearstrikes.webs.com

Negativehate - In Cosmic Winter

#PER CHI AMA: Prog, Doom, Ambient
I Negativehate sono un quartetto dinamico (nel senso che gli artisti si susseguono nel tempo e nei lavori) di New York che calca le scene sin dal lontano 1995. L'attuale sound che fonde ambient/prog/metal/doom è il risultato di una lunga evoluzione che li portati dal loro acerbo industrial metal, passando per il grind più tecnologico. Dopo aver trovato queste poche info sul web, ammetto che non mi immaginavo cosa potessi aspettarmi da un percorso di vita musicale di tal peso. Quindi ascoltiamo l'album. Il cd apre con "They Live Inside the Sun", pregiata intro acustica che viaggia sulle note di due chitarre accompagnate dallo scorrere della pioggia. E con questo brano i Negativehate mostrano il loro lato ambient e si accingono ad assalire l'ascoltatore con il pezzo successivo dal groove più prog, caratterizzato dal cantato che sembra provenire da luoghi sconosciuti grazie all'uso di riverbero. Verso la fine si sente anche un growl che spiazza per la sua aggressività e male si sposa con il contesto. Magari la band voleva proprio questo, sta di fatto che se non ve lo aspettavate, rischiate un mezzo infarto. Questa è "Spiritwalker", canzone gradevole nei riff e nella struttura, ma allo stesso tempo nervosa e non semplice da affrontare. Personalmente definisco queste canzoni le "sobillatrici", per il modo in cui riescono a scuotere l'ascoltatore che potrà poi anche giudicarle negativamente, ma almeno ne è stato colpito. "The Last Red Dwfar" mostra un'altra faccia dei Negativehate, quella contaminata dal post rock che accarezza un po’ di stoner, diviene doom e ritorna alle origini. Dieci minuti così gestiti risultano meno difficili, ma a mio parere gli arrangiamenti doom sono proprio quelli che affondano il pezzo. Vero che i bpm bassi sono la caratteristica fondamentale del genere, ma bisogna saper dosare gli strumenti per non cadere in una marcia funebre tediosa e scontata. Peccato perché il pezzo è piacevole per tutti gli altri aspetti e bastava tagliare qualche parte per ottenere un qualcosa di meglio definito. Concludo con "Planet X" che dopo un intro campionata probabilmente da qualche film (chiedo perdono se non sono riuscito a identificarlo) si concentra sulla psichedelia dei suoni per ricreare un atmosfera ancestrale, proponendo un moderno sabba che vede i nostri Negativehate raccolti intorno ad un grande fuoco a contorcersi con la loro musica e innalzare il loro grido di protesta contro la decadenza dei valori. Nel libretto parlano di una contrapposizione tra poeti e politici, immagine di sfida che diviene attuale in questo nefasto periodo dopo elezioni. I Negativehate non mancano né di tecnica né di personalità e la loro evoluzione negli anni, unita alla caparbietà, dimostra che spesso un progetto va oltre la fama e il successo, ma cerca una soddisfazione personale. Come tanti altri casi l'artista avrà un riscontro limitato, ma sarà la forza che lo porterà avanti nel suo credo. (Michele Montanari)

(Piss Grey Sky Records)
Voto: 70

https://www.facebook.com/NEGATIVEHATE

domenica 10 marzo 2013

The Last Three Lines - Leafless

#PER CHI AMA: Rock Acustico, Post-grunge
Ad essere sincero, avevo un po’ snobbato questo slipcase di cartone che il buon Franz mi ha recapitato sulla scrivania, complici un primo ascolto distratto, dove quasi nulla era riuscito a destarmi dal torpore post-prandiale, e il termosifone dell’ufficio, che da ottobre ad aprile spara fuori aria torrida, senza possibilità di regolazione alcuna. Gli ascolti successivi si sono invece rivelati preziosi, e mi hanno spinto a cercare più informazioni su questa band di Barcellona, dedita ad un genere di musica che loro stessi definiscono come “barbuta” (!). Ho così scoperto che questo EP di sei pezzi – tutti rigorosamente acustici – offre uno spaccato più essenziale e spoglio (da qui il titolo del lavoro) della loro musica, solitamente più elettrica e robusta, sorta di pop-rock ipervitaminizzato, un po’ Muse, un po’ Phoenix. Le prime tre parole che mi sono venute in mente sono state “New Acoustic Movement”, ovvero quella scena – reale o presunta – che aveva preso piede sul finire degli anni ‘90 soprattutto in Inghilterra, impegnata a riscoprire il folk degli anni ‘60-70. E in effetti, qualcosa nella musica dei “The Last Three Lines” ricorda il folk-rock melodico e vagamente epico proposto ad esempio dai Turin Brakes (la bella “Lonely Parade”) o Tom McRae (l’incalzante “Insomnia”), in termini di timbrica vocale, cantabilità e sapiente utilizzo delle chitarre. C’è però dell’altro in questi sei pezzi: ci sono atmosfere vagamente grunge (l’iniziale “Trail of Breadcrumbs” non rimanda forse agli Alice in Chains di “Jar Of Flies?”), armonizzazioni vocali che richiamano la west-coast e anche una sorprendente vicinanza, per timbrica e una certa solennità inquieta, al Dave Eugene Edwards degli episodi meno torbidi dell’avventura Wovenhand. Non vorrei esagerare, ma sembra quasi che la veste acustica giovi alla musica degli spagnoli, esaltandone la scrittura e la freschezza, rispetto al tono un po’ troppo enfatico (ma sono gusti personali) della loro proposta “ufficiale”. Potrebbe essere uno spunto interessante per il prosieguo della loro avventura. Per il momento, noi ci teniamo volentieri questi piacevoli 22 minuti di musica “senza foglie”. (Mauro Catena)