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lunedì 4 febbraio 2013

Inverno - Inverno

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Overkill, Lazarus A.D., Bonded by Blood, Sacred Reich
La label italiana Punishment 18 lancia sul mercato questa nuova band vicentina dedita ad un trashcore molto interessante. Un solo demo di debutto intitolato “Thrashgressive” e questo fresco album del 2012 che porta il nome della band come titolo e praticamente tutti i canoni della musica rumorosa della Bay Area anni '90. Il lavoro è ben articolato, sprizza sudore da tutti i pori e mostra riff e cori da incorniciare. Anche se l'originalità non è proprio di casa e a volte certi passaggi ci sembra d'averli già sentiti altrove (in questo genere il rischio è molto alto!) i nostri sono dei bravissimi esecutori e prosecutori impeccabili di un genere che ha fatto storia. Buoni gli stacchi più bui e soft ma ovviamente il tiro è la loro arma migliore. Un sound secco e tagliente, rimodernato sulla scia di band che hanno riportato in voga il thrash negli ultimi anni come Bonded by Blood o Lazarus A.D. e un cantato ben fatto sullo stile hard core degli anni '80 e gli Slayer ultima versione. Il suono è molto moderno e carico di violenza, gli assoli da manuale, la batteria è un martello pneumatico, la voce ruggisce bene e tutto è al posto giusto ma forse per ricreare perfettamente quei bei tempi ci voleva un sound più sporco e impastato d'asfalto. Comunque vediamo che la band opta per un suono si derivativo ma comunque originale anche nel mixaggio, con uno sguardo al passato ma rivolti al futuro, cercando di dare nuova vita ad una musica che ha già dato tanto. Il fatto è che gli Inverno sono riusciti nel loro intento e hanno svolto il loro compito egregiamente sfornando un album con i fiocchi denso di stereotipi ma visti sempre da nuove angolazioni, rielaborati, pieni di adrenalina e dopo variegati ascolti si scoprono ritornelli e riff che risultano irresistibili come se Sacred Reich e Overkill suonassero covers dei mitici Negazione seconda fase (quelli meno hardcore che cantavano in inglese per capirsi). “Lager” è il nostro brano preferito così melodico, variegato e tirato da far paura! Una band con tanti assi nella manica e sicuramente da considerare una nuova promessa nel panorama thrash metal italiano. (Bob Stoner)

(Punishment 18 Records)
Voto: 75

http://www.myspace.com/invernometal

Devotion. - Venus


#PER CHI AMA: Nu Metal, Post-core, Deftones
Limpido e scorrevole questo secondo full length dei Devotion. Sì, come sempre effettivamente, ma apprezzo molto di più questo "Venus" del precedente "Sweet Party". In quest'opera la band si è evoluta non tanto in termini di songwriting o tecnicamente, ma in sede di trasmissione delle emozioni verso l'ascoltatore. Il disco fa trasparire fortemente l'adrenalina e la passione, alternate ad un flebile senso di pace che nel primo lavoro erano state offuscate dalla melodia e da un approccio prettamente anonimo e più incentrato sulla musica. La prima "Red Carpet" è ancora stazionaria ai livelli del primo album ma già dalla seconda "Dakota" si capisce che il suono sta cambiando notevolmente, ovvero i suoni sono più pesanti, il cantato è più orientato verso lo screamo e possiamo ritrovare questa impostazione anche nelle feroci "Drinkin' Shibuya" e "Golden Axe". Il duo "Nova" e "When You Tell Me a Lie" è meno movimentato ma riesce comunque a emergere grazie al suo approccio easy-listening. L'apice della creazione artistica di questa nuova release del combo vicentino si può sintetizzare in "Timeless Beauty" che comprende tutti i canoni del nuovo spirito dei Devotion. Ad abbellire questo disco troviamo nel finale la title-track, completamente strumentale e colma di una trascinante tranquillità. In definitiva questa nuova attitudine più aggressiva dei Devotion. mi garba alquanto e non deluderà gli amanti delle sonorità di San Francisco. (Kent)

(Bagana Records)
Voto: 85

http://www.devotionsound.it/

Phobic - The Holy Deceiver

#PER CHI AMA: Death apocalittico, Immolation, Incantation, Avulsed, Autopsy
Nel 2012 la label italiana Punishment 18 riporta nei nostri lettori cd, una band lombarda che, nata nel lontano 1997 e dopo il full lenght del 2002 intitolato “Sick Bleamished Uncreation”, si è schiantata in una serie di intoppi da far slittare fino ai nostri giorni questo bellissimo seguito intitolato “The Holy Deceiver”. La band si colloca sicura nell'ambientazione a lei più consona, ovvero il death metal vecchia scuola. Là dove erano rimasti, come se il tempo non fosse mai passato, nei primi anni '90, l'epoca di Incantation o Immolation, quell'epoca disturbante, sacrilega, macerata e putrida. Il cd suona benissimo anche perché gode di una produzione di tutto rispetto e modernissima. Drumming tiratissimo, chitarre che stendono tappeti devastanti e un growl praticamente perfetto e impeccabile. Ossessivo e pieno di intensità l'intero album non ha cadute né di stile né di potenza mantenendo la carica propulsiva dall'inizio alla fine, catturando inevitabilmente l'ascoltatore e accompagnandolo in un tormento nero e massacrante. Un lavoro che tiene costantemente l'ago della bilancia in equilibrio e che spicca di personalità. In un genere inflazionato da cloni questo album, di 38 minuti circa, emerge e difficilmente passa inosservato anche per le sue qualità compositive e canore (ottime le parti vocali di Theharian già impegnato anche con la chitarra!) che catturano e si lasciano ascoltare senza risultare ostiche pur mantenendo tutti i dettami del genere in questione. Echi di Avulsed e Autopsy, un velo leggerissimo dei primissimi Paradise lost (quelli di Lost Paradise) e tanto sound claustrofobico, anticlericale e tombale spingono questo lavoro impeccabile frutto di tanta passione, tenacia e abilità. I Phobic esigono tanto rispetto e dopo tutto questo tempo sono tornati a riprendersi il merito che gli spetta. Una band granitica e capace di fare grandi lavori come questo “The Holy Deceiver” carico di sentimenti e sudore, potenza e velocità, un ruggito oscuro che non deve passare inascoltato! (Bob Stoner)

Miroist - The Pledge

#PER CHI AMA: Djent, strumentale
Mi sembra di essere quasi un drogato in questo periodo, si di musica però e di non riuscire a farne proprio a meno. Ecco perché sto recensendo davvero tutto quello che mi capita a stretto giro d’ascolto. Quindi, imbattermi oggi in questi sconosciutissimi Miroist e rimanerne addirittura folgorato, direi che è davvero una botta di fortuna. “The Pledge” è un EP strumentale di soli tre pezzi, che rimette in auge un genere, che dopo i botti del 2011, targati Tesseract, Uneven Structure e Vildjartha, pare essersi un po’ perso per strada. Sto parlando ovviamente del djent e delle multiformi chitarre polifoniche che da sempre mi fanno impazzire, quando sono ben suonate e in grado di disegnare armoniose linee melodiche. E i qui presenti Miroist, di sicuro sanno il fatto loro, come imbracciare la propria strumentazione e come farla suonare nel migliore dei modi, trasudando alla fine, groove da tutti i pori. Mancherà anche un vocalist in questa release, ma ad un certo punto chissenefrega, io sbatto il cranio avanti e indietro come un pazzo furioso e mi lascio guidare dalle eccellenti melodie, dai funambolici stop’n go e dalle pestanti ritmiche del tentacolare polpo Miroist. (Francesco Scarci)

domenica 3 febbraio 2013

The Pit Tips

Bob Stoner

Hellstorm – Into the Mouth of the Dead Reign
Wolves in the Throne Room - Celestial Lineage
Nico - The End
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Francesco “Franz” Scarci

Fen - Dustwalker
HandlingNoise - Handling Noise
Antimatter - Fear of a Unique Identity
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Alberto Merlotti

Helloween - Straight Out of Hell
Vanity - Occult you
Goat - World Music
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Samantha Pigozzo

Kivimetsän Druidi - Betrayal, Justice, Revenge
Lordi - The Arockalypse
Queens of the Stone Age - Lullabies to Paralyze
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Michele “Mik” Montanari

Unkle - War Stories
Soundgarden - King Animal
Deftones - Koi No Yokan
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Roberto Alba

Manii - Kollaps
The Fall of Every Season - Amends
Killing Joke - MMXII
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Kent

Sunpocrisy - Samaroid Dioramas
Fugitive - Mediterraneo
Tons - Musineè Doom Session Volume 1

giovedì 31 gennaio 2013

Barrow - The Depht

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Il mio viaggio ai confini del mondo prosegue, alla continua disperata ricerca di una qualche nuova sonorità che mi faccia anche solo per un attimo sussultare. Oggi la mia tappa è in Bielorussia, alla scoperta di un EP di tre pezzi dei Barrow, di cui sarò sincero, non so davvero nulla ed anche il web è avaro di informazioni, in tal senso. Pertanto mi limiterò ad un’analisi dei pezzi, che si aprono con “Lay Me Down to Sleep”, song che mi consegna una band dedita a ruvide sonorità post metal. Nell’ultimo periodo ho avuto fiuto nello scovare intriganti novità in quest’ambito, ma i nostri sono ancora piuttosto acerbi, e non basta il loro desiderio di emulare le gesta di Cult of Luna (soprattutto a livello vocale), siamo infatti ancora distanti anni luce dai fasti e dalla genialità della band svedese. C’è ancora molto da lavorare e anche se gli ingredienti del genere ci sono tutti, dalla lunghezza importante dei pezzi, alle atmosfere apocalittiche, passando attraverso break acustici, il lavoro non mi convince poi molto. Non male l’inizio di “The Book of Drowned” affidato al corroborante lavoro della batteria, poi quando si inseriscono le chitarre e i corrosivi vocalizzi del cantante, la traccia perde di tono, depotenziandosi. “Immolation in the Light of Aurora” è la terza ed ultima traccia: apertura affidata ad un semplice giro di chitarra che indubbiamente crea un’atmosfera seducente, che si evolve in un brano meno asettico rispetto ai precedenti due, bensì più onirico, risollevando le sorti di un EP, quasi inevitabilmente destinato alla stroncatura. Ora, posso anche pensare di segnarmi il nome Barrow sul mio taccuino personale, speranzoso di vedere una nuova evoluzione futura. (Francesco Scarci)

lunedì 28 gennaio 2013

Endless Coma - Rising Rage


#PER CHI AMA: Suoni crossover/Nu Metal/Industrial
Nata da un progetto anglo/italiano di Nick Franz (bassista e compositore) e Dark Priest (voce) nel 2010, la band ha pubblicato subito un EP dal titolo omonimo; nel frattempo, nel corso del 2012 sono state eseguiti alcune riassestamenti nella line-up, includendo Sal (chitarra) e Blond (batteria) facendo uscire il primo full-lenght. L’intro “Prelude to the End” è costituito principalmente da voce e suoni campionati, in modo da preparare l’ascoltatore ad un viaggio non propriamente piacevole. “Mind Battle” ha un sound veloce e cadenzato, sottolineato da un largo uso di tastiere e batteria; il basso si sente soprattutto nel ritornello, accompagnato anche da qualche growl, creando un effetto molto industrial. “I Don’t Have a Name” e “D.N.A. (Destroy New Angels)” si possono definire come le tracce più industriali di tutto l’album (a tratti la voce ricorda vagamente quella di Rob Zombie), quella che ti porta ad esaltarti e a scatenarti. “Disease” continua con quella vena cattiva che finora sta contrassegnando il mio ascolto, fatta di growl, suoni campionati e tanta batteria. Con “Golden Chains” e “Mental Prison” le cose cambiano: il ritmo tende a rallentare lasciando fuoriuscire la vena più malinconica degli Endless Coma. Degno di nota è l’assolo di chitarra, perfettamente incastonato in questo contesto mesto e rassegnato. “No Faith” e “Pure Ego” riprendono il filone proposto dalle prime tracce, con un’esplosione di perfidia e suoni pesanti, portando tutto il lavoro fatto finora a un livello molto alto di qualità. “Evil Man” e “My Dear Satan” tendono più verso il ramo progressive, con lunghi assoli di chitarra, ottime ritmiche e una batteria dirompente: la vena inquieta dell’ensemble emerge nuovamente, rischiando di abbassare un poco il livello toccato in precedenza. Qui l’unica cosa che si salva sono gli inserti growl e qualche connubio di chitarra graffiante con una batteria costantemente ritmata. “Pain” ha una successione non molto veloce, ma ben strutturata e travolgente: peccato per la scelta di cantare con una tonalità roca, perché mette in secondo piano l’anima industrial del complesso. In “You’re my God” cambia nuovamente il ritmo: all’inizio e alla fine sembra più unplugged con voce, chitarra e batteria tenute a freno, ma nel corso della traccia il tutto si anima un po’. Questo può essere definito il punto più basso di tutto il lavoro. “The Last Minute” è l’ultimo pezzo ed anche il più lungo. Contraddistinto da un sound più tedioso e flemmatico per i primi 4 minuti, il resto della canzone non è altro che una parte sussurrata e distorta, di cui non si capisce nemmeno una parola: potrebbero sembrare messaggi subliminali o una voce lontana che agita i sogni. Un long-playing con luci ed ombre ma che comunque alla fine risulta ben fatto, che entusiasma e carica: consiglio vivamente di tenerli d’occhio, perché se queste sono le basi, il prossimo sarà (auspico) ancora meglio. (Samantha Pigozzo)

(Buil2kill Records)
Voto: 70

https://www.facebook.com/EndlessComa

Midgard - Mystic Journey Through the Ages

#PER CHI AMA: Symphonic Black, Ancient, Satyricon
Troppo spesso alcuni miei amici mi han tirato fuori la storiella de "Eh, una volta si suonava questo, c'erano queste band, questo locale" ed io ipnotizzato dalle loro parole, mi immaginavo come potesse essere la scena tempo addietro e come avrei vissuto felicemente. Il pensiero che sto ascoltando quello che 15 anni fa era un genere da poco conosciuto nelle spiaggie italiane, e che questo era un nostrano manifesto del symphonic black metal primordiale, mi rende un po' nostalgico. Ma forse è meglio che vi spieghi di cosa sto parlando… È nel lontano 1995 che i Midgard si formano, appunto nella terra di mezzo italiana, l'amata Toscana. Dopo il debut con il demo del 1996 (mi dicono che se n'è salvata pure qualche tape), i nostri eroi si avventurano con l'ausilio di Luciano Zella (Death SS) ai Planet Sound Studios per la realizzazione di questo "Mystic Journey Through the Ages"; era il 1998. Già dalle prime note del disco con "A New Aeon in Black" capisco subito cos'ho tra le mani: una reliquia di quello che era il black metal italico anni orsono. Ovviamente il primo paragone che mi viene in mente è con gli Emperor per le sonorità, ma possiamo notare strutture chitarristiche tipiche dei Marduk primordiali ed atmosfere classiche dei primi Satyricon, con quelle tinte medievaleggianti che possiamo ritrovare fortemente nella title-track e nella breve ma intensa "Misanthropic Dream". Ma il vero pregio che ha questa release è che ogni traccia ha una struttura e delle sonorità differenti, un processo creativo e un'originalità "estranea" per la scena estrema italiana. Ma non solo ciò, perché nonostante la voce sia poco evocativa e la batteria eccessivamente aggressiva, le linee di basso sono eccezionali e le tastiere sanno non essere troppo invasive, in modo da salvaguardare l'opera da un'eccessiva sinfonizzazione, cosa che avverrà negli anni a seguire con band tipo Dimmu Borgir e Cradle Of Filth. Non c’è molto che non mi piaccia di quest'album, la produzione forse troppo cristallina (e poco adatta al genere) e certe atmosfere che riscaldano l'ambiente, ma anche queste sono peculiarità che fanno risaltare l'opera nel segno di un songwriting fuori dalla banalità. In conclusione qui stiamo parlando dell'ennesima band che ha avuto la sfortuna di nascere in Italia… e morirci? (Kent)

(Zappa and Hemicrania Productions - 1998 / Unter Null Productions - 2012)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Midgard/199123853352

Al Namrood - Kitab Al Awthan

#PER CHI AMA: Black/Pagan/Folk, Dornenreich, Orphaned Land, Melechesh,
La cosa che più affascina del black metal è la sua forza rigenerativa e la sua continua espansione in territori sempre più inaspettati. Da un genere musicale nato con regole rigide, all'apparenza insormontabili e collocazione geografica scontata, si è giunti nel 2012 all'uscita di un album che almeno per il paese di provenienza, espande i confini di questi suoni in una inusuale e atipica locazione, l'Arabia Saudita. Immaginate cosa significhi essere una band metal, il cui nome tradotto significa “i non credenti” in un paese dalle soffocanti restrizioni sociali e religiose, dove le donne nemmeno possono guidare e dove non esiste legge scritta ma solo una sorta di teocrazia tramandata a voce, dove non si può suonare il metal e si deve tener nascosta la propria identità per pubblicare album all'estero rischiando pene severissime. Il black pagan folk metal ha sconfinato fino al deserto e ha dato vita ad una stupenda creatura di nome Al Namrood che parla degli antichi abitanti d'Arabia, i Babilonesi, che probabilmente come nei testi dei loro brani affermano, erano più liberi di agire e pensare di adesso. I nostri propongono un sound potente vicino al suono dei Grave con tante ritmiche tribali e mid tempo, con un ottimo screaming sulfureo, perfido e narrante, ricordano per concetto d'avanguardia i primissimi Die Apokalyptischen Reiter e possiamo guardare in termini folk al variopinto mondo oscuro di Dornenreich integrando ritmi e suoni folklorici della loro terra, come usano fare gli Orphaned Land. Si presentano ben calibrati e sobri, ben assemblati, ricercati, ipnotici, pieni di pathos e strutture musicali ben architettate. Proprio sulle strutture ritmiche è doveroso soffermarci e spiegare che questa band non si limita ad unire i due generi (folk e metal) ma li fonde a tal punto che si possono sentire chitarre violentissime e distortissime tessere melodie e sinfonie che sembrano uscire dalla colonna sonora del leggendario film “Lawrence d'Arabia” e percussioni tipiche del deserto ripiegare su forme tribal/industrial/sinfoniche, come potrebbero fare solo gli Skinny Puppy in vacanza tra le dune. Un sound moderno , equilibratissimo e d'impatto, un retrogusto world music e una devastante rabbia nera. Anche se comprensibilmente non tutti ameranno questo infuso di suoni medio orientali e metallo nero, bisogna ammettere che dalla sabbia di questo deserto geografico e sociale è nato un capolavoro, una sorta di rosa del deserto di grande splendore. Da amare o da odiare, sicuramente da ascoltare e scoprire. (Bob Stoner)

(Shaytan Productions)
Voto: 80

https://www.facebook.com/alnamroodofficial

Líam - Journey...Two Years and a Fragment

#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze
Mea culpa, questo "Journey... Two Years and a Fragment" è rimasto troppo tempo nel lettore cd della mia auto e solo ora mi decido a scriverne la review. Se questo è successo, non è perché lo abbia voluto snobbare, ma perché mi piaceva intervallarlo ad altri cd e in questo modo me ne sono anche un po' innamorato. Almeno per qualche mese, come spesso accade nella vita... I Líam (side project dei ben più famosi Lantlos ) vengono dalla Germania, nazione non cosi rinomata per sfornare sonorità post rock-shoegaze rispetto ad altri paesi sparsi nel mondo, ma questa è un'altra prova del fatto che tutto fluisce come un fiume in tempesta, nevrotico e assetato di conoscenza. Forse è questo che ha spinto i Líam a raccogliere i due EP risalenti al 2007 e 2008, mai pubblicati e fonderli in un'unica fatica, ovvero gli otto brani di questo "Journey... Two Years and a Fragment". Tutto inizia con "Born", probabilmente ha qualche significato ancestrale per i Líam, sta di fatto che il pezzo propone chitarre distorte rese delicate da tonnellate di riverbero ed una struttura compositiva che varia sostanzialmente nei cinque minuti abbondanti di esecuzione. I diversi stacchi, intermezzi e cambi ritmici danno dinamicità al pezzo, mentre il settore chitarre, alterna arpeggi puliti ad assoli distorti, il tutto sempre con piglio andante e mai noioso. Anzi, le chitarre sono pure leggermente aggressive verso la fine del pezzo. La prima traccia finisce e si lega alla successiva "Wide" che ne diventa il naturale proseguo in termini di sound e di struttura compositiva. Il tutto sempre senza linee vocali, almeno fino a questo punto. Qualcosa cambia quando si arriva a "Debris", ma siamo già alla sesta traccia del cd, che inizia con un urlo che poi continua per gran parte del pezzo che però non dà nulla in più in termini musicali. Anzi, sembra solamente un lamento penoso messo li, giusto per riempire. I cori invece sono azzeccati e regalano una sfumatura eterea che intriga. Le chitarre sono già un po' più mature rispetto alle tracce precedenti, aggiungendo una nota riflessiva al pezzo e insieme alla ritmica più lenta, creano una song apprezzabile. A questo punto non so se le tracce dei due EP originari siano state mescolate oppure no, quando sono state fuse in "Journey... Two Years and a Fragment", quindi è difficile dire se i Líam provengono dal post rock-shoegaze oppure se stiano andando verso altri lidi. Fatto sta che "Etienne", traccia della durata superiore ai quattordici minuti, ingloba la dualità del gruppo tedesco: infatti dopo una prima parte in black metal style con tanto di cantato, arriva una sezione più rock che muore verso la fine del pezzo. A questo punto, quando ormai penso che il pezzo sia concluso (circa a quattro minuti dalla fine), mi aspettano uno strascico cacofonico di feedback e cavolate varie che finiscono in sospensione. A questo punto uno si aspetta che la traccia successiva si attacchi con cattiveria e invece no, o perlomeno, non proprio. "Particles" parte di slancio con un bel riff di chitarra, dopo qualche secondo di silenzio all' inizio, forse voluto oppure no; misteri del mastering e della post produzione. Comunque a parte questo, il pezzo è decisamente di ottima fattura, con cambi di ritmo al punto giusto, delay e riverbero qua e là e tanta potenza nei momenti giusti della canzone. Sicuramente si farà apprezzare dal vivo, sempre che i Líam siano attivi anche in questo senso. Voto leggermente abbassato per la mia ormai arida speranza di trovare un barlume di pazzia in questi gruppi che ci porti a qualcosa di nuovo, ma purtroppo è ancora presto. Troppo presto. (Michele Montanari)

(Pest Productions)
Voto: 70

http://www.lastfm.it/music/L%C3%ADam