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giovedì 5 luglio 2012

Ogen - Black Metal Unbound

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Gehenna, Dimmu Borgir, Old Man's Child
Respiro l’aria, sembra quella che imperversa le gelide foreste norvegesi; l’atmosfera palpabile è quella tipica degli act nordici, quali Ancient, Gehenna o dei primissimi Dimmu Borgir. In realtà però non ci troviamo poi cosi tanto lontani dalle mie due città, Verona e quella d’adozione, Como. Gli Ogen sono infatti originari di Brescia e propongono questo black metal controllato, a tratti epico e atmosferico, che ci riconduce alle sonorità di metà anni ’90, proponendo un riffing glaciale, ronzante, che spesso si spinge in territori thrash, un po’ sulla scia degli Old Man’s Child, mentre talvolta va alla ricerca di una ritmica più articolata, quasi di scuola svedese (mi vengono in mente gli Opeth di “Morningrise”), ad esempio ascoltando la terza “Crest of the Forgotten”, che propina questo mix di black thrash old school. Niente male, anche se la classica frase del “già sentito”, può emergere più volte nell’arco di questo EP di cinque pezzi, come capiterà inevitabilmente anche a voi, durante l’ascolto della quarta “As a Leaden Sun Shineth Upon”, la cui sezione ritmica rischia di essere un po’ troppo thrashettona e scontata. A tirare su un po’ l’andamento della song, ci pensa però l’utilizzo di clean vocals che donano un attimo di quiete, alla tempesta che infuria. La conclusiva “A Sleep Slope to Desolation” ancora una volta affascina per l’utilizzo di vocalizzi che sanno quasi di shoegaze, che si affacciano tiepidamente, nel mezzo di uno screaming maligno e una ritmica selvaggia. Torvi. (Francesco Scarci)

(Kolony Records)
Voto: 70 
 

Kayleth - Rusty Gold

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Psych/Doom Metal, Orange Goblin, Sleep
Sole, cactus, una radio in sottofondo (non sembra Radio Popolare Verona dall'accento) ed una motoretta. Sì presentano così i Kayleth, antica band del veronese, arrivati alla pubblicazione di un modesto EP dalla durata di 20 minuti, poco più. Eh sì, me la ricordo ancora quella sera dove venni in possesso di codesto disco. Ero al buon vecchio Sabotage Bar di Vicenza, troppo sobrio per quell'epoca, perchè volevo assolutamente assistere alla performance di questo rinomato gruppo che passava dalle mie parti. E come è tradizione ai concerti, ogni gruppo estremamente bravo, ha estremamente poco pubblico. In questo caso, avevano solo me. E non so se per premiarmi, o spinti dai miei complimenti, mi donarono questa loro prima fatica. L'EP pecca nella sua presentazione in busta ma controbilancia perfettamente con un vynil cd e un suond eccellente per qualunque appassionato dello stoner. Il disco alterna composizioni movimentate come la title-track, a brani di matrice più space-psichedelia, ad esempio la mia preferita “Old Man's Legacy“ e la opening-track, con il tutto reso più pesante da una spruzzata di doom classico qua e là. La produzione è calda e pulita, rendendo udibile perfettamente i singoli effetti che gli strumentisti ci propinano continuamente. Subisco sbalzi da assoli stuprati da wah, enormi riff flangerati e phaser sotto acidi. Anche il basso non scherza, alternando un fuzz selvaggio ad un clean delay, che ci immerge in un totale climax sotto l’effetto di peyote. La band mi disse che aveva pronto un altro EP che attendo ansiosamente, io continuo ad esortarli per la produzione di un LP e spero che prima o poi arrivi. Intanto vi consiglio molto, ma molto caldamente, di ascoltarli, e di andarveli a vedere dato che suonano raramente. (Kent)

(Self)
Voto: 75

lunedì 2 luglio 2012

Celeste – Morte(s) Nee(s)

#PER CHI AMA: Blackcore, Iskra, Deathspell Omega, Ondskapt
incontrato questi quattro simpatici ragazzi provenienti dalla Francia poco tempo addietro. Hanno fatto un concerto eccezionale. Sono così hardcore che hanno tutte le loro opere in free download nel sito dell'etichetta. Mi dissero di scaricare tutto, fargli una simpatica recensione e promuovere il verbo del Signore Oscuro attraverso il Pozzo dei Dannati. Ecco, fatto. Questi Celeste sono una pettineria assurda. Appena comincia il disco mi pietrifico davanti al muro sonoro di “Ces Belles De Rêve Aux Verres Embués”, colma della sua abbondanza di grancassa e resa mastodontica dai synth (suonati dai colleghi di etichetta Les Fragments De La Nuit). “Morte(s) Nee(s)” continua senza sosta, pieno di violenza sonora. Assolutamente da menzionare la sesta traccia, “(S)” con la sua cadenza ipnotizzante e il suo ambiente di sottofondo carico di tensione. Il disco sembra essere un'evoluzione sonora delle tracce, partendo da momenti più massicci e malvagi come “'Les Mains Brisées Comme Leurs Souvenirs” e finendo con il più totale dolore e nichilismo delle ultime composizioni, come “De Sorte Que Plus Jamais Un Instant Ne Soit Magique”, dove i compagni Les Fragments De La Nuit riescono ad inserirsi perfettamente con gli archi, guidando il finale dell'opera. Del passato Post-HC c'è ancora traccia, basti notare gli scream e i breakdown, ma in quest'opera viene brutalmente soppresso dai riff di matrice black, appesantiti all'estremo con una punta di sludge e da una innovativa batteria pesante come poche, che riesce sempre a trovare la combinazione giusta per non risultare mai troppo monotona, come capita assai spesso nell'ambiente dei blast-beat. Ma il vero tocco innovatore, oltre le divagazioni sludge, è dato dall'aiuto dei Les Fragments De La Nuit, che riempiono ogni crepa con i loro imperanti synth, che combinati alla furiosa grancassa ed agli strumenti droppati al massimo, trovano la loro collocazione ideale per rendere questo full-lenght nat(o) mort(o). (Kent)

(Denovali Records)
Voto: 85

Warmblood - Timor Mortis

#PER CHI AMA: Brutal Death, Necrophagist, Dying Fetus
I lodigiani Warmblood si ispirano per questo loro secondo full-lenght al grande Lucio Fulci. Purtroppo questa premessa non mi farà piacere di più l'opera da loro proposta. Appena inserito il disco, come quasi sempre, da buon bassista, attendo ansiosamente di ascoltarmi le tracce di basso. Qua però non riesco a cogliere le frequenze. Dopo aver provato quattro diverse postazioni musicali rinuncio, e per sapere dove è stato registrato, noto nel booklet che è proprio il bassista a mancare. Leggermente colto dalla disperazione, tuttavia consapevole della mia sanità mentale ed uditiva, mi accingo allora alla completa scoperta dell'album. La mancanza di basse frequenze però non è l'unica cosa a colpirmi negativamente. In primis, la voce gutturale che in certi frangenti arriva ad un fastidioso pig squeal. Di notevole rilevanza di contro, le linee di chitarra. Più che sul death metal qua sarebbe più consono parlare di thrash, non solo come linee compositive, ma anche come brillantezza di suono e di tonalità. Un'altra grande sorpresa si ha quando il trio lombardo arriva a completare le proprie opere con melodie ed intermezzi neoclassici assolutamente fuori luogo, aggiungendo sapientemente in certe occasioni strumenti come violoncello o pianoforte. Di certo non aiuta una produzione secca in questa release già priva di profondità. Il vero intralcio di questo disco sono le strutture. Le ritmiche non cambiano, i riff tendono all'omogeneità, la batteria pesta ma senza grande risalto, nel prolungarsi anche nelle originali parti melodiche che perdono tutto il significato e freschezza. Purtroppo questa formula caotica finisce col rendere poche canzoni degne di un ascolto apprezzabile. Rimandati! (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 55

Belakor - Of Breath and Bone

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, Edge of Sanity
Avviso ai naviganti: una perturbazione di origine scandinava è arrivata pericolosamente alle coste australiane, scatenando una spaventosa ed improvvisa tempesta di ghiaccio. Strano per l’immenso paese oceanico trovarsi investito da una simile e improbabile situazione atmosferica che risponde al nome di Be’lakor. Nome assolutamente non nuovo su queste pagine, dal momento che ci siamo accorti dell’act australiano in occasione del loro secondo capitolo “Stone’s Reach”, che uscì nel 2009 per la nostrana Kolony Records, che bissa con questo brillante lavoro, quanto di buono fatto in passato. “Of Breath and Bone” prosegue sulla strada della precedente release con un sound che viaggia costantemente su coordinate death progressive, acuendo però in questo caso la componente swedish, sin dall’iniziale “Abeyance”, dove l’influenza dei Dark Tranquillity è assai palese nelle arrembanti linee di chitarra, cosi come pure nell’inizio di “Remnants” o nell’apertura di “In Parting”. Diciamo che la band di Michael Stanne e soci diventa il primo punto di riferimento per il quintetto australiano e sinceramente la cosa non mi disturba affatto, anzi ben venga se questo è il risultato. Ottime le linee di chitarra, sempre molto ricercate e melodiche (fenomenale la linea di “Fraught”, costantemente accompagnata da malinconici tocchi di pianoforte), possente il growling di George, la cui impostazione può ricordare quella del vocalist dei Saturnus e in taluni frangenti (proprio come in questa song), anche il sound più oscuro dei nostri, può rievocare quello dei maestri del death doom danese. Ed ecco quindi emergere anche l’anima doomsters dei cinque ragazzi di Melbourne, anche se poi è il melo death svedese ad esplodere più forte che mai. Non so che cosa sia successo ai nostri eroi australiani, ma di sicuro ha portato un’ulteriore ventata di freschezza alla proposta dei Be’lakor, capaci di proporre anche ritmiche più sognanti come quelle di “Absit Omen”, prima che un’inferocita ritmica in stile Edge of Sanity, prenda in mano le redini del pezzo. Indiavolati, progressivi, melodici, apocalittici, brutali più che mai; questi sono i Be’lakor targati 2012, per nostra somma gioia. Ancora una volta l’Australia dopo Ne Obliviscaris, Aquilus e Germ, partorisce un’altra piccola gemma nel panorama estremo, ad indicare che laggiù, dall’altra parte del mondo, c’è ancora un bel po’ di spazio per potermi stupire. (Francesco Scarci)

(Kolony Records)
Voto: 80

http://www.belakorband.com/

Legen Beltza - Need To Suffer

#PER CHI AMA: Thrash, Exodus, Kreator, Testament
Non lasciano scampo questi Legen Beltza. Un tupatupa attaccato l'altro. Cari amici, vi dico già di ascoltarli solamente se siete dei veri thrasher e non gente che, giustamente, si annoia dopo il trillionesimo riff così veloce da sembrare quasi uguale ai precedenti, o per la classica voce urlata e una batteria che conosce poco oltre il charleston ed il rullante. Il gruppo basco con questo “Need To Suffer” è arrivato al quarto full-lenght di una pluridecennale carriera. Si vede bene però che i quattro ragazzotti dalla penisola iberica sanno fare il loro lavoro, perché, nonostante la classica monotonia del genere, riescono ad incastrare velocità, virtuosismo e melodia. Dieci tracce una più violenta dell'altra si alternano in questi 50 minuti con una batteria sempre in agitazione e un riffing cavalcante, spregiudicato che lascia senza respiro. Veramente brutali queste composizioni, roba che ti metti a fare circle pit per le piazze di Padova mentre vai all'università. Se analizziamo attentamente il disco, oltre che i suoni travolgenti frutto di un'ottima produzione, possiamo notare ahimè una troppa leggerezza riguardo in sede di arrangiamenti che incidono sulla compattezza dell'ascolto. Un altro punto da osservare è l'immensa quantità di tecnicismi, a mio avviso cosa aberrante per un gruppo thrash che dovrebbe ignorantemente pensare solo a far casino. Scherzo, ci stanno proprio bene nelle loro composizioni, anche perché ad ogni ascolto si possono scoprire nuovi piccoli particolari, e non solo a livello delle linee di chitarra. Detto ciò, se siete amanti della velocità estrema e dei tupatupa a tradimento, vi consiglio caldamente di ascoltarvi questo “Need To Suffer” dato che è non è il solito banale thrash metal che in questo periodo di revival, molte band mediocri ci propinano. (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65 

giovedì 28 giugno 2012

Heresy - Knights of God

#PER CHI AMA: Thrash, Megadeth, Metallica, Overkill, Metal Church
Seconda fatica per la band da Ancona attiva dal 1997 che ci propone un thrash metal classico con spunti heavy. L'album contiene delle decenti composizioni in tipico stile eighties’, con protagonisti riff scontati e spedalate di grancassa. Durante l'ascolto passiamo nell'imbatterci da tracce furiose a brani più tranquilli ma coinvolgenti, come “Alone in the Dark” di cui ci propongono una versione acustica alla fine del disco. L'album si apre con un scarica di adrenalina grazie alle tracce “Apocalypse”, “Heresy” e la title track, le quali ci travolgono con tutta la potenza del thrash marchiato Bay Area. Ma la band sa catturare l'attenzione dell'ascoltare, perché il songwriting non persevera nella classica “thrashata” al fulmicotone, ma riesce attraverso piccoli ma complessi fill di chitarra a ravvivare i riff ed a parti melodiche al limite della ballad a rendere sempre più curioso questo cd. Punti critici per questa pubblicazione sono essenzialmente le inette parti vocali e una piatta produzione che incide sul disco in quanto mancante di brillantezza ed aggressività sonora. L'unica cosa che mi convince alla fine di quest'album sono gli interludi melodici che sono sempre azzeccati e, anche se un po' troppo prevedibili, colmano il vuoto di una release poco sotto la sufficienza. Ci si aspetta di più da una band che di esperienza dovrebbe averne a pacchi. (Kent)

(Copro Records)
Voto: 55

mercoledì 27 giugno 2012

Tacoma Narrows Bridge Disaster - Exegenis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Tool, Russian Circle
Della serie piccoli Isis crescono… Eh si perché i Tacoma Narrows Bridge Disaster (che mi limiterò ad abbreviare come TNBD) hanno un’attitudine che si rifà decisamente ai maestri americani del genere, Russian Circle, Tool e appunto i già citati Isis. Sorprendenti, non c’è che dire. Gongolo già per la scoperta di questa nuova band, capace di regalarmi alt(r)e sopraffini emozioni. Decisamente il post metal sta prendendo una piega notevole nella mia vita, mi sta facendo appassionare notevolmente ad un genere che non avevo molto considerato gli scorsi anni, che in realtà mi produce delle vibrazioni a cui non riesco a rimanere indifferente e i TNBD contribuiscono notevolmente a questa mia crescita interiore. La strumentale “Fractal World” apre “Exegenis” e questo mi fa supporre che i nostri abbiano proseguito sulla scia del precedente lavoro, offrendo solo tracce senza una componente vocale. Niente di più sbagliato quando a partire è la seconda, la title track, che mi offre la brillante performance di Dylan Foulcher alle linee vocali, con il suo cantato suadente e pulito (stile vocalist dei Tool) e con le melodie del combo britannico che affondano le proprie fondamenta in un post rock massiccio, che contribuisce ad aumentare lo spessore della proposta dei TNBD. Godo ancora di più, quando anche suoni estremamente alternativi, ancora di matrice “tooliana”, emergono prepotenti dalle note dei nostri, a dimostrare il grande ecclettismo del quintetto d’Albione. Un’altra song strumentale, “Calligraphy”, scuote le mie membra, prima di cedere il passo all’ipnotica “Valis”, altro esempio di quanto sia possibile essere brillanti con un lungo pezzo strumentale, senza scadere necessariamente nella monotonia. Con “Black Iron Prison” ritornano in sella le splendide vocals di Dylan, mentre le chitarre disegnano paesaggi desolati, con la batteria invece che, assai nervosa, detta il tempo con continui cambi di tempo a dir poco imprevedibili e il sound dell’act inglese che sembra insinuarsi in territori tanto cari addirittura agli Archive. Sorprendenti e soprattutto consigliatissimi a chi ama queste sonorità a cavallo tra il post metal, il post rock e i suoni alternativi bassolinei, come sottolineato nella parte iniziale di “Sungazer”, altra perla dei Tacoma, che mi fa gridare definitivamente al miracolo. Atmosfere soffuse, batteria di scuola Isis, fiumi di malinconiche emozioni, intelligentemente confezionate e convogliate verso l’ascoltatore più esigente. Insomma, non so che altro dirvi per esortarvi a far vostro questo cd, che arriva tra l’altro in una elegante confezione digipack. Ottima musica, bravi musicisti, che volete di più di questi tempi… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 80