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domenica 24 aprile 2011

Demonaz - March of the Norse

#PER CHI AMA: Bathory, Immortal
Rimasto nell’ombra per quasi quindici anni, Harald Nævdal, meglio conosciuto con il nome di Demonaz Doom Occulta, torna ad esprimere il suo talento attraverso la chitarra e ad alimentare una vena creativa ormai sopita da lungo tempo, perché relegata unicamente all’attività di paroliere in casa Immortal. Il musicista norvegese imbraccia nuovamente la sei corde e torna dunque a dar sfoggio delle sue abilità di songwriter, ma in una veste mutata rispetto al passato. Il territorio sul quale ama avventurarsi Demonaz è sempre circoscritto ai confini stilistici del metal estremo, ma l’era di “Battles in the North” e “Blizzard Beasts” è indubbiamente lontana e le sonorità aspre degli esordi con gli Immortal concedono il passo ad un’interpretazione musicale più libera, scevra dai rigidi schemi imposti dal black. “March of the Norse” ha radici ancor più profonde e attinge a piene mani da un metal di stampo classico, pregno di momenti epici che non tardano a rivelare una fortissima influenza Bathory, forse più nelle atmosfere che negli accordi. Degni di nota sono brani come “All Blackened Sky” e “Under the Great Fires”, caratterizzati da chitarre granitiche e incalzanti, che fungono da vigoroso sostegno ad un incedere vocale ruvido, talvolta magniloquente. Sono comunque “A Son of the Sword” e “Over the Mountains” le protagoniste indiscusse dell’album, due composizioni dal taglio fortemente “nordico” in cui l’avvincente melodia e i solo ben articolati di chitarra rimandano a paesaggi innevati di monumentale bellezza. Certamente la ripetitività di alcune soluzioni stilistiche potrebbe ascrivere “March of the Norse” alla categoria degli album derivativi, ma va riconosciuto che in quaranta minuti di musica non si avverte alcun attimo di cedimento e già questo è un pregio non indifferente. (Roberto Alba)

(Nuclear Blast)
Voto: 80

lunedì 18 aprile 2011

Nemost - The Shadow's Trail

#PER CHI AMA: Death Progressive, Amorphis, Insomnium, Opeth
Francia… ultimamente sinonimo di qualità e i qui presenti Nemost ne sono l’ennesima dimostrazione, dopo aver ascoltato da poco anche i loro connazionali Folge Dem Wind e recensito gli strabilianti Carcariass. Arpeggio da brividi iniziale e poi linee di chitarra di chiaro rimando Amorphis ad invitarmi a rilassarmi in poltrona e gustarmi questa nuova scoperta nella vicina terra d’oltralpe. L’inizio affidato a “Sardanapale” mi rilassa immediatamente: ritmi assolutamente mai forzati, melodia cristallina, vocals roche (mai completamente growl) e tanta semplicità in quei giri di chitarra che si incuneano immediatamente nella testa. Con la successiva “Skin for Skin”, il quintetto parigino perde un po’ di quell’immediatezza del brano iniziale, con un mid-tempo che ha comunque come forte richiamo un riffing di chiara matrice nordica, finlandese per l’esattezza. “Whisper” è un vero e proprio sussurro nell’oscurità, con i suoi sette minuti e passa di musica che aprono in modo onirico per lanciarsi ben presto, in una scorribanda brutale, ma è solo un fuoco di paglia non temete, perché la band si rimette sul binario giusto del death melodico, che trova anche nelle note degli Insomnium la propria fonte di ispirazione. Si, probabilmente l’album potrà apparirvi un po’ derivativo, ma non importa; l’interlocutoria “Unexpected”, una sorta di semi-ballad, ci mostra l’aspetto più intimistico dei nostri, anche se la parte centrale abbastanza infuocata, rallegra gli animi con quelle sue ritmiche veloci, prima di incupirsi in un finale decadente. “Fading Ember” è un altro attacco acustico che ci introduce a “Orcus”, song forse un po’ anonima ma che comunque si incastra bene nel contesto di questo “The Shadow’s Trail”, se non altro per il rockeggiante assolo conclusivo. “Ritual” è una song oscura, psichedelica e malinconica, forse quella che si discosta maggiormente dalle altre (e che ho preferito maggiormente), peccato solo che talvolta la voce di Thibaud non si dimostri propriamente all’altezza, forse per “l’indecisione“ di fondo se essere completamente growl o pulita. Comunque song davvero apprezzabile, prima della conclusiva “Through Life”, che chiude degnamente un album che farà la gioia di chi ama sonorità death doom progressive nord europee. Nemost, mi raccomando, teniamoli d’occhio… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70

domenica 17 aprile 2011

Symbol Of Obscurity - n.N.i.M.m

#PER CHI AMA: Melo Death
Appena me lo passo tra le mani, rimango colpito da due cose di questo disco: l’artwork e l’ostico titolo. Sul primo tornerò più sotto. Per il secondo, l’arcano è spiegato all’interno del CD: “n.N.i.M.m” sta per “new Name in Metal mithology”. Alla faccia della modestia! Sono riusciti nell’intento? Sono davvero un nuovo nome da riportare nella mitologia metal? Vediamo... I nostri sono 4 moscoviti (ah, l’est quanto è particolarmente attivo) e la loro fatica si colloca nel genere melodic death metal. Ne seguono gli stilemi classici, ma qualche assolo, forse più melodico di quanto atteso, se lo lasciano scappare. Dalle sei tracce, dai ritmi martellanti e serratissimi, i ragazzi evocano nella mia testa atmosfere oscure, asfissianti ma energetiche. Secondo me il punto di forza risiede nella compattezza delle singole canzoni. In ognuna di loro, tutto si fonde abbastanza bene: dagli assoli ora melodici, ora più cupi, all'instancabile batteria. Mi lascia un po’ perplesso la monotonia della voce del cantante, forse bloccata dal volersi attenere rigidamente al genere. Le songs non eccedono in lunghezza. È un bene, si fossero lasciati andare sarebbero risultati stucchevoli e avrebbero perso forza subito. Ad essere sincero, qualche rifinitura qua e là avrebbe reso il tutto più godibile. Come promesso torno sul design del package e sull’artwork, molto intriganti. La cover è particolarmente bella e anche le immagini interne sono evocative delle arie del platter. Bravi. Torniamo alla domanda iniziale: “Sono davvero un nuovo nome da riportare nella mitologia metal?”. Per ora no. Quest’album piacerà certamente ai fans più legati al genere, ma i nostri dovrebbero puntare a qualcosa di più personale sia nella parte musicale (in particolare non mi spiacerebbe se riuscissero a portare in primo piano le linee di basso) che nel cantato (davvero la voce è un po’ troppo ripetitiva). Atmosfera e tecnica ci sono, la presenza di un nota caratteristica e di qualche variazione non potrebbero che fare bene ai lavori futuri. (Alberto Merlotti)

(Ghost Sentry Records)
Voto: 65

Deformachine - Promo 2009

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Fear Factory Machine Head
Un’altra band emerge dall’underground italico dopo una militanza di ben 10 anni. È infatti ascrivibile al 2000 la data di nascita di questi deathster di Alessandria, che ci divertono qui con un promo cd di 4 pezzi di inossidabile death thrash metal. Ancora una volta però c’è da dire che, per quanto onesta possa essere la proposta del combo piemontese, che nel corso di questa decade ha condiviso il palco con Necrodeath, Sadist, Node e Dark Lunacy (tanto per citarne alcuni), poco per non dire quasi nulla, c’è di originale in quarto d’ora di musica. Musica che propone un bel thrash death tirato, con le classiche chitarre violente e corrosive lanciate a tutta velocità contro l’ignaro ascoltatore. A differenza del precedente lavoro, “Over G”, dove magari era più la violenza a farla da padrone, in questo caso, il suono si è più modernizzato, complice l’influsso di band quali Fear Factory o Machine Head, ma il risultato che salta fuori è qualcosa che puzza già di stantio perché sentito e risentito. Per carità, di sicuro c’è da divertirsi per una serata in compagnia, all’insegna del pogo violento e dell’alto tasso adrenalinico, ma poi niente più. La longevità di questo promo cd non può superare la settimana di vita, perché nulla è in grado di stamparsi nelle nostre menti, perché non c’è uno spunto vincente, un qualcosa di inedito o una qualsiasi cosa che possa catturare la nostra attenzione. La sufficienza è dovuta solo alla buona tecnica (all’ottima performance del vocalist) e alla voglia di spaccare da parte del quintetto, per il resto meglio passare oltre perché dopo dieci anni era lecito aspettarsi qual cosina in più. Forse un barlume di speranza può essere rappresentata da “To Present God”, la song più diversa delle 4 proposte, per quel suo maggior eclettismo sonoro, ma coraggio ragazzi, fuori le palle e iniziamo a sperimentare, altrimenti assisteremo alla morte del metal! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 60

Hall of Hate - Into the Unreal World

#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death, Unearth, Lamb of God
Suoni disturbanti, campionamenti vari e una voce quasi rubata dai Moonspell, aprono questo democd degli umbri Hall of Hate, band di giovane formazione, nata nel 2008 con l’intento di suonare metal con influenze swedish. Dell’intro abbiamo già parlato, segue “Unreal” e più che swedish metal mi viene da pensare a suoni più tipicamente “core” americani, con la voce di Aster che sembra strozzata nella sua espressione, mentre la musica, complice sicuramente una produzione non all’altezza, vive in un’alternanza di cambi di tempo senza mordente. Segue una schizofrenica “Beware of the Living”, song veloce nella sua parte iniziale, che presenta un mid-tempo un po’ sconclusionato nella parte centrale, con le vocals isteriche a infastidire non poco l’ascolto e la chiusura affidata alla classica cavalcata finale con tanto di banale assolo. Skippo in avanti perché Aster è alla lunga insopportabile nella sua performance vocale (anche se intuisco che voglia fare il verso a Tompa degli At the Gates, ma in questo caso ci troviamo su un altro pianeta) e un arpeggio apre “I’ve Lost”, brano più tranquillo e meditativo, melodico, una sorta di ballad acustica sostenuta da quell’arpeggio iniziale e dai suoni campionati; ah finalmente qualcosa di originale per le mie orecchie. Manco a dirlo e con le successive “Headshot” e “B.F.G.” si torna a suoni che fanno della banalità il proprio credo, nel tentativo remoto di imitare act quali Unearth o Walls of Jerico. C’è da lavorare e ancora molto, altrimenti il rischio di fare un clamoroso buco nell’acqua con le prossime uscite è davvero concreto. Si cerchi intanto di capire che genere voler suonare, swedish, black, metalcore o industrial e poi da li studiarsi la lezione impartita dai grandi e con un pizzico di personalità cercare di partire con calma, senza fretta… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 50

Mesetiah - The Purpose of Our Existence

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Six Feet Under, Slayer
La Finlandia non è solo sinonimo di genialità o musica folk metal, rappresenta anche un paradiso per il nascere di band puramente death metal e il cd che abbiamo fra le mani ne è la palese dimostrazione. Il combo proveniente da Kokkola, ha infatti come “scopo della propria esistenza” l’idea di attaccare gli ascoltatori con un suono ruvido e compatto, che difficilmente verrà ricordato dai posteri, ma che comunque avrà il pregio di permettervi di scaricare un po’ di adrenalina in eccesso, con quei suoi ritmi mai eccessivamente veloci, ma sempre carichi di rabbia. La caratteristica lampante di "The Purpose of Our Existence" è il quantitativo notevole di riffs carichi di groove che si addensano nei 38 minuti totali di questa release. Chitarre schiacciasassi innalzano solidi muri thrash death, con il vocione growl di Marko Rintala a vomitare nel microfono tutto il proprio nichilismo esistenziale. Ascoltando questi dieci pezzi, sembra di fare un bel salto nel passato, a fine anni ’80 primi ’90, quando questo genere, un po’ “grezzotto”, andava per la maggiore. Dico “grezzotto” perché se poi vado ad analizzare quello che è l’aspetto puramente tecnico, devo ammettere che gli assoli del buon Toni Olkkola, sono dei piccoli capolavori, che risollevano enormemente un lavoro che, altrimenti sarebbe passato totalmente inosservato (e inascoltato) dal sottoscritto. Si, Toni ci regala delle rasoiate che in taluni frangenti sembrano quelle del duo Hanneman/King degli Slayer mentre in altri momenti, più carichi di fantasia, il ricordo a Diamond Darrell dei Pantera, si fa spazio nella mia mente. La band è ancora un po’ acerba, ma lavorando un pochino sulla parte ritmica, sinceramente un po’ troppo statica e sull’anonima performance del vocalist, credo che spazio per il miglioramento ce ne sia in abbondanza. Nel frattempo, la band è comunque promosso con una larga sufficienza, ma si sa, in questi casi, l’alunno non si impegna altrimenti potrebbe dare molto ma molto di più… (Francesco Scarci)

(Studio 3rd track Productions)
Voto: 65

Frostfall - Dark Torments/Beyond the Dusk

#PER CHI AMA: Black Old School
Che senso ha per una nuova band proporci le proprie song del ’98-‘99? Capisco per una grande band che vuole deliziare i propri fan con materiale inedito, ma in questo caso, non capisco la mossa commerciale della Finale Earthbeat Production, che ci propone questa nuovissima band francese, con dei pezzi vecchi di 12 anni! Mah, mi state forse prendendo in giro, siamo su candid camera? No, e allora mi spiace per la release di questa oscura one man band translapina, perchè mi sa tanto che subirà l’ira del sottoscritto. Partendo da una registrazione stile scantinato, si prosegue con un sound vecchio e stantio (lo sarebbe stato verosimilmente anche nel ’98): la prima parte del cd, “Dark Torments”, primo demo della band è un concentrato di black metal lancinante, disperato, angosciante, che vive il suo momento migliore nell’acustica “An Oath to the Eternal Dusk”. Le solite chitarre zanzarose la fanno da padrona, con qualche accenno di tastiera in “The Gates of Souls Are Opened”, ma che noia, che barba, che noia (tanto per citare il duo Vianello Mondaini, sicuramente molto più interessanti e avvincenti di questo pietoso platter di musica che inneggia alla Fiamma Nera). La seconda parte del cd, “Beyond the Dusk” conferma l’inutilità di un tale release e la scelleratezza da parte dell’etichetta di rilasciare un prodotto del genere. Non ci si discosta di una virgola dale prime song, neppure per quanto concerne la registrazione, costantemente pessima e la musica poi, rimane quella scempiaggine di black metal (con fade out ignobili e cambi di volume pessimi) che a mio avviso, nemmeno i più fedeli sostenitori della fiamma nera, potranno ascoltare. Al diavolo!!! (Francesco Scarci)

(Final Earthbeat Prod)
Voto: 40

lunedì 11 aprile 2011

MG66 - In the House of Liv

#PER CHI AMA: Thrash Bay Area, Metallica
Il buon vecchio Franz mi allunga il disco e, tutto convinto, mi dice: “Sono un gruppo thrash, dovrebbero piacerti”. Noto la copertina molto glam rock (a proposito: ho letto critiche negative sull’immagine, a me non pare male...) e penso: “Ma non si sarà sbagliato? Mah...”. Annuisco e me ne vado perplesso. Inforco le cuffie e mi sparo “In the House of Liv”: il buon Franz aveva ragione! Veniamo alle presentazioni: gli MG66 sono un gruppo trentino il cui nome prende origine dalla MG42 (mitragliatrice tedesca della seconda guerra mondiale, ancora in uso in alcuni eserciti, tra cui - ah ricordi di naja - quello italiano) e dalla Route 66 (strafamosa highway americana). Line up: Dee Mitra (Chitarra), Robert Pixx (Voce), Cla Vanza (Batteria), Steve C.H. (Basso) e Davidian (Chitarra). Certo che per essere il primo LP, oltretutto autoprodotto, c’è da rimanere sbalorditi. I nostri han fatto le cose davvero egregiamente, con una produzione impeccabile per dieci tracce che riprendono il thrash più classico, quello Metallica e dei Pantera per capirci. “In the House of Liv” troverete tutti i canoni del genere, ben assemblati ed eseguiti in maniera fedele alla linea. Tuttavia qualcosa di diverso si può sentire in certi brani. Prendete “I Will, I Can” ad esempio, dove si possono scorgere degli innesti provenienti da altri generi davvero azzeccati. In altre canzoni non riescono così bene e non convincono molto, per esempio le parti industrial in “Shut Up”. Finché rimangono nel genere ci sguazzano e si sente, mentre appaiono, per ora, ancora un po’ incerti alle contaminazioni. Però è una strada che gli consiglierei di seguire, in quanto nel complesso funzionano. Ho molto apprezzato il lavoro dei chitarristi, che passano dai canonici riffoni granitici, a parti più lente e melodiche con una naturalezza invidiabile. Mi lascia un po’ dubbioso il cantato, troppo monocorde e troppo debitore a James Hetfield. Niente male il batterista che detta i tempi giusti e picchia con un’altrettanta giusta rabbia. Un solo appunto forse va fatto per quanto riguardo i testi che andrebbero maggiormente curati. Il cd vola via che è un piacere, nonostante le song non siano corte, lasciandomi addosso un certo desiderio di uscire a far bisboccia: niente male. Io, a questi MG66, mi sento già di volergli bene. Hanno il carattere giusto, la passione trasuda e poi l’attenzione a dei suoni puliti è quel tocco in più. Piacevoli! (Alberto Merlotti)

(Self)
Voto: 75