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sabato 25 settembre 2010

Id:Vision - Plazmadkacs

#PER CHI AMA: Black Symph, Industrial, The Kovenant, Dodheimsgard
Eh già, continuo a ribadirlo: dall’est Europa in quest’ultimo periodo stanno arrivando sempre più prodotti di ottima qualità musicale ed estremamente curati nei dettagli. Dalla Bielorussia ecco arrivare gli Id:Division ossia la risposta est europea a Kovenant o Dodheimsgard. Già a partire da un entusiasmante digibook rigido con un booklet ricco di testi e ottima grafica, il sestetto di Minsk ci spara in faccia il loro peculiare death/black infarcito di sonorità techno-industrial. Ragazzi, che botta! La macchina da guerra Id:Vision è una sorta di panzer impazzito che ci travolge con i suoi suoni cibernetici, tanto da sembrare di ritrovarsi all’interno di un videogame con effetti stordenti che penetrano le nostre menti facendoci impazzire. La musica dei nostri è estremamente frenetica, non ci lascia via di scampo per un solo attimo, spingendoci solamente ad un headbanging furioso. “Doden Force Division” e “Disphenoid’s Equilibrium” sono due cavalcate, dove il metal estremo dei nostri, si fonde con dei suoni elettronici capaci di lacerare i nostri timpani. Poi parte “Nietzsche Trilogy”, un trittico di brani dall’incedere costantemente al limite della follia e con techno beat dal vago sapore danzereccio: sembra di essere quasi in discoteca in preda ad acidi nebulizzatori del nostro cervello e poi ancora dentro ad un flipper, tanti sono gli effetti ubriacanti che si susseguono nei minuti di questa trilogia. Siamo a metà cd e non capisco più nulla a causa di tutti questi suoni, che finiscono per allontanare la band da qualsiasi banalissimo paragone. Un momento di respiro con “Deathcamp Prelude” e poi con “Decagon Deathcamp” scattano nuovamente le visioni post-apocalittiche della band bielorussa, con gli stravaganti sintetizzatori che dipingono quadri desolanti di morte, la voce che per un attimo abbandona il suo cantato corrosivo per farsi più androide (e poi umana nella successiva “I.N.R.I.”) e le ritmiche sembre vibranti, cariche di quel groove che ha reso famosi compagini ben più note come Fear Factory o Strapping Young Lad, a battere il tempo. Grande sorpresa quindi per un gruppo che non conoscevo ma che con la sua musica, un mix perfetto tra il black sinfonico e il synth rock dei Ministry, sicuramente dovrà cogliere la vostra attenzione. Funambolici! (Francesco Scarci)

(Haarbn Prod.)
voto: 75
 

Funkowl - Bubo Bubo

#PER CHI AMA: Funk Rock
Sapete che vi dico? Ascoltare questo cd mi fa venire voglia di ballare e di farmi una birra (non necessariamente in quest’ordine), e non mi dispiace. Divertente. Bravi questi rodigini “Funkowl” (inteso “Gufo Funk”, non come amena località a cui inviare persone non piacevoli), molto in gamba tecnicamente, danno alla luce un lavoro di 5 tracce niente male. Registrato bene, tutto suona come dovrebbe. Non lasciatevi fuorviare dall’urlo iniziale, non cercate del metal, o dell’hard rock, al massimo ascolterete qualche passaggio appena tirato, perché qui abbiamo un album di straripante funk. Il punto di forza lo trovate in queste sonorità, eseguite molto bene, con cambi di ritmo piacevoli e con una voce che ben si adatta al genere. La parte ritmica svetta sul resto, come è giusto che sia in questo caso, i giri di basso e la batteria acchiappano per il loro incedere frenetico. Le chitarre mi hanno colpito meno, sono poco in luce, ma qualche assolo qua là riesce particolarmente bene, per esempio nella prima traccia “Phalocracorax Carbo” (nome scientifico del cormorano, per i non biologi e non ornitologi). Non male “Mario’s Odissey”, in cui si riutilizza il tema del videogioco “Super Mario Bros” in maniera funzionale ad una canzone funk. Le altre songs seguono lo stesso schema, ma non si soffre di quella sensazione di noia che capita spesso con uno schema compositivo ripetuto. Le tracks hanno il pregio di non essere troppo lunghe: se una non piace, almeno è breve; se piace, la si riascolta. Più personalità sarebbe ben gradita, alcune volte mi pare di sentire troppo l’influsso di altre band (“Red Hot Chili Peppers” nei giri di basso, “The Cure” in certe parte cantate), ma non troppo. Sono curioso di sentire un loro lavoro, sempre di questo genere, di più ampio respiro, magari un po’ più lungo, chissà cosa ne salterebbe fuori… (Alberto Merlotti)

Empyrean - Quietus

#PER CHI AMA: Black Symph/Death Progressive
Un preludio vampiresco ci introduce nell’oscuro e selvaggio mondo degli australiani Empyrean, validissima band di Brisbane capace di stupire gli ascoltatori per la freschezza della propria proposta musicale, pur viaggiando all’interno di territori già più volte esplorati da acts ben più famosi, quali Cradle of Filth o Emperor. Avrete già capito di che genere stiamo parlando quindi, un black sinfonico che paga sì tributo ai gods nord europei già citati, ma che ha anche modo di regalare qualche spunto interessante, affondando comunque le sue radici in un sound molto vicino al death progressive svedese (Opeth docet). Il sestetto australiano ci regala quindi dieci deliziose tracce, in cui ad emergere senza ombra di dubbio sin dal primo ascolto è l’eccelso lavoro dietro le tastiere di Daniel Tannett e l’uso di una voce che spazia in totale scioltezza dallo screaming più feroce alla Dani Filth, al growling più cavernoso, per fare inoltre qualche rara capatina in territori totalmente clean, tanto che il vocalist corre il rischio di sembrare quello di una delle tante band emo/metalcore che impazzano in questo momento. C’è ancora spazio per il miglioramento, ma già ascoltando la gotica “From Whence the Mourning Came” o la successiva esaltante “Halls of Sorrow”, mi rendo conto che quello che ho fra le mani è una band dalle grandissime potenzialità, dalle grandi doti tecniche e dall’indubbio gusto per le melodie. Non ci saranno chissà quali idee innovative nelle note di questo “Quietus”, ma è un cd che si lascia sicuramente ascoltare e sono convinto che possa avere una lunga vitalità all’interno del vostro stereo. Nella quinta “Shackled Within” fa la sua comparsa anche una soave voce femminile che riesce a stemperare quella furia annichilente che per l’intera durata del cd fa da contraltare a quell’alone di oscuro intimismo che circonda i brani. Altra segnalazione d’obbligo è per “Raped and Dying”, song molto vicina all’attuale produzione degli Enslaved. Insomma che dire? A livello di songwriting ci siamo, magari la produzione non è ancora ai massimi livelli, ma tranquillamente migliorabile; se solo ricercassero un proprio stile ben definito capace di allontanarli dai cliché del genere, e se solo le linee vocali di James Hill si caratterizzassero meglio, sono convinto che sentiremo parlare molto a lungo di questi Empyrean. Avanti cosi! (Francesco Scarci) 

(Prime Cuts Music)