#PER CHI AMA: Post Rock, Explosions in the Sky, Mogway |
Ormai il post rock strumentale sta dilagando nel mondo come un morbo impazzito. Se prima le band che proponevano tale genere provenivano quasi esclusivamente da UK or US, ora ovunque ci si diletta a dare sfogo alla propria creatività; e il quartetto di oggi arriva dalla Spagna, anzi dalla Catalogna, con il proprio debut album, 'Synesthesia'. Si chiamano We Are Impala e non so se il riferimento al loro moniker vada al mammifero che popola le savane africane. Fatto sta che i nostri ragazzi di Matarò, ci offrono sei tracce di sognante post rock che vengono introdotte dal sound oscuro di "Tentakloj", brano che mette in evidenza la sinergia tra una ritmica pesante, quasi stoner, e altri eclettici giri di chitarra che concedono un più ampio respiro ad un suono altrimenti assai cupo. I giochi di chiaroscuri in cui i nostri si lanciano, creano una certa eleganza nel pattern strumentale che altrimenti rischierebbe di suonare troppo monolitico. "Forgeis" è una traccia giocata per lo più sul dualismo basso/chitarra che per certi versi mi ha ricordato un nome decisamente underground del panorama nostrano, che uscì nei primi anni del 2000, ma poi sparì nel nulla, gli Escape. I We Are Impala scandiscono nell'etere fascinose melodie in cui a sovrapporsi è il suono di roboanti chitarre con quello di altre decisamente più leggiadre, quasi ad affrescare la matrice sonora dei nostri. Il risultato che ne fuoriesce è una musicalità a tratti emozionante, che colpisce per i continui cambi di tempo, in cui ad alternarsi nella guida delle sinuose melodie, sono chitarra-basso o tastiere. Quello che lamento con i dischi strumentali è alla fine l'assenza di una voce che spezzi quel granitico "wall of sound" che le band puntualmente creano. Ecco allora utilizzare la tattica dell'arpeggio ruffiano con qualche tastiera eterea in "Delaylama", pezzo che a parte gli sbadigli iniziali, trova il suo perché in un finale dai tratti quasi onirici. "Abstrakta" apre carica di groove, con tocchi di keys incastonati nel suono del basso. Sebbene la traccia stenti a decollare, lentamente trova modo di far esplodere la propria energia in una burrascosa seconda parte dai contorni post metal. "Kasdan" mette in primo piano la batteria fin qui mai troppo in evidenza, affiancata dal profondo sound del basso, in attesa che sopraggiunga lo stentoreo riff delle chitarre. La song è tuttavia molto ambientale fino al breakpoint, in cui a rompere gli indugi, ci pensa una malinconica linea musicale. A chiudere il disco ci pensano i quasi nove minuti di "Heleco", brano quasi tribale che oltre a richiamare un sound dal gusto retrò, tipicamente seventies, finisce con un riff dark sulla scia dei primi The Cure, a dimostrare comunque una certa versatilità nelle corde dei quattro musicisti catalani. Siamo sicuramente sulla buona strada, un pizzico di dinamicità in più certo non guasterebbe, se poi vogliamo metterci qualche voce o chorus, si potrebbe addirittura rasentare la perfezione. (Francesco Scarci)
(Jetglow Recordings - 2015)
Voto: 70