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Groove Jazz
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Ero inizialmente andato al Radio Onda D'Urto Festival per vedere gli Orange Goblin, ma dopo la loro prematura chiusura di concerto e il mio successivo vagabondare per stand, mi son imbattuto in una band degna delle migliori attenzioni, i Verbal. Come ipnotizzato, sono stato per tutto il loro concerto davanti ad un piccolo palco stracolmo di strumentazione di qualsiasi genere ad osservare la loro performance non convenzionale, e come al solito a fine concerto li ho istruiti riguardo la buona novella del Pozzo e mi son fatto passare questo disco che sto recensendo per voi. Il disco è introdotto da "Double D Marvin", traccia adrenalinica che introduce al sound del combo bergamasco ricco di armonizzazioni, groove e linee strumentali differenti. Sulla stessa scia prosegue "Kaspar Hauser", che aprendo con un basso groovy, si slega rivelando la prima vena melodica del disco, stoppandosi poi a metà canzone, in cui si possono ascoltare le prime linee vocali, ovvero la stessa frase che in crescendo, che si trascinerà fino all'inizio della terza traccia. Essa emerge per una tranquillità evocata in primis grazie al ritmo moderato, ma soprattutto agli armonici che ne addolciscono notevolmente il suono; il cambio verso la chiusura era atteso ma sinceramente non me lo aspettavo così violento. "Orwell" apre con una strana ritmica dettata da uno strano suono, e subito mi balza alla mente la chiusura di concerto a cui ho assistito in quella notte d'agosto: una cariola sopra il palco. Ovviamente al primo incontro rimasi estasiato da ciò, ma poi sinceramente mi son chiesto se non andasse bene ugualmente usare il charleston o la campana del ride. La traccia ha una gran bella apertura grazie all'ipnotico sound “cariolesco” ed il basso che ci ricama sopra dei groove accattivanti; a mio parere però si perde la carica iniziale nella seconda parte della canzone causa una mancata legatura con la prima parte ed una troppo differente struttura. La parte finale del disco viene affidata a "Benny Hill (Hates Sports)" e "Kobayashi", due canzoni simili che presentano un'introduzione atmosferica delegata a synth e chitarre, anche qui abbondanti di armonici e arpeggi, che in un rovente crescendo, ingigantiscono il muro sonoro del gruppo. La prima fa più affidamento alla rabbia e velocità delle chitarre mentre la seconda chiude con il binomio xylofono-basso che sul pestare della batteria chiude l'album. Una band interessantissima su disco, ed altrettanto in sede live; auspico un vinile per assaporare meglio i suoni. (Kent)
(NeverLab)
Voto: 80
http://www.verbalband.com/
Voto: 80
http://www.verbalband.com/