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#PER CHI AMA: Death/Psichedelia, Pink Floyd, Opeth |
Ragazzi ecco a voi il nuovo disco dei Pink Floyd, no ma che diavolo sto blaterando? Eppure l’inizio della opening track, nonché title track del cd in questione, mi aveva assolutamente fatto credere di avere fra le mani un nuovo lavoro della storica band britannica. In realtà, quello che sta girando nel mio stereo, è il debut album della one man band statunitense Scorched Shores, guidata dal suo carismatico leader Robert Curzon, qui aiutato da una serie di session musicians. La opening track dicevo è affidata proprio a “Waves of Oblivion”, che nei suoi cinque minuti iniziali depista enormemente l’ignaro ascoltatore con melodie psichedeliche, vocals eteree, ritmiche rubate ai già citati gods inglesi; sono totalmente disorientato, commosso, estasiato da questa musicalità quanto mai inattesa. Nel suo contorto evolversi (e la traccia dura più di 11 minuti), il brano viene turbato da inserti tecno death, un po’ come se i Nocturnus violentassero il sound dei Pink Floyd stessi; difficile a credersi lo so, eppure è realmente quanto racchiuso nei solchi di questo cd, che probabilmente ha il solo difetto di non avere una produzione cristallina adeguata. Però è incredibile fin dal suo incipit, la proposta offerta dal polistrumentista di Santa Cruz. La band californiana, non si ferma certo qui, se pensate che le tracce sono ben dodici, e continua a stupire anche con la successiva “Break These Chains”, che ancora una volta sembra estrapolata da uno dei dischi ubriacanti dei primi Pink Floyd, prima di far eruttare il growling perverso di Erik Peabody, e stralunarci con questo impensabile ibrido death psichedelico, fatto di ritmiche mai sostenute, clean vocals assai particolari, parti ritmate, sostenute da tastiere lisergiche, improvvise accelerazioni schiacciasassi. Mio Dio dove mi trovo, è forse il paradiso questo? Non so cosa rispondere, tuttavia continuo ad essere ammaliato dalla proposta di questo act statunitense che stravolge, alla stregua degli ultimi Opeth, il concetto di musica estrema. Si perché qui di estremo non c’è dopo tutto granché, se escludiamo qualche vomitata nel microfono o qualche frangente in cui il doppio pedale della grancassa tocca apici tipici del death puro. Per il resto nel dinamico procedere di “Waves of Oblivion”, la band americana farà più la gioia di chi ama melodie più rilassate o chi in questo periodo apprezza maggiormente il filone dello shoegaze o del post rock. In ogni caso, gli Scorched Shores, portano a modo loro, una ventata di novità (o forse meglio parlare di un ritorno alle origini e alle sonorità di fine anni ’60) che a mio parere non dovrebbe passare inosservata. Deboli da un punto di vista distributivo, vi invito ad andare sul loro sito, provare a gustare le loro melodie, i piacevoli assoli (splendida oltre a quello della title track anche il solo di “Peaceful Glazed”), abbandonarvi alle loro oniriche atmosfere, lasciarvi sviare la mente dalla inusuale proposta (ma che genere è quello contenuto in “A Forgotten Past”?) di una band in grado di rimescolare le regole del gioco. Certamente consigliato a chi ha la mente e il cuore aperto alle novità, all’imprevedibile, ai mix tra musica incazzata ed eterea. Per chi è un puro da un punto di vista musicale, sarà ben più difficile avvicinarsi ad un prodotto che potrebbe in realtà essere offerto alle masse (per lo meno a chi ama Led Zeppelin o Pink Floyd), ma che per quei suoi inserti growl o sfuriate brutal cibernetiche (“Nocturnal Calls” o “The Curse of Azrael” ad esempio), rischia alla fine di relegarlo ad un genere di nicchia. Sarebbe un vero peccato però. Il voto è più basso di mezzo punto solo per la registrazione non all’altezza e di un altro mezzo punto per la voce granitica, non troppo convincente dell’ospite Erik. Forza Robert, stupiscimi ancora di più la prossima volta! (Francesco Scarci)