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martedì 27 maggio 2014

Brave the Vertigo – Oppenheimer Quoting Vishnu

#PER CHI AMA: Rock Progressive, Audrey Horne, Katatonia, Camel
La band di Burlington, nel Vermont, esce autoproducendosi un cd di quasi quaranta minuti diviso in soli quattro episodi di stupendo rock progressivo dal forte sapore vintage ma dall'anima forgiata nelle sonorità più moderne. Una produzione con i fiocchi, un tiro esagerato, una costruzione musicale equilibrata che dà spazio a tutti i componenti del quartetto e che giustamente mette in evidenza la chitarra e la voce del suo inventore, Francis Andreas. La sua voce ha la timbrica oscura del miglior Danzig solista, il taglio pop del Joy Ramone più elaborato (quello di 'Pet Semetery' per intenderci) e il fascino di Ian Astbury dei The Cult, quelli maturi degli ultimi anni e suona proprio come una delizia alle nostre orecchie. Musicalmente ruotiamo intorno alle atmosfere del metal più melodico e cupo in stile Katatonia, anche se il loro sound è più caldo e aperto, con suite di calma apparente e aperture alla Queensryche di 'Tribe', sempre in splendido equilibrio e senza mai cadere in eccessi. La pulizia del suono è basilare e come da più parti riconosciuto, i nostri ricordano in maniera strepitosa la musica dei Camel, in una veste rock/metal evoluta nel ventunesimo secolo. "Fat Man Schematic" e "Yena" presentano una linea vocale irresistibile che si estende sicura anche negli altri brani del disco, epica e maestosa senza mai cadere nei cliché di un certo epic metal di maniera. In "Yena" la band si lascia andare e nel finale dà libero sfogo ad una coda progressive godibilissima. Le chitarre indiscutibilmente fanno la parte del leone in tutti i brani, che siano acustiche o elettriche, emergendo sempre con melodie ancestrali, magnetiche, cosi come lo erano quelle degli Electric Light Orchestra al tempo o quelle degli Audrey Horne dell'album 'Le Fol'. Un vero album, completo in tutto, che farà felici molti ascoltatori alla ricerca di un lavoro ben curato, studiato, suonato con passione e stile, un album di tutto rispetto! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 75

Throne of Molok - Beat of Apocalypse

#PER CHI AMA: Cyber Death/Black, The Kovenant, Aborym, Plasma Pool
Parental Advisory: l'ascolto di questo cd potrebbe danneggiare seriamente il residuo del vostro cervello. Questo è quanto mi sarei aspettato di trovare sullo splendido digipack dei palermitani Throne of Molok, che con 'Beat of Apocalypse' giungono al terzo lavoro in studio. Sinceramente non conosco le precedenti performance dei nostri, ma me le andrò a cercare di sicuro; certo che quando la title (e opening) track fa la sua comparsa nel mio stereo, vengo investito da un cyber death a dir poco malefico. Sebbene questi due termini stridano quando accostati tra loro, il risultato che ne deriva è spaventoso: non so poi se sia dovuto all'effetto dei synth che accompagnano la fragorosa e serratissima ritmica dell'ensemble siculo o le diaboliche vocals di Morg, fatto sta che 'Beat of Apocalypse' ha un che nel suo incedere che puzza anche di velenoso black metal. Qualche beat cibernetico introduce "Something Black", un'altra cavalcata di acidissimo death metal dotato di un suono meccanico e malvagio, che sembra trarre parte della sua linfa vitale dall'arroganza musicale dei mostruosi Impaled Nazarene. Sfrontati, rabbiosi e fottutamente incazzati con il mondo, i Throne of Molok introducono "Atm:ind:inferno" con sonorità al limite tra l'EBM degli Hocico e le sonorità malate dei Plasma Pool di Attila Csihar. Potrete pertanto intuire quali siano le deviazioni musical-mentali di questi musicisti nostrani, che tra cyber divagazioni alla The Kovenant e sfuriate electro black alla Aborym, hanno tutto il tempo di massacrarci i timpani e deviarci la mente verso lidi a dir poco malsani. "Tuned by Holocaust", la mia traccia preferita, non solo mostra l'attitudine cibernetica del quartetto siculo, ma mette in mostra una ritmica che ha anche il tempo di strizzare l'occhiolino ai Morbid Angel. Si continua con i battiti di "Sentinel Possessed", un cingolato portatore di morte che spazza via quanto sia riuscito a sopravvivere fino ad ora. Rasoiate di chitarra (sembrerebbe un assolo quello che introduce un inaspettato break ambient) inducono un headbanging sfrenato prima della devastazione conclusiva a cura di "Obscure Emotions", la punkeggiante "Evil Invader", vera song al fulmicotone e la ruvida "Walking Death", ultimo atto in cui la voce al vetriolo di Morg riesce a mettersi in luce. A chiudere l'album ci pensa infatti la strumentale "Final Output", una scheggia impazzita di black death dalle tinte industrial che sancisce di fatto, l'eccelsa qualità di questo combo italico e della loro proposta. Un battito animale! (Francesco Scarci)

(Eternal Tombs Records - 2013)
Voto: 80

lunedì 26 maggio 2014

Wijlen Wij - Coronachs of the Ω

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Fortunatamente (è eufemistico) la band si è sciolta dopo questo massacrante album: parlo dei belgi Wijlen Wij, che suonano un funeral doom ultra viscerale, ma talmente viscerale che dopo 10 minuti d’ascolto si sente un estremo bisogno di chiudersi in bagno per non uscirne mai più. 'Coronachs of the Ω' è l’ultimo full-length registrato dalla band che poi ha giustamente dato le dimissioni. Questo disco è di una noia mortale: la monotonia e l’assenza di soluzioni lo rendono quasi del tutto inascoltabile, l’unica cosa che ha di buono è la registrazione, profonda e grezza e la prima canzone “...boreas" che, se anche non un capolavoro, si lascia ascoltare contenendo una buona dose di ispirazione. Il resto dell’album (più di 50 minuti!!!) è assolutamente una palla: riff da 2 accordi corredati da accompagnamenti monocorde che anche un bambino di 2 anni riuscirebbe a concepire, voce gutturale con testi ripetitivi e banali al massimo, cose simili a: “God is Dead” ripetuto all'infinito fino allo sfacelo neuronale, una tastiera che si fa sentire di tanto in tanto ma solo per far da tappeto sonoro e rendere il tutto ancora più piatto e lineare, mentre la batteria non fa praticamente null'altro che seguire i riff in maniera accademica ed impersonale. Dopo la seconda canzone gli occhi arrivano ad incrociarsi, la testa a pendere in avanti e si comincia a non sentire più le braccia, tanto meno le gambe, le tapparelle come per magia scendono da sole mentre cerchi di rimanere sveglio ma è difficile, un'impresa direi… non oso immaginare come questi belgi siano riusciti a concepire un simile lavoro, suonarlo e registrarlo per intero senza addormentarsi sui loro stessi strumenti. Forse quest’album funeral doom è davvero per i morti, ma voi che siete vivi e non siete recensori, potete risparmiare 60 minuti della vostra vita!!! Un consiglio: statene alla larga, andate a farvi due passi nel bosco o nel parco, sarà più stimolante. Album consigliato a chi è già passato a miglior vita e ai bradipi che si aggirano attorno ai cimiteri brasiliani. (Alessio Skogen Algiz)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 50

Spatial – Silence

#PER CHI AMA: Death/Doom
Fresco fresco di stampa giunge tra le mie mani questo dischetto, prodotto di una band polacca attiva dal 2010 e dedita a una sorta di bel mix tra death, doom e metal classico. Gli Spatial, lo dico subito, riescono a farsi amare già dal primo ascolto. Ne serviranno diversi però di ascolti, per apprezzare appieno il lavoro del “nostro” quintetto, ma quello in questione è un cd che già al primo dimostra essere di ottimo livello. Questo cd ha il pregio, notevolissimo, di districarsi agevolmente tra le varie sfumature del metal più moderno, con un occhio sempre attento a non lasciarsi sfuggire quello che di buono il passato ha saputo offrirci; e ne ha un altro di pregio, quello di essere di difficile etichettatura. Mi spiego meglio: siamo di fronte ad un gran bel disco metal, ma sarebbe troppo riduttivo parlare di death, oppure di doom, di thrash, di power o di classic addirittura...perché tutti questi “sottogeneri” vengono toccati dalla musica degli Spatial, che si dimostreranno essere assai versatili, sempre misurati e mai eccessivi. In poche parole, siamo di fronte ad una band matura, sotto tutti i punti di vista. C'è una buonissima preparazione tecnica agli strumenti e c'è un'ottima capacità di comporre; quindi, c'è quasi tutto. Spiegherò più avanti il motivo di questo mio “quasi”. Addentrandosi poi nei meandri della musica, scopriamo 11 tracce (di cui l'undicesima in lingua madre) che potrei provare a catalogare come doom metal (come caratteristica principale) miscelato più che sapientemente con voci tipicamente death, sebbene le clean si distinguano per la loro bellezza. Le chitarre sparano riffoni che colpiscono duro, ma sono capaci anche di arpeggi celestiali; la batteria non tocca mai velocità supersoniche ma è in grado di far viaggiare le canzoni su binari ben definiti. Si ondeggia la testa, e pure parecchio; il suono del disco, freddo il giusto e ben definito, aiuta gli Spatial nell'impresa di produrre canzoni in cui si sentono bene e distintamente tutti gli strumenti, tanto da far venire voglia di girare la manopola del volume verso la tacca “max”. Le quattro canzoni con cui si apre il disco, quindi i primi 20 minuti di ascolto, sono quasi perfette: "Arka Chaotis", "Silence", "Nightrage" e "Knights of the Forgotten Realm" sono devastanti, per bellezza e precisione. Eccoci arrivati alla spiegazione di quel mio “quasi” precedente: quelle che vi ho elencato rimangono, ovviamente per chi scrive, le migliori del lotto; poi il disco si assesta su livelli sempre piuttosto alti, ma senza grossi scossoni, si arriva alla fine. Secondo me, una migliore ridistribuzione della playlist, avrebbe giovato ancora di più alla qualità di un prodotto, che ripeto, rimane più che buono. Una bellissima sorpresa, un bel disco che si fa ascoltare e riascoltare volentieri; per questa ragione, aspetterò' con ansia una nuova release degli Spatial. Complimenti ragazzi, ottimo lavoro. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2014)
Voto: 80

domenica 25 maggio 2014

Gortal – Deamonolith

#PER CHI AMA: Death Metal, Morbid Angel, Massacre, Incantation
Band polacca attiva sin dal 1996 in ambito death metal, i Gortal pubblicano per la Pagan Records questo album monolitico di nove tracce intitolato 'Deamonolith'. Uscito nel 2013, è il secondo full lenght della band e rispecchia tutte le caratteristiche del genere death metal classic style, del trittico Morbid angel, Incantation, Massacre. Tutto secondo le regole del gioco, fatto ed eseguito alla perfezione: veloce, gutturale, lacerato e dal visionario scenario macabro, la voce padroneggia incontrastata e potente, una batteria tecnica e cristallina macina ritmi ossessivi e una chitarra solista svetta per calore e intensità come a rinverdire il mito dei Carcass, aiutando così la musica ad essere molto più interessante e fantasiosa. Tutti i brani sono di ottima caratura e arrangiati a dovere, nessuna sbavatura e tutto porta ad una continua atmosfera d'oppressione, a volte sparati a mille, a volte rallentati e sulfurei come a volersi trasformare in colonna sonora per un film che parla di serial killer. Gli assoli esaltano ed anche i buoni riff non mancano. Pur soffrendo un po' di derivazione dai classici delle band storiche (ricordiamo che comunque i Gortal entrano di diritto tra i pionieri di questo genere considerando da quanti anni si dedicano a questa variante dell'heavy metal), il lavoro dà il meglio di sè nei momenti più violenti e bui, quelli più muscolosi, cavernosi e oscuri, proprio come da copione. Un divertimento assicurato per gli estimatori più tradizionalisti di questo genere molto tecnico, un po' meno per chi si aspetta qualche tipo di innovazione. Comunque i Gortal sono un esempio di come si possa suonare oggi death metal con la passione di una volta, la giusta capacità e quel talento razionale che servono per ottenere un prodotto di qualità e 'Deamonolith' è un perfetto oggetto di valore da ammirare, e ascoltare, con tanto piacere. (Bob Stoner)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/GORTAL666

Perro Malo - Useless

#PER CHI AMA: Rock Blues/Punk
Cinque ragazzuoli dalla buona Romagna che hanno deciso, dopo mille esperienze precedenti, di imbarcarsi in un nuovo progetto e vedere cosa succede. Questi sono i Perro Malo (cagnaccio in spagnolo) che escono con l'EP 'Useless' marchiato GoDown Records. Hard blues misto a punk che diventa una miscela piacevole e alla portata di tutti, senza particolari pretese, nel senso che può essere digerita bene da qualunque tipo di orecchio (ecco, non includiamo però schifezze da radio pop melodica italiana). "Something Doesn't Work" parte con una chitarrona grossa, ma non esageratamente satura che guida la traccia per tutti i suoi quattro minuti abbondanti, facendo della ritmica il santo graal e approfittando del fatto che non tutti vogliono mega riff iper tecnici e assoli alla Petrucci. Tutto scorre alla grande e il brano cambia direzione più volte, ma il crescendo finale sarebbe più adatto ad una versione live. Avrei optato per un concentrato di tre minuti puri e crudi per bucare il timpano di chi ascolta, ma sono dettagli che non pregiudicano certo il feeling. La title track segue lo schema della precedente, con la sezione ritmica abbastanza lineare e semplice, mentre la voce sfrutta la sua carica per graffiare e caricare il brano. Un break a tre quarti fa sentire finalmente il basso che renderei più protagonista, non sono a livello di equalizzazione. La penultima traccia è "Vicious", cover del rimpianto Lou Reed, che originalmente ti ipnotizzava per come Lou cantasse, quasi annoiato dal mondo che lo circondava. I Perro Malo la reinterpretano a modo loro, senza particolari pretese e la rendono piacevole anche se l'originale è lì che ti ronza nel cervello e fa fatica a cederne il posto. Diciamo che nel complesso il progetto ha delle buone idee, ma devono essere sviluppate maggiormente per poter arrivare più in là. I Perro Malo non sono certo dei novellini e quindi avranno fatto delle riflessioni su cosa vogliono, oppure molto più semplicemente, suonano senza tante elucubrazioni filosofiche. Di fatto l'EP risulta un pò spento, ma mi aspetto che un prossimo full-length sarà più aggressivo a livello sonoro e magari anche più generoso in alcuni arrangiamenti. Si può fare! (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PerroMaloRock

Insain - Enlightening the Unknown

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Deprecated, Devourement
Now sadly defunct, this final release from French Brutal Death Metallers Insain is one of the most ferocious and intense assaults in the genre in the coming year and really makes a strong case as for why the band disbanded now following such a strong and well-rounded offering. The fact that this one manages to whip through a tight, furious blast of tracks with absolutely maddening drumming, razor-wire riffing and a penchant for complex, technical bass-lines creates a rather intense sound-scape that’s readily employed by numerous bands of this particular style and gets a lot out of the fact that this short release really contains a lot to digest and get through. The traditional paces and formulas that are employed seem to come flying through without hesitation for this doesn’t really employ anything new to the table that countless Brutal Death Metal bands employ themselves as there’s numerous bands with technically-accomplished riffing, dexterous bass-works and pummeling, barreling drumming in their repertoire, and pretty much set themselves up into the same style of attack with blasts, frenetic chaos and then lighten up on the chorus to return to the blasting and chaos at the end which is readily apparent on this one as well but the fact that this release manages to incorporate more traditional Death Metal patterns and riffs alongside the chaos and fury manages to set this apart for it’s not in-your-face all the way through, offering relaxing, or whatever that amounts to on a Brutal Death Metal record, moments through traditional paces and riff-work which adds a dynamic and looser quality to the material than would normally be the case and transforms what could’ve been another simple Brutal Death record into a blistering assault that spices things up quite nicely. The ambient noise intro "Abyssum Invocatis" is a rather exemplary opener setting the stage for the assault to come. The furious blasts of proper first song "Absorbing the Masses" unleashes a whirlwind assault of frantic riff-patterns, dynamic bass-work and chugging patterns all mixed into a pounding, unrelenting drumming assault and varied tempo changes that properly showcase the bands’ technical chops and penchant for strong, enjoyable writing that keeps the traditional paces and chaotic riff-patterns from becoming lost in a horde of a similar bands such is their impact and enjoyment. The more traditional Death Metal elements work into "The Faceless Ones" as the extended running time and frantic riffing make it into one of the better tracks on here as the merge between spacious Death Metal rhythms and brutal riffing makes for a stellar overall track. "Beyond the Stellar Remnants" and "The Scourge" are frantic blasts of intense Death Metal with brutal drumming, technical compositions and relentless energy, while the title track just tends to blast away in sheer brutality without really delving back into the technical realm that made for the best parts on the previous tracks but at least works in some traditional Death Metal noodling in the final half to offset the relentless chugging on display. Finally, "Apex" trends back into the technical styling with a frantic final burst that ends things nicely. Really, the only thing truly wrong with the release is the fact that it’s over so soon, needing just a few more tracks to be considered a full-length release but as an EP manages to entice a feeling of ‘it’s-over-already?’ that hardly ever sits well on such releases. An undeserving end to a brief legacy that could’ve been much more. (Don Anelli)

(Kaotoxin Records - 2014)
Score: 80

https://www.facebook.com/insaindeath

The Welington Irish Black Warrior – Vafancuneo

#PER CHI AMA: New Wave/Post Punk, Don Caballero, Big Black, Palais Shaumburg
Quest'album licenziato via Hummus Records nell'anno corrente, ci presenta un trio svizzero veramente underground, attivo fin dal 2005, in una performance live raccolta in Italia e più precisamente a Cuneo nel 2012. Il nome della band porta subito alla mente scogliere irlandesi, violino, birra e atmosfere folk celtiche ma nella musica del combo elvetico non c'è nulla di tutto questo. Al contrario, il cd è una sorta di catarsi sonica in quelle atmosfere care al new wave/post punk di fine anni, ottanta mescolati al noise di scuola Steve Albini con i suoi rumorosi Big Black, a qualcosa dei Jesus Lizard, agli umori dei Don Caballero e infine all'astratta psichedelia degli Slint. Un lato oscuro imparentato anche con la follia new wave delle Malaria e la no wave allucinata di Palais Shaumburg, lo contraddistingue dalla solita forma delle moderne post punk band e la track numero due dal titolo "Jahzz" ne è un esempio magico. Tutto questo in un live ben registrato e molto intenso, ricco di sfumature malate e paesaggi sonori cari ad una primitiva forma di post rock, grezza ed acida; ascoltate la killer track numero sei, "Samba Suicide", per avere una pur vaga idea di che cosa stia dicendo. Sei brani ispirati, che evocano spettri di demoni deformi e multiformi, un uso non convenzionale degli strumenti e una forte indole sperimentale, una carica emozionale e un'attitudine marcatamente antisociale, dal forte richiamo estetico e dalla geniale vena artistica, che fanno di 'Vafancuneo' un album da ascoltare. Rinchiuso nella sua forma live, questo lavoro è un vero gioiellino...se solo potessimo ascoltarlo registrato per benino in studio, quanto l'ameremo di più? Un diamante grezzo tutto da scoprire! (Bob Stoner)

giovedì 22 maggio 2014

David Lenci & The Starmakers - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge, Queens of the Stone Age
David Lenci, noto produttore/tecnico del suono e fondatore del Red House Recordings Studio, si fa attendere per circa due anni e finalmente esce con questo Lp (la versione cd è al momento disponibile solo per gli addetti ai lavori) interamente registrato in analogico (dio come godo). Alcune sovraincisioni sono state poi fatte presso "Sotto il Mare Recording Studio", altro tempio del suono di Verona. Quindi vi starete chiedendo cosa può nascere da grandi musicisti (David non si è fatto mancare nulla) e grandi mezzi? Bene, smettete immediatamente di farlo e andate ad ascoltarvi questo Lp su Soundcloud. La prima impressione è quella di essere tornati indietro nel tempo, tra Seattle e San Diego, quando la costa ovest degli USA stava affrontando un cambiamento che avrebbe segnato l'inizio di un epoca. Quindi psichedelia e grunge, un mix tra Jefferson Airplane e Neil Young con escursioni squisitamente rock alla Led Zeppelin. Tanta nostalgia, ma sfruttata al meglio come ottimi punti di partenza per un album personale, profondo e ribelle. Tutto ha inizio con "Refugee" che mette subito in risalto il caldo timbro vocale di David in pure stile Eddie Vedder, ma più tranquillo e meno incazzato. Ottime le chitarre che legano alla grande il mix di suoni puramente americani con la voce mai troppo alta rispetto agli altri strumenti (tipico nel mix all'italiana). Anche basso e batteria lavorano bene e si fondono perfettamente sviluppando un brano piacevole, anche se personalmente l'avrei fatto leggermente più veloce. "Old Guys Never Die" inizia con un arpeggio psichedelico che culla il cantato e si trasforma poi in un riff non esageratamente distorto. La atmosfera onirica viene sostituita da un assolo in wha che riprende un altro effetto caro al periodo di questo genere. Altra bella traccia che conferma la mia idea iniziale, cioè che David e Co. si sentono legati al rock grunge e psichedelia, ma senza l'incazzatura tipica di gruppi come Alice in Chains. La band aggiunge invece una punta di eleganza mista a malinconia che ne caratterizza le tracce e le trasforma in piccole gemme. Chiudo con "The Train Has Gone" che nonostante sia l'ultima traccia, viaggia come un treno senza controllo, semplicemente perfetta sotto tutti i punti di vista. Breve, intensa e sfacciatamente arrogante, come un brano rock deve essere. E lascia comunque intuire che la fine di ogni cosa è relativa e può essere solo che l'inizio di qualcos'altro. Uno dei migliori dischi del primo semestre 2014, senza dubbio. Ora però voglio mettere le mani sul vinile, non posso perdermi la possibilità di avere questa chicca tra la mia collezione. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 90

Tears of Othila - Way to Traditions

#PER CHI AMA: Folk
Tears of Othila, un progetto Folk con la F maiuscola. Davvero ottimo questo 'Way to Traditions', un viaggio modesto e puro alla scoperta delle antiche tradizioni nordiche, tra sciamanesimo e rituali magici. Nove canzoni una più bella dell’altra, cosi come bellissimi i testi di chiara matrice eddica, semplici ma incisivi; grande artwork poi anche se molto essenziale e romanico, elegante e senza sfarzo. L’album comincia subito alla grande, con "Inner Eyes", canzone che apre con una percussione magistralmente registrata a cui si aggiungono diversi strumenti a fiato come la tuba che rendono il brano davvero piacevole e giocoso, una danza tribale che scalda e riempie il cuore. Inutile fare l’elenco delle canzoni meglio riuscite o tentare di spendere inutili parole, quest’album è tutto buono, anzi, ottimo! Meravigliose le percussioni che fanno da sfondo a splendidi vocalizzi e arpeggi; gli accordi, sorprendentemente equilibrati sono degni di super gruppi del passato come The Pentangle e Fairport Convention. Ascoltare 'Way to Traditions' è un esperienza da brividi, la ricetta è semplice, saggezza, dedizione e capacità. Questi sono dischi che valgono, uno di quelli che fa la differenza e che arricchiscono la musica anziché impoverirla, i Tears of Othila meritano una grande attenzione, la stessa attenzione che si può avere per gruppi come Ataraxia et similia. Album super consigliato dunque soprattutto a quelle persone che cercano qualcosa che vada davvero oltre, qualcosa che sappia varcare i confini e che sappia spezzare le catene di questa società moderna che ci ha resi simili a macchine! Questo disco è vivo, questo disco è vita, pura vita, ascoltatelo e lasciatevi trasportare all’interno del vostro essere, lasciatelo entrare, non ve ne pentirete. La ricerca interiore abbia inizio! Hail Hail Odin! Hail Hail Tears of Othila! (Alessio Skogen Algiz)

(Ark Records - 2013)
Voto: 85

martedì 20 maggio 2014

Wild Dawn - Pay Your Dudes

#PER CHI AMA: Rock/Stoner/Blues
Francia, rock e testosterone messi assieme potrebbero dare un cd dalle mille sfumature, infatti i Wild Dawn dichiarano che la loro musica è frutto di un lungo studio e delle tante influenze dei quattro componenti. I quattro ragazzi infatti mescolano rock/metal/blues come più gli pare e dopo un EP ed un precedente album, lanciano questo 'Pay Your Dudes' sotto la Brennus Music. Dodici tracce che dimostrano maturità e potenziale da vendere, come si ascolta passando tra un brano all'altro. Tutto ben registrato, arrangiamenti in linea con il genere, ma a volte la traccia sembra portata avanti forzatamente. Forse qualche chiusura anticipata avrebbe tagliato fuori uno dei tanti assoli, oppure avrebbe evitato di ripetere per l'ennesima volta lo schema precedente. Ovvio che quando si ha tanto materiale e le capacità tecniche che lo permettono, si vuole concretizzare tutto in un bel cd, ma bisogna tener conto che il pubblico non è più quello di vent'anni fa. Se la canzone viene tirata per le lunghe oppure sembra qualcosa di già sentito, l'opzione skip del lettore cd diventa la via d'uscita più semplice. "Sometimes..." inizia alla grande, con un bel riff di chitarra modulato dal fido crybaby e via con una bella cavalcata rock che strizza l'occhio al blues e al southern. Gran lavoro di chitarre che ci propinano l'ennesimo assolo, mentre la parte ritmica va al sodo e senza particolari fronzoli, detta legge per i quattro minuti abbondanti di traccia. "Stone Cold Motherfucker" trasuda southern rock come fossimo seduti sulla nostra fida sedia a dondolo in cerca di refrigerio durante il lungo pomeriggio del profondo sud americano. Cori e chitarre meno estreme imperversano alla vecchia maniera, come se la Francia fosse una colonia del sud da sempre. "Better Days" ritorna verso lidi più rock, con suoni grossi e arrangiamenti sempre ben fatti. Un brano più oscuro e introspettivo rispetto ai precedenti, con un'ottima carica, pur rimanendo un pezzo non velocissimo. Ottime le doti del vocalist, che sfrutta il suo timbro caldo e graffiante per dare enfasi alla sezione strumentale. Bravi Wild Dawn, una band solida e ben piazzata che arriva a sfornare un prodotto di alto livello e si piazza in un mercato un po' in crisi e che vede gli ascoltatori muoversi verso generi diversi. Ma la costanza ripaga, almeno cosi dicono. (Michele Montanari)

(Brennus Music - 2013)
Voto: 70

Perversity - Infamy Divine

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Vile, Defeated Sanity
One of the forerunners to the brutal death metal scene in Eastern Europe, the Slovakian band under the name Perversity utilizes a lot of good marks on their new EP, but still don’t manage to place this as anything other than a rudimentary old-school sounding brutal death metal album. Avoided the sheer chaos, relentless blasting and stuck-like-a-squealing-pig vocal approach that so many of their originators seem to follow to up the stakes of sheer brutality, instead this is a lot cleaner-sounding and more organic-sounding effort with the brutality coming from the tightly-wounded riffing style and severe speed the band plays at, opting for more of a different vibe than the majority of such bands. The technicality is there but never really overwhelming to the point of ludicrous showboating for such sake, as there’s a noticeable effort to actually weave solid riffing structures into the rhythms throughout and not for the mere sake of being able to display the number of notes it’s possible to play in such a short time. Unfortunately, this lighter air doesn’t really make the album drip with the savage-ness and dripping-wet atmosphere that’s so prevalent in the scene, instead really robbing the band of it’s powerful drum attack and relentless chops that are on display don’t leave the same impact. This is also the fault of the dry production that keeps this from really running with its strong songwriting and different approach to brutality so the songs aren’t really the problem here, it’s more the way it sounds. Opener "Vermin" is pretty typical of the type of tracks here, with fierce blasting drumming and tight chugging throughout as the dexterous bass-lines and multiple soaring solo sections offer more of a cleaner atmosphere, a lot of which is repeated in "Goddess of Maggots" only that becomes a lot more enjoyable with an extra technical approach in some frantic bass-wanking and a pummeling drum attack. "Angel of Prostitution" is much the same way but played at a slower speed which inadvertently drops a lot of the brutal elements and comes across like mid-period Cannibal Corpse as the savage chops and technical proficiency keep this from really soaring up the brutality stakes with its mid-paced plodding rhythm overwhelming the rest of the song, though the classically-inspired piano outro does have some fine sense of humor. The album’s best track, the utterly infectious "Incest of Flesh" works quite well with a bouncy, memorable guitar riff and accompanied bass-work that adds more speed than most of the other songs before degenerating into relentless blasting that keeps running the same infectious riff throughout which keeps it’s chucky and heavy throughout. "Supreme Accusation" also manages to change things up with an extended melodic guitar intro and pounding drumming that turns into raging riffs and tight bass-work along the dexterous drums to get better as the eventual death metal feel gets worked into the song after the intro which does change things up quite nicely but doesn’t display the same impact as the rest of the song. Finally, the classical outro track "Infamous" offers a fine breather that signals the end of the bashing in earnest with a different feel than normal with a light, relaxing melody that really settles everything quite nicely. While the music itself isn’t the problem but more the way it sounds on this with the production being the cause, it’s more of a release for hardcore fans of the band or genre than anything else. (Don Anelli)

(Lavadome Productions - 2014)
Score: 60

domenica 18 maggio 2014

Solitary Crusade - Future

#PER CHI AMA: Cyber Death/Power, The Kovenat, Scar Symmetry
C'eravamo lasciati con Eric Castiglia e il suo progetto solista nell'aprile 2012, quando recensii 'The End Of Our Days', poi il silenzio. Da allora sono cambiate un po' di cosine: il musicista romagnolo ha lasciato infatti la sua vecchia band, i Sedna, e ha dato un nome al suo progetto, Solitary Crusade. Ha preso quindi forma la sua creatura e con essa anche il primo EP, 'Future'. Il platter si apre con l'intro cibernetico di "A New Beginning", che sembra voler celebrare un nuovo inizio nella carriera musicale di Eric. Poi ecco "Cold Water", in cui la voce robotica di una donna si pone in sottofondo ad un suono moderno, che vedremo esser capace di miscelare un death metal carico di groove, con l'elettronica e l'heavy metal, più altre trovate che sembrano ispirarsi ad act quali Faith No More o Dog Fashion Disco, senza dimenticare l'insuperabile Devin Townsend. Quindi accanto a delle chitarre belle ruspanti, non stupitevi di trovare divertenti scale ritmiche, ritornelli ruffiani o chorus che strizzano l'occhiolino a Mike Patton e soci. Tutto questo non può che farmi piacere, in quanto riuscirà a catalizzare la mia attenzione con una imprevedibilità di fondo pregevole. Le vocals di Eric sono abili nel districarsi tra la modalità pulita e quella growl, evidenziando l'ecletismo vocale del mastermind di Cesena, anche quando si diletta in tonalità più propriamente power (che sinceramente eliminerei). In "Imaginary World" fa la sua apparizione, in veste di ospite, Valeriano De Zordo vocalist dei Fire Lips e qui iniziano i dolori a livello di clean vocals, fastidiose e fuori posto. Il riffing possente conferma invece la passione di Eric per i Meshuggah, ma anche la sua voglia di sperimentare con un cyber sound che sembra rievocare i Fear Factory del periodo centrale ma anche i norvegesi The Kovenant. Niente male gli arrangiamenti, anche se tremendamente artificiali, che aiutano a rendere più pomposa la proposta dei Solitary Crusade, mentre da rivedere forzatamente il suono della batteria, molto spesso completamente slegato dalle chitarre. Con la malinconica "Black Clouds" ci addentriamo in territori più vicini ai Tool, con le voci che si sforzano a trovare un'identità ben più delineata e la voce più darkeggiante sembrebbe quella vincente, mentre da scartare quella power. La seconda metà del brano sembra cedere invece a divagazioni electro industrial, un po' scontate e banali. A concludere l'EP ci pensa la title track, la song più death metal oriented, la più tirata del lotto ma anche quella di certo meno memorabile, che lascia aperti alcuni interrogativi sulla direzione musicale che il buon Eric avrà intenzione di intraprendere. Insomma 'Future' è un discreto inizio da cui ripartire, auspicando nella sgrezzatura di alcune problematiche di fondo che il buon Eric sarà certamente in grado di smussare. (Francesco Scarci)