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domenica 17 aprile 2011

Frostfall - Dark Torments/Beyond the Dusk

#PER CHI AMA: Black Old School
Che senso ha per una nuova band proporci le proprie song del ’98-‘99? Capisco per una grande band che vuole deliziare i propri fan con materiale inedito, ma in questo caso, non capisco la mossa commerciale della Finale Earthbeat Production, che ci propone questa nuovissima band francese, con dei pezzi vecchi di 12 anni! Mah, mi state forse prendendo in giro, siamo su candid camera? No, e allora mi spiace per la release di questa oscura one man band translapina, perchè mi sa tanto che subirà l’ira del sottoscritto. Partendo da una registrazione stile scantinato, si prosegue con un sound vecchio e stantio (lo sarebbe stato verosimilmente anche nel ’98): la prima parte del cd, “Dark Torments”, primo demo della band è un concentrato di black metal lancinante, disperato, angosciante, che vive il suo momento migliore nell’acustica “An Oath to the Eternal Dusk”. Le solite chitarre zanzarose la fanno da padrona, con qualche accenno di tastiera in “The Gates of Souls Are Opened”, ma che noia, che barba, che noia (tanto per citare il duo Vianello Mondaini, sicuramente molto più interessanti e avvincenti di questo pietoso platter di musica che inneggia alla Fiamma Nera). La seconda parte del cd, “Beyond the Dusk” conferma l’inutilità di un tale release e la scelleratezza da parte dell’etichetta di rilasciare un prodotto del genere. Non ci si discosta di una virgola dale prime song, neppure per quanto concerne la registrazione, costantemente pessima e la musica poi, rimane quella scempiaggine di black metal (con fade out ignobili e cambi di volume pessimi) che a mio avviso, nemmeno i più fedeli sostenitori della fiamma nera, potranno ascoltare. Al diavolo!!! (Francesco Scarci)

(Final Earthbeat Prod)
Voto: 40

lunedì 11 aprile 2011

MG66 - In the House of Liv

#PER CHI AMA: Thrash Bay Area, Metallica
Il buon vecchio Franz mi allunga il disco e, tutto convinto, mi dice: “Sono un gruppo thrash, dovrebbero piacerti”. Noto la copertina molto glam rock (a proposito: ho letto critiche negative sull’immagine, a me non pare male...) e penso: “Ma non si sarà sbagliato? Mah...”. Annuisco e me ne vado perplesso. Inforco le cuffie e mi sparo “In the House of Liv”: il buon Franz aveva ragione! Veniamo alle presentazioni: gli MG66 sono un gruppo trentino il cui nome prende origine dalla MG42 (mitragliatrice tedesca della seconda guerra mondiale, ancora in uso in alcuni eserciti, tra cui - ah ricordi di naja - quello italiano) e dalla Route 66 (strafamosa highway americana). Line up: Dee Mitra (Chitarra), Robert Pixx (Voce), Cla Vanza (Batteria), Steve C.H. (Basso) e Davidian (Chitarra). Certo che per essere il primo LP, oltretutto autoprodotto, c’è da rimanere sbalorditi. I nostri han fatto le cose davvero egregiamente, con una produzione impeccabile per dieci tracce che riprendono il thrash più classico, quello Metallica e dei Pantera per capirci. “In the House of Liv” troverete tutti i canoni del genere, ben assemblati ed eseguiti in maniera fedele alla linea. Tuttavia qualcosa di diverso si può sentire in certi brani. Prendete “I Will, I Can” ad esempio, dove si possono scorgere degli innesti provenienti da altri generi davvero azzeccati. In altre canzoni non riescono così bene e non convincono molto, per esempio le parti industrial in “Shut Up”. Finché rimangono nel genere ci sguazzano e si sente, mentre appaiono, per ora, ancora un po’ incerti alle contaminazioni. Però è una strada che gli consiglierei di seguire, in quanto nel complesso funzionano. Ho molto apprezzato il lavoro dei chitarristi, che passano dai canonici riffoni granitici, a parti più lente e melodiche con una naturalezza invidiabile. Mi lascia un po’ dubbioso il cantato, troppo monocorde e troppo debitore a James Hetfield. Niente male il batterista che detta i tempi giusti e picchia con un’altrettanta giusta rabbia. Un solo appunto forse va fatto per quanto riguardo i testi che andrebbero maggiormente curati. Il cd vola via che è un piacere, nonostante le song non siano corte, lasciandomi addosso un certo desiderio di uscire a far bisboccia: niente male. Io, a questi MG66, mi sento già di volergli bene. Hanno il carattere giusto, la passione trasuda e poi l’attenzione a dei suoni puliti è quel tocco in più. Piacevoli! (Alberto Merlotti)

(Self)
Voto: 75

sabato 9 aprile 2011

Owl - Owl

#PER CHI AMA: Brutal Death
Christian Kolf deve essere una fucina di idee e soprattutto deve avere parecchio tempo a disposizione per potersi permettere di avere cosi tante band: Island, Valborg, Woburn House, Orbo, Slon, Centaurus-A, Kosmos Wald e ora questa ultima creatura, gli Owl. Ancora una volta aiutato dal fido Patrick Schroeder, batterista di turno in diverse delle sue imprese, il buon Christian partorisce questa volta un disco che si getta nel death metal più oscuro, claustrofobico, intransigente e ostico da ascoltare, forse anche a causa delle interminabili durate di alcuni brani. Si parte già con “Conquering the Kingdom of Rain” e i suoi 13 minuti di sonorità estreme giocate su mid-tempo tetri, angoscianti e alla fine striscianti come un pericolosissimo boa costrictor che sta per minacciare e quindi afferrare la sua preda. In tutto questo ossessivo incedere di chitarre in realtà mai troppo pesanti, sono forse i dissonanti suoni delle chitarre a contribuire all’incupimento delle atmosfere già di per sé oscure, per non parlare poi delle vocals gutturali, che rendono la proposta ancora più opprimente. Nulla è di facile ascolto qui, fatevene ben presto una ragione, altrimenti anche voi finirete per rimanere stritolati nella morsa letale del boa. Del ”gufo” questa release ha probabilmente solo quei suoni notturni che si ritrovano nel finale della opening track che lascia posto al suono cupo, brutale e martellante di “Lost in Vaults Underneath the Melting Mountain of the Saints”, una sorta di psicotica versione dei Nile, uniti alla delirante sagacia musicale dei visionari Deathspell Omega, mentre i cavernosi vocalizzi di Kolf continuano tormentare i nostri peggiori incubi. La proposta degli Owl si dimostra sempre più mortifera man mano che si avanza con l’ascolto e le mie povere orecchie sono messe a dura prova anche dalla terza lunga traccia che continua a rendere palpabile la sensazione di morte che si respira in questo fetido platter. Alla quarta “Spell of the Ignis Fatuus That Lead to the Impalpable Altar of Beasts”, caratterizzata dai iper veloci blast beat, penso quasi di averla fatta franca perché solo un brano mi separa dalla conclusione di questo pesante cd, ma ben presto realizzo che la conclusiva “Threnodical Ritual at the Spectral Shores of the Eternal Sunset” dura 30 minuti. Terrorizzato dinanzi questa scoperta, faccio un bel respiro e mi immergo nelle gelide acque putride che aprono il pezzo: triste scoprire invece, che in realtà questa mezz’ora sia costituita solo da sonorità ambient, quasi fosse uno di quei cd da libreria del tipo “il suono del mare”; sconcertante scoperta che destabilizza ancor di più l’ascolto di questo controverso lavoro. Purtroppo non mi sento di consigliare l’ascolto di questo omonimo album ad un pubblico assai vasto, ma solo a chi ama sonorità death metal estremo, salvo poi rimanere deluso per l’epilogo ambient. Non so, difficile giudicare un album cosi psicotico, ma d’altro canto, da un tipo controverso come Christian Kolf, che potevamo aspettarci? (Francesco Scarci)

(Zeitgeister)
Voto: 65

Theconflitto - Dusk Over the Nations

#PER CHI AMA: Hardcore, Converge, Neurosis
Dopo un demo cd e un Ep, ecco finalmente giungere sul mercato il full lenght degli spezzini Theconflitto, band hardcore dall’irruente impatto sonoro. Una delicata quanto mai fuorviante voce femminile introduce nei suoi due minuti iniziali, “Dusk Over the Nations”, dopo di che è la furia sonora a prendere il sopravvento con un attacco vetriolico, degno delle migliori realtà oltreoceano, con un sound che fa della rabbia suburbana il proprio credo. E cosi in successione, “Scribbling on Some Fear”, “Disinformatjia”, “Hero” e via dicendo, ci aggrediscono con suoni corrosivi, debitori verso le sonorità strazianti di act quali Converge o Refused, non disdegnando capatine in territori mathcore, di cui i The Dillinger Escape Plan sono leader indiscussi. Le song si presentano sempre assai brevi e dirette come possenti ganci rifilati uno dopo l’altro nei vostri pallidi grugni; “Beautiful Machine” forse rappresenta un episodio a sé stante con i suoi 5 minuti in cui il punk primordiale si fonde con sonorità “post” moderne e con escursioni in territori neurotici dei primi Neurosis grazie a quel suo finale ipnotico quasi apocalittico, sostenuto da un riff di chitarra ripetuto all’infinito. Sono già al tappeto stordito dai deliranti giri di chitarra del quartetto italico che con grande abilità confeziona brani mai troppo simili fra loro (cosa assai rara in questo genere), dotati di repentini cambi di tempo e rarefatte atmosfere soffocanti (non so perché ma mi viene in mente anche qualcosa dei Rostok Vampires). La proposta dei nostri trova un altro piccolo gioiello in “Small Room/Colourless Sand”, song che dimostra quanto i Theconflitto non solo siano estremamente abili con i propri strumenti (qui le ritmiche sono da brivido), ma anche quanto siano capaci di spaziare all’interno del proprio sound con intermezzi introspettivi (direi talvolta melodici) avvincenti e decisamente vincenti, che rendono la proposta del combo ligure estremamente intelligente e competitiva con quella dei mostri sacri americani. Le brutali vocals di Paolo poi, pur mantenendosi in linea con quelle del genere, si dimostrano spesso sofferenti e lancinanti o addirittura in linea quelle del rock più soft (immagino già le vostre facce sconcertate). Interessanti davvero, i Theconflitto piazzano li un quanto mai inatteso album che li farà apprezzare sicuramente tra le frange di patiti di questo trasgressivo genere, ma non solo. Certo non è uno di quei cd facilmente assimilabili al primo ascolto, ma questo è proprio il bello di questo genere: ascoltarlo, capirlo, scoprirne i segreti più reconditi, farlo scorrere nelle proprie vene per finire con apprezzarlo enormemente, come è accaduto al sottoscritto. Feroci, incazzati contro tutto e tutti, signori diamo il benvenuto ai Theconflitto! (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath)
Voto: 75

mercoledì 6 aprile 2011

Nefarium - Ad Discipulum


Seguo i Nefarium fin dal loro primo demotape che conservo ancora sui miei scaffali di nastri e ho avuto modo di assistere in questi 13 anni, all’evoluzione sonora della band valdostana, fino a vederla come alfiere, oggi nel 2010, del black metal made in Italy. Eh si perché i nostri di strada ne hanno fatta parecchia e “Ad Discipulum” testimonia la qualità raggiunta dall’act italico, che ora come ora non ha più nulla da invidiare alle produzioni scandinave. Forti dell’ingresso nel malvagio combo, del drummer Garghuff (macchina da guerra e già session per Gorgoroth e membro degli Enthroned), i Nefarium sprigionano una furia distruttiva di chiara derivazione swedish black, che non dà modo di annoiare l’ascoltatore, nonostante la quasi totale assenza di cenno melodico. Le otto tracce di Carnifex e soci sono veramente dei classici esempi di songs trita ossa che come su una sottilissima lama, rischiano talvolta di sfociare addirittura in territori più confacenti al brutal death più intransigente, ma non preoccupatevi perché ci pensa lo screaming del vocalist a ristabilire l’ordine della natura. Odio, rabbia, violenza pura e qualsiasi altro sentimento negativo, viene esternato nella mezz’ora e più di questo “Ad Discipulum”, album che riesce finalmente a prendere le distanze dai blacksters svedesi per eccellenza Dark Funeral, coniugando il sound tipico del quartetto, con qualcosa che ho potuto ascoltare solo nei lavori degli Aborym. Se cercate momenti di melodia o atmosfera, lasciate perdere questo cd, sebbene in alcuni momenti si riesca addirittura a respirare la magia che solo alcuni riffs dei grandi Dissection (“Servus Servorum Satanae”) furono in grado di donare o addirittura nella medesima traccia faccia la comparsa il sound distorto di un sinistro violino. I Nefarium del 2010 sono quanto di meglio l’Italia abbia da offrire in ambito black death, in attesa che qualcosa torni a muoversi in casa Aborym. Complimenti quindi alla band italiana, aiutata in questo terzo episodio da Archaon dei 1349 e da Wild P. dei Morturay Drape. Una sola domanda però mi sorge spontanea: non è che il prossimo album riservi sorprese ancora più “scomode” e una virata ancor maggiore verso lidi death metal? “Ai posteri l’ardua sentenza”, intanto io mi godo l’ascolto di questo malefico “Ad Discipulum”. (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75

Morrigu - The Niobium Sky


Finalmente qualcosa di raffinato popola il mio lettore cd, dopo settimane all’insegna del death più grezzo. La band in questione, dal nome assai brutto devo ammettere, proviene dalla Svizzera e dopo un paio di album all’insegna del death doom sulla scia dei My Dying Bride, arriva forse al tanto sospirato salto di qualità con “The Niobium Sky”, album che coniuga sapientemente un dark gothic con certe linee di chitarra dalle forti tinte progressive. Forti della partecipazione di alcuni membri dei conterranei Eluveitie, i Morrigu stupiscono per il loro sound fresco e altamente melodico che in taluni frangenti si lascia andare invece a sgaloppate che riportano un po’ alle radici death doom della band come ad esempio nella title track, vera chicca dell’album, per quel suo incedere maestoso che si dipana tra il prog, per quei suoi continui assoli e alcune reminescenze death, per l’uso del growling alla voce, comunque fantastica song che toglie il fiato. Si prosegue con “At the Gathering of Stars” che non fa altro che confermare la classe cristallina della band e la disinvoltura anche in pezzi completamente strumentali. “The Great Finding” è un altro interessante pezzo dove torna a far capolino il cantato growl che ben si alterna con i vocalizzi pulitissimi di Sevi, mentre la musica continua a godere dell’eccelsa tecnica dei nostri. “The Heritage of Mankind” ci mostra invece il quintetto alpino sotto un’altra veste, molto più aggressiva, fatta di ritmiche pesanti, arricchite da ottime tastiere e dalla sempre eccellente performance del vocalist e da pregevoli assoli dal profilo melodico. Insomma un album che si rivela un’autentica sorpresa, lasciandosi ascoltare piacevolmente dall’inizio alla fine, in tutte le sue 13 tracce e che si può rivelare un interessante acquisto per questo tiepido inizio d’autunno. Emozionanti! (Francesco Scarci)

(Dark Balance)
Voto: 75

Green Arrows - The Earth


Non so se ci sia una forma di accanimento nei miei confronti, ma ultimamente nelle mie mani non trovo altro che dischi penosi da recensire. Mettendo nel mio lettore questo platter dei bolzanini Green Arrows, ho rivissuto nuovamente questa sensazione. Ma che diavolo di musica è questa? Come si può produrre un disco del genere alle soglie del 2010, quando una miriade di band validissime se ne stanno in giro senza uno straccio di contratto? “The Earth” è un disco suonato male e registrato anche peggio, che ruota musicalmente attorno all’hardcore (stile Biohazard o Stuck Mojo) ma che anche si ripropone di rivisitare il thrash death dei Sepultura. Alla fine ci troviamo di fronte 10 tracce che per quanto brevi siano, scorrono via stancamente senza farmi sussultare per un attimo dalla sedia: chitarre sporche e banali creano le fondamenta di questo “The Earth”, release i cui testi ruotano attorno a temi scottanti della società (unico vero punto interessante del cd). I primi 5 pezzi sono uno peggio dell’altro, poi accade una sorta di miracolo con “Kazakhstan”, song che ricorda da vicino i Soulfly e per un attimo mi fa risvegliare dal mio torpore autunnale. Ma con la successiva “Before My Last Breath”, si torna a scadere nell’anonimato e a spingermi a cassare senza alcuna remora questo cd. Mi spiace, perché quando si tratta di band italiane, cerco sempre di trattarle con un occhio di riguardo, ma quando la qualità della musica non è del tutto soddisfacente, nulla posso fare per salvare l’insalvabile. Alla prossima… (Francesco Scarci)

(Vacation House Records)
Voto: 50

martedì 5 aprile 2011

Eptagon - Discrimen


Una strana intro apre il cd degli italiani Eptagon, un lavoro di 5 pezzi più intro e outro, dedito ad un certo occult black metal che mi ha ricordato da vicino gli esordi degli Handful of Hate e dei mitici Necromass. Chitarre zanzarose, in pieno stile nordico, costruiscono le ritmiche furiose del sound dei nostri, con una batteria impazzita che ne appesantisce l’incedere e delle vocals demoniache a completare il quadro di questo discreto “Discrimen”, release che nulla ha da chiedere e ben poco ha da dire, in quanto ancora forma embrionale di una band che potrebbe esplodere in un futuro o sparire completamente nell’anonimato. L’act piemontese non si limita certo a ripetere pedissequamente la lezione dei grandi maestri del nord Europa, ma prova ad includere delle variazioni al tema, come qualche mid-tempo o oscuri angoli di terrore come l’arpeggio inserito nella parte centrale di “Ares Ares”, che smorza per qualche secondo gli attimi concitati del disco. Diciamo che il lavoro è ancora abbastanza grezzo, complice anche una registrazione alquanto amatoriale, comunque di spunti interessanti per il futuro se ne intravedono. Lasciamoli lavorare e maturare e poi vediamo che cosa salterà fuori… (Francesco Scarci)

(Evil Cemetary Records)
Voto: 60

Hypnosis - The Synthetic Light of Hope


Anche se per i più gli Hypnosis sono una band totalmente sconosciuta, io li seguo invece fin dal loro debutto e devo dire di averli visti crescere stilisticamente e passare dalle sonorità death degli esordi al death gothic del loro periodo centrale, fino a giungere a quest’ultimo album, dopo aver attraversato una fase pesantemente influenzata dai Fear Factory, la cui ascendenza cibernetica si fa comunque sentire anche in questa nuova release. "The Synthetic Light of Hope", quinto lavoro per l’act transalpino, conferma già quanto di buono la band stava facendo negli ultimi tempi, e lo fa percorrendo comunque una strada non cosi facile da percorrere. Mantenendo come base il death degli esordi, il terzetto d’oltralpe costruisce il proprio sound su riff brutali, arricchendo poi il tutto con elementi cyber-industriali, arzigogolate trame chitarristiche, eteree vocals femminili ad opera di Sin_d (alias Cindy). Il risultato finale mi ha ricordato da vicino la musica imprevedibile degli svedesi The Project Hate, anche se qui magari il suono è un po’ più classicamente death metal rispetto ai colleghi scandinavi. Di carne al fuoco c’è n’è davvero tanta nelle 9 tracce ivi contenute, e ad un primo ascolto molto probabilmente, l’album potrà risultarvi assai ostico da digerire. Vi garantisco tuttavia, che dopo molteplici passaggi nel vostro stereo, inizierete ad apprezzare le graffianti ritmiche del trio francese, affrescate dall’oscurità e dalla vena malinconica di alcuni passaggi, e con l’influenza pesante di alcuni generi estranei al metal, in taluni frangenti, ad arricchire il tutto (elettronica e musica etnica). Tecnicamente, la band non ha nulla da invidiare a nessuno, anche se il suono è forse un po’ penalizzato dalla artificiosità della drum machine, ma a quanto pare un nuovo devastante batterista si è inserito finalmente nel gruppo. Se avete pazienza di ascoltare con perizia e attenzione questo lavoro potrete scoprire le interessanti sfumature che il death ha ancora da offrire. Se siete alla ricerca invece di suoni orecchiabili, qui ne troverete ben pochi. Brutali, ipnotici e psicotici, fate spazio agli Hypnosis!! (Francesco Scarci)

(Dark Balance)
Voto: 75

lunedì 4 aprile 2011

Chronic Hate - Chronic Hate


Quasi se ne sentisse la mancanza, ecco l’ennesima band di brutal death che nulla ha da aggiungere a questo mercato sempre più saturo. I Chronic Hate vengono da Bibione e con questo mcd autoprodotto, ci propongono 5 pezzi di banalissimo e monocorde brutal death di scuola americana, decisamente mal suonato e privo di qualsiasi spunto rilevante. Nonostante le radici del combo friulano fossero piantate nel black stile Cradle of Filth e Darkthrone, la band ha deciso di virare il proprio sound verso i lidi death di primi anni ’90, che hanno fatto la fortuna di band blasonate come Cannibal Corpse, Malevolent Creation, Deicide e Morbid Angel, bands underground che popolavano la scena più “florida” del mondo. Oggi, risentire quei suoni, mi fa un certo effetto perché ormai puzzano di vecchio e stantio. Cosi quando le mie orecchie si lasciano maciullare dai riff ultraveloci e taglienti dei Chronic Hate, dall’abuso dei blast beat e dalle vocals cavernose, anche se i nostri possono palesare tutta la tecnica di questo mondo (bravo Marco Calligher dietro le pelli), preferisco ascoltare i capolavori classici che hanno fatto la storia del brutal. Un unico plauso va a “Systematic Punishment”, l’unica traccia che cerca di evadere con il suo incedere oscuro, dagli schemi di questo mcd. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 50

Necromid - The Sleep of Reason


“Il sonno della ragione genera mostri”, questa è la celebra frase di Goya alla quale probabilmente gli esordienti Necromid si rifanno nel titolo del loro debut. Per quanto riguarda la musica, sicuramente i nostri devono essere grandi estimatori della scena death svedese, peccato che Imperia non sia Stoccolma e che gli Ithil World Studio non siano quelli dei ben più famosi colleghi scandinavi. Ciò che ne viene fuori è un genuino album di swedish death che si rifà a mostri sacri quali Arch Enemy, At the Gates e Dark Tranquillity, tanto per citare i più noti. Però mentre il sound delle band svedesi è molto ben strutturato e ragionato, la pecca dei Necromid sta nel lanciarsi in arrembanti cavalcate dalle melodiche e scandinave linee di chitarra, interrotte da qualche mid-tempos qua e là. Se il primo pezzo mostra un gruppo dalle grandi potenzialità, già il successivo mostra qualche limite della band, che sciorina brani si veloci, aggressivi, ma che bene o male si assomigliano un po’ tutti tra loro. La voce di Antonio dovrebbe dare una mano in tal senso, cercando di conferire maggiore personalità ai pezzi, mentre i brani dovrebbero giocare un po’ meno sul continuo ed eccessivo rincorrersi delle chitarre, perché il risultato può risultare sì piacevole in qualche pezzo, ma quando la cosa risulta reiterata, scade nel già sentito e incomincia ad annoiare pesantemente. Non mi dilungo ulteriormente nella descrizione delle canzoni proprio perché sono tutti molto simili tra loro (tranne la cover di Elvis Presley “Can’t Help Falling In Love” posta in chiusura al cd) e per questo auspico che la band possa lavorare per scrollarsi di dosso quell’alone pesante svedese che pesa sulle loro teste. Insomma, lasciamo fare lo swedish death agli svedesi e noi italiani dedichiamoci all’”italian” death in cui siamo altrettanto bravi. Sufficienza risicatissima, da rivedere (Francesco Scarci)

(UK Division)
Voto: 60

venerdì 1 aprile 2011

Neron Kaisar - Magnum Incendium


Loro arrivano dalla fredda Federazione Russa, sono al debutto con questo lavoro di nome “Magnum Incendium”. Sono i Neron Kaisar e di certo di freddo hanno solo il luogo di provenienza. Il loro Symphonic Black Metal è caldo, violento, brutale e cosa che non guasta mai, una ottima miscela tra parti classiche, chitarre e un incedere imperioso della batteria, un'amalgama perfetta e ben riuscita. Il cd è composto da 11 tracce (ah, fate attenzione perché la traccia n° 8 “Chaotic Profane Phenomena” è una cover dei Thyrane). La track list è ascoltabile e ben organizzata, anche perché, a gran sorpresa, i Neron si discostano dal genere per quanto riguarda la durata dei pezzi. L’unica che va al di sopra dei 4-5 min è la traccia 10, “Bloody Black Terror”. Il cd proprio per questa peculiarità, scorre via veloce e non annoia mai anche perché le canzoni sono ben strutturate con gli strumenti che si intrecciano in un tribale e incalzante ritmo furente con un growling mai troppo esasperato. Annotatevi sul taccuino la track 5, “Burn And Dominate”, dove un bellissimo assolo di chitarra squarcia l'orizzonte tenebroso (i “tecnici” lo apprezzeranno); “Malice, Hate And Sorrow” e “Bloody Black Terror”, ne consiglio l’ascolto, non sono canzoni ma un’esperienza, specie nella prima dove compare una bellissima parte di pianoforte. Il cd si chiude con “Incendio Absumptae (Outro)”, un pezzo del tutto strumentale molto cupo, che accompagna la fine del nostro ascolto fuori dal mondo dei Neron. I Neron Kaisar, per essere alla loro prima esperienza con un full lenght, mi hanno piacevolmente colpito e mi farebbe molto piacere se in futuro ne sentissi ancora parlare, di certo non ci stupirei, anzi concludo dicendo avanti così, la strada è quella giusta, con una buona dose di atmosfera, buoni musicisti e buone idee che senza dubbio non guastano mai, anzi... (PanDaemonAeon)

(Grailight Productions)
Voto:70

Saille - Irreversible Decay


Nel mio giro del mondo di recensioni, credo di non essermi mai imbattuto in una band belga, ma d’altro canto c’è sempre una prima volta per tutto e quest’oggi a togliermi la verginità in tal senso, ci hanno pensato i belgi Saille, freschi di un nuovo contratto con la nostrana e sempre attenta Code 666, con il loro debutto. Se siete degli amanti dell’ormai defunto black sinfonico, forse nei solchi di “Irreversible Decay”, troverete ciò che di meglio ha da offrire in tal senso oggi il mercato. Intro affidata ad una sinistra chitarra acustica e poi attacco arrembante offerto da “Passages of the Nemesis”, song dal tipico sapore nordico, con chitarre taglienti di scuola svedese, blast beat e uno screaming diabolico; bridge centrale affidato ad un mid-tempo melodico con tanto di sorprendenti violini, e un pathos crescente culminante con un solo di chitarra da paura che toglie il fiato. La sensazione è come se mi avessero sbattuto contro un muro violentemente e tagliuzzato la pelle con uno di quei rasoi da barba old style, e lasciato a terra con i vestiti fatti a brandelli, ansimante. Un inizio alla Limbonic Art apre la successiva “Overdose of Gray” che fa delle sue inquietanti tastiere, dei giri ipnotici di chitarra e della tellurica porzione di batteria il proprio punto di forza. Offende la nostra armata delle tenebre (la band è formata da ben 10 membri, tra cui violoncello, corno e appunto 2 violini) ma lo fa con assoluta grazia: Una elegante chitarra acustica apre “Plaigh Allais” e lo spettro degli Unanimated aleggia sul sound dei nostri quando c’è da pestare sull’acceleratore con ritmiche al fulmicotone; sorprende non poco invece nelle sue bizzarre parti centrali, dove ad ogni brano, i nostri si adoperano con qualche soluzione assai particolare, quasi a voler confondere l’ascoltatore. Non potete immaginare la mia gioia e il piacere nel potere affondarmi in questi suoni suggestivi, epici, sinfonici, quasi come se un ibrido formato da Immortal, Dimmu Borgir e la succitata band svedese si siano personificati nella figura contorta di questi belgi Saille, vera e propria sorpresa di questo inizio d’anno caratterizzato dai fuochi artificiali in casa Code666. Che altro dire, se non immergervi nell’ascolto di una delle più interessanti band in ambito estremo sentite nell’ultimo periodo. Estremamente affascinanti! (Francesco Scarci)

(Code 666)
Voto: 80