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lunedì 24 gennaio 2011

Apeiron - Among the Lost


Avevo già avuto modo di notare le qualità dei nostri con il precedente EP, "The Cruel Crime" e finalmente mi ritrovo tra le mani il loro full lenght d'esordio che mi catapulta nel contorto mondo degli Apeiron. A parte l'inutile intro, si inizia subito alla grande con "Voids of Breath" che mette in luce le qualità tecniche del poliedrico quartetto lombardo e le novità che questa nuova fatica ha da offrire ai suoi fan, che cerca da subito di prendere un po' le distanze dallo swedish death del precedente lavoro (ma la strada per la totale indipendenza rimane ancora lunga). La musica del combo di Vigevano non è proprio cosi facilmente inquadrabile in un genere ben preciso, in quanto nel sound dei nostri convergono un bel po' di contaminazioni dai più disparati ambiti musicali (in "Hendra" ad esempio fa la sua comparsa una chitarra spagnoleggiante inserita in un contesto death). Diciamo anche che "Among the Lost" non è proprio quello che si dice un album di facile assimilazione, data la complessità delle sue trame chitarristiche, della durezza che pervade comunque l'intero lavoro e delle soluzioni abbastanza particolari che si vanno a susseguire nell'intera evoluzione del cd: richiami a la Dark Tranquillity riecheggiano in "Clutches of Despair" (dove compare come guest star Gianluca Melino degli Alligator) e "Scavenging Thoughts". Un indemoniato basso super slappato, degno di una song funky, fa la sua comparsa in "The Last Page"; ma nel disco c'è addirittura lo spazio anche per una ballad, "Through Me You Enter", per melliflui intermezzi acustici o per divagazioni prettamente progressive, dove solo la voce ruvida di Alessio Massara ci tiene ancorati in territori death metal. L'unica difficoltà come già detto, ma forse alla lunga sarà il pregio di questa articolatissima release, è la difficoltà di far propri con una certa immediatezza questi pezzi, ma la cosa permetterà una più ampia longevità nell'ascolto di questa release e nel suo pieno godimento. Bravi e preparati tecnicamente, le vocals si rifanno parecchio a quelle di Mikael Stanne di "The Gallery". In definitiva, sono ben lieto di aver avuto modo di ascoltare l'intricatissimo debutto degli Apeiron, cosi straripanti nelle loro composizioni da stordire le mie frequenze cerebrali e spedirmi direttamente al manicomio. Imprevedibili! (Francesco Scarci)

(Last Scream Records)
Voto: 75

mercoledì 19 gennaio 2011

Benighted in Sodom - Hybrid Parasite Evangelistica


Oggi siamo qui a parlare di un gruppo di ragazzi americani che vengono da Fort Lauderdale (Florida, USA) e si chiamano Benighted in Sodom. Quello che presentiamo è “Hybrid Parasite Evangelistica” full lenght del 2010, che contiene 6 tracce, registrato per la sempre attenta Solitude Productions. Dobbiamo dire che il combo statunitense è parecchio attivo nella fase produttiva, infatti ha sfornato solo nel 2010 ben 6 cd oltre a 5 Ep!!! L’act a stelle e strisce non lo conoscevo per niente, e quando li ho ascoltati sono rimasto inizialmente un po’ interdetto: di certo si può dire che fanno un genere strano, quasi portatore di follia. Il cd al suo primo ascolto suona parecchio lugubre, lento, senza i ritmi sincopati ai quali ci siamo abituati nell’ultimo periodo. In tutto il lavoro possiamo ascoltare un incedere molto lento, quasi ipnotico, con i riff di chitarra mai troppo esasperati, e decisamente scevri da ritmi indiavolati. La voce che ci accompagna (ahimè tra le note stonate del cd) è maligna, malata, arrabbiata, anche se in certi casi penso che non ci stia molto l‘urlato, ma “de gustibus non disputandum est”. L’album si apre con “An Angels Circles the Drain”, che dura la bellezza di 10.53 estenuanti minuti. In questa song ci si imbatte immediatamente nell’aria sulfurea che caratterizza l’intero lavoro che satura fin dalle battute iniziali il nostro respiro. La song suona molto cattiva, senza mai eccedere però in una brutalità fine a se stessa, grazie anche a degli intermezzi acustici assai tranquilli che fanno si che il depressive black del duo americano, si mischi ad un ambient minimalista. I riffs quindi non si rivelano mai troppo violenti, anzi suonano molto puliti e con poche distorsioni ed effetti. “Liquid Flowing From a Slashed” conferma quanto appena detto, grazie ad un inizio con un linee di chitarra molto orecchiabili e ben ritmate, che poi esplodono con il loro incedere cupo e forsennato. Quello che differenzia i Benighted in Sodom da altri gruppi è l’uso di linee armoniche, molto semplici, angoscianti e malinconiche, ma anche decisamente scontate: talvolta si ha quasi la sensazione dell’essere braccati dalla ritmica a tratti psichedelica riscontrabile nel sound dei nostri. “Nightshade & Arsenic” mi ha sorpreso parecchio perché affida il suo incipit ad un assolo di chitarra classica, molto rilassante e orecchiabile; e la chitarra classica continua, tessendo arpeggi non cosi elaborati, ma suggestivi, rendendola l’unica protagonista del tessuto sonoro. Il pezzo suona dolce, lento, sembra quasi che ci culli e rimbocchi le coperte prima di assopirci: molto bello e strano, soprattutto inatteso. Alla fine dell’ascolto del cd tuttavia rimango un po’ con l’amaro in bocca: la band sarà anche produttiva, ma penso sia meglio privilegiare la qualità alla quantità anche perché nulla di nuovo è emerso dalle note di questo poco più che sufficiente lavoro. Il cd a molti alla fine potrebbe infatti risultare noioso o stancante. Rispetto il lavoro della band Floridiana, ma purtroppo non mi ha conquistato, e il lavoro è il classico disco che dopo il primo ascolto non può che finire nel dimenticatoio. Mi spiace ragazzi ma mi attendo molto di più dalle prossime uscite. Per ora una risicata sufficienza può bastare. (PanDaemonAeon)

(Solitude Productions)
Voto: 60

lunedì 17 gennaio 2011

Starlight Extinction - Twilight of Darkness


Ascolto questo “crepuscolo delle tenebre” e mi vien subito da dire che il titolo è una buona anteprima del piatto. Iniziamo con le presentazioni: gli “Starlight Extinction” sono un quintetto trevigiano formatosi nel 2004. Tra il 2007 e il 2008 hanno registrato e quindi dato alle stampe (nel 2009) il qui presente “ Twilight of Darkness”. Si tratta di un album che farei ricadere nella categoria del melodic death metal, quello di provenienza svedese per intenderci. Se pensate che questo tipo di musica non abbia molto più da dire, se credete che sia ad un punto morto, in cui si auto-celebra per mantenersi sempre uguale, forse non avete torto. Ecco però che questo quintetto di bravi musicisti introduce qualche cambiamento, qualche influenza heavy e di altri generi che potrebbero farvi ricredere. Sia chiaro, lo stile è quello convenzionale: ritmiche tirate, voce straziante, mancanza di speranza, atmosfere opalescenti, cupe, appena addolcite da alcuni brevi momenti più melodici. Una bella ventata di sensazioni maligne, inquietanti e disperate, portata da una musica rabbiosa e asfissiante. Quindi: cosa trovare di diverso in questo lavoro rispetto agli altri? Direi una certa eleganza. Oltre alla rabbia, all’aggressività, al pugno in faccia, i nostri si adoperano anche per un’anima di ricerca e raffinatezza, che non si può fare a meno di notare. In questo senso mi han molto colpito le chitarre, in particolare gli assoli, che richiamano molto all’heavy classico e, devo essere sincero, difficilmente rimango insensibile a queste cose. I riffs introducono quegli attimi più luminosi nel complesso oscuro del platter. Bisogna dare atto alla bravura di questi ragazzi, mi pare che tutto sia suonato bene. Come non indicare il lavoro del batterista: ascoltatene il martellamento quasi incessante, specialmente nei passaggi veloci di “High Voltage”. In secondo piano i giri di basso, travolti dal resto. Un appunto sul bravo singer, forse troppo continuo nel modo di cantare. In alcune tracce, ad esempio “Back Off” o “Rejoining”, spazia con altri toni, dimostrando di poter fare qualcosa di più. Nell’insieme, il cd si lascia ascoltare fino in fondo, le songs si alternano abbastanza bene (anche se l’unica che si stacca un po’ dalle altre per carattere è la già citata “Back Off”) e non soffrono di pesanti ipertrofie. Nulla da dire a livello di produzione: si sente come si dovrebbero sentire questo genere di lavori. Un parola sull’artwork, all’inizio mi ha lasciato freddino, ma poi mi ha riconquistato. Qualcuno potrebbe dire che qua e là manca un po’ di spinta e di energia, forse avrebbe ragione ma vabbé, per questa volta li perdono... gli “Starlight Extinction” conoscono i propri mezzi, ci sanno fare e se lo meritano. (Alberto Merlotti)

(Bunker Production)
Voto: 70

Aneurysm - Shades


Verona - Italia: gli Aneursym sono una delle storiche band della città di Giulietta e Romeo da più di quindici anni, ma ha all’attivo solo un demo e un cd autoprodotto e ormai datato 2002, intitolato “Aware”. Il sound del quintetto scaligero, partendo da una base techno thrash, riesce a sciorinare 15 buoni brani (in realtà 9 tracce più 6 intermezzi) di musica abbastanza varia ed originale. Grazie anche ad un’ottima registrazione, il combo veneto ci attacca con un muro sonoro bello compatto, che gioca alternando sapienti mid tempos a cavalcate thrash (reminescenza di quei begli anni ’80 ormai andati), sorrette da un eccellente lavoro alle chitarre, non disdegnando però, e qui è forse racchiuso il bello del Cd, fughe in territori alternative (di chiaro rimando ai System of a Down, soprattutto per ciò che concerne l’utilizzo delle vocals), atmosfere cibernetico-industriali, grazie alla buona performance di Stefano alle tastiere, e momenti claustrofobici di “Meshuggahana” memoria, come capita in “Quagmire”. Da rilevare poi l’apparizione di Hansi Kursch (vocalist dei Blind Guardian) in veste di ospite nella meravigliosa “Reflection”, dove le vocals del leader della band tedesca, si rincorrono a quelle di Gianmaria, in un climax ascendente da brividi. Il resto di “Shades” scivola via che è un piacere, con le songs che s’imprimono facilmente nella nostra mente, per quelle gustose melodie, quella giusta dose di cattiveria, per i brillanti assoli di Peter e per la sapienza palesata di saper variare nel momento giusto i brani con scelte più o meno azzeccate. Un paio di song oscure, dalle strutture complesse, chitarre chirurgiche e la voce di Gianmaria, che spesso fa il verso a quella di Serj Tankian, completano un disco che si chiude con la malinconica “Real Ease”, brano che sancisce l’esplosione di una nuova ottima band, nel panorama italiano...(Francesco Scarci)

(Old Ones Records)
Voto: 75

Floodstain - Slave to the Self Feeding Machine

#PER CHI AMA: Death/Stoner, Machine Head, Mastodon
Un cd dalla Olanda e la band suona pure un Stoner/Death cattivissimo? Oddio, fa che sia bello, ne ho bisogno.. Allora ascoltiamolo e incrociamo le dita. Sette pezzi che lo classificano nel panorama degli EP e grafica del packaging spartana ma fatta di pugno, perlomeno originale. Il primo pezzo "Deathproof" mostra subito la classicità dello stoner interpretato dai Floodstain: chitarre accordate uno/due toni sotto e via potenti come su una Harley. Diciamo che la voce in stile death è il primo dettaglio che differenzia i Floodstain dal genere classico, insieme a qualche passaggio melodico. Invece il terzo brano che da il nome all' EP nasconde quel potenziale che non avevo immaginato dopo i primi due pezzi: intro melodica con un pianoforte che viene subito divorato dalle distorsioni, lo stesso vale per la voce di Jozz che per poche battute sembra molto Gavin Rossdale ma poi si libera e diventa quel cane rabbioso che tenta di divorarti per i vicoli bui dell' anima. Cinque minuti abbondanti tutti da vivere al culmine dell' ansia. "The Pence within" invece taglia fuori lo stoner e tramuta i Floodstain in una band puramente Death, dalla tecnica anche accettabile se vogliamo. Next one please.. "The Slumbering Titan Slayer" è un pezzone tutto cactus e odore di petrolio nella valle della Morte. Per carità, i Kyuss e i QOTSA potrebbero citare in giudizio i Floodstain per "ispirazione molesta", ma il fatto strano è che quest'ultimi citano i Machine Head e Mastodon come influenze.. Mah. Secondo lavoro (premetto che non sono riuscito a recuperare il primo "Dreams Make Monster") ma ai Floodstain serve una buona iniezione di creatività per idstinguersi nel panorama stoner, sempre che sia quello che vogliono. (Michele Montanari)

(BadMoodMan Music)
Voto: 65

sabato 15 gennaio 2011

Potential Threat - A New Threat


Arrivano dalla città santa del thrash, San Francisco, e si sente. I Potential Threat SF apprendono (anche troppo) dai grandi del genere e ci scodellano questo dischetto, non privo di spunti interessanti. Fedeli del thrash, vi sentite un po’ orfani del genere? Pensate: ma un ciddì tipo quelli dei Pantera, se ne fanno ancora?! Questo qui potrebbe interessarvi. Il lavoro ricalca tutti gli stilemi del genere, inoltre ci aggiunge qualche suggestione di gruppi new-metal (i Machine Head in particolare), le quali rendono il tutto meno scontato. Nulla di veramente nuovo quindi, tutto già sentito e digerito; a dire il vero nell’ascolto mi prende un po’ la nostalgia degli anni passati. Sì perché il ritmo potente, le chitarre tiratissime, l’energia, la rabbia e la batteria martellante che scaturiscono, a me piacciono. Mi piace sentire il muro sonoro che sorge dalle tracce, il continuo rullare della batteria, i giri di basso tellurici e gli stacchi. Mi piace un po’ meno lo stile del cantante, bravo per carità, troppo monotono e ispirato a James Hetfield (fatto che, di per sé, non sarebbe male, ma qui un po’ troppo ispirato). Ho molto gradito il gran lavoro del batterista, che picchia come un fabbro e bene. Prendete la opening track “Remember the Violence”: ecco lì c’è la somma dei pregi e dei difetti del platter. Una canzone tirata, con aperture, stacchi rapidi e concessioni melodiche. Ha nella ripetitività il suo punto debole. “Watch it Fade Away” è più violenta nei suoni, ma più calma nel cantato ed è giocata sull’alternarsi di queste parti. Stesso discorso si potrebbe fare per “For Our Nation”. Piacevole l’inizio sincopato della violenta “Far from the Truth”, quella che più mi ha colpito del mazzo. Un vero dispiego delle capacità tecniche del trio. Le altre songs rimangono al palo, ma non mancano di potenza e velocità. Nota super positiva, la lunghezza delle canzoni. Non si va mai oltre i 5 minuti e questo aiuta contro la reiterazione dei suoni. Ben realizzata la produzione, non mostra pecche. Alla fine dell’ascolto, ho avuto 50 minuti di energia, di musica potente, veloce, meno prevedibile di quanto avessi immaginato, ma anche meno di quanto sperassi. Lo stomaco è soddisfatto, l’orecchio vorrebbe qualcosa di più vario, ma questa volta può bastare. Promossi con sufficienza piena. (Alberto Merlotti)

(OSM Records)
Voto: 70

Atlantic Tide - Bad Acid Queen 7"


Come vi immaginate che sia un’onda atlantica? Vi dico la mia (ma voi non copiate): ecco, più che ad un’onda di quelle gigantesche da film di surfisti (tipo “Un Mercoledì da Leoni”), io ho pensato ad una corrente forte, un vortice marino caldo, difficilmente prevedibile ma non troppo intenso da divenire pericoloso per la navigazione. Ora, io non saprei dire se il trio svedese avesse in mente questo quando han deciso di chiamarsi “Atlantic Tide” e di suonare questo demo, però le due canzoni qui contenute, si adattano molto bene alla mia immagine. Secondo me i nostri ci sanno fare. Non sono di primo pelo: il cantante e il batterista hanno militato in altri gruppi e insieme nei “Terra Firma”, mentre il chitarrista ha un passato nei Blackshine, death’n roll band. Mi piace il suono di queste due canzoni, mi piace lo spirito che ne esce, mi piace l’alchimia sonora che scaturisce. Sono tracce raffinate, ricercate nella composizione, con presenza di melodie complesse, ma non stucchevoli. Tecnicamente capaci, trovo un po’ incerta la voce del vocalist in alcuni passaggi. Poco male, si è talmente coinvolti dalla musica che non lo si nota poi cosi troppo, ma su un lavoro di questo respiro stona un pochino. Trovo “Eyestroids” particolarmente elegante, ne apprezzo la fluidità trascinante, come l’onda atlantica che avevo inizialmente immaginato. La mancanza di stacchi netti facilita questa sensazione, la fusione di suoni elettrici con altri più classici, origina un effetto quasi psichedelico. Meno fluida, più ruvida la title track “Bad Acid Queen”, che ha in sé, come prevedibile dal titolo, un certo gusto acid-rock. Presenta un carattere più aggressivo e un po’ meno melodico rispetto alla precedente: cambi di ritmo, accordi più tirati, batteria più dura e il finale sfumato rendono l’onda atlantica qui più frizzante, ma non meno avvolgente. La lunghezza delle canzoni non è eccessiva e mi sembra un buon compromesso per dare sfoggio delle capacità del terzetto senza cadere nella noia. Sarei molto curioso di vedere cosa sarebbero in grado di fare su 33 giri. Per ora mi basta perdermi un attimo in queste due onde. (Alberto Merlotti)

(High Roller Records)
Voto: 70

Devilish Impressions - Diabolicanos: Act III Armageddon


Dopo l’uscita di "Plurima Mortis Imago", i Devilish Impressions tornano con il loro nuovo cd intitolato “Diabolicanos: Act III Armageddon”, edito dalla Conquer Records. In parecchi hanno ritenuto il lavoro passato come un disco dove il gruppo sembrava passare un periodo di transizione, ma con questo nuovo lavoro, i nostri sembrano aver ritrovato la loro dimensione, la loro creatività, la loro potenza e cattiveria (che non guasta mai). La release si apre con la canzone “T.H.O.R.N.S”, e dalla frase iniziale con la quale vengo investito "We are thorns which killed the fucking god!", ho già una mezza idea di quel che mi aspetta. L’inizio è sfolgorante, trascinante, potente, con la batteria annichilente che si lascia apprezzare ad ogni secondo della opening track, per non essere mai banale e sempre estremamente precisa, complimenti a Icanraz, il dramme del combo polacco. I riff di chitarra anche con i successivi brani, si confermano sempre potenti e melodici, risultando anche inaspettatamente ricercati e mai banali. La voce di Quazarre è davvero notevole ed espressiva, mai esasperata nel suo cantato: segue perfettamente l’atmosfera richiesta dai brani, brani che corrono via piacevolmente senza annoiare mai. Pezzi come “Rex Inferni”, “The Word was Made Flesh Turned into Chaos Again”, “I Am the Son of God” o ”Tales of Babylon`s Whore”, partono con una delicatezza inattesa per poi subire un crescendo di potenza e suggestioni infernali che si amalgamano perfettamente con la sulfurea atmosfera che trasuda l’intero lavoro. Quando si arriva a “Diabolicanos”, “Natas Ro Dog On Si Ereht (Of Plagues and Blasphemy)” e” Har - Magedon”, il cd esplode in un mare lavico di micidiale black metal, dove il gruppo riesce a dare decisamente il meglio di sé, sia a livello compositivo che tecnico-interpretativo, dando prova di grande intensità e cattiveria musicale. Il Cd si chiude con “Mass for the Dead”, song che rispecchia fedelmente lo stile del gruppo grazie a quel suo feeling maligno e infernale. Tutto il lavoro dei Devilish Impressions è da ascoltare, consigliatissimo, molto ricercato nei suoni e intelligentemente studiato anche nella sequenza della track list, infatti sembra quasi che il cd si divida in due parti, una parte più ragionata, melodica, ritmata, quasi con andamento marziale, l’altra violenta e totalmente distruttiva. Buona questa nuova fatica dei Devilish Impressiosns, consigliatissimi! (PanDaemonAeon)

(Conquer Records)
Voto:75

Agael - Hybris


Innanzitutto diciamo che Agael non è una band, ma una “one-man band”, proveniente dalle lande teutoniche, con il primo album uscito nel 2009: misterioso, come la sua musica. Inserisco il cd nel lettore. Sento le prime note, e già mi sovviene la sensazione di dovermi imbarcare per un viaggio via mare. “Black Human Snow” si caratterizza da suoni orchestrali e trombe dal suono profondo, che ricordano vagamente i suoni di una nave; seguite poi da una vena più spleen, con pianoforte e drum machine, che ci destano dalla nostra fantasia. “Legend”, la traccia seguente, si affida più alla ruvidezza delle chitarre (in parte distorte e in parte pulite) e alla voce quasi incomprensibile e gracchiante: la vedrei bene come voce di Freddy Krueger per un nuovo capitolo della saga... tutta la traccia segue lo stesso riff di chitarra, accompagnato da suoni bui in sottofondo, pregni di una vena malvagia, che questo misterioso personaggio vuole mostrare ai più. Per quante volte la si ascolti, non riesco nemmeno a capire se Mr. Agael canti in inglese o in tedesco: la voce è talmente distorta da risultare di difficile interpretazione. Viene poi il turno di “Inanity”, con la pura drum machine in primo piano, che accompagna stridenti vocals, in questo frangente più chiare nella loro comprensione: ora si riesce infatti a capire il linguaggio utilizzato è l’inglese con alcuni intermezzi in tedesco e un’alternanza di clean vocals e screams. Dopo la parentesi più “umana”, il sound rallenta fino a mettere in risalto la timbrica dei piatti della batteria e dei suoni campionati (mi ricorda un non so che dei primi Nine Inch Nails), per poi riprendere nuovamente la precedente cadenza. Con “Lambs of the Rain” si placa la rabbia del nostro eroe, lasciando più spazio ai suoni di un temporale accompagnati dalle note di un pianoforte: un perfetto connubio per sottolineare la tristezza e la malinconia che la vita può portare. Se ascoltato mentre ci si riposa sul divano o sul letto, rilassa a meraviglia. Con “Cathartic” ci si ridesta dal torpore creato dalla precedente song, ma in maniera meno traumatica: mi azzardo a dire che assomiglia al progressive rock dei Porcupine Tree, anche se decisamente in salsa più metal e distorta. Tutta la traccia è strumentale e riesce addirittura a mettere di buon umore, con qualche strillo di gabbiano qua e là: più il cd avanza e più resto stupita di quest'idea di associare l'ambient al black metal (che, a parer mio, è qualcosa di spettacolare). Che dire di “My guilt”? Violino e suoni pomposi,che ci accompagnano ancora lungo il nostro cammino iniziale, in un'altra epoca ove la nostalgia finisce tuttavia per prendere il sopravvento. Con “Have you Seen the Others” torniamo al sound di “Legend”, ma con una certa differenza nello stile: la batteria viene intervallata dai momenti cantanti e dai soliti suoni orchestrali (su questo si è particolarmente fissato). Siamo quasi in dirittura d’arrivo mentre “Garden of Detritus” scorre in sottofondo con le sue ambientazioni, pacate, rilassate e a tratti inquietanti (mi aspettavo che prima o poi uscisse un urlo da farmi saltare sulla sedia). Si arriva così alla sorprendente “Die Gestohlenen Flüsse”. Perché sorprendente penserete voi? Perché, semplicemente, racchiude ben due tracce fantasma al suo interno. Se la traccia “ufficiale” è caratterizzata dal campionatore e qualche violino, con il suol ritmo quasi funebre, dopo una pausa di 2 minuti e mezzo deflagra semplicemente un riff campionato, mentre la seconda ghost track è l'associazione di pianoforte, batteria e flauto, un connubio che lascia senza parole per la stranezza di questa scelta, ma che la rende valida ascolto dopo ascolto. Posso concludere dicendo che ho dovuto ascoltare “Hybris” moltissime volte per riuscirne a captare tutte le sfumature in quanto si tratta di una release talmente ricca e varia di suoni, idee e sperimentazioni che necessita molti ascolti e molta attenzione. (Samantha Pigozzo)

(Naturmacht Productions)
Voto: 75

Nauthisuruz - Visions


Ed eccomi a riprendere in mano il capitolo Nauthisuruz, questo duo russo sperimentale e fantasioso: mi accingo a dedicare il mio udito a “Visions”, dopo aver ascoltato da poco il capitolo “State of Mind”. Si inizia con la pacata intro “Voice from the Dephts”: gli archi lasciano spazio al piano, contornato da una delicata chitarra elettrica, che aiuta a dare un senso di pace e di preparazione mentalmente ad un lungo viaggio, nei meandri della mente libera dai pensieri. “Invisible is Obvious” è un inno al silenzio e alla mente lontana dalle sensazioni negative: è caratterizzata dalla voce roca e profonda, con la chitarra elettrica che, veloce e sbrigativa, aumenta un senso di inquietudine, con l’aggiunta di qualche inserto elettronico che contribuisce a rendere il tutto più industrial che black metal. “Apathy”, altro brano orche-strumentale, si avvale molto dell’aiuto della drum machine nella prima parte, mentre nella seconda l’aria si fa più pesante e il pianoforte contribuisce a dare man forte. “Life in Magic”, vero tripudio di suoni contorti, riprende l’argomento silenzio e il rumore che esso fa, il tutto sottolineato da una voce roca e disperata, il tutto tremendamente permeato da un’aurea malinconica. “Dreaming”, seguendo la scaletta del brano cantato seguito dal brano strumentale, presenta suoni elettronici, con la drum machine ridotta al minimo accompagnata da soavi note di flauto, che portano la mente a ancora più lontano. Si incontra poi “Ode for a Man”, in cui il tema di fondo è la vita terrena perduta, e la strada per diventare divinità: mentre il corpo si disintegra, l’unica cosa che rimane è la coscienza. Tutto questo è caratterizzato da un’aria solenne, grandiosa, elettronica, dove le chitarre sono magnificamente accoppiate a suoni elettronici, e fanno da sfondo per vocals forti e cattive. “Lost Feelings” riprende le atmosfere di “Apathy”, creando un ambiente freddo e insensibile, ma molto profondo. “My Apocalypse” apre con un’intro prettamente orchestrale, che ha il ruolo di aumentarne la tensione: tutto il brano lascia trasparire angoscianti sensazioni di malinconia e rassegnazione: l’utilizzo di toccanti note di pianoforte enfatizza molto queste sensazioni, grazie anche al tono di voce profondo. Con l’outro “With no Thoughts”, la spirale di tristezza fortunatamente termina, lasciando la mente in balìa dei pensieri ma con un piccolo spiraglio di luce, che infonde più fiducia e quiete, rasserenando l’animo. “Internal Fight”, la prima delle due bonus track, riprende lo stile della seconda traccia, con un ritmo veloce ed accattivante, e con un solo di chitarra, delizia per le mie orecchie. Con “Innominatus” si arriva alla fine di questo viaggio: l’atmosfera si fa più orchestrale, differenziandosi totalmente dalla precedente song, grazie anche al parlato e al ritmo serrato, veloce, oserei dire geniale. Come perla, vi è anche un coro di voci femminili. Per concludere, quest’opera si rivela più varia rispetto a “State of Mind”: moderatamente “heavy”, come annunciato anche sul loro sito ufficiale, “Visions” ha bisogno di un ascolto attento, non troppo impegnativo e soprattutto ne consiglio l’ascolto ad occhi chiusi, comodi, dove più aggrada, in modo tale da assaporare ogni singola venatura e particolarità. Magico! (Samantha Pigozzo)

(Haarbn Prod.)
Voto: 85

Sworn Enemy - Maniacal


A distanza di un anno da “The Beginning of the End”, torna il quintetto hardcore di New York degli Sworn Enemy. Balza subito all'orecchio una differenza rispetto agli esordi della band, ossia l'allontanamento quasi totale dal genere che li aveva lanciati, l'hardcore, con una propensione a proporre invece suoni decisamente più “classici”, più thrash orientati, propri di band quali Slayer o Nuclear Assault, che già magari si erano intravisti nel lavoro dello scorso anno. Messe da parte quindi tutte le componenti “core”, la band di Brooklyn si lancia in un nuovo (e breve) lavoro, un assalto thrash metal di 33 minuti che darà nuova carica a chi come me è cresciuto a pane e thrash metal. Dieci tracce che si assestano sui tre minuti di durata ognuna e i cui ingredienti principali sono le tradizionali cavalcate in stile Bay Area, con chitarre taglienti, ritmiche galoppanti e vocals vetrioliche, con qualche buon assolo a chiudere i brani. “Maniacal” non sarà certo garanzia di musica originale o raffinata, ma se avete voglia di una serata energica con gli amici, beh potrebbe anche fare al caso vostro... (Francesco Scarci)

(Century Media)
Voto: 60

The Grieving Process - Assimilated Deformation


Mi spiace sempre castigare le band agli esordi, ma quando sento certe boiate, non resisto proprio al desiderio di stroncare un disco, perché mi rendo conto che avrei potuto registrarlo pure io. Chiamatela invidia o in qualsiasi altro modo, ma il debut degli statunitensi The Grievance Process, non lo regalerei neppure al mio peggior nemico. È un album così convenzionale, banale e suonato per giunta male, che non riesco ad accettare che tali prodotti affollino un mercato già di per sé saturo. Il genere che propone il quintetto americano è un brutal death privo di qualsiasi spunto personale, che tra l'altro mostra un suono di batteria tra i più orridi che abbia mai sentito in circolazione. Una violentissima ritmica e delle brutal vocals completano la frittata di un album chiaramente orribile... (Francesco Scarci)

(Anticulture)
Voto: 40

Pain Principle - Waiting for the Flies


I Pain Principle? Una band fra tante... Ve lo domanderete anche voi, dopo aver messo il cd nel vostro stereo e ascoltato l'intro e la seconda “Body Farm”, per quale motivo la maggior parte delle testate internazionali osannino questa band, che non fa altro che andare ad affollare il calderone death metal. La band di Orlando, che sinceramente non conoscevo e scopro solo oggi che esiste dal lontano 1993 (mi chiedo solo dove sono stati nascosti fino ad ora), rientrano nell'immensa distesa di gruppi che hanno ben poco da dire di nuovo. Questa è la loro terza fatica, un album di discreto e onesto death/thrash metal, con riffs pesanti, quanto mai convenzionali, ritmiche belle tirate e le vocals di Kevin Bullock incazzate quanto basta, sullo stile di Chuck Schuldiner. L'unica cosa su cui mi soffermerei invece, sono gli ottimi assoli di John Sutton, abbastanza melodici e assai ricercati, insomma una vera ascia alla chitarra. Quindi nessuna grossa novità proveniente dagli States, siamo sempre fermi a suoni di una decina di anni fa... Ottima la produzione infine di Eric Rutan (Hate Eternal e Cannibal Corpse), con suoni puliti, troppo poco però per elevare a capolavoro “Waiting for the Flies”. (Francesco Scarci)

(Blind Prophecy Records)
Voto: 65