Cerca nel blog

mercoledì 3 ottobre 2018

Briganti Sabini - Remusicando

#PER CHI AMA: Folk Rock
Che sia il rocksteady filo-mariachi provvisto di variopinte pennellate di flamenco della introduttiva "Il Brigante", oppure il latin-rock torso-nudo-panciotto-e-dito-medio di "Internet.te" (il panciotto appartiene agli Heroes del Silencio, il dito medio alla mano destra di Cabo dei Litfiba anni '00). Che sia il polka-reggae del singolo "Cammino Lento", una specie di Vinicio Capossela sulle striscie pedonali di Novosibirsk, il folk-eminentemente-autoriale-e-aromaticamente-prog di "Generale" (immaginatevi una Premiata Forneria Marconi da qualche tempo bazzicata da poco raccomandabili Mercanti di Liquori). Che sia la roman-polka lalleggiante di "Che Vai Cercanno" (in un baraccio di Yerevan Serj Tankian pianta un chiodo sul Muro del Canto), o, piuttosto, il modena-city-prog de "La Guerra", beh, la soffi/patchanka dei Briganti Sabini suona come una sorta folk sound-system popolano, immediato eppure liquidissimo e fervido di contaminazioni sonore. Mano Negra, ovviamamente, ma anche, oltre ai summenzionati, Après la Classe, Gogol Bordello, Angelo Branduardi, 24 Grana. Eccetera etcetera et cetera. (Alberto Calorosi)

(Areasonica Records - 2018)
Voto: 60

https://www.facebook.com/BrigantiSabini/

martedì 2 ottobre 2018

Dymna Lotva - Палын

#PER CHI AMA: Black Doom/Depressive
Il disastro di Černobyl' ebbe luogo il 26 aprile 1986 alle ore 1.23 circa, presso la centrale nucleare V.I. Lenin, in Ucraina, ad una manciata di km dalla città di Pripyat e a pochi km dal confine con la Bielorussia. Quell'evento catastrofico sconvolse il mondo, visto che una nube radioattiva invase dapprima la vicina Bielorussia e poi centro-nord Europa e Nord America. Proprio di quella catastrofe rimasta impressa nella storia, ci narrano i ragazzi di Minsk nel loro 'Палын', album uscito sul finire del 2017 e arrivato da pochi giorni sulla mia scrivania. Solo trenta minuti a disposizione per il quartetto bielorusso per trasmetterci tutte le loro strazianti emozioni, iniziando da "Самотны чалавечы голас", dove una voce sembra voler raccontare i fatti legati a quell'esplosione, in un flusso di malinconico depressive doom. Il sound ha subito presa sui miei sensi, mi avvolge in tutta la sua drammaticità e mi conduce in quei luoghi, a oltre trent'anni da quel funesto episodio. Pripyat è una cittadina fantasma che prima del disastro contava 50.000 anime, oggi zero. E tutta quella sua desolazione si percepisce nelle note decadenti di piano di 'Прыпяць', il nome in cirillico della città. Case, edifici pubblici, scuole sono oramai in balia del tempo, nulla è rimasto come testimoniato da "Пакідаючы родныя дамы" (tradotto in "lasciando le case native"), una song che richiama gli svedesi Shining in una versione più edulcorata, ma in grado di evocare ambientazioni spettrali. E cosa meglio di un violino a suggestionarci, un violino dotato di un'aura sinistra che irrompe nella funerea e splendida title track, un piccolo gioiellino di black atmosferico che ci prepara all'angosciante interludio "Чарнобыль. Ненароджаны", un breve intermezzo noise dove tra un pianto di un nascituro mai nato e il suono di carillon, l'effetto è quello di generare un devastante nodo in gola. Il disco prosegue con "Одинокий человеческий голос" e le laceranti vocals del cantante, solitarie nel declamare, attraverso il convincente depressive black, alcuni passaggi del libro di Svetlana Alexievich, 'Preghiera per Černobyl'. Cronaca del futuro'. Il cd si chiude con "P.S. Пахаванне зямлі" e il funerale per questa terra celebrato da una voce femminile che duetta con lo screaming di Nokt in una song interessante ed estremamente melodica che chiude con somma rilevanza lo scorrere deprimente di 'Палын', album consigliatissimo ai più, non solo per la musica in esso racchiusa ma per i contenuti storici trascritti. (Francesco Scarci)

(Der Neue Weg Productions - 2017)
Voto: 80

https://dymnalotva.bandcamp.com/album/wormwood

lunedì 1 ottobre 2018

Руины вечности (Ruins of Eternity) - Шёпот забытых холмов

#PER CHI AMA: Death Doom
Faremo un'indigestione di band russe nelle prossime settimane, ve lo posso garantire. La band di oggi arriva da Krasnoyarsk, si chiamano Руины вечности, che traslato in inglese dal cirillico, corrisponderebbe a Ruins of Eternity, mentre 'Шёпот забытых холмов' (traducibile in italiano come "il sussurro delle colline dimenticate") rappresenta il debut album. La proposta della compagine russa, che consta di addirittura sette elementi (tra cui un sinistro violino), è un death doom robusto e feroce. Non basta infatti il bieco suono del violino ad incantare l'ascoltatore con le sue sghembe melodie, qui troverete anche un riffing brutale che spezza quella meravigliosa spettralità che trasuda già dall'opening track, "Будни войны" e che pervade l'intero lavoro. L'obliquo sound di quel magico strumento ad arco apre infatti anche la seconda traccia e, fintanto che riveste il ruolo di protagonista nell'economia della band, tutto va bene. Le cose cominciano a complicarsi e a farmi storcere il naso, quando i nostri vogliono a tutti i costi, mostrare il loro lato più muscoloso. E qui iniziano i dolori, perchè in una veste diversa dal gothic doom, i sette russi non sono poi cosi adatti, perdono quella magia che contraddistingue pezzi come "Брест" o "Кто будет первым?!". Per quanto possa anche essere interessante un esperimento in cui i Morbid Angel inseriscono dei violini nella loro matrice sonora, rimane il fatto che i Руины вечности non siano i Morbid Angel e che alla lunga la pesantezza del death rischi di stufare i fan di sonorità più ispirate ed orchestrali, considerato anche il fatto che la band si avvale delle classiche eteree voci femminili ("Танк"). E allora, ve lo chiedo ancora, immaginereste mai i Morbid Angel ricamare la loro musica con violini e soavi voci di gentil donzella? Io francamente faccio fatica, e pur apprezzando tutti i clichè tipici del genere, con violini e female vocals annesse, alla fine faccio fatica a scontrarmi col muro ostico ed invalicabile eretto dal team di sette strumentisti. Se devo scegliere una song che ho però apprezzato più delle altre, citerei "Победа для мёртвых" e sapete perchè? Mi ha rievocato il mitico 'Immense Intense Suspense' dei tulipani Phlebotomized, anche se con meno classe ed ispirazione. Diciamo che la band ha ancora parecchio da lavorare per snellire il proprio sound ancora troppo farraginoso, ed indirizzarlo verso lidi più accessibili, ma sicuramente la strada intrapresa potrebbe regalare grosse soddisfazioni. (Francesco Scarci)

(Grimm Productions/MurdHer Records - 2017)
Voto: 60

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/016gd-2017

Blackberries - Disturbia

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Psichedelia
Nel nuovo album dei tedeschi Blackberries, si manifesta una psichedelia leggera e profonda, roba d'altri tempi, scaturita e ispirata dall'esperienza fatta al leggendario Ice Cream Factory in Texas, dove i nostri hanno registrato anche il precedente, 'The Texas Tapes', una gradevole session di quattro brani. Riuscire a suonare ad Austin, ha emancipato il lato colorato ed estatico della band di Colonia, proprio come nella San Francisco di fine anni sessanta, offrendo un viaggio cosmico e intenso, verso ritmi, movenze, suoni e riverberi che resistono agli anni, con sperimentazioni intelligenti e geniali che in tempi odierni vengono spesso dimenticate dalle giovani generazioni, ignorate senza un perchè. In questo contesto, ci si può perdere tra echi di Low ai tempi dell'album 'C'Mon', l'arborescenza degli Opal, l'ipnosi ancestrale del krautrock alla Ash Ra Tempel, un velo di Tame Impala, il revival mancuniano dei primi anni novanta, Ian Brown ed i Charlatans appena nati, a volte ritmico e a suo modo anche etnico, come se ascoltassimo i Kula Shaker senza influenze indiane, il 'Sonic Flower Groove' dei primi Primal Scream, i Mercury Rev che suonano sotto il sole caldo del Texas, il lato romantico di un giovane Anton Newcombe. Un album allucinogeno, lontano dalle mode e carico di nostalgia per il passato più psichedelico ed impegnato, con messaggi e propositi, musica liquefatta, che nasconde una forte vena riflessiva, che cerca di dare una diversa visione per una possibile soluzione ai mali del mondo. Un disco che non cade mai nel plagio musicale, anzi, vive di una luminosità multicolore tutta da gustare, a suo modo perfettamente in linea con la corrente psichedelica dei tempi migliori e comunque originale, un'opera ben riuscita in questi scialbi tempi moderni che hanno dimenticato il vero significato mistico della parola psichedelia. Quindi niente stoner, doom o heavy psichedelico ma un mantra lisergico e sognante in pompa magna. Chiudete gli occhi e ascoltate 'Disturbia', lasciatevi trasportare da "High Moon", ballate al suono lunare di "Snow White Tiger" e trattenete il respiro in "Spinx I" e "II", volerete alti tra le nuvole, non avrete peso e vi sarete persi in un arcobaleno di colori inimmaginabile. Quaranta minuti di pura magia sonora. Liberate la mente ed esplorate il sogno che vi è più congeniale. (Bob Stoner)

(P&C Unique Records - 2018)
Voto: 75

https://blackberries.bandcamp.com/album/disturbia

domenica 30 settembre 2018

Æthĕrĭa Conscĭentĭa - Tales From Hydhradh

#PER CHI AMA: Black/Prog, Sear Bliss
Con un moniker del genere, mi aspettavo una qualche band proveniente da Serbia o da Bulgaria, invece gli Æthĕrĭa Conscĭentĭa arrivano da Nantes, con quello che è il primo album della loro discografia, 'Tales From Hydhradh'. Quattro pezzi per quasi tre quarti d'ora di musica black progressive con tematiche sci-fi, come testimoniato da un titolo che si rifà al concept spaziale qui contenuto e anche al futuristico artwork che ha colpito immediatamente i miei sensi. Diamo poi uno sguardo più dettagliato sul perché porre la nostra attenzione su questo combo transalpino. Innanzitutto direi per l'utilizzo nelle sue trame psicotiche, ancora un pochino acerbe, del sax, che irrompe già dall'iniziale "Mystic Temples Of Hydhradh", in una song violenta e corrosiva che mette in mostra tante idee, ma che ancora non sono focalizzate nel migliore dei modi. Mi spiego meglio. L'utilizzo del sax lo trovo estremamente originale e piacevole, ma sembra faticare nell'amalgamarsi con quel ronzio di chitarre o con lo screaming urticante del vocalist. Eppure, è lo strumento portante della musica del quintetto francese, con quelle sue lunghe fughe solistiche, non troppo ben supportate però dagli altri strumenti. "Sacrifice of the Connected Ones" è la seconda traccia; cosi acida e nevrotica nel suo incipit, sembra esser uscita da uno dei primi album degli ungheresi Sear Bliss, mentre man mano diventa dapprima doomish per poi virare sul versante post black, senza disdegnare anche qualche ammiccamente al death metal. Ecco, in questa trascrizione della prima trasmissione ricevuta dalla città spaziale di Hydhradh, troviamo essenzialmente una miscela black/death contaminata da momenti atmosferici, sprazzi progressivi e avanguardistici che non possono far altro che consentirmi di mantenere l'attenzione costante sulla proposta dei nostri, soprattutto quando a dettar legge è il sax. E voglio essere estremamente franco: senza l'utilizzo di quel portentoso strumento, gli Æthĕrĭa Conscĭentĭa si perderebbero verosimilmente nel marasma infinito di band mediocri, invece con quel magico strumento aerofono, i cinque si trasformano in una realtà interessante da seguire. Abbandonate le malinconiche melodie della seconda traccia, ci addentriamo nelle melodie sinistre, e un po' selvagge, di "Cleansing The Siraxas - The Exalted Ones", in cui di nuovo a farla da padrone è il suono infuocato del sassofono di Simon che si diverte col suo strumento un po' come il nostro Vittorio Sabelli faceva nei suoi Dawn of a Dark Age (anche se lui suonava il clarinetto) o il folle Äag nel mitico 'Dawn of Dreams' dei Pan.Thy.Monium. La song è bella veloce, dinamica, e affonda certamente le sue influenze nella musica classica ma anche nella musica etnica. Arriviamo alla conclusiva "Along The Uncertain Paths Of The Maphoros" ormai frastornati dal delirio musicale dispiegato. Apre manco a dirlo il sax in un brano dal sapore un po' gitano, un po' balcanico, anceh se alla fine si tratta di musica estrema che necessita ancora una bella ripulita prima di mostrarsi in tutta la sua eleganza. C'è ancora parecchio da lavorare per raggiungere alti livelli, ma la strada intrapresa è sicuramente quella giusta. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Sear Bliss - Letters From the Edge
Aethereus - Absentia
Between the Buried and Me - Automata II

---
Alain González Artola

Nazrak - Cantiques Fúnebres
Kontinuum - No Need to Reason
Akvan - شکوه فراموش شده/ Forgotten Glory

---
Felix Sale

Mass Hypnosia - Death Decay
Omenfilth - Hymns of Diabolical Treachery
Exitus / Rapist - Beast of Chaos Command

---
Alejandro Morgoth Valenzuela

Igorrr - Hallelujia
Thy Primordial - At the World of Introdden Wonder
Benighted in Sodom - A Resplendent Starless Darkness
 

---
Five_Nails

Into Eternity - The Sirens
Neoandertals - Australopithecus
Sanity Obscure - Codex Incognitus

sabato 29 settembre 2018

Aornos - The Great Scorn

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Darkspace, Deathspell Omega
Nella cittadina di Miskolc, ho trascorso qualche giorno lo scorso anno, per motivi lavorativi. Mai mi sarei immaginato che potesse essere la casa di questo progetto oscuro a nome Aornos. Trattasi di una one-man-band, con 'The Great Scorn' a rappresentare il quarto album per il mastermind ungherese. Il suono proposto da Tátrai Csaba (in arte Algras, peraltro, ex membro di Carcharoth e Bornholm) include elementi black e progressive, dalle forti venature cosmiche che chiamano immediatamente in causa gli svizzeri Darkspace. La musica è originale, combinando in modo inusuale, flussi disarmonici con sprazzi di grande atmosfera, come dimostrato dalla seconda "From a Higher Reality" che segue a ruota l'intro iniziale. Accanto allo screaming efferato del vocalist, si affianca poi un cantato più epico, sorretto tra l'altro da delle chitarre che per certi versi mi hanno ricordato i Windir. Sto parlando della terza traccia, "The Kingdom of Nemesis", in cui i vocalismi al vetriolo di Algras, sono sorretti da delle chitarre old school nella vena della tradizione black norvegese (Emperor e Satyricon) e da synth a tratti davvero ispirati. Più thrash oriented invece "Trace to Beckoning Fade", anche se nella seconda parte emergono influenze più vicine ad un epic in stile Bathory. Ma sono soltanto lontane reminiscenze che s'intersecano con il chitarrismo più tradizionale del musicista ungherese, che comunque si conferma abile nel creare ritmiche cupissime inserite in un contesto a tratti claustrofobico. Algras però affonda le sue influenze non solo nella fiamma nera che bruciava negli anni '90 in Norvegia, sento infatti dell'altro nelle linee sghembe della sua chitarra: suggestioni oblique dei Deathspell Omega così come l'aura maligna dei Dødsengel o la carica mistica dei Nightbringer. C'è tanto nelle note contorte di 'The Great Scorn': il mid tempo della title track vive ad esempio di interessanti cambi di tempo, mentre "Funeral March for the Death of the Earth" sembra mostrare una vena più sinfonica vicina ai Limbonic Art e vocalmente, ai primissimi Arcturus. Insomma, l'avrete capito, Algras ha voluto omaggiare i grandi maestri del passato nordico, tributando altre grandi band black del presente, il tutto peraltro trattando temi noetici, ossia relativi alle correlazioni tra mondo fisico e la mente umana, e come essa possa influenzare determinati avvenimenti o processi fisici. La fiamma nera brucia anche nelle campagne dell'Ungheria grazie agli Aornos. (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination/Ira Aeterna/The True Plague/Black Metal Records - 2018)
Voto: 70

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp108-aornos-the-great-scorn-2018

Bloodshed Walhalla - Ragnarok

#PER CHI AMA: Viking/Epic, Bathory
Quorthon morì nel 2004. Da allora lo spirito indomito del mastermind svedese aleggia nell'etere alla ricerca di una sua epica reincarnazione. Si sono citati gli Ereb Altor come potenziali eredi, io non tralascerei nemmeno la one-man-band italica dei Bloodshed Walhalla, guidati dal bravo Drakhen, che con questo 'Ragnarok' arriva al ragguardevole traguardo del quarto album. E il musicista lucano lo fa nel migliore dei modi, con un disco che trasuda epicità da tutti i suoi pori sin dall'opener, nonchè title track. Certo, non solo i Bathory rivivono nelle musiche di "Ragnarok", ci sento anche gli Einherjer di 'Dragons of the North' o i Falkenbach più folklorici. Ma non importa e mi lascio travolgere dall'aura battagliera che mi rimanda ai lavori più viking dei Bathory - penso alla saga di 'Nordland' - ma nelle sue rare accelerazioni black, ci sento anche un che dei Finntroll o ancora degli Ensiferum. Le melodie vichinghe, i cori e le vocals mi inghiottiscono nelle loro storie, consentendomi di prendere una pausa dalla merda di tutti i giorni, per abbandonarmi alla pura mitologia della tradizione nordica, nemmeno stessi guardando una punta della serie tv "Vikings". Godimento puro per le mie orecchie, soprattutto quando le solenni orchestrazioni di "My Mother Earth" irrompono nello stereo con quell'esplosività percussiva che ricordo solamente nel masterpiece dei Bathory, 'Twilight of the Gods'. E allora chiudo gli occhi, penso a Quorthon e a ciò che mi trasmetteva l'ascolto dei suoi dischi, e immagino che Drakhen, animato ancor di più del sottoscritto dall'amore per quelle musiche, si sia lasciato guidare dall'ispirazione del maestro svedese, proponendo peraltro anche suoni di matrice settantiana, accostandoli ovviamente alle sinfoniche melodie che accarezzano la testa e solleticano il senso dell'udito. La voce di Drakhen, pur emulando il compianto frontman svedese, è uno spettacolo e costituisce un valore aggiunto per la release. Arrivo nel frattempo alla terza "Like Your Son", che continua nel narrare la battaglia finale tra gli dei e l’ordine del male e delle tenebre. La musica evolve e si muove tra il viking dei Moonsorrow, l'epic dei Bathory e il power dei primi Blind Guardian mantenendo un tono trionfale soprattutto nella lunga suite finale, dove Drakhen regala ben 28 minuti di suoni maestosi, in grado di rappresentare con grande efficacia, il palazzo ove ora risiedono quei guerrieri che sono morti gloriosamente in battaglia. Immaginatevi quella dimora, costituita da ben 540 porte, con i muri fatti con le lance di quegli uomini più valorosi o il tetto fatto di scudi di oro su cui sono raffigurate scene di guerra, e la musica che inneggia in quella sala? Quella dei Bloodshed Walhalla ovviamente. (Francesco Scarci)

ISA - Chimera

#PER CHI AMA: Progressive Death, Atheist, Between the Buried and Me
In questo momento sembra che le one-man-band stiano spopolando alla grande. L'ultima giunta sulla mia scrivania arriva dagli Stati Uniti ed è opera dell'artista visionario Dan Curhan. La band si chiama ISA mentre l'album, intitolato 'Chimera', contiene nove tracce più intro e outro, dedite ad un death metal psichedelico e dalle tinte progressive, senza comunque tralasciare le radici acoustic folk nelle quali affonda la musica dell'artista del Massachusetts. "Stage I: Descent" ne è infatti testimone, combinando musica prog con suoni estremi e rudimenti folk. Con "Stage II: Fear", le carte in tavola vengono completamente sparigliate e ci troviamo di fronte ad un techno death che trova attimi di tranquillità in un arpeggio poco prima della parte centrale, prima di rilanciarsi in un aggrovigliarsi di ritmiche, voci tortuose, chitarre e percussioni funamboliche, che evocano un che degli Atheist di 'Unquestionable Presence'. Il disco non è proprio facilissimo da essere assimilato, ma la cosa non mi spaventa, anzi mi stimola ad ascoltare con maggiore attenzione le prodezze del musicista di Somerville che in "Stage III: Heathens", si ritrova a sussurrare su partiture rock, a dimostrare l'enorme quantitativo di carne al fuoco contenuto in 'Chimera'. I ritmi sono decisamente più blandi, anche quando Dan pesta maggiormente sul pedale dell'acceleratore o si diletta nell'incrociare screaming, growling e clean vocals. Ma con "Stage IV: Evil", i suoni si fanno ancora più lugubri quasi al limite del funeral doom, sostenuti da un dualismo vocale aspro e profondo. La musica tuttavia persiste nel suo gioco di chiaroscuri, cambi di tempo e fasi disarmoniche che verosimilmente hanno il pregio (ma anche il difetto) di disorientare l'ascoltatore. È qui che emergono più forti le influenze techno death della band, tra Atheist e Pestilence, in un tortuoso cammino di belligeranza cerebrale che porta ad estendere i confini musicali della band dell'East Coast anche verso Between the Buried and Me e The Dillinger Escape Plan, in quella che probabilmente risulta essere la traccia maggiormente cervellotica del lotto. Non lasciatevi però ingannare dalle movenze "pink floydiane" in apertura di "Stage V: Reflection", abbassare la guardia permetterà a Dan e ai suoi ISA di aggredirvi con maggiore semplicità nella seguente "Stage VI: Lust", folle, brutale ed atmosferica quanto basta per definirla la traccia più idiosincratica dell'album. Bravo il buon Dan a dare ampio sfoggio di sperimentazioni musicali e originalità, seppur manchi ancor quel pizzico di fluidità in grado di conferire una maggiore accettabilità (o digeribilità) del prodotto. Rimane qualche altro episodio alquanto interessante da ascoltare: il lato progressive di "Stage VII: Freedom" ad esempio o l'imprevedibilità di "Stage VIII: Ocean" per un album che ripeto, si rivelerà per i più alquanto arcigno. Ma questo per il sottoscritto è sempre un segno che si è lavorato bene... (Francesco Scarci)

martedì 25 settembre 2018

Drive Me Dead - Who's the Monster

#PER CHI AMA: Punk/Rock
La rutilante pop'tallica "Freak" apre l'album d'esordio dei romagnoli "fammi morire" più meno come "Fuel" apriva 'Reload' dei Metallica. Nel prosieguo del disco, un punk n'roll farsescamente cinematografico, qualcosa che potreste degnamente collocare tra gli ultimi, straordinari, Social Distortion ("Between Life and (un)death") e quelle specie di emanazione massima di krautoficienza musicale che prende il nome di Bosshoss ("Zombie Don't Run" e "A Monster/The Monster") con sporadiche escursioni nel melodic-clapclap vs. Green day ("25th of December"), nel groove-punk alla Rebel Meets Rebel ("Your Worst Nightmare") o ancora nello speed and roll (l'ossequioso tributo a L. Kilmister di "Lemmy's Ghost"). Breve e succinta analisi strutturalistica dei titoli, limitatamente ai sostantivi: monster, dead/death, zombie due occorrenze ciascuno; freak, ghost, nightmare una occorrenza ciascuno, tutti gli altri sostantivi quattro occorrenze in tutto, tra cui un nome proprio, peraltro quello dell'eminentissimo estinto di cui sopra. Copertina di Sergio Gerasi, apprezzato disegnatore, tra gli altri, di Dylan Dog. (Alberto Calorosi)

?Alos - The Chaos Awakening

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Drone
Parlare di ?Alos e delle sue opere non è mai stato facile, né mai lo sarà. La sua arte di confine ispirata da ombre e oscurità si colloca nei meandri più bui dell'avanguardia sonora e la sua ricerca vocale è tanto focalizzata, mirata e vasta che a fatica, il grande pubblico riuscirà ad apprezzarla e a capirla veramente. Del resto Stefania Pedretti non è artista facile che si vuol far amare da tutti, cominciando con la sua recente affiliazione al filone black/doom, ai suoi riferimenti luciferini e al suo inasprirsi e radicalizzarsi verso sonorità sempre più estreme. Diciamo subito che di musica sperimentale/ambient drone si tratta e che in questo nuovo 'The Chaos Awakening' la nostra artista si cimenta in una sorta di catarsi etnica basata su leggiadri e mistici rintocchi di campanelli, tenui ed ipnotici strumenti a percussione, suonati su divagazioni vocali che invocano un matra spirituale, un percorso sciamanico, calati su loop dronici cupi e profondi. Una lunga suite dove il tempo/spazio si perde e dove la forma canzone abbandona tutta la sua architettura classica, per lasciar spazio alla trance ancestrale provocata dalle corde vocali di ?Alos, che genera suoni contorti e disturbanti al passo con le evoluzioni della divina Diamanda Galas. Rintocchi etnici si muovono in sottofondo, sinistri e glaciali, siderali armonie monotone ad alimentare la trasformazione vocale che cerca di emergere a suon di esplorazioni gutturali ed impennate liriche, trafitte sempre da quel sodalizio/attitudine/appartenenza alla musica nera e diabolica. Avanguardia, come poteva intenderla Luciano Berio in alcune sue spettacolari opere, rumori/suoni che vanno oltre la semplice musica, sperimentazione intelligente ed affascinante. Il finale è lasciato a fiati terrificanti di trombe pronte ad aprire i cancelli degli inferi. Una ventina di minuti di buio totale ed un risveglio tra le fiamme dell'inferno, contorto, mistico, sinistro e malato, carico di silenzioso, violento, attrente, pagano, rispettoso, libero amore verso il caos primordiale. Alla ricerca del risveglio dell'anima, io ne consiglio l'ascolto. (Bob Stoner)

lunedì 24 settembre 2018

La Fantasima - Notte

#PER CHI AMA: Post Rock/Drone/Psych
La Fantasima sembra l’incrocio tra le parole “fantasma” e “fantasia”, due immagini che ben si sposano con il suono silvano e crepuscolare del trio romano alla seconda prova in studio dal titolo 'Notte'. Si tratta di un post rock strumentale che ricorda a tratti i My Sleeping Karma, con venature drone e squisitamente psych, il tutto sostenuto da una ritmica cadenzata e costante che riporta a generi come lo stoner o il doom. Da notare l’utilizzo del basso che spesso si arrampica in complicati fraseggi, spiccando dal mix sonoro e di fatto, prendendo la posizione di strumento solista. Per gran parte del disco assistiamo al dispiegarsi di ambienti sospesi ed eterei, la chitarra effettata e scintillante, traccia degli scenari da fiaba, quelle fiabe per bambini che hanno una trama stranamente oscura e finiscono con la morte di qualcuno vicino al protagonista. Sono presenti anche dei momenti di rilascio della sospensione saturi di fuzz e carichi di energia come la parte centrale di “Sino al Mattino” che ricorda gli ultimi lavori degli Ufomammut, band che la band dichiara come influenza sulla propria pagina. La musica dei La Fantasima riesce a coinvolgere e a trasmettere, personalmente ho provato quella sensazione che si prova mentre si è in viaggio verso qualcosa di sconosciuto, quel misto di paura e di euforia, di curiosità e di allerta continua per non farsi prendere alla sprovvista. Ogni pezzo è un sentiero in una selva fantastica, uno scenario impossibile perennemente al centro della notte, gli alberi rifulgono di riflessi blu scuro e il verde e l’azzurro dei ruscelli non esiste mai. Il vento muove le fronde che dialogano tra loro e racchiudono gelosamente il suolo coperto di vegetazione fittissima mai toccata dall’uomo. Si tratta quasi di una colonna sonora, un percorso sinestetico nella grandiosità e nel mistero della natura il tutto decorato da uno splendido scenario oscuro e boschivo che trasporta la mente in una favola antica e dimenticata. (Matteo Baldi)